Georges Simenon “Il clan dei Mahé” Repubblica
Simenon 12 euro 9,90
[A: 13/12/2019 – I: 07/09/2022 – T: 09/09/2022] - &&&
[tit. or.: Le cercle des Mahé; ling. or.: francese; pagine: 149; anno 1946]
Come
forse anche troppe volte ricordato, siamo in tempo di guerra, Simenon è
confinato in Vandea, dove scrive a rilento, e viene pubblicato ancora più a
rilento da Gallimard. Ha preso accordi con Sven Nielsen per le uscite dopo la
fine del contratto, ma alcune opere sono legate a Gallimard, così che questa,
scritta sempre a Saint-Mesmin-le-Vieux in Vandea, e terminata due giorni dopo
la firma della resa dell’esercito tedesco, vedrà la luce solo l’anno
successivo, quando la famiglia Simenon si è già trasferita in America.
Sul
lungo soggiorno-esilio americano torneremo in seguito, qui passiamo a vedere un
aspetto complesso, che dà anche una visione più articolato dello scritto e
delle sue motivazioni. Infatti, cosa non usuale per Simenon, il libro comincia
con una dedica: “A Tigy, in ricordo di Saint-Mesmin”. Ed il libro si svolge per
la maggior parte del tempo a Porquerolles, una delle stelle fisse di Simenon.
L’isola di fronte a Marsiglia, l’avevano scoperta nel ’28, prima che Simenon
potesse aspirare ad essere Simenon. Approfittando dei soldi derivati dalla
vendita di un quadro dipinto da Tigy, i due si regalano una vacanza nell’allora
poco nota isola di Porquerolles. Di cui si innamorano e dove torneranno spesso
e volentieri durante molti anni.
Ma
se l’ambientazione isolana dovrebbe essere positiva verso Tigy, la dedica,
indicando il tempo presente della scrittura e l’esilio vandeano, serve anche a
sottolineare il distacco che sta avvenendo tra i due. A Saint-Mesmin, Tigy
scopre Georges a letto con Boule, la domestica. E Simenon le dice che non solo
lui va a letto con Boule, ma che l’ha tradita centinaia di volte, confessando
quello che ben sappiamo, essere lui un “addicted” non solo della scrittura ma
anche del sesso. Con quelle parole, sottolinea a Tigy: io sono così, qui in
Vandea e lì sull’isola. Prendere o lasciare!
C’è
un altro, e forse meno sottile messaggio, in questo romanzo. Simenon sembra
dirci che anche lui si sente soffocato da una cerchia di personaggi (madre,
moglie, figlio) che lo fanno agire come una marionetta in mani altrui. Lui,
come Mahé, vuole rompere il cerchio soffocante. E di sicuro, dal tempo
americano, per seguire con il ritorno in Europa, sino al finale esilio
svizzero, Simenon agisce molto più come se avesse rotto il cerchio. Peccato,
che tra i cocci finiscano molte persone, in generale quasi tutte le donne con
cui ha contatto, mogli, amanti, figlie. Solo chi ha una remissione attiva verso
di lui, alla fine, ne uscirà in maniera positiva.
Ma
ora è meglio tornare al romanzo.
Incentrato,
fin dal suo inizio, sulla figura del dottor Mahé. Poco più che trentenne,
sposato con Hélène, da cui ha avuto due figli. Vive a Saint-Hilaire in Vandea
con l’anziana madre. Un estate, invece di recarsi in montagna nel Giura, decide
di affrontare il caldo sud della Francia, e sbarca, con moglie, figli e tata,
nell’isola di Porquerolles.
Qui
sperimenta una sua libertà che non pensava di avere. Anche se si sente sempre
estraneo ai locali, ne cerca il contatto. Va a pesca di ombrine, senza mai
pescarne una. Si inserisce nelle locali squadre di petanque (le bocce
francesi). Tanto che quando c’è da certificare una morta, in mancanza del
medico locale, è lui che viene convocato. Ed è lì, nella fatiscente casa della
famiglia Klamm, che fa il primo incontro con l’adolescente Elisabeth.
Una
ragazza che incarna tutto quello che lui non è mai stato. Ragazza che si fa
carico della famiglia, dovendo badare ad un padre ubriacone ed a due fratelli
più piccoli. Ragazza che non sentiremo mai parlare direttamente per tutto il
romanzo ma che con la sua presenza nei pensieri e nei sogni di François incarna
l’altro cui il dottore aspira. Quasi fossero i treni del famoso Popinga.
Senza
capirne realmente i motivi, anno dopo anno, François riporta la famiglia a
Porquerolles. Perché? Perché la moglie non ne è contenta. Perché la madre
sembra volergli indicare altre mete. Lui torna, ogni anno più integrato. Ogni
anno alla ricerca di un contatto con Elisabeth che non avverrà mai. Anzi
avverrà per interposta persona, quando suo nipote Fred, da lui istigato, avrà
con la ragazza un momento di “forte intimità”.
Passano
altri anni, mamma Mahé muore di cancro (e noi notiamo come puntigliosamente
abbia predisposto tutto per i suoi funerali, sottintendendo che il figlio non
ne sarebbe stato capace), i Mahé tornano a Porquerolles, ogni volta più
integrati. Anche se Elisabeth ora cresciuta si è spostata a Hyeres (l’isola
vicina). E ragionando su questa vita, diversa, altra, François matura l’idea di
lasciare la terraferma e stabilirsi sull’isola, comprando il posto del medico
locale.
I
sogni di François sono molto più forti della realtà. Non arriverà mai ad
incontrare Elisabeth. Non saprà mai cosa succederà alla sua famiglia, dopo il
trasferimento a Porquerolles. Che una notte, solitario, in barca, finalmente
riuscirà a pescare le ombrine che inseguiva dalla prima pagina. Il cerchio si
chiude. Certo, Mahé lo ha spezzato. Ma a che prezzo?
François,
alla fine, si rende cosciente di aver vissuto una vita che gli hanno imposto,
facendogli credere di essere lui a prendere le decisioni che altri avevano già
scelto per lui. Vittima di un complotto ordito dalla sua cerchia familiare,
dalla cerchia del proprio cognome. Termine che avrei mantenuto, laddove “clan”
sembra rivolgersi più ad ambienti malavitosi (il clan dei marsigliesi). Ma
quando si ribella, François scopre di essere inadeguato ad una vita diversa.
È
come detto, un romanzo molto emblematico, che Simenon scrive perché ha voglia
di urlare. Ma proprio per questo, perché è in fondo un romanzo a tema, la sua
forza risulta minore di altre uscite del nostro. Aspettiamo che si sistemi in
America per capirlo meglio.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Porquerolles. Saint-Hilaire (Vandea).
Hyères. |
François Mahé, medico, sposato, due figli, 32 anni
all’inizio del romanzo |
Hélène Mahé, moglie di
François Mme Mahé, madre di
François Elisabeth,
primogenita di Frans Klamm, adolescente ad inizio romanzo |
Cinque anni |
Epoca contemporanea |
Georges Simenon “Tre camere a Manhattan” Repubblica
Simenon 5 s.p. (duplicato)
[A: 21/11/2019 – I: 04/09/2022 – T: 05/09/2022] - &&&&
[tit. or.: Trois chambres à Manhattan; ling. or.: francese; pagine: 188; anno 1946]
Avevo letto questo mirabile libro qualche
anno fa, nei tipi delle edizioni Adelphi. Ora che sto seguendo il percorso di
Simenon attraverso un po’ meno della metà dei libri “non Maigret”, lo riprendo
nelle edizioni di Repubblica e ne completo alcune parti.
Avevamo lasciato Simenon a Londra, pronto a
lasciare l’Europa. Solo nel settembre del ’45 ottiene il visto, e subito si
imbarca a Southampton su di un cargo svedese della compagnia “Cunard Line”. Il
5 ottobre, con Tigy ed il figlio Marc sbarca a New York e si installa in un
hotel di Park Avenue. Sebbene affascinato dalla Grande Mela, i ritmi non sono i
suoi, così che in novembre si sposta in Canada nel Québec a Sainte-Marguerite-du-Lac-Masson,
in una casa di legno vicino al lago di cui sopra.
Per contatti di lavoro, ovvio che sia spesso
a New York. Ed ovvio che abbia bisogno di aiuto nella lingua, motivo per cui
ingaggia come segretaria bilingue Denyse Ouimet (nata il 14 maggio 1920, quindi
un toro, e di 17 anni più giovane dello scrittore). Un incontro che sarà, come
sappiamo, decisivo nella vita di Simenon.
Ben presto (come spesso accade a quasi tutte
le donne che incrociano la sua via) diverrà la sua amante, poi la sua
compagnia, nel 1949 gli darà un altro figlio (Jean) e l’anno seguente, per non
incorrere nelle severe leggi americane sulle relazioni matrimoniali, divorzia
da Tigy e sposa Denyse. Che, come sappiamo, nel 1953 partorisce Marie-Jo, che
tornerà in Europa con lui, che nel 1959 partorisce il terzo figlio con lui,
Pierre.
Intanto, l’incontro per lui sembra fatato.
Non tanto per tutto quanto succederà dopo, che nel ’46 ancora non può
prevedere. Ma per quell’aura di novità e di magia che Denyse porta nella sua
vita. Laddove, il rapporto con Tigy si consumava quasi nell’indifferenza. Come
spesso accade ai grandi scrittori, ecco che, dalla sua vicenda privata, nasce
un libro, un’ode quasi, a New York, a Denyse, ma anche, e qui non possiamo mai
sottovalutare lo smisurato ego di Simenon, a sé stesso ed al suo modo di
vivere. Non solo, ma saranno ben 9 i libri che riuscirà a terminare nel
prolifico 1946.
Con gli occhi di chi ha letto della “Grande
Mela” e che la sta conoscendo a poco a poco, Simenon si traveste nei panni di
François Combe, attore spiantato, lasciato dalla moglie per un giovane gigolò,
e che sta tentando di riciclarsi oltre oceano, con quella rete di contatti che
un attore, un dì famoso, non può non avere. Ma l’abbondono della moglie lascia
François senza voglia di lottare, tanto che si accontenta di piccole parti
radiofoniche e vive in una camera di Manhattan, addirittura senza telefono. Si
abbandona a lunghe passeggiate notturne, entrando e uscendo dai tutti quei
locali, aperti 24/7, bevendo e fumando.
In uno di questi, casualmente, quasi senza
volerlo, comincia a parlare con una signorina, Kay, spiantata, lasciata fuori
casa da una coinquilina altrettanto “fuori di testa”. Ma Kay ha una storia,
dietro di sé. E mentre François racconta la sua, con una discreta dose di
onestà, Kay ci lascia brandelli della sua vita, un po’ reali ed un po’
fantastici. Ha vissuto qua e là per l’Europa, è stata sposata all’ambasciatore
ungherese a Parigi, con cui ha una figlia, è andata via (ma come? Perché? Non
ne sapremo mai realmente abbastanza). Ha vissuto (e forse vive) di espedienti.
Ma (e qui, oltre ad altro che forse non sappiamo e non ci interessa) conosce
bene le due lingue, come Denyse. Seppur giovane ha una sensualità che colpisce
François, come Denyse colpisce Georges. In questo clima che qualcuno ha
giustamente definito “hopperiano” si consuma lo srotolamento del loro rapporto.
Dopo poco Kay va a vivere da François, tanto
che lui comincia a non poterne fare a meno. Tanto che è la stessa Kay che gli
dà la forza di riprendere a combattere per tirarsi fuori dalle secche inaridite
della non realizzazione. Ma Kay è sempre sfuggente, non si capisce se ami
François o voglia solo sfruttarlo. La prova decisiva, per entrambi, avviene
quando Kay è chiamata dal suo ex per una malattia della figlia e lascia solo
François per un periodo. Tornerà? Era anche questa una nuova bugia del
“personaggio Kay”? François, nelle more, decide di scopare di nuovo con altre
donne. Georges non si smentisce mai.
Ma sarà proprio il ritorno di Kay, che
consente a Simenon di fare la sua dichiarazione d’amore alla bella, ma anche di
affermare, sulla carta e per sempre nella vita: “non mi tirerò indietro mai di
fronte ad una notte d’amore, anche se ti amo e ti amerò sempre”. Certo quel
sempre è un po’ ballerino, ma in effetti Georges amerà a lungo Denyse. Pur
continuando a scopare a destra e a manca.
È un bellissimo libro, forse in alcune parti
irrisolto, ma che ci dà la piena misura dell’aderenza, se ce ne fosse una
controprova, dell’opera alla vita di Simenon. E ci dà una descrizione della New
York notturna, che solo un francese appena arrivato ci poteva dare: bar fumosi,
caffè lenti, alcool a profusione, tanto da ubriacarsi. Con Kay che si accende
sigarette in continuazione. Con un plot che sembra già un film, anche se il
film sarà realizzato solo venti anni dopo, con la regia di Marcel Carné, il
ruolo di Kay interpretato da Annie Girardot ed una stupenda colonna sonora
scritta ed interpretata da Mal Waldron e Martial Solal. Una chicca per i miei
cugini cinefili: in questo film compare per la prima volta come figurante un
giovane Robert De Niro.
Comunque, erano molti i registi che avevano
pensato ad un film, senza concretizzarsi. Tutti centrati alla ricerca della
giusta “Kay”. Che prima della Girardot, si pensò a Simone Signoret, a Jeanne
Moreau. Renoir sognava Leslie Caron, mentre Melville scommetteva su Monica
Vitti.
Infine, per tornare al libro, queste camere
segnano anche l’esordio di Simenon con le “Presses de la Citè”, e con un
successo da best-seller immediato. Per quanto riguarda le citazioni, rimando
alla prima lettura, delle edizioni Adelphi.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Manhattan, Messico |
François Combe, chiamato Franck, attore di teatro,
temporaneamente disoccupato, sposato e separato, 48 anni |
Kathleen Miller, chiamata Kay, austriaca, divorziata con
una figlia, 32 anni |
Una settimana ed un appendice |
Epoca contemporanea |
Georges Simenon “Lettera al mio giudice” Repubblica
Simenon 2 euro 9,90
[A: 04/10/2018 – I: 10/09/2022 – T: 13/09/2022] - &&&
[tit. or.: Lettre à mon juge; ling. or.: francese; pagine: 204; anno 1947]
Ormai
siamo in pieno nel Nuovo Mondo, all’inizio di quella che Simenon respira come
aria nuova, per i posti, ma soprattutto per le persone, in particolare Denyse,
la sua nuova segretaria e non solo. Ma si sa che il nostro scrittore non è mai
contento di dove si ferma.
Così,
intanto, si sposta da Sainte-Marguerite-du-Lac-Masson (Québec, vicino a
Montreal) a Saint Andrews nel New Brunswick, attaccato al Maine, così da poter
andare velocemente a New York. Lì nella sua nuova casa, Glengary House,
riprende la scrittura, finendo due nuovi romanzi, e terminando così il
contratto con Gallimard.
Ma
non è soddisfatto del freddo Nord, ed allora, ecco la grande avventura. Prende
due auto, una Chevrolet, in cui viaggiano lui, Denyse ed il figlio Marc, ed una
Oldsmobile, con Tigy, Boule e la tata di Marc. Partono in settembre per quello
che diventerà uno dei suoi più interessanti reportage sugli Stati Uniti:
“L’America in auto”. Parte dal Maine ed attraversa Massachusetts, Connecticut,
New Jersey, Pennsylvania, Maryland, Virginia, Carolina Nord e Sud, Georgia e
dopo 5.000 km arriva in Florida a Miami. Ed in novembre è in Florida, al caldo
di Bradenton Beach che si fermano in un bungalow di legno chiamato “Coral
Sands”. Qui, pur oppresso dal caldo, in dieci giorni, ai primi di dicembre,
scrive forsennatamente questo libro. Il secondo grido di dolore e d’amore
americano. Che al solito, verrà pubblicato da Sven solo nel luglio del 1947.
Per
cominciare, è uno scritto atipico che tra i 193 romanzi, tra Maigret e non
Maigret, solo questo ed un successivo “Le memorie di Maigret” sono scritti in
prima persona. Inoltre, questo rappresenta uno sforzo titanico di scrittura,
che, appunto, sono duecento pagine di una lettera che il dottor Charles
Alavoine, detenuto, scrive al magistrato che ha istituito il suo processo, giudice
Ernest Coméliau. Torneremo poi in finale sulla genesi di nomi e personaggi.
È un
testo al tempo stesso semplice e complesso. Charles vuole spiegare i motivi ed
il susseguirsi di azioni temporali che lo hanno portato lì, davanti al giudice.
Vuole far comprendere, al giudice, ed a tutti, che il suo non è stato un gesto
improvviso di un povero pazzo, ma la conseguenza, secondo lui inevitabile, di
tutta una serie di avvenimenti che hanno costellato la sua vita. Così Simenon,
andando anche avanti ed indietro nella scale temporale, ma sempre utilizzando
la voce di Charles, arriva a descriverci la su vita, le sue gesta, nonché il
processo.
Vediamo
così uscire dalla penna di Charles la descrizione della vita di un dottore suo
malgrado, sposatosi senza passione per volere della madre. Rimasto vedovo con
due figli, si risposa con Armande, donna volitiva, che pian pianino prende
possesso della sua vita, dell’affetto delle figlie, mettendo anche in secondo
piano la madre di Charles.
E
lui si sente compresso in una vita che non sente sua. Fino a che (salto molto
ma andiamo al sodo) incontra Martine Englebert, belga di Liegi, con alle spalle
una vita molto al limite, e spesso oltre la decenza (non dico prostituta, ma
escort di media lega sì). In lei trova l’amore, la passione, la forza di uscire
da un mondo che non sente più suo. La prende come assistente, la istalla in
casa. Ma ben presto si accorge che il ménage a tre non può reggere a lungo.
Allora, abbandona moglie, madre, figlie, dalla provincia si sposta a Parigi,
ricomincia il percorso di medico di base dal basso.
Soprattutto,
ha un rapporto sempre più morboso con Martine. Anche se riesce a tirar fuori
dalla ragazza che si stava perdendo, quella Martine della giovinezza, fresca,
immediata, solare. Charles è anche conscio delle proprie paure, della
sofferenza che avrebbe con la Martine “escort”, momenti che esorcizza con
sfoghi di violenza improvvisi.
Tutto
questo, non poteva essere detto al processo, Charles non avrebbe potuto trovare
le parole giuste, quelle che ora usa con il giudice per arrivare al punto
cruciale. L’amore assoluto, il bisogno che Martine non torni più ad essere la
“seconda” Martine, non può che portarlo al delitto finale. Martine non cambierà
più. Sarà sempre con lui. Morti.
È un
saggio sull’ossessione sessuale e sulla gelosia in cui, neanche tanto
velatamente, Simenon si sfoga. Non è più soddisfatto del rapporto con
Armande-Tigy, si vuole allontanare dalla madre, trova la sua liberazione
personale e sessuale in Martine-Denyse.
Tutte
cose che anche il suo entourage capirà. Da lì a poco tempo ci sarà il divorzio
da Tigy, ci sarà il matrimonio con Denyse. Ma Simenon sa che anche lui ha
alzato le mani su Denyse. Sa che non smetterà mai di essere geloso,
ossessivamente. Sa che non smetterà mai di andare a letto con tante altre
donne. Qui esorcizza i suoi temi portando Charles oltre un limite che lui non
oltrepasserà mai. Anzi, lo scrivere di Charles fa sì che Simenon capisca i suoi
di limiti. Frenandoli. Anche se, e lo sappiamo, la sua vita familiare non sarà
mai serena. Verranno nel futuro le crisi depressive di Denyse, fino al suo
ricovero psichiatrico. Verranno gli anaffettivi rapporti con i figli, fino al
suicidio della figlia Marie-Jo. Vedremo Tigy che sarà sempre nell’ombra
accettando tutto quello che è stato Simenon, e non chiedendo altro.
Ma
qui parliamo del testo. Del modo magistrale di raccontarsi di Charles, che io
ritengo pazzo, e che si esprime con grande lucidità. Vediamo come meticolosa
sia anche la descrizione sghemba del processo. Non ne parla mai direttamente,
ma ne abbiamo una pittura viva e presente, con gli interrogatori, le arringhe,
la folla, gli avvocati.
Poi
ci sono anche i nominalismi e le riprese, che si sa Simenon, scrivendo
velocemente ed a getto continuo, a volte, anche inconsciamente, riprende ad
orecchio cose di altri scritti, o di altra vita. Un solo esempio: a pagina 31
il ricordo che Charles fa del padre mescola tratti del padre di Maigret
(fattore) e del padre di Mahé del romanzo precedente. Per non parlare dei
luoghi e dei nomi: Martine è di Liegi, come Simenon, e quando vanno a visitare
la cittadina belga, facili sono i ricordi personali che vengono fuori. Inoltre,
Martine fa di cognome Englebert, così come lo zio paterno di Simenon. Per non
dimenticare che il giudice Ernest Coméliau è il grande antagonista di Maigret,
quello integerrimo che ostacola tutte le iniziative fuori dalle righe del
commissario. Un’insalata mista di fatti da solleticare i palati più fini.
Un
ultima considerazione “Lettera al mio giudice” e “Tre camere a Manhattan”
formano un duo librario quasi inscindibile, un grido d’amore di Simenon per
Denyse. Con i due possibili finali: positivo a Manhattan, nero e cupo a Parigi.
Di questo duo si accorge il pubblico francese, dove i due libri nel biennio
’46-’47 vendono più di un milione di copie. Una follia molto redditizia.
“Come
potevo spiegarle che si poteva essere felici e soffrire? … io non avevo mai
sofferto prima che Martine mi rivelasse la felicità” (192)
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Prigione di La-Roche-sur-Yon |
Charles Alavoine, medico, sposato, due figli |
Armande Alavoine, seconda moglie di Charles Martine
Englebert, amante di Charles Ernest Coméliau, giudice |
Un giorno (anche se la vicenda narrata
spazia su più anni) |
Epoca contemporanea |
Georges Simenon “Il destino dei Malou” Repubblica
Simenon 27 euro 9,90
[A: 06/05/2020 – I: 07/10/2022 – T: 08/10/2022] - &&&
[tit. or.: Le destin des Malou; ling. or.: francese; pagine: 203; anno 1947]
Simenon
è ormai ben deciso a restare in America, patria secondo lui della “vera
narrativa”. Certo è sempre insofferente, ma per alcuni mesi (anzi più o meno un
anno) resta di base in Florida. Come detto nella precedente trama, a fine ’46
aveva fatto un lungo viaggio per le strade americane, quasi a ricaricare le sue
pile interiori dopo i dieci anni passati in Vandea, compresi quelli della
guerra. Il ’47 invece inizia con un viaggio in gennaio a Cuba, per poi
dedicarsi, anima e corpo, alla scrittura (tanto che saranno ben otto i libri
che vedranno la luce in questo anno), nella sperduta Anna Maria Island, in quel
bungalow di legno chiamato “Coral Sand”. Isola legata alla terra ferma di
Bradenton Beach da un lungo ponte.
Comincia
già da febbraio, dove, non più in sette giorni, ma in dieci, dal 12 al 22
febbraio, imbastisce la trama di un nuovo viaggio del suo protagonista verso
una presa di coscienza, che ben vedremo sviluppata. Inoltre, grazie al
sodalizio da poco intrapreso ma assai fruttuoso con l’amico Sven, i suoi libri
prendono ad uscire poco dopo la redazione. Così che questa saga della famiglia
Malou esce in Francia nello stesso anno, sebbene dopo l’estate.
In
questo, forse più che in altre prove, emergono ben delineati due dei concetti
che Simenon persegue in tutta la sua opera: la ricerca dell’essere uomo e la
concezione del destino che inferisce sulle sorti umane. È anche una lunga
battaglia fra un giovane, il diciassettenne protagonista Alain, e la presenza o
lo spettro dei suoi genitori. Qualcuno adombrava un velato rapporto incrociato
con le vicende personali di Simenon. Ma lui aveva sempre avuto un buon rapporto
con il padre (che muore d’infarto a 44 anni, quando Georges ne ha diciotto) e
sempre un gran conflitto con la madre, che da sempre gli preferiva il fratello Christian.
Il
romanzo, in sé, è una lunga escalation interiore di Alain, che inizia dalle
prime pagine quando, all’uscita del liceo, assiste al suicidio del padre. Eugène
Malou è all’epoca un imprenditore edile, sempre in lotta con finanziamenti e
povertà, che ha avuto l’idea visionaria di costruire un nuovo quartiere vicino
alla cittadina in cui vivono (di cui non viene mai fatto il nome) e di
chiamarlo Malouville. Una cittadina all’avanguardia, nelle concezioni
urbanistiche. Peccato che non sia collegata con la città, e che questi
collegamenti, un tempo promessi, non vengano mai realizzati. Così Malou senior
si trova sommerso di debiti, costretto a chiedere prestiti. Ed è al conte
d’Estier cui ancora una volta si rivolge, ed al suo rifiuto, si toglie la vita.
È
l’ultimo atto dei Malou così come erano sempre noti, un atto che disgrega in un
attimo tutta la famiglia. La moglie, attaccata al denaro (in realtà seconda
moglie), ha forse nascosto gioielli e piccoli beni, così che, a morte avvenuta,
si dilegua dalla cittadina per veleggiare con la sorella verso Parigi.
Lasciando i tre giovani Malou.
Edgard,
il primogenito, è figlio della prima moglie di Eugène, donna del popolo presto
abbandonata. Un trentenne senza polso, sposato, pecora mal riuscita in un mondo
di lupi, con il solo intento di far dimenticare le sue origini. Corine,
ventenne senza arte né parte, che ha per solo sostegno il proprio corpo, che
ben usa cercando di accalappiare un medico purtroppo sposato. Corine senza
pudore, ma che non riuscirà a gestire la pretesa libertà.
Rimane
Alain, catapultato nel mondo una volta sparito lo scudo paterno. Ma che da
quella morte inizia un percorso di conoscenza verso le sue radici. Chi era il
padre che non c’è più? Un truffatore? Un sognatore? Un ricattatore? Sarà
l’incontro con Joseph, l’amico di gioventù del padre, che comincerà a fornirgli
spunti di riflessione. Seguiamo il racconto di Joseph e con Alain capiamo anche
noi cose su Eugène che non ci si aspettava. L’ascendenza familiare, che forse i
Malou venivano da qualche sperduta landa polacca. La gioventù di Eugène a
Marsiglia, con i suoi aneliti libertari. L’aiuto a Joseph quando viene inviato
ai lavori forzati. L’idea illuministica di una città a misura d’uomo come nasce
dai colloqui con François, un altro amico del padre. Per fare tutto ciò, lui
senza basi, ricatta i potenti, fa azioni poco onorevoli. Insomma, alla fine per
Alain esce fuori un padre assai diverso da quello che lui teneva nella mente.
Scoprendo anche la vera ragione dell’insensato gesto paterno.
Arrivato
al bivio, se seguire le orme paterne di lotta e di ricatti, Alain decide di
essere altro, abbandona tutto, si avvia ad attraversare la sua linea d’ombra in
una via tutta sua e tutta inesplorata. Come Simenon nella sua mente, e come
Maigret esplicitamente in alcune pagine, pensa al suo futuro perché no, come
medico, come una persona che accomoda, senza eroismo, i destini altrui.
Simenon
ci porta ad una feroce riflessione sulle nostre radici. Abbiamo mai realmente
pensato da chi veniamo, cosa ce ne portiamo dietro, cosa vorremmo aver fatto,
ed i tempi e le paure forse ce ne hanno impedito? È sempre un bel leggere, è
sempre un bel modo di riflettere seguendo una scrittura di sicuro ben fatta.
E
quando alla fine di un libro si continua a pensare, credo ci sia poco da dire. Solo
applaudire.
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Una imprecisata cittadina francese di provincia |
Alain Malou, figlio di Eugène Malou, liceale, 17 anni |
Eugène Malou, promotore di una società urbanistica,
sposato, 57 anni Corine Malou, figlia di Eugène e sorella di Alain,
celibe, poco più che ventenne François
Foucret, capomastro, pensionato sui sessant’anni Joseph
Bourges, amico di Eugène Malou ed ex-forzato, 58 anni |
Un paio di settimane |
Epoca contemporanea |
Georges Simenon “Il fondo della bottiglia” Repubblica
Simenon 35 euro 9,90
[A: 28/05/2020 – I: 11/10/2022 – T: 13/10/2022] - &&& e ½
[tit. or.: Le fond de la bouteille; ling. or.: francese; pagine: 174; anno 1949]
Dopo
il periodo solatio in Florida, già durante il ’47 Simenon è ripreso dall’ansia
di trovare posti migliori e più adatti a dargli la serenità di scrivere i suoi
romanzi. Specie quelli “duri”, anche se non può disdegnare di produrre alcuni
“Maigret”, dovendo pur assicurarsi basi economiche solide. Ecco allora che,
lasciando la moglie in Florida, con la segretaria amante ed il figlio Marc,
carica armi e bagagli su di una Packard, e si appresta a lasciare la Florida
dove non farà più ritorno. Attraversa tutti gli stati di confine (Alabama,
Mississippi, Luisiana, Texas, Nuovo Messico), fino a trovare una base in
Arizona, a Tucson dove vi si stabilisce dall’agosto ’47 al giugno ’48. Lì, in
un quartiere alla moda come Snobs’Hollow scrive quattro romanzi, tra cui uno
considerato tra i migliori (“La neve era sporca”).
Lì a
Tucson, riceve anche una ferale notizia: in una imboscata in Vietnam muore il
caporale Christian Renaud, che altri non è che suo fratello Christian Simenon
di 41 anni. Christian era stato coinvolto in una spedizione punitiva condotta
insieme ad una pattuglia di SS verso degli ebrei, cosa che lo aveva condannato
a morte in contumacia. Si era ancora in Francia, e Georges convince ed aiuta il
fratello a scappare ed arruolarsi nella Legione Straniera. Da lì, sotto falso
nome, il fratello passa nell’esercito regolare francese, viene inviato in
Vietnam, dove, appunto, muore in un conflitto a fuoco tra That Khe e Dong Kue,
a nord-est di Hanoi. Una ferita che si riapre, che mai il loro rapporto era
stato sereno. Aggravata dalla loro madre che accuserà sempre Georges della
morte di Christian.
Per
questo, anche se di poco, decide di cambiare aria, e dal giugno ’48, per altri
dodici mesi, si sposta di poco a sud, nella villetta di Stud Barn nella città
di Tumacacori, a meno di venti chilometri da Nogales, la prima cittadina
messicana. In quest’anno quasi di confine, scrive altri tre romanzi, il primo
dei quali è questo romanzo alcolico, “Il fondo della bottiglia”. Dove tre
elementi forti, molto sentiti da Simenon in quel periodo, vengono fuori: la
lotta dell’uomo venuto dal niente per essere accettato dalla buona società, il
rapporto tra fratelli diversi, il rapporto con le donne, le mogli, l’altro
sesso in genere.
Un
libro forte, molto americano, tanto che tutto lì si svolge, uno dei più neri
tra i suoi romanzi “duri”. Il primo elemento che abbiamo scritto sopra viene
dalla descrizione della vita del protagonista, Patrick Martin Ashbridge,
chiamato P.M. nella comunità locale. Venuto fuori da una piccola cittadina
dell’Iowa, senza arte né parte, sposatosi senza convinzione, e presto
divorziato, studia sodo, esce dal fondo in cui viveva, si laurea e diventa un
discreto avvocato lì a Tucson. Dove trova il modo di sposare una ricca signora,
Nora, giovane vedova con soldi, terreni e cavalli a disposizione. Vediamo così
come il nostro descrive la tipica vita di rancheros locali, ricchi, annoiati,
che si conoscono tutti, che, dopo la settimana dedicata alle cure dei
possedimenti, nei fine settimana si dedicano a frequentarsi in massa, dando
fondo a tutti i superalcolici possibili e immaginabili. Ne esce fuori uno
spaccato americano molto duro, ma (e vi dico che l’ho visto anch’io
cinquant’anni dopo) veritiero fino all’ultima goccia.
P.M.
è molto preso da questa vita, e da Nora (che adombra in alcuni tratti la sua
nuova vita con Denyse, che non è ancora sua moglie). P.M. che ha lasciato la
prima moglie senza rimpianti (e Tigy è ancora a Coral Sand). Che vive con Nora
una vita alcolica, ma dove Nora è pronta, nel momento del bisogno, a stargli
vicino, a capirlo, a dargli forza. Sino a porre P.M. in una posizione di
rispetto: è Nora che lo serve e lo accudisce, anche quando P.M. sbaglia.
Dopo
una notte alcolica, P.M. tornando a casa trova il terzo elemento del quadro: lì
si presenta suo fratello Donald. Che non si era mai sollevato dalle
ristrettezze familiari, vissuto di lavoretti e piccole cose, sposatosi con
Mildred, una donna della loro città con cui fa tre figli. Sempre scontento e
ribelle, borderline, si dedica anche a piccole avventure ai bordi ed anche
fuori della legge. In una di queste ferisce gravemente un poliziotto, viene
arrestato e condannato. Ma dopo due anni fugge dal carcere, riesce a far
riparare Mildred in Messico, e lui, attardato da altro, si ritrova lì a
Tumacacori bloccato dal fiume Santa Cruz in piena, che vuole passare il
confine, ma che non avendo i mezzi non può che chiedere aiuto al fratello.
Tutto
il libro, a questo punto, prende una piega di lotta fratricida, in cui spesso
bontà e cattiveria si alternano nei due. Donald rimprovera P.M. di essersi
allontanato dalla famiglia, di averla scordata. P.M. ribatte con il pensiero
che lui si è dato da fare per uscire dal fango, cosa che non vede nel fratello.
Ma P.M. si sente anche colpevole di quelle dimenticanze. Ha pensato troppo a
sé, senza entrare nel mondo del fratello.
È
bello ed interessante seguire l’evolversi della vicenda tra i due, dove P.M.
prima cerca di mettere in un angolo il fratello, per aspettare che la piena
cali. Poi, dopo un lungo diverbio tra ubriachi, si rende conto che, in realtà,
e comunque, vuole bene al fratello, e cerca di aiutarlo, anche andando contro i
suoi principi, anche mettendo a rischi tutto quello che è riuscito ad ottenere
nella vita. Una conversione che Donald probabilmente non riuscirà mai a
comprendere sino in fondo.
Ci
sarebbero spunti a iosa per andare ad analizzare le varie parti che compongono
il romanzo, ma forse son troppo al di sopra delle mie corde, e forse vorrei
solo spingervi a leggerle. Simenon imbastisce un grande affresco che
ripercorre, in termini nuovi ma eterni, la sempre verde lotta tra Romolo e
Remo, tra Caino e Abele, tra Giacobbe ed Esaù. Con la moderna capacità di farci
vedere che non c’è una divisione netta tra bene e male. Tutti ne abbiamo una
parte, si tratta di capirlo e di vincere con il bene la nostra mala parte. Come
forse farà P.M., anche se sarà materia di discussione, se volete.
Otto
anni dopo il libro, il grande regista Henry Hathaway ne trae un film (“The
Bottom of the Battle”) con i due fratelli interpretati magistralmente da Van
Johnson e Joseph Cotten (anche se poi imbastisce un diverso finale che, secondo
me, non rispecchia i voleri di Simenon).
Dove |
Protagonista |
Altri
interpreti |
Durata |
Tempo |
Tumacacori (Arizona), villaggio di
frontiera tra Stati Uniti e Messico, attraversato dal fiume Santa Cruz che lo
spera dalla cittadina di Nogales |
Patrick Martin Ashbridge, chiamato P.M (o Pat dal fratello),
allevatore, avvocato e vicesceriffo onorario. Sposato con Nora dopo il
divorzio da Peggy, 42 anni |
Donald Ashbridge, fratello di P.M., condannato per tentato
omicidio e fuggito dal carcere Mildred, sposa di Donald, con cui ha tre figli Nora,
divorziata, possidente, sposa di P.M. Lil
Noland, sposa di un altro allevatore della valle e amica di Nora |
Quattro giorni |
Epoca contemporanea |
Anche questa è stata una settimana di
compleanni (Chicca, Ines, ed altre ricorrenze, alcune liete altre meno). Per tutti
allora alcuni bei pensieri di una brava scrittrice sudamericana, Marcela Serrano, che nel suo libro “I
quaderni del pianto” ci fa
condividere alcuni bei pensieri: “Gli esseri umani possono essere buoni
e cattivi insieme … forse la vita è così, due verità che scorrono insieme come
due torrenti paralleli che sfociano nel medesimo fiume” (58); “Voglio che tu mi
dica una bugia se questo mi aiuta a sopravvivere” (59); “Ad annoiarsi sono
quasi sempre le persone incapaci di partorire un progetto anche minimo,
insomma, le persone che non credono nel domani” (84).
Per celebrare una ricorrenza simpatica, siamo anche tornati dopo qualche anno a Parigi, con un freddo polare, ma con una città in fermento già proiettata verso le Olimpiadi. Noi si torna invece, contenti, ai nostri orticelli ed alle nostre pregevoli esistenze. Coronate da tante cose e da tanti affetti da condividere con tanti abbracci.
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