domenica 27 giugno 2021

Un pae'saggio' di luglio - 27 giugno 2021

Titolo un po’ tirato per i capelli, ma dedicato al libro bello e regalato sui luoghi inaspettati, che aspetteremo, ma non tanto, per visitare. Unito a un ricordo commosso e di rimpianto per lo scomparso Proietti, ad un ricordo cinematografico che unisce Zap e Sciascia, fino ad un po’ di filosofia spicciola. Che forse non ci cambia la vita, ma se ci fa ragionare, aiuta.

Gigi Proietti “Mandrake a Roma” Repubblica 14 s.p. (omaggio di Repubblica)

[A: 15/11/2020 – I: 05/01/2021 – T: 07/01/2021] &&--

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 138; anno: 2020]

In realtà, di Gigi ci sono poche pagine, seppur con spunti e pensamenti. È un cosiddetto instant book, nato dalla necessità e dalla voglia di rendere omaggio al grande attore scomparso pochi giorni prima. Tant’è che a fronte della sua dipartita il 2 novembre, solo due settimane dopo esce questo collage di impressioni, interviste e testi. Ovvio che data l’urgenza, il prodotto sia non sempre bilanciato, a volte ripetitivo, a volte quasi monco.

Ma a me fa piacere celebrare, o meglio ricordare, l’attore romano, anche con tutte queste piccole carenze. Con un libro tripartito: prima nelle parole di chi ha lavorato con lui (“Gigi che spettacolo”), poi con interviste ad alcuni suoi amici (“Chiedici chi era Proietti”), finendo con alcune estratti dai suoi libri (“Parole sue”).

La parte più debole è la centrale, dove nelle interviste si cerca quasi solo di celebrare l’amico, ma non si entra, o si entra poco, nella vita reale (teatrale e personale) di Proietti.

Di sicuro interessante l’ultima parte in cui, tra interviste e brani vari, sentiamo venirci incontro proprio lui, Gigi, con la sua profonda umanità. E con la sua cultura, quella che lo portò, nel 1976, a mettere in scena quel gran calderone di idee e di espressività teatrale che fu “A me gli occhi, please”. Dove Proietti spaziava dal sacro al profano, da Shakespeare a Trilussa, magari passando per un altro suo cavallo di battaglia: il Belli (da non perdere il piccolo brano dedicato al romanesco di Belli contrapposto al milanese di Porta). Certo, si poteva scegliere altro, non dico meglio, ma maggiormente significativo, tuttavia, l’urgenza della scrittura ha imposto di trovare il più reperibile a breve.

Per fortuna, la personalità di Proietti è talmente forte, che esce comunque fuori, come in quel bellissimo accenno alla nascita del cinema di periferia in quel del Tufello e dal passaggio dalle pellicole censurate della parrocchia alle pellicole senza inibizioni di Rita Hayworth.

Capite subito, che personalmente, ho privilegiato la prima parte, dove ci sono dei ricordi vivi di Proietti, e del suo modo di essere, fuori o dentro il palcoscenico. Da bravo espositore, bello è iniziare con Augias, che con Proietti lavorò al mitico “Teatro 101” di via Euclide Turba a Roma (ripeto mitico perché era teatro d’avanguardia, ma anche popolare per quello che poteva esserlo nei primi anni Sessanta, con quel nome derivato dal numero dei posti in sala, 100, più uno, che era il gabinetto). Ed Augias ci parla della voce. Infatti “tra le doti caratteristiche di un attore, Proietti aveva, prima ancora di un’eccezionale capacità espressiva, la padronanza della voce. Proietti usava una voce per il Belli, una diversa per il Maresciallo Rocca, una ancora diversa quando recitava Shakespeare o Molière. Perché sapeva usare una perfetta dizione nei canoni della vecchia accademia d’arte drammatica; oppure assaporare la grevità del dialetto, con la c dolce che diventa “sc”: non ‘cinquecento’ ma ‘scinquescento’”.

Per fortuna poi che Silvia Fumarola ce ne fa anche un excursus di vita, della sua carriera di attore, iniziata che aveva quasi la laurea in Giurisprudenza, e sbocciata quando viene chiamato a sostituire Domenico Modugno nella prima rappresentazione di “Alleluia, brava gente”, attraverso le molte tappe che lo portarono da una parte a “A me gli occhi”, dall’altra alla direzione del teatro shakespeariano a Villa Borghese.

Tra gli altri poi, non dimentico la presenza dei suoi allievi, da Pino Quartullo, uno dei primi partecipanti ai suoi Laboratori Teatrali, a Paola Minaccioni che lo affiancò ne “Una pallottola nel cuore”.

A me, alla fine, rimane il senso della sua Roma, sia nei sonetti, suoi, di Belli o di Trilussa, ma anche nelle sue passeggiate, quando parla del suo peregrinare tra i locali, ma anche tra le zone di Roma (anche se poi finì sulla Cassia, che a me non pare più Roma). Soprattutto in quel piccolo cammeo dedicato ai “fagottari”. Per chi non lo sapesse, fino agli anni Settanta, la domenica si poteva andare in trattoria, portarsi da mangiare (il “fagotto”) ordinare da bere e passare una mezza giornata in compagnia. Io mi ricordo che andavo con mio padre ed i suoi amici da Zi’ Cannella a via di Tor Millina, vicino a Piazza Navona.

Sarebbe bello continuare anche a parlare del suo cinema, da “Brancaleone alle crociate” nella parte del gran peccatore Pattume a “Febbre da cavallo” nella parte che gli donò gloria imperitura: il truffatore Mandrake.

Ma io invece finisco qui, con una citazione della mia amica Paola “A te gli occhi, Gigi”.

Travis Elborough “Atlante dei luoghi inaspettati – Scoperte inattese, città misteriose e leggendarie, mete improbabili” Rizzoli s.p. (Regalo di Natale di Mario & Ines)

[A: 25/12/2020 – I: 23/01/2021 – T: 25/01/2021] - &&& 

[tit. or.: Atlas of the Unexpected; ling. or.: inglese; pagine: 207; anno 2018]

Un regalo veramente gradito anche se ambivalente. È stato fare un viaggio da fermo, ed in questo momento di impossibilità devo sentitamente ringraziare Mario e Ines, che sanno, anche sulla loro pelle, quanto io sia legato ai viaggi. D’altra parte, proprio perché ora non si può viaggiare, mi ha rinnovato un profondo dolore.

Nello specifico, Elborough confeziona un prodotto interessante, corredato da ottime e ben disegnate mappe dovute alla matita di Martin Brown. Poteva tuttavia essere migliore e raggiungere posizioni più avanzate se non fosse affetto da una propensione troppo anglosassone centrica e da qualche spiegazione che svolazza qua e là, centrando solo in modo marginale il luogo inaspettato che si sta descrivendo. Con l’aggravante, se vogliamo, che le pur belle foto a corredo sono tutte in bianco e nero, laddove dei colori ne avrebbero meglio reso la bellezza.

Sommando tuttavia il piacere del regalo e detraendo le piccole manchevolezze, un risultato dignitoso e piacevole da scorrere. Anche velocemente, nonostante i 45 siti da “visitare”.

A proposito, ne ho già visitati 8 e di 4 sono stato nelle vicinanze, traguardandoli senza realmente arrivarci. In particolare, oltre all’unico sito italiano (Pompei), ho visto da vicino la Cappadocia, Qumran sul Mar Morto, i geyser del Nevada, l’immondezzaio a cielo aperto del Cairo, la fortezza di Jaisalmer, le isole del lago Titicaca e la falesia di Bandiagara nel Mali. E sono stato a pochi passi da Chemainus nell’isola di Vancouver (ci sono passato davanti in gommone cercando le orche marine), ho visto da lontano la zona di Leith a Edimburgo e Nowa Huta a Cracovia. Oltre ad essere nella zona Argentina dal lato atlantico della Patagonia rispetto a Caleta Tortel.

Dal punto di vista didattico, le descrizioni migliori (a parte Pompei che non mi è sembrata centrata) sono quella della prima parte, dedicate alle scoperte accidentali, laddove zone o elementi di interesse vengono trovati (o ritrovati) grazie a momenti dedicato ad altro. Come l’isola di Madera, scoperta per rifugio a tempeste atlantiche, o le Galapagos, assurte alla gloria solo dopo la pubblicazione dei libri di Darwin.

Abbastanza coinvolgenti le descrizioni della nascita di luoghi poi abbandonati o destinati ad altro, come la città dedicata agli scacchi costruita (in parte e non finita) nella Repubblica di Calmucchia, o Fordlandia voluta dalla famiglia Ford in Brasile o il distretto delle acciaierie di Nowa Huta a Cracovia.

Alcune mancanze, ma anche alcune scoperte, portano al capitolo sulle destinazioni eccentriche. Dove non credo si possa parlare di eccentricità, o di destinazione insolita, parlando delle isole galleggianti del lago Titicaca, che personalmente o già visitato quattro volte. Ed avrei dedicato qualche parola in più alla città di Monemvasia in Grecia, anche perché ora si chiama Malvasia, e penso capirete perché. Sono invece da prendere in considerazione la “Just enough room island” nel fiume San Lorenzo, un’isola dove è stata costruita una casa, ed è finita lì (l’isola ovviamente). Oppure la bottega Spieglhalter che costringe ad un’insolita architettura i magazzini Wickham.

Un po’ scontate le grotte di Lascaux tra i siti sotterranei, o il villaggio di Matmata in Tunisia, ora visitato solo in quanto set del primo “Guerre stellari”. Avrebbero infine meritato più spazio i “posti incredibili”, come la spiaggia vetro in California, sorta in quanto discarica di finestre e bottiglie di vetro e pezzi di automobili, nata nel 1906 dopo il grande terremoto di San Francisco e resa tale dall’azione levigante del mare. O lo strano Lago Hillier piccola riserva d’acqua colorato nelle Middle Island dell’Australia Occidentale.

Mentre non capisco se, inserendo il parco geologico di Zhangye (con montagne a stupende fasce colorate), non si abbia avuto l’idea di inserire la catena montuosa di Hornocal in Argentina con le sue famosissime montagne arcobaleno (che ho visitato). A tal proposito, se ne avessi curato l’uscita, avrei inserito anche altri luoghi poco usuali: l’edificio del memoriale della pace di Hiroshima, le gallerie vietcong vicino a Saigon (ora Ho Chi Minh City), la grotta dei cento Buddha vicino a Luang Prabang nel Laos, le grotte di Ajanta ad Aurangâbâd in India, i Thirthankara giganti di Gwalior sempre in India, la cappella di San Giovanni Battista dentro la Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco, la Chiesa Etiope Ortodossa nella piazzetta del Santo Sepolcro a Gerusalemme, la fioritura del deserto nell’Akakus libico, il Parco Nazionale “Los Glaciares” in Argentina (con il Perito Moreno e lo Spegazzini), finendo il giro del mondo con l’Antelope Canyon in Arizona. E mi scuso di tutti quelli che non ho citato, vuoi per vuoti di memoria, vuoi perché ho citato qui solo quelli che, con un piccolo punto d’orgoglio, ho visitato durante i miei lunghi anni di viaggi.

Leonardo Sciascia “‘Questo non è un racconto’” Adelphi euro 13 (in realtà, scontato a 12,35 euro) (consigliato da Robinson)

[A: 18/01/2021 – I: 27/01/2021 – T: 28/01/2021] &&&&

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 170; anno: 2021]

Ovviamente l’anno si riferisce alla compilazione di questi testi dispersi di Sciascia dedicati al cinema. Meritoriamente segnalati da “Robinson” il supplemento di Repubblica dedicato ai libri, e giustamente inserito in biblioteca prima dell’arrivo di alcuni libri di Sciascia che saranno editi il mese prossimo da Gedi.

Fatte queste premesse, e rivolti i dovuti omaggi, veniamo a questa antologia di brevi pezzi dedicati al cinema, pubblicati anche come omaggio ai cento anni della nascita dello scrittore siciliano. Sono tutti pezzi che girano intorno alla settima arte, anche se non firmati ma provenienti dal “Fondo” e segnalati dal nipote Vito. Sono divisi in tre parti, prima della postfazione che ne sistema provenienza e sistemazione a cura di Paolo Squillacioti, e precisamente son pezzi per il cinema, sul cinema e dal cinema.

Sicuramente il brano più interessante è il primo, dove Sciascia butta giù una bozza di sceneggiatura per un film con Carlo Lizzani. Un soggetto sulla storia di Serafina Battaglia, la quale dopo che la mafia uccide prima il marito poi il figlio decide di rompere il muro di omertà. È uno script articolato, dove, pur vedendo la mano di Sciascia, si intuisce il referente Lizzani, dove il nostro inserisce scene “violente” funzionali, ma anche tipiche del Lizzani di quegli anni.

Il secondo pezzo è meno interessante, sia perché un po’ volatile (una testimone di un delitto che viene fatta passare per pazza al fine di non coinvolgere la famiglia) sia perché il referente dovrebbe essere Lina Wertmuller. Che certo aveva incontrato Sciascia, ma il testo sembra lontano dal modo realizzativo della regista.

Diverso ancora il pezzo pensato o scritto per Sergio Leone. Era nata un’idea di collaborazione al futuro “C’era una volta in America”, e Sciascia butta giù un ipotetico dialogo tra un autore ed un suo aiutante, che ha due pezzi di bravura. Uno è l’incipit, che vi riporto per la sua stringata bellezza:

"Questo non è un racconto"; "L'incipit è di Diderot'. "Lo so. Volevo dire: questo non è un racconto, ma un soggetto per un film". "Ah, un soggetto". "A pensarci bene, non è nemmeno un soggetto".

Per i meno attenti, ricordo che realmente Diderot scrisse un pezzo intitolato “Questo non è un racconto”. Potete cercarlo in rete, volendo.

L’altro è una certa aria “leoniana”, di atmosfere, di mafiosi che cercano di allontanarsi, del vecchio mafioso che torna sulla scena. Se a “mafia” sostituiamo “gangster” abbiamo brani del sopracitato film.

Bella anche la testimonianza dello scontro tra il compassato scrittore e l’esuberante regista. Invitato da Leone a Villa Igea, a metà pranzo lo scrittore si alzò e se ne andò dicendo che la collaborazione non gli interessava. Fine della storia.

Quindi, pur avendo molto visto in gioventù, sempre difficile il rapporto tra Sciascia ed il grande schermo. Con tante collaborazioni mancate, ma anche con tanti film tratti dai suoi libri, che spesso lui non andava neanche a vedere. Ricordo a braccio 'Il giorno della civetta' di Damiano Damiani, 'Cadaveri eccellenti' di Francesco Rosi, 'A ciascuno il suo' e 'Todo modo' di Elio Petri.

Ma l’amore giovanile esce fuori, prepotente, in tutti quei piccoli cammei dedicati ad alcuni eventi particolari: i 100 anni di Eric von Stroheim (1985), la morte dell'amatissimo Renè Clair (1981) o di Buster Keaton (1966), l'uscita del film 'Il bell'Antonio' di Mauro Bolognini nel 1960 (che stroncò con la seguente frase: "Non ci è mai capitato di essere d'accordo con la censura, e di rimpiangere anzi che la censura sia così imprevedibilmente di manica larga").

Da tutto il breve volume emerge comunque il grande scrittore: la passione civile, l’attenzione al territorio, l’amore per i libri ma anche per le persone che esprimono grandi emozioni. Di certo, non è un libro facile, che, essendo spesso brani non rivisti, mai pubblicati, ci sono passaggi a vuoto, frasi ricostruibili. E qui, dobbiamo ringraziare il paziente nonché ottimo lavoro di Squillacioti.

Finisco, ricordando quello che per Sciascia era stato il più bel film da lui visto: “Il milione” di René Clair.

“Sono arrivato alla convinzione che non c’è film, per quanto buono, che valga un libro anche mediocre. E io, a … anni, ho ancora tanti grandi libri da leggere.” (85)

Edith Hall “Il metodo Aristotele – Come la saggezza degli antichi può cambiare la vita” Repubblica Filosofia Viva 2 euro 9,90

[A: 08/02/2020 – I: 15/02/2021 – T: 19/02/2021] &&&

[titolo: Aristotle’s Way. How Ancient Wisdom Can Change Your Life; lingua: inglese; pagine: 290; anno: 2018]

Una bella scoperta, la sessantina inglese Edith Hall, super esperta di letteratura greca e di “storia culturale” (cioè quella branca della storia che pone l’attenzione sulla mentalità, le credenze, le pratiche e le usanze dei popoli antichi). Mi dicono le fonti in rete che è anche relatrice di molte conferenze, tenute ed impolpate, nell’ambito dei suoi interessi, anche con umorismo.

Tutti elementi che risaltano discretamente in questa seconda lettura dei libri filosofici che possono aiutarti a capire te stesso ed il mondo. Ed in effetti, è risultata una lettura gradevole, pur dovendo riconoscere che non sempre era agile.

Prima di entrare nel merito aristotelico, solo una piccola osservazione banale. Sono sempre curioso di capire perché dal sottotitolo inglese dove la saggezza “cambia la tua vita”, si passi in italiano ad un più generico ed onnicomprensivo “cambiare la vita” (sottintesi quindi di tutti). Spero che menti eccelse mi illuminino.

La Hall, intanto, ci illumina sul concetto di felicità soggettiva che ci viene dal pensiero di Aristotele. Non quindi parametri esterni, misurazioni asettiche, ma, tu, io, soggettivamente cosa facciamo per essere felici? Ed ancora prima, cos’è l felicità per me? Intanto, l’autrice ci consiglia che il primo passo è decidere di essere felici. La ricetta di Aristotele per la felicità prevede infatti il legame tra felicità e azioni virtuose; ma non per ottenere fama, onori e riconoscimento bensì per diventare brave persone. Perché, secondo Aristotele, il buono è semplice, è il male a essere contorto e complicato (cfr. Anna Karenina).

Con la sua scrittura “felice”, l’autrice ci porta poi a passeggio su diverse tematiche del nostro filosofo, anche con facilità descrittiva. Penso di aver capito (almeno in parte) concetti altrimenti ostici come il potenziale (una facile digressione sulla capacità di rendere (o far diventare) reale il sé rispetto al proprio scopo nella vita. Poi ci sono i capitoli diciamo etico-filosofici dedicati alle decisioni, alla conoscenza di sé, alle intenzioni, all’amore, al piacere ed alla mortalità. Terminando poi con due capitoli dedicati ai concetti filosofico-etico-politici di comunicazione e di comunità.

Soprattutto il primo sorprende per la sua modernità, quando ad esempio parla della capacità di concentrazione di fronte a platee di persone. La concentrazione si affievolisce tra i 5 e i 25 minuti, così che Aristotele suggeriva di inserire un diversivo, una battuta intorno al 17° minuto (ed al 35° nel caso di una lezione che si avvii verso l’ora di esposizione).

Un altro concetto che ritrovo e di cui mi apparento, è quando Aristotele dice che “lodiamo e biasimiamo tutti gli uomini guardando alla scelta più che alle opere”. Con il suo anti Machiavellismo non ci si concentra sul fine che giustifica i mezzi, ma sulle intenzioni di un’azione piuttosto che sul suo esito positivo o meno. Se volete una risposta andata a Hiroshima.

Infine, c’è un punto finale che di sicuro merita una discussione. Aristotele (e con lui Cicerone e sovranisti vari) sostiene che negare l’aiuto ad un fratello è più grave che negarlo ad uno sconosciuto. Noi, più universalisti, si pensa che far affogare uno sconosciuto senza aiutarlo sia altrettanto grave di far affogare chicchessia.

Certo, e la Hall lo dice fin all’inizio del suo libro, ma noi lo riprendiamo in finale, non è facile essere aristotelici per una donna, laddove il filosofo esternava belle sentenze sul debole cervello femminile. La soluzione, e noi concordiamo, è che essendo Aristotele pienamente dubitativo, immesso nella cultura odierna avrebbe modo e facilità di cambiare opinione (come dice la prima frase che riporto).

Io non so se sono o meno aristotelico, ma penso che ci sia un doppio binario della felicità. Certo perseguo, da quando l’ho individuato, il mio bersaglio di felicità, e sarò felice se vi riuscirò. Ma sarei ancora più appagato se anche altri (tutti?) facciano lo stesso percorso.

E se li posso aiutare, sono in prima fila.

“Aristotele argomenta che tutte le opinioni devono sempre essere passibili di revisione.” (31)

“È assurdo cercare di cambiare qualcosa che esula dal nostro controllo. È ovvio, ad esempio, che il giorno delle nozze può piovere. Ma è possibile usare il ragionamento morale per decidere cosa fare in caso di pioggia.” (101)

“Non è mai troppo tardi per cambiare idea.” (154)

“Sul letto di morte non saranno le cose fatte a indurci il rammarico. A farci rammaricare saranno le cose che non abbiamo fatto.” (164)

“L’intera nostra esistenza trae giovamento dalle persone che ci vogliono bene.” (187)

“Aristotele è stato il primo filosofo ad affermare che l’arte poteva essere uno straordinario strumento pedagogico … gli autori teatrali … [dovevano essere stipendiati dal pubblico … e avere] la precedenza anche sugli ambasciatori.” (236)

“Una buona opera d’arte … deve essere tutte e due le cose [piacevole e utile].” (239)

Prima trama del mese di luglio, inizio del terzo trimestre dell’anno. Quindi ripensiamo alle letture del mese d’aprile, tutte di un livello dignitoso, con tre piccoli acuti: Fabio Stassi e le sue letture giallo-terapeutiche, l’ispettore Morse di Colin Dexter ed un piccolo gioiellino di Dürrenmatt.

 

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Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Carmen Barbieri

Cercando il mio nome

Feltrinelli

16,50

2

2

Donato Carrisi

L’uomo del labirinto

Longanesi

s.p.

2

3

Wilbur Smith

La notte del leopardo

TEA

6,90

2,5

4

Alessandro Robecchi

Flora

Sellerio

15

2,5

5

Colum McCann

Questo bacio vada al mondo intero

Repubblica NewYork

9,90

3,5

6

(Ramona Lofton) Sapphire

Precious

Repubblica NewYork

9,90

3

7

Fabio Stassi

La lettrice scomparsa

Sellerio

14

4

8

Adam Foulds

Ai margini del sogno

Bollati Boringhieri

16

2

9

Ingrid Seyman

La piccola conformista

Sellerio

15

2,5

10

Wilbur Smith & Tom Harper

Il fuoco della vendetta

HarperCollins

12,90

2,5

11

Chiara Mezzalama

Dopo la pioggia

E/O

16,50

3

12

Atticus Lish

Preparativi per la prossima vita

Repubblica NewYork

9,90

2

13

Tom Stoppard

L’invenzione dell’amore

Sellerio

14

3

14

Friedrich Dürrenmatt

Minotauro

Adelphi

10

4

15

Colin Dexter

L’ispettore Morse. Volume II

Sellerio

22

4

16

Siri Ranva Hjelm Jacobsen

Isola

Repubblica Mondo

9,90

3

17

Autori Vari

Roma Noir

Repubblica

s.p.

2

 

Capovolgendo l’Eulibide dello scorso mese, io non sto certo mentendo, quando aderisco in pieno ad una frase di Mordecai Richler che, sebbene letta quasi quindici anni fa, è ancora (o forse meglio, è ora) vera più che mai. Ne “La versione di Barney” lo scrittore canadese diceva: “Non credo di averglielo mai detto, ma avrei potuto passare la vita a guardarla”.

Io pure. E vi sto scrivendo anche da una postazione novella, non comoda, ma neanche fuori luogo, che potrebbe accompagnarmi per del tempo estivo. Non c’è troppo caldo, c’è una vista decente, con anche del verde. C’è la speranza di prendere quel primo aereo che passa. 

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