Essendo finalmente riuscito a trovare il tempo (e la voglia) di leggere l’ultima commedia nera di Recami, posso anche passare ad una trama che affonda nel tempo. Visto che i primi testi di questa settimana risalgono alle vacanze di Natale dello scorso anno. Avendo tre commedie nere (che devo dire mi sono piaciute veramente poco) ho rimpolpato il carniere con due racconti. Uno sempre di Recami, dal piacere incerto, ed uno di Manzini, dove il caro Rocco Schiavone fa una sua figurona rispetto a tutto il resto. E non arrivando lui, il migliore, neanche alla sufficienza, capite bene che questa è una settimana mortifera (mi scuso dell’involontario calembour).
Francesco Recami “Capodanno nella casa di ringhiera” Repubblica “Natale
in giallo” 7 s.p. (omaggio di Repubblica)
[A: 20/12/2020 – I: 28/12/2020 – T: 28/12/2020] &&
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 47;
anno: 2012]
Intanto una considerazione: Repubblica invece
di regalare racconti, al fine di vendere i giornali di carta, dovrebbe
ripensare meglio alle sue strategie di vendita tra edicola e mercato online. Ma
è una polemica che ho cercato di discutere con loro, che, ovviamente, si
guardano bene da tenerne conto. Andiamo avanti.
Nel
da poco letto, e da poco già tramato nel complesso, all’interno di “Sei storie
della casa di ringhiera”, era presente anche questo racconto. Che a sua volta
veniva pubblicato nel 2012, all’interno della raccolta di Sellerio “Capodanno
in giallo”. Dove facciamo un ulteriore rilievo per la collana: un po’ fuori
posto un racconto di Capodanno all’interno di una collana intitolata al Natale.
Con
la preghiera di scusarmi, mi ripeto anche qui: siamo verso il Capodanno, e
tutti i personaggi della casa hanno qualcosa da dire e da fare. Il tutto si
anima quando Amedeo, colpito da un tappo di champagne, sviene. Si pensa ad un
infarto, ci si riversa in ospedale. Claudio pensa di essersi avvelenato con una
bottiglia di spumante cui aveva aggiunto topicida, e finisce anche lui in
ospedale. Ed anche Luis ha problemi con la sua BMW, prendendo multe per alta
velocità, ma dove la sua paura è che gli venga tolta la patente. Mi scuso con
chi non consce tutti i personaggi di Recami, ma qui ne faccio un’analisi assai
veloce.
Insomma,
le solite confuse circonvoluzioni in cui ognuno pensa che l’altro pensi ma che
poi noi dice, per cui non dice quello che vuole o che si aspetta. Un esempio
per tutti: Amedeo svegliatosi in ospedale, pensa di aver rovinato la festa, e
torna in fretta a casa, senza avvertire Angela che, preoccupata per l’infarto
possibile lo aspetta nell’atrio. E quando si incontrano a casa nessuno dice
nulla sul come, perché, quando, chi, cosa. La solita confusione “recamiana”
aggravata dalla brevità del testo.
Barboso.
Per cui finisco qui, senza infierire né sull’autore, né sui personaggi, né su
di voi.
Antonio Manzini “L’accattone” Repubblica “Natale in giallo” 2 s.p.
(omaggio di Repubblica)
[A: 08/12/2020 – I: 23/12/2020 – T: 23/12/2020] &&
½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 46;
anno: 2012]
Anche
questo fa parte del lotto dei “repetita iuvant”. Ma se avete letto il poco
sopra riportato Recami, non tedio ancora inutilmente con le mie critiche alle
scelte editoriali di questi allegati a Repubblica, utili solo a spingere
all’acquisto della copia cartacea dello stesso.
Un
altro elemento che ripeto e che probabilmente continua a disturbarmi
semanticamente è l’inserimento anche qui di un racconto che si svolge a
Capodanno in una serie battezzata per il Natale. O forse sono io che ho
interpretato “Natale” come giorno mentre gli editori pensavano a “Natale” come
periodo di tempo. Ma avrebbero allora dovuto chiamarlo “I gialli delle Vacanze
di Natale”.
Comunque
questo “L’accattone” viene dalla raccolta pluriautorale “Capodanno in
giallo” del 2012. Come detto, non solo l’ho letto ma ne ho anche scritto. Righe
che qui riporto:
“La
prima uscita in assoluto, quella che doveva servire a vedere se il personaggio
“tiene”. Sembra di sì, tanto che l’anno successivo esce il primo romanzo
(“Pista nera”). Allora, Manzini in queste prime battute cerca di dare un
profilo al “futuro” Rocco: romano, trasteverino, giovinezza sbandatella con
amici ai margini. Quindi Rocco è un po’ arrogante, spesso legato allo spinello
(che ne caratterizzerà l’uscita in televisione), incline a buttare un occhio
verso le donne (in particolare verso l’agente Dobrilla). Ma anche umano
nell’entrare empaticamente in sintonia con i personaggi. Come questi “poveri”,
sbandati che raccolgono frutta e verdura nell’ora di chiusura del mercato
rionale, che invecchiano e non sanno più badare a sé stessi. Magari qualcuno
comincia anche ad essere affetto da Alzheimer o simili senilità. Per essere un
giallo abbiamo sì il morto, abbiamo delle indagini che ricostruiscono spaccati
al limite della legalità, ed una soluzione, ovvia anche se decisamente triste.
Comunque si capisce che il personaggio può funzionare. Quindi andiamo avanti.”
E
se dicevo che il personaggio può funzionare, credo che non abbia sbagliato di
molto, visto che poi il nostro vicequestore Rocco Schiavone lo vediamo
protagonista di ben otto romanzi. E probabilmente (almeno lo speriamo) ancora
di qualcosa nel futuro.
Qui
era ancora in fieri, aveva occhio per le donne (anche se sappiamo tutto di
Marina, del sette di luglio e via discorrendo), non aveva ancora avuto la
storia mal condotta con l’ispettore Rispoli. Insomma, poteva prendere molte
direzioni.
Manzini
ha fatto delle scelte, non tutte che io abbia condiviso. Ma lui è l’autore, io
solo un lettore che segue e continuerà a seguire i suoi scritti.
Francesco Recami “La clinica Riposo & Pace – Commedia nera n. 2”
Sellerio euro 14
[A: 16/04/2018 – I: 20/12/2020 – T: 22/12/2020] &
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 207;
anno: 2018]
L’unica nota positiva di questo romanzo
sommamente inutile, è che mi ha fatto capire la genesi di questo filone di
storie, che non sono più dei nostri amici di ringhiera, ma di personaggi nuovi
ad ogni testo. Quello che li accomuna, nel sottotitolo condiviso, è quel
“commedia nera”. Nera perché c’è qualche mistero, qualche thriller, qualcosa
forse di giallo, o di non limpido. Commedia perché potrebbero svolgersi come un
testo teatrale, in un’unità spazio-temporale come se fossimo, finalmente e di
nuovo, in un palcoscenico.
Ed
in realtà, tutta la storia può benissimo essere rappresentata teatralmente in
uno spazio limitato: la camera 9 della clinica Riposo & Pace. Dove tutta la
vicenda si può svolgere (ci sono accenni esterni, ma facilmente riconducibili
allo spazio scenico, con qualche artificio verbale).
Ciò
detto, però, la trama ed il suo svolgimento sono altamente respingenti: non
coinvolgono, non ci fanno sentir parte di un avvenimento. Rappresentano alcuni
momenti, e li ingarbugliano senza trovare un vero filo avvincente. Già lontani
dalla commedia nera n. 1, che almeno aveva un briciolo di ricerca
dell’attenzione, e se ne seguivano le tracce per vederne lo svolgimento.
Qui,
la storia di Alfio Pallini, del suo ricovero in clinica, e di tutte le vicende
che ne conseguono, pur cercando di tirar fuori piccoli brandelli di attenzione,
scorre senza colpo ferire dall’inizio alla fine. Recami cerca di instillare
qualche dubbio, “nero” si dirà, su due filoni paralleli: Alfio è una vittima
della cupidigia filiale, da un lato, e/o Alfio è psicologicamente disturbato e
stiamo seguendo le sue paranoie?
Seguiamo,
scena dopo scena, l’odissea di Alfio: il ricovero coatto nella clinica, la
subitanea comprensione che qualcosa non giri bene nella clinica stessa. Fin
dall’inizio, Alfio suppone che sia stato ricoverato per essere portato alla
“dolce morte” dalla perfida figlia. Ed in effetti, i compagni di stanza di
Alfio, muoiono uno dopo l’altro, inaspettatamente e senza particolari motivi.
Seguiamo
il personale della clinica teso a somministrare medicine sempre più complesse e
deleterie ad Alfio, con lo stesso teso ogni volta a sviarne le pericolosità
attraverso un numero elevato (e poco probabile, direi) di espedienti. Alfio
riesce così a svelare altarini diversi, magagne e turpitudini varie. Il tutto
ruotando intorno al Professore titolare della clinica stessa, ed ovviamente, ai
soldi.
Recami
tenta di alleggerire ogni tanto la storia con accenni altri (macchiette,
agriturismi compiacenti, pompe funebri dall’augurante nome di “L’addio”), ma
non si solleva né ironia né denuncia sociale sulla mala sanità, o sul cattivo
uso della stessa.
Rimaniamo
tuttavia abbastanza basiti dagli accenni al famigerato Ulrich, una specie di
amico fantasma di Alfio, che dovrebbe liberarlo, ma che sembra (e molto) parto
delle sue paranoie e dai suoi (reali) disturbi psichici.
In
una discesa all’abisso, muoiono (forse) molte persone. Alfio avvelena fruttini
di marzapane, che provocano altre morti. Interviene anche la polizia, la
magistratura, l’ASL. Insomma, un crescendo di climax nero che porta tutta ad
una abbastanza scontata conclusione. Che però il nostro decide di velare con le
nebbie del dubbio: è tutto vero o è tutto falso? Oppure, c’è molto di vero nel
falso e viceversa.
In
conclusione, credo che il progetto di “ridere piangendo” che sembra avvolgere
questa nuova piramide narrativa di Recami non sortisca il suo effetto. C’era
molta più penetrazione nel disagio e nella denuncia, quando, descrivendo la
casa di ringhiera ed i suoi personaggi, usava il lato “giallo” della vita per
dipingere uno spaccato reale, con le sue complessità, le sue contraddizioni, il
suo essere falsamente vero.
Ho
deciso comunque di dare fiducia a questo progetto, cercando di capirne le
ulteriori articolazioni, visto che Recami è già arrivato alla “commedia nera n.
4”.
Francesco Recami “L’atroce delitto di via Lurcini – Commedia nera n. 3”
Sellerio euro 13
[A: 10/09/2020 – I: 27/02/2021 – T: 28/02/2021] &&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 187;
anno: 2019]
Continuo,
pervicacemente, la lettura di queste commedie in forma di romanzi, nel
tentativo di comprendere, in qualche modo, la spinta di Recami a scriverne e le
motivazioni generali che spingono un autore a proseguire una serie senza
personaggi, ma solo seguendo l’idea di fornire un divertissement in forma di
lettura.
Anche
qui la storia potrebbe facilmente essere rappresentata in un luogo teatrale,
uno stanzone prospicente la stazione ferroviaria di Santa Maria Novella a
Firenze. È qui che si svolge la gran parte della storia, sia essa azione sia
essa pensata, narrata o discussa.
Lo
stanzone è un rifugio dei senza casa che gravitano nella città: il tedesco
ubriacone, il prete spretato, gli sprovveduti turisti norvegesi, la coppia
napoletana “chiattulella”, i due anziani rimasti senza casa ma uniti
dall’amore, la comunità indiana (ma forse più bangla che hindi), i rissosi
balcanici, i punkkabestia con i loro cani. Su tutti, c’è l’egida dell’autonominatosi
gestore del ricovero: l’ex-imprenditore incappato in una bancarotta fraudolenta
Francesco Molesin detto Franzes.
Franzes,
il cui stato normale è di alterazione alcolica, per finire con estremi di
ubriachezza incondizionata, forte della sua esperienza imprenditoriale, della
sua forza e di un decespugliatore a motore che utilizza per mettere a posto i
recalcitranti, ha messo su il suo business del ritrovo. Pagamento di un euro a
persona a notte, e conseguente utilizzo di spazi delimitati dal nastro bianco e
rosso, nonché utilizzo di latrine senza acqua corrente.
La
storia si divide in due grossi filoni, l’uno ricorrente per tutto il testo,
l’altro che sorge e si alimenta nella seconda metà, dando modo a Recami di
dedicarsi a qualche ironica invettiva sull’uso modaiolo della cultura.
Il
primo filone, dicevo, si lega al risveglio di Franzes dopo una notte di sbornia
dura. È sporco di sangue, e nella sua tenda ritrova una parrucca bionda, una
carta di credito, un paio di scarpe di valore ed un coltello anch’esso
insanguinato. A fronte di una frettolosa lettura di un giornale, si convince di
essere in qualche modo legato alla morte di una signorina russa, dove il
giornale proprio a quegli elementi in suo possesso fa riferimento.
Ovvio
invece, che Franzes non ricordi nulla, ma faccia di tutto per sbarazzarsi dei
“corpi del reato”. Come in tutte le buone commedie, benché nere, è anche
altrettanto ovvio che ad ogni passo per liberarsi di un oggetto, Franzes compia
altre e reiterate effrazioni, tra ruberie, piccoli ricatti, fino a veri e
propri delitti. E questo filone seguire Franzes per tutto il testo, dalla sua
ascesa sino alla sua prevedibile (anche se non vi sveliamo come) caduta.
Da
contraltare alla parte nera, c’è la feroce ironia di Recami verso chi usa e
sfrutta questi diseredati per un malinteso senso culturale. Da metà libro in
poi, infatti, assistiamo all’entrata in scena di un coreografo di fama
mondiale, con annesso musicista dodecafonico ed artista “alla Jeff Koons”. Con
un budget faraonico alle spalle, il gruppo culturale ingaggia Franzes ed i suoi
diseredati in una grande avventura coreografico-musicale, da tenersi in quegli
stanzoni degradati. Una pièce che si intitola “Gli Ultimi”.
L’idea
cultural-demagogica è di utilizzare lo spazio (dopo averlo in gran parte
rimesso a nuovo) come scontro immaginifico tra l’ordinato mondo, rappresentato
da un eccelso corpo di ballo, e i senza casa che lì dimorano. Ha facile ironia,
Recami, nel rappresentare le storture di una cultura mal pensata e mal agita.
Gli spettatori all’esterno del luogo dell’azione, intabarrati in mise da
capogiro, con tanto di sindaco e ministro. I senza casa che si girano per il
loro spazio e diventano soltanto zimbello per chi casa (e soldi) ne ha a iosa.
Comunque,
la parte migliore è proprio il capitolo dedicato alla descrizione della
rappresentazione teatrale, con tutti i quiproquo che la punteggeranno, ma che
nessuna delle due parti, i poveri ed i ricchi, riuscirà a capire.
Non
dico certo nulla di nuovo, se ribadisco la capacità di scrittura corale di
Recami, che già nelle “case di ringhiera” era riuscito a far muovere e bene i
suoi personaggi. Qui, però, a parte alcuni momenti di divertimento ed ironia,
poco altro si salva. Resta una lettura domenicale per riposare i nostri poveri
neuroni, per sperare che Recami torni a fare di meglio e per immergersi nelle
traiettorie mentali scaturite dal titolo.
Certo,
il mistero della strada del titolo e dell’idea della commedia viene poi svelato
da Recami nelle note finali. Cosa che ho apprezzato, perché mi ha consentito di
rimettere in moto le sinapsi arrugginite. Nella nota confessa di aver preso
spunto dalla commedia di Eugène Labiche “L'Affaire de la rue de Lourcine”, che
ha un inizio similare (il protagonista dopo una solenne sbornia pensa di aver
ucciso una signorina, a fronte della lettura di un giornale) ed una
spiegazione, parziale, identica che comunque non svelo. Certo, il resto dello
scritto di Recami è tutt’altro, ed altre sono le sue mire.
Inoltre,
è pur vero che non esiste a Firenze una “via Lurcini”, ma questa esisteva, sino
al 1890 e di certo quando Labiche scrisse la commedia, a Parigi. Infine, il
nome francese deriva dal latino “lococinereum”, terra delle ceneri, essendo una
via piena di depositi di carbone, e quindi con ovvia ed abbondante produzione
di cenere, di cui il protagonista francese è ricoperto al suo risveglio. Ma
forse questa filologia è un po’ troppo elucubrativa per un sì piccolo testo.
Francesco Recami “La cassa refrigerata – Commedia nera n. 4” Sellerio
euro 13 (in realtà scontato a 12,35 euro)
[A: 10/09/2020 – I: 28/10/2021 – T: 29/10/2021] & e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 183;
anno: 2020]
Purtroppo, questa volta Recami non ci illustra i meccanismi che l’hanno
spinto a questa quarta commedia. Quindi non sappiamo molto della sua genesi,
anche se, leggendone tanti echi vengono fuori. Da commedie a pochade, da
tragedie a litigi per futili motivi, si sentono motivi che risuonano di tante
altre scritture. Ma l’effetto finale è poco ironico e poco coinvolgente.
Ricordo ai meno attenti che Recami, dopo la lunga ed ottima serie sulle
“case di ringhiera” si è dedicato a libri “teatrali” che lui chiama commedie,
dove l’azione è concentrata in poco spazio, quasi appunto ad essere un
canovaccio. Ci sono anche descrizioni, ma c’è una certa attenzione al dialogo.
Che in questa quarta uscita è quasi corale, cioè vengono fuori le voci dei
personaggi senza quasi mai un’indicazione di provenienza. Appunto, teatro e
scena affollata.
Altro punto di scarsa presa è l’assunto del testo, lo spunto di partenza.
C’è una signora della provincia veneta, ricca e taccagna, che muore. In città
si favoleggia abbia un grosso tesoro nascosto in casa, così che al suo funerale
si presentano in tanti (rispetto alle conoscenze della morta). Abbiamo così la
villetta affollata da una ventina di personaggi e dalla morta, rinchiusa in una
bara refrigerata per mantenerne il corpo più a lungo.
I personaggi, ognuno con i propri tic e le proprie cattive maniere,
metteranno a soqquadro la casa, nell’inutile ricerca del malloppo, che
ovviamente c’è. Ma nessuno dei presenti ha letto “La lettera rubata” di Edgar
Allan Poe. Così che noi, astuti cultori del genere, già sappiamo dove vada a
parare un possibile finale.
Sono propri i presenti, che all’inizio sono 22 viventi ed un defunto,
come ci viene detto ed aggiornato in sottotitolo ad ogni capitolo (anzi, ad
ogni scena). E che, essendo anche per di più nera, ad un certo punto cominciano
a diminuire tra i viventi ed aumentare tra i morti. Ci sono il prete, il
colonnello, il legalista burocrate, due ragazzi (Ugo e Violetta), il becchino,
il falegname, la prosperosa impiegata di banca, il pensionato, due energumeni
pelosi, due sorelle zitellesche, una coppia in perenne litigio, una mamma con bambino,
due tizi ben vestiti (forse parenti della morta), la donna delle pulizie ed
altri tre o quattro poco appariscenti.
Più della metà del testo viene speso per descrivere i tentativi di
sottrazione dei beni dalla morta, con un accenno pesante e ripetuto agli
schieramenti che una tale situazione fa nascere. Ci sono i pragmatisti che
vorrebbero un comitato ed una suddivisione globale e gli utilitaristi
dell’ognuno per sé. Ci sono mozioni d’ordine per stabilire un clima rasserenato
(impossibile) e poi comitati di controllo, servizi d’ordine, decisioni se si
può uscire o meno.
Poi, due elementi fanno virare la tragedia in un thriller. Una pioggia
battente che costringe anche chi vuole uscire a rimanere in casa, ed il
fioccare di morti. Il falegname, che forse sapeva segreti della bara, una
sconosciuta che tale rimane anche dopo morta, il prete che forse aveva letto il
testamento. Infine, i due finti parenti escono allo scoperto, sono due evasi.
Dal thriller si vira nel farsesco con i tentativi, infruttuosi, degli
evasi di fuggire con degli ostaggi, essendo intervenuta la polizia a cercare
improbabili vie d’uscita. In tutto ciò, i due ragazzi cominciano a tubare.
Anche se la vispa Violetta è molto avanti, di testa e di ragionamenti,
all’imbranato Ugo.
Quindi, amore, morte, situazioni fintamente erotiche e fintamente
thriller, un po’ di ironia, ma il tutto talmente lieve, che non graffia e non
rimane quasi nulla nella mente. Ci si aspetta che la bella penna di Recami si
riporti sulla via maggiore, che aveva prodotto libri leggibili, godibili ed
anche ricordabili.
Rimane un dubbio atroce: perché 1992? Qual è il senso di porre la vicenda
in quell’anno ed in quella zona (si dice “zone ex rurali del Veneto”)? Non
certo per poter parlare di lire invece che di euro, né di alluvioni “tipo
Polesine”. Che in effetti, nel 1992 ci fu una grande alluvione con ingenti
danni, ma fu in Liguria, nella provincia di Savona il 22 settembre ed a Genova
il 27 dello stesso mese. Rimarrò con questo dubbio, se l’autore non ce ne
fornirà la chiave di lettura.
“Quanti libri legge all’anno? … Dipende … anche un paio al mese.” (143)
[posso ridere?]
Risultando la quarta trama del mese di ottobre, come si sa ormai è
prassi, ci aspetta una settimana senza allegati. Ma non senza citazioni. Che qui,
per una volta, vado nella direzione contraria, con una contro citazione, presa
da una raccolta di racconti del Corriere della Sera, dove in “Apposta per te” un autore che mi ha convinto in altre prove, Lorenzo Licalzi, cita
l’esimio Blaise Pascal quando affermava: “Tutta l’infelicità del mondo dipende dal fatto che nessuno vuole
resta a casa sua”. Potete capire quanto sia contrario a questa affermazione.
Per il resto, stiamo continuando l’onda festiva che ci porta sulla sua cresta da quasi due mesi. Spero di riuscire ad incontrare molti ed a sentire tutti. Se non riesco, comunque su queste righe continuerà ad abbracciarvi con tutto il mio affetto.
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