Gigi Proietti “Mandrake a Roma” Repubblica 14
s.p. (omaggio di Repubblica)
[A: 15/11/2020 – I: 05/01/2021 – T:
07/01/2021] &&--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 138; anno:
2020]
In
realtà, di Gigi ci sono poche pagine, seppur con spunti e pensamenti. È un
cosiddetto instant book, nato dalla necessità e dalla voglia di rendere omaggio
al grande attore scomparso pochi giorni prima. Tant’è che a fronte della sua
dipartita il 2 novembre, solo due settimane dopo esce questo collage di
impressioni, interviste e testi. Ovvio che data l’urgenza, il prodotto sia non
sempre bilanciato, a volte ripetitivo, a volte quasi monco.
Ma a
me fa piacere celebrare, o meglio ricordare, l’attore romano, anche con tutte
queste piccole carenze. Con un libro tripartito: prima nelle parole di chi ha
lavorato con lui (“Gigi che spettacolo”), poi con interviste ad alcuni
suoi amici (“Chiedici chi era Proietti”), finendo con alcune estratti dai suoi
libri (“Parole sue”).
La parte più debole è la centrale, dove nelle
interviste si cerca quasi solo di celebrare l’amico, ma non si entra, o si
entra poco, nella vita reale (teatrale e personale) di Proietti.
Di sicuro interessante l’ultima parte in cui,
tra interviste e brani vari, sentiamo venirci incontro proprio lui, Gigi, con
la sua profonda umanità. E con la sua cultura, quella che lo portò, nel 1976, a
mettere in scena quel gran calderone di idee e di espressività teatrale che fu
“A me gli occhi, please”. Dove Proietti spaziava dal sacro al profano, da
Shakespeare a Trilussa, magari passando per un altro suo cavallo di battaglia:
il Belli (da non perdere il piccolo brano dedicato al romanesco di Belli
contrapposto al milanese di Porta). Certo, si poteva scegliere altro, non dico
meglio, ma maggiormente significativo, tuttavia, l’urgenza della scrittura ha
imposto di trovare il più reperibile a breve.
Per fortuna, la personalità di Proietti è
talmente forte, che esce comunque fuori, come in quel bellissimo accenno alla
nascita del cinema di periferia in quel del Tufello e dal passaggio dalle
pellicole censurate della parrocchia alle pellicole senza inibizioni di Rita
Hayworth.
Capite subito, che personalmente, ho
privilegiato la prima parte, dove ci sono dei ricordi vivi di Proietti, e del
suo modo di essere, fuori o dentro il palcoscenico. Da bravo espositore, bello
è iniziare con Augias, che con Proietti lavorò al mitico “Teatro 101” di via
Euclide Turba a Roma (ripeto mitico perché era teatro d’avanguardia, ma anche
popolare per quello che poteva esserlo nei primi anni Sessanta, con quel nome
derivato dal numero dei posti in sala, 100, più uno, che era il gabinetto). Ed
Augias ci parla della voce. Infatti “tra le doti caratteristiche di un attore,
Proietti aveva, prima ancora di un’eccezionale capacità espressiva, la
padronanza della voce. Proietti usava una voce per il Belli, una diversa per il
Maresciallo Rocca, una ancora diversa quando recitava Shakespeare o Molière.
Perché sapeva usare una perfetta dizione nei canoni della vecchia accademia
d’arte drammatica; oppure assaporare la grevità del dialetto, con la c dolce
che diventa “sc”: non ‘cinquecento’ ma ‘scinquescento’”.
Per
fortuna poi che Silvia Fumarola ce ne fa anche un excursus di vita, della sua
carriera di attore, iniziata che aveva quasi la laurea in Giurisprudenza, e
sbocciata quando viene chiamato a sostituire Domenico Modugno nella prima
rappresentazione di “Alleluia, brava gente”, attraverso le molte tappe che lo
portarono da una parte a “A me gli occhi”, dall’altra alla direzione del teatro
shakespeariano a Villa Borghese.
Tra
gli altri poi, non dimentico la presenza dei suoi allievi, da Pino Quartullo,
uno dei primi partecipanti ai suoi Laboratori Teatrali, a Paola Minaccioni che
lo affiancò ne “Una pallottola nel cuore”.
A me,
alla fine, rimane il senso della sua Roma, sia nei sonetti, suoi, di Belli o di
Trilussa, ma anche nelle sue passeggiate, quando parla del suo peregrinare tra
i locali, ma anche tra le zone di Roma (anche se poi finì sulla Cassia, che a
me non pare più Roma). Soprattutto in quel piccolo cammeo dedicato ai
“fagottari”. Per chi non lo sapesse, fino agli anni Settanta, la domenica si
poteva andare in trattoria, portarsi da mangiare (il “fagotto”) ordinare da
bere e passare una mezza giornata in compagnia. Io mi ricordo che andavo con
mio padre ed i suoi amici da Zi’ Cannella a via di Tor Millina, vicino a Piazza
Navona.
Sarebbe
bello continuare anche a parlare del suo cinema, da “Brancaleone alle crociate”
nella parte del gran peccatore Pattume a “Febbre da cavallo” nella parte che
gli donò gloria imperitura: il truffatore Mandrake.
Ma io
invece finisco qui, con una citazione della mia amica Paola “A te gli occhi,
Gigi”.
Travis
Elborough “Atlante dei luoghi inaspettati – Scoperte inattese, città misteriose
e leggendarie, mete improbabili” Rizzoli s.p. (Regalo di Natale di Mario &
Ines)
[A:
25/12/2020 – I: 23/01/2021 – T: 25/01/2021] - &&&
[tit.
or.: Atlas of the Unexpected;
ling. or.: inglese; pagine: 207; anno 2018]
Un
regalo veramente gradito anche se ambivalente. È stato fare un viaggio da
fermo, ed in questo momento di impossibilità devo sentitamente ringraziare
Mario e Ines, che sanno, anche sulla loro pelle, quanto io sia legato ai
viaggi. D’altra parte, proprio perché ora non si può viaggiare, mi ha rinnovato
un profondo dolore.
Nello
specifico, Elborough confeziona un prodotto interessante, corredato da ottime e
ben disegnate mappe dovute alla matita di Martin Brown. Poteva tuttavia essere
migliore e raggiungere posizioni più avanzate se non fosse affetto da una
propensione troppo anglosassone centrica e da qualche spiegazione che svolazza
qua e là, centrando solo in modo marginale il luogo inaspettato che si sta
descrivendo. Con l’aggravante, se vogliamo, che le pur belle foto a corredo
sono tutte in bianco e nero, laddove dei colori ne avrebbero meglio reso la
bellezza.
Sommando
tuttavia il piacere del regalo e detraendo le piccole manchevolezze, un
risultato dignitoso e piacevole da scorrere. Anche velocemente, nonostante i 45
siti da “visitare”.
A
proposito, ne ho già visitati 8 e di 4 sono stato nelle vicinanze,
traguardandoli senza realmente arrivarci. In particolare, oltre all’unico sito
italiano (Pompei), ho visto da vicino la Cappadocia, Qumran sul Mar Morto, i
geyser del Nevada, l’immondezzaio a cielo aperto del Cairo, la fortezza di
Jaisalmer, le isole del lago Titicaca e la falesia di Bandiagara nel Mali. E
sono stato a pochi passi da Chemainus nell’isola di Vancouver (ci sono passato
davanti in gommone cercando le orche marine), ho visto da lontano la zona di
Leith a Edimburgo e Nowa Huta a Cracovia. Oltre ad essere nella zona Argentina
dal lato atlantico della Patagonia rispetto a Caleta Tortel.
Dal
punto di vista didattico, le descrizioni migliori (a parte Pompei che non mi è
sembrata centrata) sono quella della prima parte, dedicate alle scoperte
accidentali, laddove zone o elementi di interesse vengono trovati (o ritrovati)
grazie a momenti dedicato ad altro. Come l’isola di Madera, scoperta per rifugio
a tempeste atlantiche, o le Galapagos, assurte alla gloria solo dopo la
pubblicazione dei libri di Darwin.
Abbastanza
coinvolgenti le descrizioni della nascita di luoghi poi abbandonati o destinati
ad altro, come la città dedicata agli scacchi costruita (in parte e non finita)
nella Repubblica di Calmucchia, o Fordlandia voluta dalla famiglia Ford in
Brasile o il distretto delle acciaierie di Nowa Huta a Cracovia.
Alcune
mancanze, ma anche alcune scoperte, portano al capitolo sulle destinazioni
eccentriche. Dove non credo si possa parlare di eccentricità, o di destinazione
insolita, parlando delle isole galleggianti del lago Titicaca, che
personalmente o già visitato quattro volte. Ed avrei dedicato qualche parola in
più alla città di Monemvasia in Grecia, anche perché ora si chiama Malvasia, e
penso capirete perché. Sono invece da prendere in considerazione la “Just
enough room island” nel fiume San Lorenzo, un’isola dove è stata costruita una
casa, ed è finita lì (l’isola ovviamente). Oppure la bottega Spieglhalter che
costringe ad un’insolita architettura i magazzini Wickham.
Un
po’ scontate le grotte di Lascaux tra i siti sotterranei, o il villaggio di
Matmata in Tunisia, ora visitato solo in quanto set del primo “Guerre
stellari”. Avrebbero infine meritato più spazio i “posti incredibili”, come la
spiaggia vetro in California, sorta in quanto discarica di finestre e bottiglie
di vetro e pezzi di automobili, nata nel 1906 dopo il grande terremoto di San
Francisco e resa tale dall’azione levigante del mare. O lo strano Lago Hillier
piccola riserva d’acqua colorato nelle Middle Island dell’Australia
Occidentale.
Mentre
non capisco se, inserendo il parco geologico di Zhangye (con montagne a
stupende fasce colorate), non si abbia avuto l’idea di inserire la catena
montuosa di Hornocal in Argentina con le sue famosissime montagne arcobaleno
(che ho visitato). A tal proposito, se ne avessi curato l’uscita, avrei
inserito anche altri luoghi poco usuali: l’edificio del memoriale della pace di
Hiroshima, le gallerie vietcong vicino a Saigon (ora Ho Chi Minh City), la
grotta dei cento Buddha vicino a Luang Prabang nel Laos, le grotte di Ajanta ad
Aurangâbâd in India, i Thirthankara giganti di Gwalior sempre in India, la
cappella di San Giovanni Battista dentro la Grande Moschea degli Omayyadi a
Damasco, la Chiesa Etiope Ortodossa nella piazzetta del Santo Sepolcro a
Gerusalemme, la fioritura del deserto nell’Akakus libico, il Parco Nazionale
“Los Glaciares” in Argentina (con il Perito Moreno e lo Spegazzini), finendo il
giro del mondo con l’Antelope Canyon in Arizona. E mi scuso di tutti quelli che
non ho citato, vuoi per vuoti di memoria, vuoi perché ho citato qui solo quelli
che, con un piccolo punto d’orgoglio, ho visitato durante i miei lunghi anni di
viaggi.
[A: 18/01/2021
– I: 27/01/2021 – T: 28/01/2021] &&&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 170; anno: 2021]
Ovviamente l’anno si riferisce alla
compilazione di questi testi dispersi di Sciascia dedicati al cinema.
Meritoriamente segnalati da “Robinson” il supplemento di Repubblica dedicato ai
libri, e giustamente inserito in biblioteca prima dell’arrivo di alcuni libri
di Sciascia che saranno editi il mese prossimo da Gedi.
Fatte queste premesse, e rivolti i dovuti
omaggi, veniamo a questa antologia di brevi pezzi dedicati al cinema,
pubblicati anche come omaggio ai cento anni della nascita dello scrittore
siciliano. Sono tutti pezzi che girano intorno alla settima arte, anche se non
firmati ma provenienti dal “Fondo” e segnalati dal nipote Vito. Sono divisi in
tre parti, prima della postfazione che ne sistema provenienza e sistemazione a
cura di Paolo Squillacioti, e precisamente son pezzi per il cinema, sul cinema
e dal cinema.
Sicuramente il brano più interessante è il
primo, dove Sciascia butta giù una bozza di sceneggiatura per un film con Carlo
Lizzani. Un soggetto sulla storia di Serafina Battaglia, la quale dopo che la
mafia uccide prima il marito poi il figlio decide di rompere il muro di omertà.
È uno script articolato, dove, pur vedendo la mano di Sciascia, si intuisce il
referente Lizzani, dove il nostro inserisce scene “violente” funzionali, ma
anche tipiche del Lizzani di quegli anni.
Il secondo pezzo è meno interessante, sia
perché un po’ volatile (una testimone di un delitto che viene fatta passare per
pazza al fine di non coinvolgere la famiglia) sia perché il referente dovrebbe
essere Lina Wertmuller. Che certo aveva incontrato Sciascia, ma il testo sembra
lontano dal modo realizzativo della regista.
Diverso ancora il pezzo pensato o scritto per
Sergio Leone. Era nata un’idea di collaborazione al futuro “C’era una volta in
America”, e Sciascia butta giù un ipotetico dialogo tra un autore ed un suo
aiutante, che ha due pezzi di bravura. Uno è l’incipit, che vi riporto per la
sua stringata bellezza:
"Questo non è un racconto"; "L'incipit
è di Diderot'. "Lo so. Volevo dire: questo non è un racconto, ma un
soggetto per un film". "Ah, un soggetto". "A pensarci bene,
non è nemmeno un soggetto".
Per i meno attenti, ricordo che realmente
Diderot scrisse un pezzo intitolato “Questo non è un racconto”. Potete cercarlo
in rete, volendo.
L’altro è una certa aria “leoniana”, di
atmosfere, di mafiosi che cercano di allontanarsi, del vecchio mafioso che
torna sulla scena. Se a “mafia” sostituiamo “gangster” abbiamo brani del
sopracitato film.
Bella anche la testimonianza dello scontro
tra il compassato scrittore e l’esuberante regista. Invitato da Leone a Villa
Igea, a metà pranzo lo scrittore si alzò e se ne andò dicendo che la
collaborazione non gli interessava. Fine della storia.
Quindi, pur avendo molto visto in gioventù,
sempre difficile il rapporto tra Sciascia ed il grande schermo. Con tante
collaborazioni mancate, ma anche con tanti film tratti dai suoi libri, che
spesso lui non andava neanche a vedere. Ricordo a braccio 'Il giorno della
civetta' di Damiano Damiani, 'Cadaveri eccellenti' di Francesco Rosi, 'A ciascuno
il suo' e 'Todo modo' di Elio Petri.
Ma l’amore giovanile esce fuori, prepotente,
in tutti quei piccoli cammei dedicati ad alcuni eventi particolari: i 100 anni
di Eric von Stroheim (1985), la morte dell'amatissimo Renè Clair (1981) o di
Buster Keaton (1966), l'uscita del film 'Il bell'Antonio' di Mauro Bolognini
nel 1960 (che stroncò con la seguente frase: "Non ci è mai capitato di
essere d'accordo con la censura, e di rimpiangere anzi che la censura sia così
imprevedibilmente di manica larga").
Da tutto il breve volume emerge comunque il
grande scrittore: la passione civile, l’attenzione al territorio, l’amore per i
libri ma anche per le persone che esprimono grandi emozioni. Di certo, non è un
libro facile, che, essendo spesso brani non rivisti, mai pubblicati, ci sono
passaggi a vuoto, frasi ricostruibili. E qui, dobbiamo ringraziare il paziente
nonché ottimo lavoro di Squillacioti.
Finisco, ricordando quello che per Sciascia
era stato il più bel film da lui visto: “Il milione” di René Clair.
“Sono arrivato alla convinzione che non
c’è film, per quanto buono, che valga un libro anche mediocre. E io, a … anni,
ho ancora tanti grandi libri da leggere.” (85)
Edith Hall “Il metodo Aristotele – Come la
saggezza degli antichi può cambiare la vita” Repubblica Filosofia Viva 2 euro
9,90
[A: 08/02/2020 – I: 15/02/2021 – T:
19/02/2021] &&&
[titolo: Aristotle’s Way. How Ancient Wisdom Can Change Your Life; lingua: inglese; pagine: 290;
anno: 2018]
Una
bella scoperta, la sessantina inglese Edith Hall, super esperta di letteratura
greca e di “storia culturale” (cioè quella branca della storia che pone
l’attenzione sulla mentalità, le credenze, le pratiche e le usanze dei popoli
antichi). Mi dicono le fonti in rete che è anche relatrice di molte conferenze,
tenute ed impolpate, nell’ambito dei suoi interessi, anche con umorismo.
Tutti
elementi che risaltano discretamente in questa seconda lettura dei libri
filosofici che possono aiutarti a capire te stesso ed il mondo. Ed in effetti,
è risultata una lettura gradevole, pur dovendo riconoscere che non sempre era
agile.
Prima
di entrare nel merito aristotelico, solo una piccola osservazione banale. Sono
sempre curioso di capire perché dal sottotitolo inglese dove la saggezza
“cambia la tua vita”, si passi in italiano ad un più generico ed
onnicomprensivo “cambiare la vita” (sottintesi quindi di tutti). Spero che
menti eccelse mi illuminino.
La
Hall, intanto, ci illumina sul concetto di felicità soggettiva che ci viene dal
pensiero di Aristotele. Non quindi parametri esterni, misurazioni asettiche,
ma, tu, io, soggettivamente cosa facciamo per essere felici? Ed ancora prima,
cos’è l felicità per me? Intanto, l’autrice ci consiglia che il primo passo è
decidere di essere felici. La ricetta di Aristotele per la felicità prevede
infatti il legame tra felicità e azioni virtuose; ma non per ottenere fama,
onori e riconoscimento bensì per diventare brave persone. Perché, secondo
Aristotele, il buono è semplice, è il male a essere contorto e complicato (cfr.
Anna Karenina).
Con
la sua scrittura “felice”, l’autrice ci porta poi a passeggio su diverse
tematiche del nostro filosofo, anche con facilità descrittiva. Penso di aver
capito (almeno in parte) concetti altrimenti ostici come il potenziale (una
facile digressione sulla capacità di rendere (o far diventare) reale il sé
rispetto al proprio scopo nella vita. Poi ci sono i capitoli diciamo
etico-filosofici dedicati alle decisioni, alla conoscenza di sé, alle
intenzioni, all’amore, al piacere ed alla mortalità. Terminando poi con due
capitoli dedicati ai concetti filosofico-etico-politici di comunicazione e di comunità.
Soprattutto
il primo sorprende per la sua modernità, quando ad esempio parla della capacità
di concentrazione di fronte a platee di persone. La concentrazione si
affievolisce tra i 5 e i 25 minuti, così che Aristotele suggeriva di inserire
un diversivo, una battuta intorno al 17° minuto (ed al 35° nel caso di una
lezione che si avvii verso l’ora di esposizione).
Un
altro concetto che ritrovo e di cui mi apparento, è quando Aristotele dice che
“lodiamo e biasimiamo tutti gli uomini guardando alla scelta più che alle opere”.
Con il suo anti Machiavellismo non ci si concentra sul fine che giustifica i
mezzi, ma sulle intenzioni di un’azione piuttosto che sul suo esito positivo o
meno. Se volete una risposta andata a Hiroshima.
Infine,
c’è un punto finale che di sicuro merita una discussione. Aristotele (e con lui
Cicerone e sovranisti vari) sostiene che negare l’aiuto ad un fratello è più
grave che negarlo ad uno sconosciuto. Noi, più universalisti, si pensa che far
affogare uno sconosciuto senza aiutarlo sia altrettanto grave di far affogare
chicchessia.
Certo,
e la Hall lo dice fin all’inizio del suo libro, ma noi lo riprendiamo in
finale, non è facile essere aristotelici per una donna, laddove il filosofo esternava
belle sentenze sul debole cervello femminile. La soluzione, e noi concordiamo,
è che essendo Aristotele pienamente dubitativo, immesso nella cultura odierna
avrebbe modo e facilità di cambiare opinione (come dice la prima frase che
riporto).
Io
non so se sono o meno aristotelico, ma penso che ci sia un doppio binario della
felicità. Certo perseguo, da quando l’ho individuato, il mio bersaglio di
felicità, e sarò felice se vi riuscirò. Ma sarei ancora più appagato se anche
altri (tutti?) facciano lo stesso percorso.
E
se li posso aiutare, sono in prima fila.
“Aristotele
argomenta che tutte le opinioni devono sempre essere passibili di revisione.”
(31)
“È
assurdo cercare di cambiare qualcosa che esula dal nostro controllo. È ovvio,
ad esempio, che il giorno delle nozze può piovere. Ma è possibile usare il ragionamento
morale per decidere cosa fare in caso di pioggia.” (101)
“Non
è mai troppo tardi per cambiare idea.” (154)
“Sul
letto di morte non saranno le cose fatte a indurci il rammarico. A farci
rammaricare saranno le cose che non abbiamo fatto.” (164)
“L’intera
nostra esistenza trae giovamento dalle persone che ci vogliono bene.” (187)
“Aristotele
è stato il primo filosofo ad affermare che l’arte poteva essere uno
straordinario strumento pedagogico … gli autori teatrali … [dovevano essere
stipendiati dal pubblico … e avere] la precedenza anche sugli ambasciatori.”
(236)
“Una
buona opera d’arte … deve essere tutte e due le cose [piacevole e utile].”
(239)
Prima trama del mese di luglio, inizio del terzo trimestre
dell’anno. Quindi ripensiamo alle letture del mese d’aprile, tutte di un
livello dignitoso, con tre piccoli acuti: Fabio Stassi e le sue letture giallo-terapeutiche,
l’ispettore Morse di Colin Dexter ed un piccolo gioiellino di Dürrenmatt.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Carmen Barbieri |
Cercando il mio
nome |
Feltrinelli |
16,50 |
2 |
2 |
Donato Carrisi |
L’uomo del
labirinto |
Longanesi |
s.p. |
2 |
3 |
Wilbur Smith |
La notte del leopardo |
TEA |
6,90 |
2,5 |
4 |
Alessandro Robecchi |
Flora |
Sellerio |
15 |
2,5 |
5 |
Colum McCann |
Questo bacio vada al mondo intero |
Repubblica NewYork |
9,90 |
3,5 |
6 |
(Ramona Lofton) Sapphire |
Precious |
Repubblica NewYork |
9,90 |
3 |
7 |
Fabio Stassi |
La lettrice
scomparsa |
Sellerio |
14 |
4 |
8 |
Adam Foulds |
Ai margini del
sogno |
Bollati
Boringhieri |
16 |
2 |
9 |
Ingrid Seyman |
La piccola
conformista |
Sellerio |
15 |
2,5 |
10 |
Wilbur Smith &
Tom Harper |
Il fuoco della
vendetta |
HarperCollins |
12,90 |
2,5 |
11 |
Chiara Mezzalama |
Dopo la pioggia |
E/O |
16,50 |
3 |
12 |
Atticus Lish |
Preparativi per la prossima vita |
Repubblica NewYork |
9,90 |
2 |
13 |
Tom Stoppard |
L’invenzione
dell’amore |
Sellerio |
14 |
3 |
14 |
Friedrich Dürrenmatt |
Minotauro |
Adelphi |
10 |
4 |
15 |
Colin Dexter |
L’ispettore Morse.
Volume II |
Sellerio |
22 |
4 |
16 |
Siri Ranva Hjelm Jacobsen |
Isola |
Repubblica Mondo |
9,90 |
3 |
17 |
Autori Vari |
Roma Noir |
Repubblica |
s.p. |
2 |
Capovolgendo l’Eulibide dello scorso mese, io non
sto certo mentendo, quando aderisco in pieno ad una frase di Mordecai
Richler che, sebbene letta quasi quindici anni fa, è ancora (o forse meglio,
è ora) vera più che mai. Ne “La versione di Barney” lo scrittore canadese diceva: “Non
credo di averglielo mai detto, ma avrei potuto passare la vita a guardarla”.
Io pure. E vi sto scrivendo anche da una postazione novella, non comoda, ma neanche fuori luogo, che potrebbe accompagnarmi per del tempo estivo. Non c’è troppo caldo, c’è una vista decente, con anche del verde. C’è la speranza di prendere quel primo aereo che passa.
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