Finiamo quest’anno mirabile con una piccola abbuffata della casa editrice Sellerio. Uno dei must della mia biblioteca, che conta più di 200 titoli dalla copertina azzurro scuro. Con alcuni punti fermi, come in questo caso, dove incontriamo lo Schiavone di Manzini, i vecchietti del BarLume di Manzini nonché il non poco sfruttato ma da me molto amato Vincenzo Corso di Fabio Stassi. Dove il buon Fabio surclassa gli altri, che comunque sono sempre su livelli più che dignitosi.
Fabio Stassi “La lettrice scomparsa”
Sellerio euro 14
[A: 05/06/2018 – I: 10/04/2021 – T:
11/04/2021] &&&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 273; anno:
2016]
Seppur di non grande produzione, trovo sempre
interessanti gli scritti di Fabio Stassi, sia quando scrive romanzi che quando
cura l’edizione italiana di uno dei libri fondamentali delle mie ricerche
letterarie. Quel “Curarsi con i libri – Rimedi letterari per ogni malanno”. Non
so se sull’input di quel lavoro, oppure in modo parallelo, Fabio ha poi
sviluppato alcune narrative intorno alla figura di un biblioterapeuta.
Lo avevo incontrato in un racconto delle tante
antologie di Sellerio, ed ecco che qui invece si erge a protagonista di un
romanzo intero. Non è sempre riuscito, ci sono passi che sembrano più insiemi
di racconti cuciti sapientemente insieme. Tuttavia, il tema di fondo, l’idea
originale c’è, ed è portata avanti con maestria. Soprattutto, sono incantato
dal modo in cui l’autore riesce a parlare dei libri. Si sente un rapporto
d’amore grandissimo, e che viene da lontano.
Penso sinceramente che Fabio sia un “robusto”
lettore, e che, forse, alcune delle manie che riversa sul suo protagonista
vengano, di necessità dalla sua esperienza personale. Prendere appunti durante
la lettura, immaginarsi le biografie dei personaggi letterari che si
incontrano, tratteggiare ipotesi di sollievo a fronte di letture, non può
essere casuale. Anche il tratto psicologico che alterna letture omeopatiche a
letture “antibiotiche” è degno di nota. Ci sono letture che solcano gli stessi
mari dei nostri dolori, fornendoci una piccola dose di veleno quotidiana. E ci
sono letture opposte, che veleggiano in alto mare, su oceani procellosi e che
ci fanno vedere il contraltare delle nostre fobie, delle nostre paure, delle
nostre insicurezze.
Per venire allo scritto, seguiamo probabilmente la
genesi del personaggio di Vincenzo Corso, detto Vince (senza accento). Figlio
di madre single, di umili origini, ma di appassionate letture, cresce tra le
donne delle pulizie degli alberghi della Costa Azzurra, poi un’adolescenza a
Genova, ed una maturità alla Sapienza di Roma con laurea in Lettere Moderne.
Qualche supplenza poco gratificante, quindi il grande salto: aprire uno studio
di “rigenerazione esistenziale”, che fortunatamente ribattezza in finale
“biblioterapia”. Lì riceve i pazienti, generalmente donne, che gli sottopongono
i loro problemi personali, ed a cui Vince suggerisce letture appropriate.
Il percorso è lungo e difficile, che suggerire una
lettura implica un moto simultaneo del terapeuta e del paziente verso una
ipotesi di cura attraverso le lettere. E non sempre questo moto d’incontro è
facile, o avviene con il dovuto rispetto reciproco. Durante il romanzo, a parte
il nucleo centrale su cui torniamo, ci sono, come accennavo, una serie di
incontri che si risolvono quasi in mini-racconti dove esploriamo mondi e modi
di essere ed apprezziamo, cercando di capirne il nesso, le spinte alla lettura
che Vince propone.
Tanto per fare esempi presi qua e là, vediamo i
suggerimenti del tipo “Festa mobile” di Hemingway per curare capigliatura
indomabili, “Sangue negli occhi” di Lina Meruane per non farsi vincere dai
sensi di colpa, “La vita davanti a sé” di Romain Gary per curare l’alcoolismo o
“La cena degli addii” di Ito Ogawa per riuscire ad ingrassare.
Il corpo centrale, quello del titolo, è il “giallo”
cui si associa la trama. Scompare una vicina di casa, forse uccisa dal marito
(cfr. “La finestra sul cortile” di Hitchcock) o forse solo scomparsa, benché
sembra probabile sia suo un corpo ritrovato nel Tevere.
Vince ha dei forti sospetti su cosa possa essere
avvenuto, sulla dinamica dei fatti. Aiutato da Emiliano, l’amico libraio,
utilizzando una lista di libri che la signora Parodi aveva in corso di lettura,
nonché frequentando l’emeroteca della Biblioteca Nazionale con la sua amica
Marta, Vince trova il bandolo della matassa.
Scoprendo il legame che unisce la scomparsa
della signora Parodi ai seguenti sei libri (i romanzi “In terra ostile” di
Philip K. Dick, “Post Office” di Charles Bukowski, “A ovest di Roma” di John
Fante, “Una cosa divertente che non farò mai più” di David Foster Wallace, ed i
racconti “Wakefield” da “Wakefield ed
altri racconti” di Nathaniel Hawthorne e “La moglie fedele” da “Aprile è
arrivato” di Morley Callaghan) risolve il mistero, spiegandolo in finale nei
suoi più nascosti particolari. Se non li conoscete, cercate soprattutto di
leggere Hawthorne, è fantastico.
Per inciso, mi ha anche colpito il fatto che
poco dopo aver letto di Philippe Petit nel libri di Colum McCann (“Questo bacio
vada al mondo intero”) ne ritrovo una citazione a pagina 188.
Sarà che amo anch’io i libri, saranno i mille
spunti che mi dà Stassi, l’ho trovata una lettura che mi ha preso cervello e
cuore come non succedeva da molto in queste mie letture. Anche per la sua
ambientazione romana: Vince abita in via Merulana, si aggira per Piazza
Vittorio, va a San Lorenzo attraversando il tunnel sotto la ferrovia. Insomma,
c’è un senso di casa forte.
Ultimo inciso: ho letto il 40% dei libri
citati da Stassi. Non male.
“Per i libri ho sempre avuto buona
memoria. Mi ricordo la dimensione, il colore delle copertine, i caratteri della
costa.” (73)
“Andare a spasso per Roma … ha questo di
diverso: ti aspetti sempre, da un momento all’altro, di incontrare qualcuno, ma
non accade mai.” (117)
“Salii sul soppalco, a mangiare una
tavoletta di cioccolata fondente e a leggere.” (192) [due su tre identici;
bravo Vince]
“Non c’è niente di più vero del teatro.
Per questo recitare è così difficile: non è fingere. La voce del personaggio
diventa la tua voce.” (251)
Antonio Manzini “Vecchie conoscenze”
Sellerio euro 15
[A: 15/06/2021 – I: 21/06/2021 – T:
23/06/2021] &&&
+
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 407; anno:
2021]
Mi era sfuggito, e ringrazio le “mattine” di
Radio Capital che ne hanno parlato (insieme ad un’intervista a Luca Crovi che
sicuramente riprenderemo in altra sede per parlare del “giallo italiano”).
Allora, saputo, comprato, letto.
Come dottamente rileva Corrado Augias, può
essere letto in parallelo con “Flora” di Antonio Robecchi, entrambi con due
storie in parallelo da seguire. Ma, ed io sono d’accordo con lui, c’è almeno un
libro di gradimento tra i due. Ed a vantaggio di Manzini. Siccome poi di
Robecchi ne ho già parlato in altra trama, rimango su Manzini, e soprattutto,
su Rocco e i suoi fratelli (citazione da Visconti, forse non tanto peregrina).
Sempre riprendendo l’intervista di cui sopra,
concordo con Manzini nel descrivere il libro come una ricerca di mettere alcuni
punti finali alle tante storie iniziate nel corso delle puntate precedenti
della serie. Che ormai, e questo bisogna dirlo a chiare lettere, non sono più romanzi
legati dalla presenza degli stessi protagonisti, ma sono una serie a modello
delle “serial fiction” televisive. Anche perché, ed è ovvio, a breve
inizieranno proprio le riprese al fine di riproporre in tv Marco Giallini ed i
suoi credo a cavallo della fine dell’anno.
Ma torniamo al romanzo.
Abbiamo quindi la storia “gialla”, quella che
in tutti i libri di genere dovrebbe fare da filo conduttore della trama, e la
storia “personale”, che in questo caso, tra alti e bassi, parte dal primo libro
ed ancora è presente. Anche se ci sono alcuni elementi che ne fanno presagire
una possibile conclusione.
La storia “gialla” ruota intorno alla morte
della professoressa Sofia Martinet, esperta d’arte ed in particolare di
Leonardo da Vinci. Colpo alla testa, nessun segno d’effrazione. Come risalire
la china delle possibilità? Ben presto i responsabili possibili si riducono a
tre: l’amico inglese, gay ed editore delle sue pubblicazioni, spesso visto a
casa di Sofia, in particolare a valle dell’ultimo colpo accademico (la
pubblicazione di un articolo che ribalta la prospettiva sui libri di ottica di
Leonardo); l’amico tedesco, un tempo amante di Sofia, che vede la sua carriera
distrutta dall’articolo in questione ma che risulta essere in Germania ai tempi
della morte; il figlio, quarantenne e scapestrato, senz’arte né parte, che
chiede ancora soldi alla madre per una sua strampalata iniziativa, soldi che la
madre ha poca voglia di regalarglieli.
Il mistero sembra insolubile, se non ci
fossero due “aiutini”: il figlio dell’amante dell’agente Casella, che navigando
tra cloud ed altre informaticherie, riesce a ritrovare mail che sbugiardano
qualche sospettato, e l’amante dell’agente Deruta, che riesce ad interpretare i
farfugliamenti apparentemente senza senso dell’unico testimone al delitto, il
figlio di una vicina della morta, ritardato mentale e cieco.
Messo in cantiere il giallo e la sua
soluzione, apro un piccolo inciso: gran parte del romanzo non di prima battuta,
quello che esplora vie laterali, è dedicato al coming out di Deruta, che
finalmente confessa di essere gay e va a vivere con il suo amore, Federico. Ci
può stare, anche se l’agente non è uno dei personaggi principali, e l’inciso è
un po’ lungo e forzato.
La parte “personale” invece ruota ancora e
comunque intorno alle vicende romane di Rocco, alla morte della moglie, alla
morte dell’assassino della moglie, alla morte dell’amica di Rocco, alle
vendette del fratello dell’assassino e di Sebastiano, compagno della seconda
morta.
Manzini ha incasinato la storia, romanzo dopo
romanzo, seguendo un po’ le onde del gradimento del pubblico. Caterina, la vice
di Rocco, che stava per prendere il posto di Marina nel cuore del nostro, era
stata allontanata in quanto ritenuta responsabile di delazione, secondo Rocco.
Rocco stesso sembra proteggere Seba, che lo aiutò nella vendetta di Rocco. Qui,
prima ricompare Seba, che pare aver trovato le tracce dell’assassino
dell’amata. Poi, compare quest’ultimo che pare debba fare rivelazioni forti sul
malaffare capitolino.
Rocco in aiuto al procuratore, si trova in
difficoltà: aiuta Seba a fuggire (o almeno così crede), poi con il procuratore
scopre il delatore morto. Ma tutti gli indizi, che poi saranno prove, portano
ai cattivi di Roma come mandanti ed esecutori di tuti questi assassini e
depistaggi. Non vi dico come, ma ovvio che Rocco trova una serie di bandoli, ed
ha anche un colloquio chiaritore con un’altra vecchia conoscenza: Caterina
(avete capito il perché del titolo).
A parte i rapporti tra Rocco e Caterina, che
credo non abbiano tanti sbocchi alla luce attuali, quest’ultima rivela che
anche Sebastiano era implicato nei traffici che portarono alla morte di Marina.
Sarà vero? Sarà un nuovo depistaggio? Penso che lo scopriremo alla prossima
puntata, dove penso vedremo anche se potrà andare avanti in qualche modo il
faticoso rapporto di incontro e scontro tra Rocco e Sandra la giornalista.
“In questa vita non è difficile morire,
vivere è di gran lunga più difficile.” (388) [citazione della poesia ‘Ai vecchi
giorni’ di Vladimir Vladimirovic Majakovskij]
Marco Malvaldi “A bocce ferme” Sellerio
euro 14 (in realtà, scontato a 12,90 euro)
[A: 23/07/2018 – I: 28/07/2021 – T:
30/07/2021] &&& +
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 226; anno:
2018]
Beh,
non c’è dubbio, quando si torna al BarLume ed alle avventure dei suoi
personaggi, la scrittura di Malvaldi assume un passo diverso. Ed anche se di
per sé non è un romanzo indimenticabile, di certo è un romanzo non evitabile.
Che ci porta piccoli elementi di conoscenza sugli attori della serie. Nonché, e
non è male, anche una piccola trama gialla non proprio da buttar via.
Anche
perché si parte da lontano, cioè da un delitto del passato, che tra l’altro era
passato in cavalleria, senza un vero colpevole. Il tutto si apre alla morte di
Alberto Corradi che nel testamento confessa di aver ucciso il padre Camillo.
Questo apre un monte di problemi. In primis al figlio di Alberto professionista
verso la carriera politica, che, fosse vero il testamento, non avrebbe un soldo
in canna.
Questo
apre anche una problematica relativa alle questioni sindacali di allora (si
parla di fine anni Sessanta, e sapete bene il clima dell’epoca), che fu
accusato del delitto il sindacalista Bonci. Che però non se ne riuscì mai a provare
la colpevolezza. Tuttavia, fu emarginato in paese, che Camillo era uno in
vista, un vero padrone, autoritario e dispotico. Con un’orda di “alleati” che
tentarono di farsi giustizia da soli, con un’irruzione selvaggia in casa Bonci,
con l’unico risultato che Viridiana, la figlia, viene colpita da un’emorragia,
e muore. Che, si scoprirà molto dopo, era incinta.
Solo
un giornalista, il Frateschi, rimane vicino a Camillo. Ed un altro scrivano,
anche di lunghi diari, l’Ubaldo, rimane vicino a Franca la moglie di Camillo.
Tutti
si perderebbe solo nel passato, lasciando il nostro Massimo con il vicequestore
Alice senza molti argomenti d’indagine, se ora, in città, non venisse ucciso
anche Ubaldo. Perché? Da dove vengono questi rimasugli del passato che inquinano
il presente?
I
nostri vecchietti del Bar, nonno Ampelio in testa, non hanno altro da
aggiungere al fuoco delle possibili indagini se non i loro ricordi del tempo. A
un incuriosito Massimo e a una professionale Alice raccontano dei giorni del
delitto, dei malumori degli operai, dei dubbi e delle paure, di tutti i
personaggi che ruotavano attorno all’azienda di Camillo Corradi. Si avvia così
un romanzo che si alterna tra presente al bar e passato di lotta e di rancore.
Si spulcia, si collega, si leggono resoconti del tempo. Fino a scoprire un
possibile filone, legato alle unioni che si erano stabilite nel tempo.
Ubaldo
aveva sempre portato con sé il segreto della morte di Camillo, che il ben
voluto era anche un farfallone, ed avendo messo incinta una signorina del
luogo, voleva includere il figlio naturale nell’asse ereditario, creando
problemi non solo al figlio ma soprattutto alla moglie Franca. Ma non vi dirò
il perché.
Solo
che nei diari di Ubaldo c’era anche la vera storia di Viridiana, e di chi l’aveva
messa incinta, riuscendo a defilarsi nella baraonda del tempo. Ma essendo
ancora ben presente ora in Pineta. Si capisce presto chi sia il vero assassino
del presente, ma l’arma del delitto, che porterà alla soluzione del caso, sarà
scoperta solo grazie ad un colpo d’ingegno della bella nonché intelligente
Tiziana, l’aiuto di Massimo al bar.
Queste
forse sono le parti migliori. Sia nelle rimuginazioni solitarie di Massimo,
sia, e con più forza, nelle caratterizzazioni dei nostri vecchietti. I ricordi
di Pilade e di Ampelio ci portano su e giù nel tempo. Tra l’altro, Ampelio
ricorda i tempi dell’Università della figlia (la madre di Massimo), di come
questa rimane incinta senza voler dire di chi e come. Di come lui fa irruzione
in facoltà, che sa chi sia (o pensa di saperlo) suscitando una rissa furibonda,
con finale in gattabuia per il nostro allor giovane Ampelio. Descrizioni che mi
hanno di colpo riportato ai miei tempi universitari, alle assemblee, alle risse
con le frange estremiste. Laddove io ne fui partecipe solo in una, con relativo
pugno in faccia (preso, non dato), e non da fascisti. E qui mi fermo nei
ricordi.
Mentre
immagino che l’accenno alla madre di Massimo possa preludere ad un qualche
revival di mamma Gigina, a volte citata ma mai realmente presente.
La
scrittura di Malvaldi, quando si torna al nostro BarLume, è sempre una spanna
superiore alle altre prove del bravo scrittore. Ho ancora qualche libro non di
pineta da leggere, ma non ne ho ancora molta voglia.
“Le cose veramente importanti della vita
accadono per caso. Se tenti di controllare ogni singolo aspetto della tua vita
e di non far niente che possa sfuggire alle tue previsioni, non ti succederà
mai niente di veramente importante.” (142)
“La curiosità per il superfluo … è quello
che sopra ogni cosa ci rende umani.” (169)
Marco Malvaldi “Bolle di sapone” Sellerio
euro 15 (in realtà, scontato a 12 euro)
[A: 02/09/2021 – I: 03/09/2021 – T:
05/09/2021] &&&
--
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 266; anno:
2021]
Questa
volta non ho saputo proprio resistere. Ho visto che è uscito un nuovo episodio
dei miei cari vecchietti, e non solo l’ho comperato, cosa sana ed auspicabile.
Ma l’ho anche letto d’un fiato. Risultando alla fine una lettura oltremodo
gradevole, seppur con alcune scelte dell’autore che non mi sento di
condividere. Motivi però che non dico e che vi lascio intuire dalla lettura.
Intanto,
plaudo all’idea di contemporaneità che ci comunica Malvaldi: siamo in tempo di
Covid, e proprio all’inizio della pandemia il nostro colloca il racconto. Così
che Alice, la bella e futura (si spera) sposa del nostro Massimo, il “barrista”
del BarLume, si trova bloccata in quel di Calabria, dove teneva un corso
proprio il 9 marzo 2020 all’Università di Rende.
Tutto
il romanzo è pervaso dalla duplicità: c’è voglia di stare, di fare, di dire, e
c’è l’impossibilità di farlo, che si deve prima stare a casa, poi stare
distanziati, poi mascherati. Il romanzo copre un non lunghissimo lasso di
tempo, per cui non arriviamo ancora alle campagne vaccinali, ma non dispero che
Malvaldi ne sappia approfittare con qualche futuro scritto.
Anche
nonno Ampelio è bloccato, che una caduta anodino lo costringe in Ospedale. Ed è
bloccata anche mamma Gigina, di cui finalmente si trova traccia non solo in
parole, ma in presenza. Di passaggio verso la Malesia, l’ingegnere dei ponti si
trova anch’essa bloccata in Pineta. Con il padre in ospedale, e con la madre
che “se non è fritto, non è buono da mangiare”.
Bloccati
in vario modo anche gli altri vecchietti: Aldo che non riesce a fare il
pensionato, il Remediotti ed il Del Tacca che si arrabattano prima con code
alimentari, poi ripiegando anche sulla spesa online. E vai con Amazon.
Tutto
ciò dà modo al nostro di imbastire un racconto giallo inverso: invece di avere
il delitto nella camera chiusa, abbiamo gli investigatori costretti ad indagare
dalla camera chiusa per un delitto avvenuto, invece, molto all’aria aperta.
Certo, voi direte, era un meccanismo insito in molte vicende gialle, prima ed
eponima fra tutte la saga di Nero Wolfe. Ma lì c’era sempre la possibilità che
Archie Goodwin andasse sul campo, o che lo stesso Wolfe facesse una sortita
fuori della serra delle sue orchidee. Qui, no!
Qui,
abbiamo un ristoratore, che sta mettendo su una catena di pizzeria, prima in
Calabria, poi in tutto il Sud. Che viene fulminato da una fucilata mentre è in
fila al supermercato la mattina del 9 marzo, in Calabria, ovvio. Facendo finta
di poco, Alice da remoto, distilla pezzi di informazione, sia a Massimo che ai
nostri vecchietti. Così che partono le indagini da Pineta verso Rende, senza
muoversi di pezza.
Due
giorni dopo il pizzaiolo, muore la moglie apparentemente per un botulino
malizioso. Ma ben presto, grazie ad Aldo ed Ampelio, scoprendosi derivare da
una fiala di botulino per chirurgia estetica. Probabilmente fatta ingerire alla
donna non accidentalmente.
I
sospetti si appuntano allora sul figlio della coppia, erede delle catene
pizzaiolesche, ma forse non proprio esente da buchi economici paurosi nelle
finanze di famiglia. Peccato che il rampollo abbia un alibi di ferro, che
neanche Massimo riesce a smontare.
La
svolta psicologica avviene scoprendo che i due morti avevano una cospicua
assicurazione sulla vita, anche in caso di morte violenta. Che entrambi avevano
modo di uccidere l’altro per una serie di circostanze che non sto qui a
narrare. Che tutto potrebbe filare liscio a meno che non si potesse dimostrare
che le morti incrociate siano state concordemente decise (dolo verso
l’assicurazione) e non casualmente avvenute.
Non
vi dico il prosieguo ed il finale delle indagini, ma se siete detective vi ho
dato l’indizio chiave, che serve a far filare tutto il ragionamento. Tra
l’altro è lo stesso indizio che disvela ad un certo punto Malvaldi. Ma si sa,
gli indizi troppo palesi sono come la lettera rubata: per ignorarli basta
metterli in bella evidenza. Ha un senso tutto ciò, forse maggiore di quello che
io abbia pensato in un primo momento. E però non mi è piaciuto, così che
fiorettato il voto con qualche sfilza di meno.
Prima
di dare appuntamento a Malvaldi alla prossima lettura, vorrei tornare solo a
pagina 108, dove mamma Gigina spiega al giovane Massimo come fa a ricordarsi i
numeri di telefono. Praticamente, associandoli metamorficamente a delle
lettere. Questo mi fa venire in mente i miei modi di ritenere i numeri. Che io
invece associo ai numeri primi. Così che il mio numero di telefono lo ricordo
perché è composto da due numeri primi di tre cifre superiori a trecento e da
due numeri vicini a 86. Ricordo questo, ed il resto è storia.
“I
genitori … sono dei talenti naturali quando si tratta di irritare i figli. Alle
capacità spontanee, che evidentemente si acquisiscono alla nascita della prole,
si uniscono delle tecniche sopraffine, tipo ricordare loro degli episodi particolarmente
imbarazzanti dell’infanzia.” (173)
“A
… anni o stai male o stai peggio. Oramai alla mi’ età conta che stia bene
quell’artri.” (224)
Oltre
ad essere la quarta trama del mese, e quindi senza altri allegati, è anche
l’ultima di questo anno, che, pur nella pandemia, ha portato cose nuove nella
vita e nelle letture del vostro tramatore ufficiale.
Per terminare degnamente anche con i ricordi citanti, mi piace condividere una frase di Michael Connelly che nel suo primo libro “La memoria del topo” afferma (e condivido): “Non si cura un’anima ferita con un cerotto”. Infatti, niente cerotti, ma tanti ricordi, tante persone che mi tornano in mente, tanti amici, tanti posti visitati, tanti posti da visitare. Un abbraccio da fine anno per un nuovo anno sereno.
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