Come i primi tre
thriller cella collana del Corriere, che ritengo siano stati sopravvalutati. Si
risale un po’ con uno dei meno riusciti libri di Dürrenmatt, per finire con un
discreto libro del romano emigrato Chirovici.
Comunque, non so
se sia una tara della collana, o un problema intrinseco, ma l’accostamento tra
thriller e psicologia, ad ora, mi convince poco.
Sebastian Fitzek “Il ladro di anime”
Corriere Thriller Psicologici 3 euro 7,90
[A: 10/08/2018 – I: 01/11/2021 – T: 03/11/2021]
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[tit. or.: Der Seelenbrecher; ling.
or.: tedesco; pagine: 298; anno 2008]
Seconda
lettura di questa collana a suo tempo molto sbandierata dal Corriere, anche se
risale alla metà del 2018. Purtroppo, costatiamo che siamo già in discesa. Se
il primo titolo letto mi aveva lasciato qualche perplessa positività, questo mi
è rimasto lontano e freddamente sorbito.
Pare
(ma non ho controprove al momento) che Fitzek sia un autore ben quotato in
patria, soprattutto per il suo primo romanzo (“La terapia” pubblicato in
italiano da Elliot). Di certo un po’ di fame la ottiene, visto che dopo alcuni
anni oscuri, passa da Elliot a Einaudi, segno di sciuro gradimento di pubblico.
Ripeto comunque, essendo il primo libro che leggo del tedesco di Berlino,
rimando altri giudizi ad eventuali (anche se improbabili) future letture.
Prima
però un piccolo commento sulla collana che ad ora mi sembra offrire sì immagini
del momento interiore delle persone (“psicologici” dice il sottotitolo) ma il
thriller è di poca cosa. Qui, tra l’altro, è annegato in una scrittura
volutamente ricercata, che cerca di riprodurre tormenti e pensieri di una
persona disturbata. Ma il gioco è così scoperto che ci si domanda come i due
studenti universitari che si prestano alla bisogna non capiscano tutto sin
dalle prime battute. Non solo è ovvio come sia possibile collegare inizio e
fine, dato che c’è un discreto, anche se non continuo, salto tra il tempo
dell’azione ed il tempo della narrazione. Ma gli altri due “fantomatici
misteri” sono palesi fin da pagina 7 (dell’inserto): quale siano le modalità
del “distruttore” di anime (non ladro, che “Brecher” è colui che distrugge non
colui che ruba) per annientare le sue vittime e chi possa essere il distruttore
stesso. Questa seconda parte a fronte di un indovinello, che punta molto
sull’indecidibilità di alcuni termini in tedesco, e che non è detto sia la
stessa in italiano.
Tra
l’altro, Fitzek gioca con i lettori, sia fingendo che il dossier che stiamo
leggendo sia stato scritto da tal dottore Viktor Larenz (il protagonista del
primo libro di Fitzek) sia che Larenz scrive la cartella clinica a fronte di
sedute con una paziente schizofrenica che si fa chiamare Anna Spiegel,
esattamente come nel primo libro. Mi sembrano autoreferenzialità inutili.
Il
tutto ha inizio con un esperimento condotto da uno psicologo che propone ai
suoi alunni di leggere il dossier relativo ad un certo Casper, colpito da
amnesia e ricoverato presso la clinica del dottor Rassfeld. Il dossier racconta
avvenimenti che si svolgono nella clinica una lontana Vigilia di Natale. Fitzek
mette in campo tutti gli elementi di un thriller. Oltre a Casper, che recupera
lentamente i ricordi, c’è una tempesta che isola la clinica. C’è un’ambulanza
guidata da uno strano infermiere, che porta Bruck, un paziente con un coltello
piantato in gola. C’è un’infermiera paurosa, un custode che legge libri di
retorica, c’è Grace, una paziente anziana che risolve enigmi e sciarade. Nonché
il dottor Rassfeld, molto autoritario, e la strana dottoressa Sophia, che sa
qualcosa che però nasconde abilmente.
Il
tutto in un momento in cui la cittadina è colpita da strane morti, di persone
che, senza ferite apparenti, muoiono in preda ad indicibili angosce. Le tre
vittime sono tutte donne, ed hanno in mano foglietti di carta con misteriosi
rompicapi (in seguito brillantemente risolti da Grace). Le cose precipitano
quando si scopre Sophia in apparente stato catatonico, e Bruck stranamente
aggirantesi per la clinica. Poi ci saranno morti a grappolo, risvegli,
agnizioni, nonché tutta una serie di rivelazioni. Fino alla fine del dossier,
che lascia comunque punti aperti.
Punti
che il professore discuterà con gli allievi in una lunga sequenza finale, che
porta altri elementi alla confusione della trama, elementi che ruotano all’idea
che si possa sottoporre ad ipnosi una persona anche contro la sua volontà. Il
tutto verso una fine da un lato scontata, che abbiamo da centinaia di pagine
gli elementi per decodificarla. Dall’altra assolutamente sospesa, che di una
certa Lydia, che non vi dico che sia né perché, non si capisce come e cosa vada
a finire alla fine.
Insomma,
un romanzo da vorrei ma non posso, con tante idee, ma una scrittura che non le
sorregge. Anzi che fa perdere il filo. Con una poco riuscita impaginazione, che
il dossier ha una sua numerazione, il romanzo una diversa, così che mentre leggi
passi da pagina 167 (del dossier) a pagina 183 (del libro) e ti domandi se per
caso hai saltato qualcosa. Forse, sarebbe bene che ne saltaste la lettura, a
meno di non essere interessati alla genesi di libri inutili.
Pierre Lemaitre “L’abito da sposo” Corriere Thriller Psicologici 2
euro 7,90
[A: 10/08/2018 – I: 22/11/2021 – T: 23/11/2021] - && --
[tit. or.: Robe de marié; ling. or.: francese; pagine: 331; anno 2009]
Secondo
libro di uno dei “maestri emergenti” del polar francese. Che non mi ha convinto
nel primo. Forse ancor meno in questo. Non che non abbia dei punti di merito,
soprattutto nell’idea della costruzione della trama e del suo sviluppo, almeno
iniziale. Poi però si perde in uno sviluppo sin troppo scontato. Se a questo
aggiungiamo alcune sviste dell’autore ed alcuni errori del traduttore Giacomo
Cuva, non ci si meraviglia del basso gradimento generale.
Cominciamo
allora con alcuni errori marchiani dell’autore. A pagina 156 si dice che Sophie
ha trent’anni, mentre due pagine prima viene indicato l’anno di nascita nel
1974. Essendo al momento dell’azione descritta l’anno 2000, Sophie ha 26 anni.
Poi c’è il riferimento al titolo di un articolo giornalistico, indicato a
pagina 71 con “Dov’è finita Sophie Duguet?” ed a pagina 231 come “Che fine ha
fatto Sophie Duguet?”. Infine, c’è un refuso all’interno di un pamphlet che
deve portare su false strade, che potrebbe essere voluto. Ma se così fosse, il
lettore si accorgerebbe della falsità della costruzione. Si dice infatti a
pagina 311 “Cogliendo le opportunità offerte dai gloriosi anni Trenta, nel 1959
crea la prima catena di supermercati in Francia”. Vent’anni di opportunità sono
un bell’investimento.
Ci
sono poi dei refusi di scrittura, che non vado a riportare per intero (ma ce ne
sono). Infine, due traduzioni meravigliose. A pagina 41 la protagonista “si
schernisce con un sorriso contratto”, cioè si prende in giro da sola? Ed a
pagina 278 un “elle est sortie” rimane “quando sortiva”, ma invece se fosse
uscita?
Passiamo
allora alla trama vera e propria, che, giustamente, si inserisce in un filone
di “angosce psicologiche”. Abbiamo la protagonista, Sophie, che incontriamo
come baby-sitter di Leo, e vediamo subito che non sta benissimo. Sembra
dimenticarsi cose, addormentarsi quando non deve, ed altre piccole turbe. Dopo
uno di questi sonni, scopre che Leo è morto. Non ricorda nulla, ma subito
scappa. L’autore cerca di farci salire l’adrenalina nella fuga, con alcuni
cambi di rotta repentini. Poi viene aiutata da una certa Veronique, presso cui
si addormenta per la fatica. Scoprendo al risveglio che anche Veronique è stata
uccisa.
Fuga
repentina, in modo rocambolesco, che non si capisce come una persona disturbata
riesca a fare tutto ciò. Ma ci riesce, fa perdere le sue tracce per quasi un
anno, laddove scopriamo alcuni retroscena (l’improvvisa morte della suocera,
l’incidente stradale dell’amato marito, che, ridotto sulla sedia a rotelle,
precipita, forse volontariamente, dall’ospedale e muore) che fanno aumentare il
senso di disagio di Sophie. Trova però una via d’uscita: un falso certificato
anagrafico ed un matrimonio che la portano ad un nuovo cognome e ad una nuova
vita.
A
questo punto, l’autore fa un balzo indietro di quattro anni, e ci fa vedere
tutto dall’ottica di Frantz. Che per qualche motivo (che si scoprirà alla
fine), prende di mira Sophie, le fa tutta una serie di inganni (furto di carta
d’identità, furto delle chiavi di casa, spostamento di oggetto, scambio di
pillole da innocue ad ansiolitiche). Capiamo allora perché Sophie sia strana,
alterata ed alienata. Scopriamo anche che è Frantz che organizza ed esegue
tutti gli assassinii. Da quello della suocera fino a Leo e Veronique.
L’angoscia che ci vuol far nascere Lemaitre sale al suo massimo quando
scopriamo che il marito che Sophie trova per rifarsi una vita, è proprio
Frantz.
Qui
comincia la parte finale, con Frantz che progressivamente cerca di portare alla
morte Sophie e lei che, ad un certo punto, si accorge che è proprio Frantz il
suo persecutore. Si ingaggia una lotta sotterranea e senza quartiere, dove si
ribaltano le parti. Frantz, che fino ad allora era stato insuperabile viene a
poco a poco messo all’angolo da Sophie. Che era invece sembrata farlocca ed
incapace, mentre ora si rivela astuta e programmatrice.
L’unica
domanda è: chi dei due vincerà? Frantz riuscirà al fine ad uccidere Sophie, per
cui scopriremo anche i motivi che hanno innescato tutta la vicenda. Oppure,
sempre scoprendo le occulte verità, sarà Sophie ad avere la meglio e
costringere Frantz alla resa.
Questo
certo non ve lo dico, anche se potete chiedermelo in separata sede, visto che
sconsiglio abbastanza vivamente una lettura del libro. A meno che non siate
appassionati di polizieschi, come il sottoscritto, o dei puri lettori
masochistici, che vanno avanti nella lettura, pur a fronte di recensioni
negative. D’altra parte, forse, a qualcuno è piaciuto, ed io ne rispetto le
considerazioni.
Lars Kepler “L’ipnotista” Corriere Thriller
Psicologici 4 euro 7,90
[A: 03/09/2018 – I: 06/12/2021 – T: 09/12/2021]
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[tit. or.: Hypnotisören; ling. or.: norvegese; pagine: 583; anno 2009]
Continuiamo
a leggere questa collana del Corriere, ma ancora non c’è stato uno scatto di
qualità. Anzi, più se ne legge, meno si apprezza. Anche qui, che avremmo dovuto
incontrare una delle firme emergenti del panorama giallistico internazionale.
Dove, invece, non solo la trama mi convince poco, ma anche la scrittura la
trovo di una difficoltà esasperante.
Dicevo
firma, che in realtà, questo è uno pseudonimo, adottato da una coppia di
giallista che già altro scrivevano. Sono Alexander e Alexandra Coelho Ahndoril,
che hanno deciso di unire i loro sforzi letterari, rendendo, con questo nome un
doppio omaggio. Infatti, Lars è un tributo al capostipite della nuova scrittura
svedese in fatto di gialli, cioè Stieg Larsson. Mentre Kepler è un sentito
omaggio a Johannes Kepler (nome corretto del tedesco Giovanni Keplero,
matematico e astronomo), precursore dei tempi, con i suoi calcoli che portarono
alla misurazione delle orbite dei pianeti.
Detto
che tutti gli scrittori svedesi degli ultimi trent’anni sono stati etichettati
come eredi (o epigoni) di Larsson, e sottolineate che la campagna
pubblicitaria, all’epoca dell’uscita, ed in successive ondate, ne parla come
uno dei capolavori del thriller moderno, direi invece che siamo abbondantemente
sotto media.
Ho
trovato faticoso seguire l’andamento temporale, dove bisogna stare attenti ad
ogni nuovo capitolo a quanto sottolineato in corsivo inziale (mattina, sera,
ecc.), con l’aggravante che, spesso, dopo due o tre capitoli in sequenza, si fa
un salto indietro di tre giorni, perdendo un po’ il filo. Inoltre, ad un certo
punto, in modo quasi anodino, si fa un salto indietro di dieci anni, lungo più
di cento pagine, che spezza il non già veloce ritmo dello scritto. Poi c’è un
profluvio di medicine ed altre “ospedalerie”, di cui si perde bellamente nomi e
funzioni (un po’ di accuratezza in più non guastava). Abbiamo anche uno dei
protagonisti, l’emofiliaco Benjamin, che dovrebbe morire se non fa una puntura
a settimana, mentre passano 9 giorni prima di avere la nuova dose. Infine, un
altro dei protagonisti, Josef, ad un certo punto esce di scena, dove era stato
al centro per giorno e giorni, quasi in sordina, esaurendo un filone di trama
che per quattrocento pagine sembrava (o era) il nucleo della trama. Insomma,
scrittura poco attraente, e qualche sciatteria, portano la confezione verso il
basso, anche se alcune idee della trama, nonché alcune giravolte sono gradevoli
ed innovative.
Infine,
la cosa che più mi ha sorpreso è che questo viene considerato il primo capitolo
delle storie di Joona Linna, il poliziotto incaricato delle indagini. Che certo
ha un suo ruolo, ma non centrale, a parte il fatto di ripetere, ad ogni piè
sospinto: “avevo ragione io”.
L’elemento
centrale del racconto dovrebbe essere Erik Maria Bark, l’ipnotista del titolo.
Uno psichiatra che usa l’ipnosi su pazienti traumatizzati. Non sono un medico,
ma mi sembra un po’ forzato. Nell’inserto sapremo che in una cura di gruppo,
viene accusato (ingiustamente) di aver indotto ricordi falsi nella paziente
Lydia, anche se tutta la terapia gira intorno ad una certa Eva Blau. Comunque,
viene sospeso e giura di non usare più l’ipnosi.
Tuttavia,
quando si trova di fronte ad un efferato delitto, con un unico superstite in
coma, viene indotto ad usare i suoi metodi per salvare una ragazza in pericolo.
Questo scatena una serie di grossi problemi in una situazione già complessa. Il
comatoso rivela di essere stato lui a commettere il massacro. Ma non può essere
incriminato che la confessione sotto ipnosi non è giuridicamente valida.
Joona,
a valle dell’intervento di Erik, riesce a salvare la ragazza, ma il paziente
fugge dall’ospedale.
Intanto
Erik a casa ha una situazione complessa. Convive con la moglie Simone che però
non gli perdona un tradimento di anni e anni prima. Inoltre, il loro figlio
Benjamin è emofiliaco e deve fare punture settimanali per tenere sotto controllo
la malattia. In tutto ciò, qualcuno rapisce Benjamin, e Simone intreccia una
storia con uno scultore.
Chi
ha rapito Ben? C’entra forse la sua ragazza, Aida, ex-naziskin tenebrosa? O è
stato il comatoso per vendicarsi della confessione estorta? O la famigerata Eva
Blau di dieci anni prima? O Lydia, quella che lo aveva fatto sospendere?
Andiamo
avanti per pagine e pagine su questo dilemma, aiutati più che da Joona, da
Kenneth, il padre di Simone ed ex-poliziotto. Che, mettendo sul piatto due più
due, sembra trovare la quadra. Anche se ad un certo punto, viene investito e
sembra sul punto di morte, ma dieci pagine dopo è pimpante sulla scena.
Tutti
i possibili colpevoli vengono eliminati ad uno ad uno, sia dalla colpevolezza,
sia fisicamente, che muoiono quasi tutti. Sarà Erik che incastrando brandelli
vari, anche grazie a Kenneth, ha l’idea vincente. Che non riuscirà a
concretizzarsi se non con l’aiuto fondamentale di Joona, e con l’intervento di
Ben che, rocambolescamente, era riuscito a fuggire ai rapitori.
Insomma,
quanta carne al fuoco. Che alla fine risulta un po’ bruciaticcia e mal
digeribile. Ringrazio gli autori del libro, perché scrivere è sempre una
fatica, un lavoro improbo, ma non sono convinto del modo di porre le
problematiche sul tappeto.
Friedrich Dürrenmatt “Giustizia” Corriere
Thriller Psicologici 6 euro 7,90
[A: 10/09/2018 – I: 13/12/2021 – T: 16/12/2021]
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[tit. or.: Justiz; ling. or.: tedesco; pagine: 233; anno 1985]
Sinceramente, mi aspettavo di più e di meglio
da parte dell’esimio scrittore svizzero tedesco, autore di opere che sono
rimaste nel mio immaginario come pietre miliari di uno scrivere sempre teso a
smontare il luogo comune. Sempre portato a farci vedere l’immane fatica di
essere uomini senzienti in un mondo che non capiamo e che, probabilmente,
abbiamo contribuito a costruire in modo a essere inconoscibile.
Qui, purtroppo, pur nella limpidezza di un
teorema scientifico, siamo ben lontani da caposaldi come “La visita della
vecchia signora”, “La panne”, “Greco cerca greca” o “La morte della Pizia”. Per
non parlare di quello che ritengo un capolavoro assoluto: “La promessa. Un
requiem per il romanzo giallo”. Qui siamo ancora nel campo delle riflessioni
sulle istituzioni umane, ma anche per il modo in cui l’autore è arrivato alla
stesura del testo, c’è qualche ruggine di troppo.
La genesi del romanzo, infatti, è complessa:
Dürrenmatt inizia a lavorarci nel 1957, ma ad un certo punto si blocca, altri
lavori gli prendono la teta e la mano. Il romanzo rimane lì, a volte ripreso,
spesso ignorato. Prova a completarlo nel 1980, senza riuscire a entrare
mentalmente nella trama. Solo nel 1985 riprende i frammenti del discorso, e
completa il romanzo, forse con un senso diverso da quello originario. Ma questo
è quello che ora leggiamo, ed apprezziamo, capendone, data la sua genesi,
alcuni salti, alcune apparenti mancanze.
Il romanzo è scritto sotto due diverse
prospettive soggettive. Nelle prime due sezioni parla l'avvocato Felix Spät che
ci narra del caso più assurdo della sua carriera, che lo ha rovinato e condotto
quasi fuori di testa. Nella terza sezione, che si svolge anni ed anni dopo, uno
scrittore riceve le memorie di Spät, e per completarle effettua ricerche e
finalmente chiarisce il caso al lettore.
Nella prima parte Spät ci narra i fatti. Il
consigliere cantonale zurighese Isaak Kohler entra nel ristorante “Du Theâtre”, saluta il professor Winter, quindi
gli spara alla testa. Esce indisturbato dal ristorante, accompagna un ministro
inglese all’aeroporto, dove viene arrestato. Non sembra esserci dubbi
sull’accaduto, e benché con solo prove indiziarie e molte mancanti, Kohler
viene condannato a 20 anni di carcere. Kohler accetta serenamente il carcere,
dove si fa ben volere. E da lì chiama il giovane avvocato Spät e lo incarica di
riesaminare il caso partendo dall’assunto che sia stato un altro a sparare.
Spät è povero in canna, e accetta.
Nella seconda vediamo la discesa all’inferno
dell’avvocato. Spät si muove abilmente, all’inizio. Incarica un detective di
trovare prove. Lui imbastisce una memoria difensiva basandosi
sull’insostenibilità legale del verdetto: nessuna arma del delitto trovata,
nessuna confessione palese, nessun
movente, nessuna chiara registrazione delle testimonianze dei presenti al
fatto. Si riapre il processo, e Kohler viene assolto, anche se Spät, per motivi
di coscienza, rifiuta di patrocinarlo in aula. Da quel momento assistiamo alla
discesa verso l’abisso di Spät, che sa di aver fatto assolvere un assassino
anche se non ne ha le prove. Altri avvenimenti si succedono intorno: Benno, un
ex-campione svizzero di tiro alla pistola, anche lui presente al ristorante, ed
anche lui amico di Winter, si sucida. Una donna dai rapporti ambigui, amante di
Benno ma anche della figlia di Kohler, muore. Spät capisce che la pistola sparì
nella tasca del ministro inglese, che non venne mai perquisito all’aeroporto.
Tormentato dai rimorsi, Spät decide che l’unico modo di ripristinare la
giustizia è uccidere Kohler e suicidarsi.
La terza ci porta alla soluzione. Anni dopo,
uno scrittore prende in mano il manoscritto di Spät, e indagando scopre che
l'omicidio e il suicidio erano falliti, che Spät si ritira tra i monti e morirà
alcolizzato. E sarà lo scrittore che arriverà a completare il quadro: il
consigliere cantonale Kohler ha messo in scena un omicidio che era solo un
pezzo del puzzle in una complessa e ben congegnata campagna di vendetta
personale sfruttando abilmente le debolezze umane e i limiti del moderno
apparato giudiziario. Quale sia il motivo della vendetta lascio ai volenterosi
lettori di trovarlo.
Quindi siamo di fronte ad un’amara
riflessione sul senso e sull’applicazione della giustizia. Perché, come fa
notare Dürrenmatt, non è data giustizia umana se il mondo è governato dal caso.
La mancanza, l’assenza di una possibile giustizia diventa al fine un elemento
costitutivo del vivere degli uomini, non più un accidente della vita.
Considerazioni che concluderei con una fondante domanda, a valle dei rapporti
di Kohler con Spät e con gli altri burattini del testo: chi è il colpevole, chi
dà l’incarico o chi lo accetta?
E. O. Chirovici “Il libro degli specchi” Corriere
Thriller Psicologici 17 euro 7,90
[A: 19/11/2018 – I: 11/03/2022 – T:
13/03/2022] &&& --
[titolo: The Book of Mirrors; lingua:
inglese; pagine: 268; anno:
2017]
In
realtà il suo nome completo è Eugen Ovidiu Chirovici, ed è rumeno. Per una
serie di motivi poi emigrato in Occidente, e questo è il primo libro scritto
direttamente non nella lingua natia. Da cui, anche, la decisione di nascondere
quei nomi propri un po’ troppo riconoscibili.
Uomo
dalla vita interessante e poliedrica, Chirovici, all’improvviso a 48 anni,
decide di lasciare la Romania, e di trasferirsi in Inghilterra, per seguire la
sua passione per la scrittura. Impiegherà cinque anni per farsi conoscere con
questo libro, e cominciare una carriera di discreta successo. Dove, casi della
vita, dall’inizio della pandemia si stabilisce a Firenze.
Questo
libro, che lo ha lanciato sul mercato, pur non eccelso, è di certo intrigante,
ben congeniato. Ho faticato un po’ a collocarlo nel filone della sua uscita,
tra i thriller psicologici, che, giustamente, è anche un thriller a pieno
titolo. Ragionandoci sopra a libro chiuso, però, mi accorgo che il punto
centrale non era “chi ha ucciso”, ma “perché”, e soprattutto è un romanzo
sull’inattendibilità dei ricordi. Mi ha fatto al solito venire in mente “Il
senso della fine” di Barnes, ma questa sarebbe tutta un’altra storia.
Intanto,
Chirovici utilizza un buon impianto di scrittura, utilizzando tre voci, nelle
tre parti del libro, portano avanti la storia. Ognuno diverso, ma conseguenti
di modo che alla fine, il quadro risulta ben disegnato, e ben si segue
nell’accidentato percorso della storia.
Il
primo che incontriamo è Peter Katz, agente letterario alla ricerca di nuovi
autori. Si trova nella posta uno strano manoscritto, dotato di una scrittura
affascinante. Scritto da tal Richard Flynn, che narra di un famoso omicidio
avvenuto trent’anni prima, e di cui, ora, lui svelerà la verità. Il manoscritto
narra la storia di Richard, del suo amore per Laura e dei loro rapporti con il
professor Wieder e con il suo tuttofare Derek. Manoscritto che però si
interrompe, volutamente poco prima di rivelare chi ha ucciso, poco prima del
Natale del 1987, il professor Wieder. Katz si mette alla ricerca di Richard, ma
scopre che è morto da poco di tumore e nessuno conosce l’esistenza dello
scritto.
Katz
allora affida al giornalista John Keller di ricostruire la verità. Keller,
abile cronista, racconta la sua ricerca in prima persona nella seconda parte.
Scopre così che Wieder stava lavorando ad una rivoluzionaria ricerca sulla
memoria, che però non venne mai pubblicata. Trova tutti i protagonisti della
vicenda: Laura, che cambiato il cognome ora è lei stessa docente di psicologia;
Derek, accusato a suo tempo di aver ucciso la moglie, finito in manicomio, e
preso in cura da Wieder; Sarah, l’amica di Laura che gli fornì un alibi per la
sera dell’omicidio; Roy Freeman, il detective in pensione che si occupò del
caso. E qui gli specchi si deformano: Richard e Laura era solo amici, Richard
era ossessionato dalla scrittura, il manoscritto di Wieder sparito.
Keller
non riesce però a concludere, ma ha risvegliato l’interesse di Roy. Che
riprende in mano il caso, e nell’ultima parte ci narra la sua ricerca finale.
Smonta gli alibi di tutti, che Richard, Laura e Derek erano tutti presenti a
casa Wieder la sera della morte. C’è anche una confessione estemporanea, che
permette a Roy di chiudere finalmente il caso.
L’intrigante
bellezza dello scritto, anche se non eccelso, è nel presentare le tre parti
come incastrate in un gioco di specchi. Dove ognuno dice la sua verità,
ritenendola assoluta, ma che alla fine non è altro che un gioco della memoria,
in cui ricordi veri e falsi si mescolano a desideri di realtà.
Esemplare,
per capire il romanzo, è il racconto della genesi interiore dell’autore che lui
ci narra in post-fazione. L’idea gli venne parlando con la madre di un suo
ricordo d’infanzia: il funerale di un giovane calciatore, di cui ricordava la
bara con il pallone dentro. Ma la madre gli dimostra che lui era troppo piccolo
all’epoca e quel ricordo non poteva essere suo, ma forse di qualcuno che glielo
aveva narrato. Con tanta realtà che il racconto, da esterno, era diventato parte
dei ricordi personali dello scrittore.
La
memoria è un luogo affascinante, e tutti sappiamo quanto possa essere di una
limpidezza cristallina, ma anche quanto possa diventare uno stagno torbido. Noi
speriamo, con l’autore ed i suoi personaggi migliori, di poterla conservare
sino alla fine. Che la lezione che traiamo, anche, da questo libro è che nulla
è come sembra, tutto è da scoprire, forse dobbiamo anche scoprire chi siamo.
Quarte trama del mese, quindi riposano
allegati ed altro, ed emerge dalla memoria una frase di un premio Nobel a me
caro, l’egiziano Nagib Mahfuz che nel suo “Karnak Café” ci esortava
al seguente pensiero: “è sempre inutile parlare delle storie d’amore con
le persone direttamente interessate”. (31)
Scrivo queste righe al ritorno di un veloce ed
interessante fine settimana parmense, per una visita al labirinto di Franco
Maria Ricci in onore di Borges, ed alla bella mostra sull’aeropittura
futurista. Nonché cullando il pensiero alla “palindromia corta” di oggi ed alla
ripetitività numerica della trama. Ricordo infatti che, in notazione corta,
oggi sarebbe il 22/5/22. E questa trama, come vedete dal titolo, è numerata
come “2022 20”.
Se volete parliamo di numeri, altrimenti continuo, come immaginate, a lavorare alla programmazione estiva, con molti e quasi insormontabili problemi sugli alloggi islandesi. Finisco con un grande abbraccio per gli altri compleanni appena passati.
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