Mettiamo oggi sul piatto due libri editi da Neri Pozza e due da Bollati Boringhieri. Non c’è lotta, ma Neri vince alla grande. Con due floridi prestiti, sia di un datato ma ottimo Eskhol Nevo, che aspettiamo ad altre prove, sia per un recentissimo Emanuele Trevi, che non mi dispiace mai leggere. Mentre Bollati, sotto la spinta dei suggerimenti di Robinson, presenti due romanzi di lingua inglese, che mi hanno convinto dal poco al niente.
Eskhol Nevo “La simmetria dei desideri”
Neri Pozza s.p. (Prestito di Alessandra)
[A: 28/01/2021 – I: 13/03/2021 – T: 16/03/2021]
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[titolo: Mishalà achat yemina משאלה
אחת ימינה; lingua: ebraico; pagine: 376; anno: 2008]
Non conosco certo l’ebraico, e forse c’è
qualche sfumatura che mi manca, ma, andando in rete, anche sul sito israeliano
dedicato all’autore, sembrerebbe che una traduzione alternativa ma possibile
del titolo sia: “Un giusto desiderio”. Che coglie, abbastanza, i pensieri del
narratore soggettivo di Nevo. Anche se, devo ammettere, il titolo trovato dagli
editor di Neri Pozza è anch’esso conforme al testo. Più del titolo inglese, che
riporta “I desideri del Campionato Mondiale”, anch’esso inerente al testo, ma
che non rende l’atmosfera.
L’autore (di cui non ho capito nome e
cognome; in generale, si metterebbe prima il nome, ma lo si caratterizza come
nipote dell’ex Primo Ministro Levi Eskhol, dove Eskhol è sicuramente il
cognome; chi sa di ebraico mi illuminerà), cinquantenne (ora) e non prolifico,
è una sicura presenza nelle lettere israeliane, come anche un sicuro alfiere di
una vita che noi sia tutta incentrata in Gerusalemme. Infatti, vive tra Tel
Aviv e Haifa, così come i protagonisti del romanzo.
Benché poi io personalmente sia addicted di
“Al Quds”, capisco chi ne vive al di fuori. Inoltre, leggerne fa bene al cuore
(visto che ancora non si viaggia). Ripenso alle passeggiate sul e ai piedi del
Carmelo, ed anche alla visita ai giardini Bahá'í, interessanti per l’ordine e
la tranquillità del posto, meno per il loro odio viscerale verso chi fumi una
sigaretta.
Per venire al testo, è di sicuro un lungo
viaggio intorno all’amicizia, i quattro personaggi che si avvicinano e si
allontanano ma non si lasceranno mai: Yuval, il narratore, traduce libri; Yoav
detto Churchill fa l’avvocato ed è il più brillante e carrierista; Ofir fa il
pubblicitario e odia il suo lavoro; Amichai è l’unico sposato (e sua moglie,
Ilana la piagnona, è uno dei personaggi più intriganti del libro) e ha due
figli gemelli. La loro amicizia, nata ai tempi del liceo, rinsaldatasi durante
il servizio militare, è scandita dalle riunioni periodiche per vedere sport in
TV, nonché dai lunghi momenti quadriennali per seguire i Mondiali. Un momento
eponimo, che serve a fermare il tempo, e, magari, a fare dei bilanci.
La storia principale (anche se poi i flussi
vanno e vengono nel tempo) comincia mentre seguono la finale del mondiale ’98
(il famoso Francia batte Brasile 3 a 0): ognuno deve scrivere su un bigliettino
tre desideri che vorrebbero veder realizzati di lì a quattro anni, per i
Mondiali d’Asia. Yuval, il narratore, cui intuiamo sia successo qualcosa,
comincia da lì prima la ricognizione dei suoi sogni, poi l’elaborazione dei
desideri palesi dei suoi amici.
I sogni di Yuval sono tuti legati a Yaara,
studentessa con gli occhiali, che lui ha amato e di cui è perdutamente ancora
innamorato, benché sia intervenuto Churchill, il “tombeur de femme”, che non
solo la porta via da lui, ma che poi la sposerà.
Seguiamo però i tre sodali di Yuval nelle
loro evoluzioni. Ofir ha un crollo nervoso, lascia la pubblicità, si
trasferisce in India, dove incontra la danese Maria che lo fa rinascere a nuova
vita, insegnandogli a godere di tutto, anche del poco che si ha. Ed
instradandolo nelle tecniche terapeutiche alternative, che diventeranno il suo
pane. Anche quando, con Maria, tornerà in Israele ed ai suoi quattro amici.
Amichai ha un crollo invece quando la stramba Ilana muore per uno shock durante
una anestesia. Sembra perdersi, per poi trovare la via del riscatto con una
ONLUS che si occupa dei diritti del malato. Anche Churchill, avvocato in
carriera, avrà un crollo durante la causa più importante della sua carriera, ma
ne uscirà con l’aiuto di Yaara ed Amichai. Non vi dico però se anche Yuval avrà
il suo crollo, che ne dovete leggere.
L’agnizione di Yuval è che ogni amico sta
realizzando il desiderio di un altro. Poiché Ofir voleva diventare scrittore,
Yuval, per completare la simmetria del loro rapporto, decide di chiudere il
cerchio scrivendo il libro che stiamo leggendo.
Forse Nevo vuole mostrarci che nessuno vede
chiaramente in sé stesso, ma fa luce sui suoi amici. Certo, rispetto agli altri
grandi scrittori israeliani, gli Oz, i Yehoshua mancano accenni alla realtà
israeliana che i nostri stanno vivendo. Ma rimane comunque un grande affresco
di amicizie, di incontri tra le persone, di crescita. Leggetela pensando alle
vostre amicizie, alle nostre amicizie. Anche se non so se leggerò altro di
Nevo, mi rimarrà nel cuore.
“Quando un amico ti sta vicino e lo vedi
ogni giorno, i suoi movimenti sono talmente impercettibili che può cambiare
senza che tu te ne accorga. Ma a distanza…” (66)
“Ci poniamo delle mete, e ne diventiamo
schiavi. Siamo talmente impegnati a realizzarle, che non ci rendiamo conto che
nel frattempo sono cambiate.” (74)
“Al gabinetto leggevo i dizionari come
fossero romanzi.” (241) [confesso, anch’io…]
“Ho invidiato la macedonia che è stata
servita per dessert (uno scapolo non si preparerà mai una macedonia).” (301)
Adam Foulds “Ai
margini del sogno” Bollati Boringhieri euro 16 (consigliato da Robinson)
[A: 07/02/2021 – I: 11/04/2021 – T: 13/04/2021]
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[tit. or.: Dream Sequence; ling. or.: inglese; pagine: 203; anno 2019]
Una nuova lettura a seguito dei consigli che
settimanalmente mi provengono da “Robinson”. Dove devo constatare con rammarico
che, dopo le prime quattro segnalazioni con risultati da buono a ottimo, le ultime
due vanno abbastanza al ribasso.
Non conoscevo Foulds, anche se poi ho letto
essere un autore considerato “giovane” (è del ’74) di sicuro talento, espresso
nelle sue prime opere intorno agli anni 10 di questo secolo. Ora, l’autore si
divide tra il vecchio mondo ed il Canada, e, per me che leggo solo questa sua
opera, pur sentendo un afflato internazionale, non ho trovato stimoli
particolari di lettura, o di coinvolgimento.
È un po’ come una paella in cui si cerca di
inserire molti ingredienti, ma che in fondo sarebbe sufficiente cuocere bene
riso, pollo e peperoni, ed il resto viene da sé. Foulds cerca infatti di far
convergere due esistenze che hanno avuto un punto di incontro, una volta, in un
aeroporto, per un attimo. E poi…
Da un lato l’americana Kristin, molto
“americana” (e si sente che anche se canadese, l’autore non riesce a
tratteggiare bene i caratteri d’oltreoceano). Divorziata, alla ricerca di un sé
che non sa di avere, rimane folgorata da quell’incontro aeroportuale con
l’attore Henry. Si crea, su quello sguardo, su quelle parole, il suo mondo di
carta. Quasi un omaggio inconscio a Barnes ed al suo senso di una fine. Non
seguiamo molto di Kristin, se non il suo volo verso la Londra di Henry. Lì,
nella descrizione di una città vista con gli occhi di un mondo diverso sentiamo
alcuni momenti di pura scoperta: i musei, il Tamigi, il Big Ben. Insomma, il
“turismo londinese” visto con uno sguardo non contaminato. Anzi, con uno
sguardo innamorato.
Dall’altro, e con più lunghezza, con più
spazio, il mondo di Henry. Un attore. Cui ci si propongono tutte le montagne
russe che un attore deve imparare a percorrere. Henry ha fatto sei anni di una
sit-comedy di successo (che Kristin sa a memoria), ma ora deve uscirne, per non
essere fossilizzato in un personaggio ormai sclerotizzato. Seguiamo il suo
“metodo Stanislavskij” per entrare in un personaggio possibile, in un film di
un autore difficile ma di cult. Il digiuno, le corbellerie che escono dalla sua
mente davanti a un Cezanne. Lo vediamo partecipare ad un film festival a Doha,
dove invero ci sono alcune immagini interessanti. Alcune forse troppo
turisticizzate, e mai viste con l’occhio sereno del viaggiatore.
Henry è fatuo, tipicamente calato nella parte
di attore “alla moda”: alcool, sesso, chiacchiere inutili, fuga da impegni che
lo mettano in discussione, anche quando è il padre che lo sollecita. È di certo
un buon attore, almeno come viene presentato sulle scene di Amleto. Ma rimane
chiuso nelle sue ossessioni, ogni volta che rimane solo. Sarà all’altezza? Mi
chiameranno? Farò anche della pubblicità? E se il nuovo film non sfonda? Se
fosse troppo di nicchia?
Kristin impiega tutte le sue arti personali
per ritrovare un incontro con Henry, ma non sono mai stati sulla stessa
lunghezza d’onda. L’americana si fa un film che non si collega mai alla realtà.
L’attore vive la vita come un film, e non si accorge della vita che gli gira
intorno. Il loro secondo incontro non potrà certo portare serenità nelle loro
diverse esistenze.
Se cercava di rappresentare due eponimi di
due diversi mondi, Foulds non ha di certo centrato molto il bersaglio, pur
capovolgendo le due prospettive. Kristin è un’americana che avrebbe potuto
vivere nei Dock londinesi, e seguire “Downtown Abbey” in tv. Henry è un attore
londinese, che avrebbe meglio espresso la sua personalità a Los Angeles, o
dintorni.
Da citare, di passaggio, l’uscita teatrale
del padre di Henry, con un musical sulla vita dei coniugi Browning, non
particolarmente degno di nota, se non per ricordarci che Robert Browning nacque
un 7 di maggio.
La pubblicità parla di un romanzo che esplora
il mondo della “fama” quando si spengono le luci. A me è parso un piccolo
viaggio attraverso piccole persone che non sbocciano mai, che rimangono isolate
nelle loro solitudini (scusate la ripetizione). A chi ne legge può dare alcuni
spunti su come non fare l’attore, su come non farsi illusioni di vita
(illusioni basate sul fatto di non chiedere nulla alla controparte, che
sbaglio!). Rimangono al fine poche cose: qualche immagine del Qatar, e le due
lezioni contrapposte di yoga, una americana ed una europea, con tutte le
critiche che se ne possono fare. Poco riuscito, e non ne comprendo la spinta
editoriale.
“I più grandi architetti del mondo erano
stati chiamati lì [a Doha] per progettare grattacieli, attratti dall’assoluta
libertà creativa che era stata loro concessa.” (83)
Benjamin Myers “All’orizzonte” Bollati
Boringhieri euro 16,50 (in realtà, scontato a 11,50 euro)
[A: 15/06/2021 – I: 22/07/2021 – T: 24/07/2021] - && +
[tit. or.: The Offing; ling. or.: inglese; pagine: 238; anno 2019]
Un ulteriore libro entrato sotto la spinta di
Robinson, ed anche qui, mi sento di poter dire che mi aspettavo qualche cosa in
più. Per le spinte promozionali ricevute, e per un contorno di ambientazione
che, fin dall’inizio, sembrava assai promettente. Ma che alla fine rimane
abbastanza uguale a molto altro (almeno come filosofia di scrittura e di vita).
Intanto comprendo che la traduzione del
titolo abbia impegnato a lungo gli esperti italiani. Perché il termine “Offing”
è discretamente complesso, e serve ad indicare quella parte del mare che si
vede dalla riva ben differente dal più generico “Horizon” (dove in italiano si
usa sempre e solo il termine orizzonte), ma la stessa parola sta ad indicare un
aspetto del prossimo (ma prevedibile) futuro. Ora, credo che Myers, laureatosi
in letteratura inglese (seppur con fatica) abbia volutamente usato un termine
complesso per inquadrare quella che, appunto complessa, è la situazione
cruciale del libro.
Myers, tra l’altro, è di Durham (città più o
meno a metà strada tra Liverpool e Edimburgo), quindi in un’Inghilterra del
Nord Est, bacino carbonifero del paese, con un felice sguardo verso i paesi
scandinavi. Lontano dalle industrie di Manchester e dalle smancerie londinesi.
Questo me lo rende un inglese un po’ atipico, anche discretamente simpatico
(che si sa quanto io non sopporti gli inglesi, propendendo decisamente per gli
scozzesi). Inoltre, pur meno che cinquantenne, anche se non prolifico, spazio
in tutti i generi letterari, romanzi, romanzi storici, polizieschi, poesie. Una
bella penna.
Mi aspettavo di più dalle premesse dicevo.
Che se l’ambiente del romanzo è liricamente descritto, e noi con Robert ci
immergiamo nella campagna inglese ed anche nella vicinanza del mare (come ci
suggerisce il titolo), la storia in sé si riduce all’osso in un viaggio
iniziatico, in un incontro amicale, in un aiuto reciproco, in una donna,
Dulcie, che fa da pigmalione al nostro protagonista, Robert.
Ed è, purtroppo, una storia assai spesso
percorso nella letteratura. Robert ha sedici anni, ed alla fine della scuola,
aspettando di capire il suo futuro, decide di vagabondare per il suolo inglese,
aprendo la mente ed il cuore all’altro. Robert cammina, lavora, vede, sente,
odora, e Myers ben ce ne descrive i passi, dove le descrizioni campagnole
risultano i pezzi migliori del repertorio. Poi incontra una signora,
discretamente anziana, Dulcie, in una fattoria da dove si vede uno spicchio di
mare (“offing”).
Tra i due comincia una partita piacevole di
scherma, con Dulcie che finalmente sembra avere qualcuno con cui scambiare due
parole non banali, e con Robert, che, sotto la spinta di Dulcie, si sgrezza e
si “intellettualizza”. Dulcie lo circuisce con racconti e con la sua cucina
(mitici sia l’astice al burro che il tè all’ortica), Robert la ricambia con
lavori di sboscamento e di ricostruzione del capanno annesso alla casa, che è
in rovina.
Capiamo presto che Dulcie nasconde qualcosa
nel suo passato, e vediamo come Robert riesca, con la sua innocenza, a
scalfirne a poco a poco la superficie. Dulcie ha anche una grande cultura (ed
anche molti mezzi economici), ma è poco interessata alla vita, quasi se ne
volesse scientemente allontanare. Ma la sua cultura la spinge a fornire a
Robert mezzi di interpretazione della realtà. Attraverso i libri, i romanzi, e
la poesia.
Verrà fuori la triste storia di Romy, del
suicidio, e delle poesie scritte. Robert convince l’improbabile amica a non
tirarsi indietro dalla vita, ad affrontare questa parte del suo passato.
Insieme, ognuno con il suo bagaglio (uno culturalmente pesante, uno innovativo
e fresco) potranno dare una svolta alle proprie vite. Come? Potete leggerne,
che alla fine il libro scorre.
Purtroppo, il solito vezzo di anteporre
qualche pagina che andrebbe letta in diverso modo, fa già prevedere gran parte
del possibile svolgimento. Ma assistere all’arrivo di uno sciame di api ed alla
costruzione di un alveare, ripaga anche molto.
Come, anche se qui confesso la mia debolezza,
che non sempre riesco a seguirne il filo, le poesie, che in particolare
inframezzano la seconda parte del libro. Voi, o miei più fortunati lettori,
forse ne potete trarre maggior giovamento. Io ho solo tratto giovamento da una
piccola lezione sulla nascita della città di Scarborough da parte di due
fratelli vichinghi. Un dì ne parleremo.
“I libri non sono altro che carta, ma al
loro interno contengono rivoluzioni.” (107)
“Ho flaconi di pillole, ma l’unica cosa
che non possono fare è sconfiggere la morte.” (235)
Emanuele Trevi “Due vite” Neri Pozza s.p.
(Prestito della Biblioteca di Porto Ercole)
[A: 01/08/2021 – I: 20/08/2021 – T:
21/08/2021] &&&
+
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 121; anno:
2020]
Ho
preso in prestito dall’ultimo soggiorno marino questo “libro”, vincitore dello
Strega 2021. Ho scritto libro virgolettato, che non saprei dare nessuna
etichetta a questo centinaio di pagine, che scivolano via come se fossero una
chiacchierata tra amici. Che parlano di cose, di persone, di momenti, di
scrittura, di morte. Non so cosa sia, ma mi è piaciuto. Non raggiunge vette di
alto profilo, solo per una mia difficoltà a seguire Trevi quando si
intestardisce in descrizioni testuali con momenti di scrittura alta, che non mi
arrivano. Peccato.
Ma
in ogni caso, è un libro che si può leggere a prescindere. Ed è bello per
questo.
Bello
perché, in fondo, parla dell’amicizia. O degli amici, che forse non è lo
stesso. Parla di due persone che ci hanno lasciato, in circostanze diverse, ma
sempre dolorose. Trevi, nei suoi quasi sessant’anni da persona di lettere, di
certo ha incontrato molte persone. Qui, ne tira fuori dal cassetto due, che,
per vie diverse, sono state a lui vicine. Rocco Carbone e Pia Pera. Due persone
i cui nomi mi suonano all’orecchio, anche se nulla ho letto di entrambi.
Rocco
è, in un certo senso, il centro del libro. L’amico di pochi anni più anziano di
Emanuele, con una frequentazione iniziata alla Sapienza, negli anni ’80 e
proseguita per una quindicina d’anni assiduamente. Poi, per una serie di motivi
che gli amici sanno, la frequenza si dirada. Ma l’amicizia no. Negli anni ’10
di questo secolo, anche grazie agli uffici dell’allora moglie di Trevi, Chiara
Gamberale, si riavvicinano. Anche grazie ad un libro che viene considerato la
summa della scrittura e delle idee sulla scrittura di Carbone. Amicizia che si
interrompe il 17 luglio 2008, quando Rocco muore in seguito ad un incidente di
moto.
Pia
è invece una presenza trasversale. Più grande di una mezza dozzina di anni,
inserita (al contrario di Rocco che ne rifiutò i legacci) nel mondo
universitario, anche se milanese e non romano. Esperta di letteratura russa
(Trevi ci dice, e tutti lo confermano, come sia magistrale la traduzione da lei
fatta dell’Onegin di Puskin). Poi anche lei coinvolta nella scrittura in prima
persona. Ma prima, ci vengono descritti momenti amicali, soprattutto romani, di
impagabile memoria. Cioè di rimando ad amicizia mie dei tempi e dei luoghi.
Come non pensare a quegli anni Ottanta, con le lunghe passeggiate trasteverine
dei nostri. Con le case alle mantellate, e con i lunghi traslochi. Fino
all’ultimo rifugio in via Lorenzo Valla a Monteverde.
Certo,
io sono di un decennio prima, e quando i nostri erano tra le medie ed il liceo,
io ed i miei amici stavamo sulla cresta dell’onda, nelle università e nelle
piazze. Questo ha fatto una grande differenza nelle nostre vite. Che in tutto
il libro, la politica non entra, non viene mai realmente toccata. Forse se ne
parla per accenni al retroterra familiare di Rocco ed alle mafie calabresi. Ma
qui si parla di letteratura, di scrittura, di sentimenti.
Trevi
riesce, con la sua capacità descrittiva ed empatica, che già avevo apprezzato
nel suo “Senza Verso”, dedicato a Roma, a San Giovanni ed al poeta Pietro
Tripodo, a farci vivere le prose dei suoi due amici. Quella nervosa,
essenziale, di Rocco. Che lascia il dottorato a Parigi, per scrivere, e per
insegnare al carcere femminile di Rebibbia. Soprattutto, entrando nelle pagine,
e nella testa di Rocco, per la scrittura de “L’apparizione”.
Ugualmente
fa con Pia, con la sua ossessione di entrare nella testa di personaggi altri.
Che la porta ad una lunga causa giudiziaria per aver utilizzato come
personaggio di un suo libro la Lolita di Nabokov. Ma che ci fa apprezzare Pia
anche nella svolta dovuta, oltre a decisioni personali, anche all’insorgere di
una sclerosi multipla. Pia si rifugia nella sua seconda passione, che diventerà
preponderante, verso i giardini e le piante, nella sua villa avita nel lucchese.
Dove passerà gli ultimi anni della sua vita, fino a lasciarci il 26 luglio
2016.
Otto
anni tra le due morti. Ma tutte nel mese di luglio, che penso resterà in
funesta memoria.
Comunque,
è la scrittura, il tono di Trevi che mi tiene vicino, alla pagina ed agli
scrittori. Alle sue citazioni, ai suoi rimandi. Come quello bellissimo ad
Hemingway ed al folgorante “La breve vita felice di Francis Macomber”. Non vi
dico come ne parla Trevi, ma a me colpisce come un fulmine nella memoria,
essendo il primo scritto del grande americano che ho letto in inglese.
E
poi rimane l’amicizia. Rimane il senso dei miei amici. Di quelli che frequento.
Di quelli cui penso mentre scrivo, o mentre sto seduto nel portico sorianese.
Ognuno con il suo grado (il nostro grado) di frequentazione. Ma sempre con la
certezza che i nostri fili non si sono rotti. Sempre con la mia certezza, che
rimarrò nella loro reminiscenza. Per anni ed anni a venire.
“Pausania:
per gli esseri umani solo la realizzazione dell’amore vale la vita.” (64)
“Ci
sarà pure un motivo se ci scordiamo di qualcosa.” (118)
Prima trama dell’ultimo mese dell’anno, con
quella palindromia finale, che ci riporta invece ai libri letti in uno dei più
mesi vissuti, settembre dei mandorli e dei fiori. Anche di molti libri, purtroppo
non eccelsi. Si salva solo il bello e datato Massimo Bontempelli. Mentre comincia
male la collana di spionaggio con un poco rilevante William Le Queux.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Clive Cussler
& Justin Scott |
In mare aperto |
TEA |
12 |
2 |
2 |
Andrea Molesini |
Il rogo della
Repubblica |
Sellerio |
15 |
3 |
3 |
Marco Malvaldi |
Bolle di sapone |
Sellerio |
15 |
3 |
4 |
Sandro Veronesi |
Il colibrì |
La Nave di Teseo |
s.p. |
2 |
5 |
Anne Holt |
La paura |
Corriere Profondo Nero |
7,90 |
2,5 |
6 |
Helen Humphreys |
Cani selvaggi |
Repubblica Mondo |
9,90 |
2 |
7 |
Anne Holt |
La minaccia |
Repubblica Noir |
7,90 |
2 |
8 |
Clive Cussler
& Justin Scott |
Attentato |
TEA |
9,90 |
1,5 |
9 |
Anne Holt |
Il presagio |
Einaudi |
12,50 |
1,5 |
10 |
Massimo
Bontempelli |
Gente nel tempo |
Utopia |
16 |
3,5 |
11 |
Michael Connelly |
Doppia verità |
Pickwick |
s.p. |
2 |
12 |
William Le Queux |
Il mistero del
raggio verde |
Repubblica Spy |
7,90 |
1 |
13 |
Christos Ikonomou |
Dal mare verrà
ogni bene |
Repubblica Mondo |
9,90 |
1,5 |
14 |
Badriya Al-Bishr |
Profumo di caffè e
cardamomo |
Repubblica Mondo |
9,90 |
2 |
15 |
Samuel Benchetrit |
Cronache
dall’asfalto |
Repubblica Mondo |
9,90 |
2,5 |
16 |
Martin Suter |
Allmen e le
libellule |
Repubblica Noir |
7,90 |
2 |
17 |
Leonardo Gori
& Divier Nelli |
Il lungo inganno |
TEA |
12 |
2 |
18 |
Rosa Ribas |
La detective miope |
Repubblica Noir |
7,90 |
2,5 |
Visto che abbiamo citato settembre, riporto
due belle frasi di uno dei migliori libri di Maurizio de Giovanni “La condanna del sangue”, dove il commissario Ricciardi diceva: “se
due strade sono destinate ad unirsi, prima o poi si uniranno, anche se dopo
molti chilometri” e proseguiva: “è facile stare insieme quando va tutto bene.
Il difficile è quando si devono superare le montagne, fa freddo e tira vento.
Allora, forse, per trovare calore, uno si deve fare un po’ più vicino”.
Sappiamo che le abbiamo e le stiamo vivendo, anche se dieci anni fa, quando le lessi, sembravano lontane nel tempo e nello spazio. Ma ora iniziamo l’ultimo mese di quest’anno, concomitando con gli auguri ad Alessandro e con i prossimi sessanta del mio amico Maurizio. E continueremo, festeggiando ed abbracciandovi tutti.
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