Ultima trama di gennaio, e siamo ancora all’analisi di un singolo autore. Dopo tre classici, ora ci siamo messi alla lettura di un francese, moderno (e come direbbe Moretti, vivente). In pandemia lessi due libri di Guillaume Musso che mi fecero una buona e più che sufficiente impressione. Poi, per varie ed opposte ragioni, lo trascurai per un anno, ma la ripresa non fu così interessante come le prime letture. Solo ora, al ritorno da Parigi con in regalo la sua prima uscita, ancora inedita in Italia, riprende un po’ dello slancio. Si vedrà in futuro…
Guillaume Musso “Central Park” Bompiani euro
12
[A: 18/09/2019
– I: 05/07/2021 – T: 07/07/2021] - &&&
e ½
[tit.
or.: Central Park; ling. or.: francese; pagine: 310;
anno 2014]
Secondo
libro delle veloci scritture di Musso, e, forse anche più del primo libro che
ho letto, poco incasellabile in uno schema, in un percorso dato. Devo anche
sottolineare che è un libro di scrittura precedente a quello letto lo scorso
anno, e, forse, questo solco che qui inaugura lo porta all’altra scrittura e
non viceversa.
Comunque,
Musso sa tenere sul filo il lettore, lo coinvolge in un caleidoscopio di
possibilità e di situazioni, portandolo in giro (non prendendolo, ovvio) a
credere prima una cosa, poi un’altra, per poi, alla fine, disvelare molto
altro, anche inaspettato.
Qui,
i colpi di scena di certo non mancano. Personaggio centrale, Alice, poliziotta
francese, che si sveglia una mattina su di una panchina, ammanettata ad una
persona che non conosce. Non solo, ma Alice ricorda solo che la sera prima si
era ubriacata con delle amiche. La prima sorpresa, oltre alle manette, è che il
tizio si chiama Gabriel e sostiene che la sera prima stava suonando al Temple
Bar di Dublino. Già questo spiazza la nostra poliziotta. Ma entrambi cadono dal
pero, quando scoprono che la panchina su cui sono seduti si trova nel Central
park di New York. Come hanno fatto ad arrivarci? E come fanno ad avere una
pistola cui mancano dei colpi? Come possono fare per liberarsi? Una trama
avvincente.
Ma
che diventa sempre più forte e tenace con il passare delle pagine. Intanto
scopriamo la vita di Alice. Polizotto durissimo che non molla mai, due anni
prima si sposa con Paul e rimane incinta. Non solo ma segue con grande trasporto
una vicenda di serial killer molto intricata. Sta per trovare il bandolo e
l’assassino, ma si fa trovare impreparata, e da lì il baratro. Il killer la
pugnala quasi a morte, uccidendo il bambino, lasciandola in fin di vita, e per
correre all’ospedale per starle accanto, Paul sbanda, finisce nella Senna e
muore. Terribile.
Ma
ora Alice sembra trovare tracce del killer di cui sopra. E nonostante sia a New
York, riesce a farsi aiutare dal suo secondo, Seymour, che sta a Parigi. Dopo
una serie di colpi di scena che vi lascio leggere con calma, Gabriel si palesa:
non è un jazzista, ma un agente dell’FBI che sta seguendo una pista di serial
killer analoga a quella di Alice, come se il killer francese o si fosse
spostato in America, o avesse un emulo, o, addirittura, un complice.
Anche
qui, tralascio i passaggi intermedi, che servono a Musso ad incatenarci alla
pagina. Si gira per New York, poi si trovano tracce che portano a Boston. Non
solo, ma dalla pistola e dal sangue, sembra addirittura facile risalire ad un
infermiere di uno sperduto ospedale nell’entroterra americano. Ma ci sono
ulteriori elementi che destabilizzano Alice. Seymour le dice di non trovare
traccia di come sia finita in America, e che, invece, trova un’altra vittima
dove avrebbe dovuto esserci il corpo del killer (non vi dico perché). Ma Alice
è un poliziotto pieno di risorse: si fa mandare il filmato della telecamera
dove aveva lasciato la macchina. Ed alla guida c’è proprio Seymour. Non solo,
le impronte digitali del killer, che lei aveva preso due anni prima, sono
esattamente le stesse di Gabriel. È forse lui il killer che ha montato tutta la
messa in scena, solo per trovare la sua vendetta definitiva?
L’abilità
di Musso è di fornirci l’ultima parte del libro che ribalta tutte le certezze,
che ci fa rileggere tutte le prime duecento pagine in un’ottica diversa. E non
in un’ottica brutta. Anzi, la parte finale, pur con qualche caduta (forse è la
più debole, anche se sempre di buon livello), ci dice che non possiamo mollare
l’osso prima di capire chi sia Alice, chi sia Seymour, chi sia Gabriel, e cosa
è successo in tutto il romanzo.
La
caduta finale, verso un possibile, ma non scontato, avvicinamento tra alcuni
personaggi del libro, è appunto già prevista da tempo. Forse non banale, ma non
è detto che ci stia bene al 100%. Ma il libro va preso nel suo complesso. Ed è
un complesso decente e gradevole.
Non
solo, ma in questi tempi di chiusure e di pochi viaggi, vedere New York, alcune
passeggiate ed alcuni ponti, è un balsamo per i nostri cuori feriti.
Comunque,
la chiave di tutto il giallo, che poi giallo forse non è, o forse non lo è
tutto, da buon conoscitore di come vanno serviti i mix letterari, Musso la
fornisce ad un certo punto, in un oscuro negozio newyorchese. E se siete
attenti, vi darà la chiave per anticipare quello che poi inevitabilmente
succede. Ben fatto, autore.
E
ben fatti non solo gli incipit dei capitoli, ma la leggenda finale che ne
spiega la provenienza. Se dico che avrei fatto così anch’io spero di non essere
troppo presuntuoso.
Guillaume
Musso “Un appartamento a Parigi” Repubblica Passione Noir 1 euro 7,90
[A:
18/06/2018 – I: 05/08/2021 – T: 08/08/2021] - &&&
e ½
[tit.
or.: Un appartement à Paris; ling. or.: francese; pagine: 380;
anno 2017]
Al terzo libro di Musso che leggo, confermo
di ritenerlo un autore interessante. Forse non sempre coglie tutti i bersagli,
ed a volte si incarta troppo nel compiacersi di essere bravo. Tuttavia, ad ora,
le idee alla base delle trame sono interessanti
stimolanti.
Come quella da cui parte questo libro, dal
titolo variamente ammiccante, quasi fosse un libro della Casati Modignani.
Invece, Parigi c’entra come scenario, non come luogo da “luci, cuore, amore”.
Ed è la Parigi che amo, quella normale, di cui mi innamorai qualche decina di
anni fa. Tra cui questa Rue du Cherche-Midi, strada tranquilla in Montparnasse,
dietro i giardini del Lussemburgo, dove talvolta passeggiai, dopo un pranzo in
uno dei miei locali preferiti, il ristorante Polidor in rue Monsieur-le-Prince,
opposta alla precedente con i giardini in mezzo.
Per un disguido, in un appartamento della via
di cui sopra capitano contemporaneamente i due protagonisti del libro. Uno,
Gaspard Coutances è uno scrittore che in realtà odia Parigi, ma vi ritorna
saltuariamente perché pare l’unico posto dove riesce a scrivere i suoi drammi
teatrali. Lei, Madeline Greene, invece, è una poliziotta, specializzata nel
trattamento dei problemi verso i minori, che ha deciso di prendersi un periodo
di riposo a Parigi, prima di volare in Spagna per sottoporsi ad un intervento
di fecondazione assistita, visto che vuole figli ma non ha partner.
La prima parte si gioca molto sul filo
dell’ironia, contrapponendo la bella ed astuta Madeleine, pur dolente di un
burrascoso recente passato, al tenebroso e solitario Gaspard, che odia la
compagnia di chicchessia, tanto che sceglie queste case isolate al centro di
Parigi, per isolarsi ancora di più. Ed ho trovato divertente il modo di Musso
di porre in essere questo gioco delle parti.
Ovvio però che ci dev’essere qualcosa in più.
Ed è così che i due nostri eroi scoprono che questo appartamento a Parigi era
stata l’ultima dimora di un rinomato pittore, Sean Lorenz. Questi la usava come
studio, e le luci ed i colori del posto sembrano fatti a posta per un amante
delle belle arti. Lorenz è morto l’anno precedente, dopo una specie di discesa
all’inferno. Il tutto era cominciato con il rapimento, a New York, della moglie
e del loro figlio. Poi, dopo una serie di avvenimenti che vi consiglio di seguire,
la moglie viene liberata ed il figlio non viene più trovato. Già questo
basterebbe per stuzzicare la curiosità dei nostri.
Ma c’è di più. Pare che Lorenz, prima di
morire, e non sappiamo se per suicidio, omicidio o consunzione, abbia confidato
al suo agente di aver lasciato tre dipinti, che ora risultano misteriosamente
scomparsi. Un mistero che stuzzica i nostri due eroi, che iniziano ad indagare.
Gaspard perché lo ritiene un momento di vita affascinante, Madeline perché è
nel suo DNA. Anche se lei, ad un certo punto, confessa di non farcela, di
volersi tirare indietro.
Sarà Gaspard a farle rinascere la voglia di
cercare, dopo che riescono a trovare i quadri perduti, molto più belli della
precedente produzione di Lorenz, e con un messaggio criptico nascosto. Dalla
ricerca dei quadri, Gaspard e Madeline iniziano allora a cercare di capire: i
motivi del rapimento, i motivi della ricomparsa della sola moglie, se il figlio
di Lorenz sia ancora vivo, quale sia in finale il messaggio dei quadri.
Tutta una serie di interrogativi che, ora, i
nostri affronteranno insieme, recandosi anche a New York, teatro iniziale del
dramma. Dove i fili si annodano, tutto viene spiegato (ma non vi dico come e
perché). Comunque, e si può dire, ci sarà anche una sorta di lieto fine in un
isola greca. Ma anche qui, che tipo, come, perché, quando, meglio leggerlo, che
vale la pena.
Perché certo, non è un romanzo impegnativo e
cerebrale, piuttosto direi ricreativo. Ma laddove c’è l’intelligenza, qualcosa
salta fuori. Alcuni temi interessanti (la misoginia, la voglia di maternità, e
qualche altro), ed un excursus nel mondo dell’arte. Nonché (e l’ho trovato
bello perché rispecchia un mio sentire) l’incipit dei capitoli, con citazioni
mirate (e già questo è un buon segno), ma soprattutto, spiegate nella loro
provenienza in un riferimento bibliografico finale, che ho trovato di
un’eleganza sontuosa.
Vi cito solo quella che ritengo migliore,
pronunciata da Audrey Hepburn (bellissima) nel film “Sabrina”: “Parigi è sempre
una buona idea”. Che dire? Concordo.
Quindi, un thriller nel thriller, una buon
caratterizzazione umana, uno sguardo non banale sull’arte, un grande giro a
Parigi, un assaggio americano, una scrittura gradevole. Insomma, un buon
prodotto.
Guillaume
Musso “E poi …” La nave di Teseo euro 12,50
[A: 22/08/2021 – I: 09/07/2022 – T:
10/07/2022] - && e ½
[tit. or.: Et
après … ; ling. or.: francese; pagine: 388; anno 2003]
A
quasi un anno dall’ultima lettura, torno ai libri di Musso. Anzi a quello che è
stato il secondo e che, per la critica e
per il pubblico, viene ritenuto il suo miglior libro. Anche perché il primo
libro che ha scritto non è mai arrivato in Italia, ed è introvabile anche in
Francia.
Personalmente,
l’ho trovato invece un po’ datato (scritto venti anni fa, e si sente in alcune
parti poco scorrevoli), e con elementi di trama a volte troppo sopra le righe,
e fuori da quel contesto del vivere che ho trovato gradevole e stimolante in
altri libri.
Inseriamo
intanto il libro nel contesto del suo concepimento. Nel 1999 Musso, da poco
insegnante in un liceo di Montpellier, per ragioni di cuore si reca sovente a
Nizza. Una sera, perde il controllo dell’auto, si sfracella in un incidente che
poteva essere mortale, ma ne esce, con le ossa rotte ma vivo. Da lì comincia ad
interrogarsi sulla vita e sulla morte, concependo e quindi delineando nel corso
di qualche anno una storia che proprio su quegli interrogativi fonda la sua
base narrativa.
Eccoci
allora a questo “e poi…”, come giustamente i tipi di Teseo hanno ricondotto il
titolo rispetto alla prima uscita italiana di cui parlerò in finale. La storia,
rispetto alle successive di Musso, è poco noir, pur essendoci una domanda,
inquietante, che insegue la trama per tutto il suo svolgimento. Ah, secondo
elemento tipico di Musso (e non solo del primo) è l’ambientazione americana.
Musso, a 18 anni, prima dell’Università, si trasferisce a New York affascinato
dalla Grande Mela, e spesso e volentieri in America ambienta tutte o in parte
le sue trame. Come questa, massimamente newyorchese con alcune punte nel Nord
dei facoltosi, sopra il New Jersey.
Il
protagonista, come l’autore, è di origini italiane, Nathan Del Amico (infelice
scelta che non è di facile pronuncia né in italiano né in francese). Viene da
una famiglia povera, con madre single, che trova la svolta nella vita andando a
lavorare presso la famiglia Wexler. Facoltosi, lui grande avvocato, con una
figlia Mallory più o meno coetanea di Nat. I due, solitari nella campagna dei
Wexler, ovviamente si frequentano. Il momento clou è quando Mallory cade in
acqua nel lago, Nat si tuffa per salvarla, come succede con successo, ma la
fatica lo strema che affonda e praticamente annega. Ripescato, rimane a lungo
in coma, per poi uscirne sotto le cure di un giovane medico.
Com’è
come non è, Nat e Mallory si perdono di vista, si ritrovano, si frequentano, si
amano, si sposano, mettono al mondo una figlia che chiameranno Bonnie. Dopo qualche
anno, nasce anche un maschio, che però muore in culla una notte che Nat era
solo in casa a lavorare. Perché Nat è diventato anche lui avvocato, di grande
successo, tanto che sfiderà in una causa il suocero (che non lo ha mai
accettato), vincendola e mettendo ancora più sul filo del rasoio i rapporti
familiari. Che sono incrinati da quella morte, tanto che Mallory si trasferisce
con Bonnie in California, e Nat rimane solo e pensoso a lavorare ed accumulare
tristemente soldi.
Tutto
ciò è un prologo ed un contorno, che l’elemento scatenante è la visita del
misterioso dottor Garrett, che coinvolge Nat in una serie di scene dove, chi
prima chi dopo, molte persone muoiono. Qui comincia anche la parte
“favolistica”. Garrett confessa di essere un “Messaggero”, dotato del potere di
vedere un aureola sulla testa delle persone che si avviano alla morte.
La
vicinanza di Garrett, e gli episodi che si susseguono, fanno andare fuori di
testa Nat, che, convinto di morire, comincia a raddrizzare le non molte
storture che ha combinato nella vita. Un approccio più etico alla professione,
un aiuto agli altri, lui sempre un po’ egotista, un riavvicinamento con il
suocero (anche in base ad una serie di avvenimenti che non vi anticipo). Ma
soprattutto, cerca con insistente tenacia, di riavvicinarsi a Mallory. Il loro
era un allontanamento molto dovuto all’elaborazione del lutto. Ma nel profondo,
si amano, si sono sempre amati.
Nat
riuscirà a ricucire molto, sempre aiutato da Garrett che, ed era facile
prevederlo, era il giovane medico che lo aiutò ad uscire dal coma. E che da
quel giorno, Nat di 8 anni e Garrett di 26, cerca di rispondere alla domanda:
per quale motivo Nat è tornato indietro da quella che sembrava una morte
irreversibile?
Di
certo, a voler essere buoni, è un libro che induce a riflettere sulla morte,
traguardo che tutti, chi prima, chi poi, raggiungeremo. Quindi a ridar valore
ad ogni attimo che si vive, laddove, qui forse l’autore un po’
semplicisticamente, ci dice che solo gli affetti contano nella vita. Certo,
l’amore dà pienezza al nostro esistere, ma è un collante di tanti piccoli pezzi
di puzzle che saranno il nostro io.
Nel
2008 ne è stato tratto un film, che non mi pare di molto successo, anche se
aveva un buon John Malkovich nella parte del dottor Garrett.
Infine,
per tornare all’accenno sui titoli, la prima traduzione italiana, di Sonzogno,
nel 2005, portava l’infelice titolo “L'uomo che credeva di non avere più tempo”.
Grazie ad Elisabetta Sgarbi di aver riportato il libro all’origine (ed agli
scaffali).
Guillaume
Musso “Salvami” La nave di Teseo euro 12,50
[A: 27/07/2021 – I: 14/01/2023 – T: 16/01/2023]
- && e ½
[tit. or.: Sauve-moi; ling. or.: francese; pagine: 376; anno 2005]
Dopo
un inizio senza troppa metodicità, ecco che, anche sotto la spinta di Ale cui
sono piaciuti, mi sono dedicato ad una lettura più organica dei romanzi di
Musso. Quindi, rimanendo sempre in attesa del primo, non ancora tradotto in
italiano, eccoci ora ad affrontare il terzo libro pubblicato.
Sempre con la sua scrittura che discretamente cattura, anche se la trama lascia
un po’ a desiderare, come si evince dal mio giudizio globale.
Inoltre, sembra pure mantenersi molto nel solco
precedente, per quanto riguarda presenze strane, anche se qui passiamo da
protagonisti qualificati come “messaggeri” a co-protagonisti etichettati come
“emissari”, e probabilmente il cambio è in peggio.
La storia, pur variata e diversa, risente comunque
molto delle problematiche di Musso in questo suo primo periodo di scrittura.
Innanzi tutto, il grande amore dell’autore per gli States, dove aveva vissuto
più di un anno, con la relativa ambientazione newyorchese molto presente nelle
sue storie. La seconda è il ricordo del grave incidente automobilistico da cui
esce illuso ma molto provato psicologicamente, tanto, appunto, che questi suoi
primi romanzi sono molto legati alla tematica della morte.
L’apparente protagonista sembra all’inizio Juliette,
un’intrepida francese sbarcata negli USA con ambizione d’attrice, ma che
finisce nel fare la cameriera, e quindi (quasi) per tornare a casa, finito il
tempo del visto. Per una serie di casualità incontro Sam, un dottore con molti
problemi alle spalle (e ne parleremo). Ovvia la nascita dell’amore, ma anche il
conseguente perdersi e ritrovarsi, ed imbastire una possibile storia. Fin qui
sembra tutto banalotto, ma dobbiamo entrare nel personaggio Sam, che ben presto
diventa lui il centro dell’attenzione.
Veniamo allora alla sua storia. Sam nasce a Bed-Stuy
(nome complete Bedford-Stuyvesant, considerato l’Harlem di Brooklyn, dove hanno
avuto i natali grandi rapper come Notorious B.I.G. e Jay-Z), un quartiere
violento dove lui, bianco, deve lottare per sopravvivere. Si crea così un trio
con una donna, Federica, ed un nero, Shake. Si barcamenano sul filo tra legale
e illegale, poi devono comunque darsi allo spaccio per sopravvivere. Per
salvare Federica da una difficile situazione, Sam uccide una persona, aiutato
da Shake che ne uccide una seconda. Risultato: Sam riesce a studiare con una
borsa di studio ed a sposare Federica, Shake si fa prete, Federica sembra
riprendersi, ma dopo qualche anno si suicida.
Ecco che Sam, ad un anno dalla morte, ancora senza
riprendersi, incontra Juliette di cui sopra. Con un subitaneo peggioramento
della trama: Juliette non sale su di un aereo che precipita, ed ecco che
compare Grace, una poliziotta morta dieci anni prima, che si qualifica come
“emissaria” dell’al di là, e che convince Sam che Juliette doveva morire
sull’aereo e lei deve “raddrizzare la situazione”.
Ecco che Musso comincia ad intrecciare le storie,
dove quelle terrene, pur non sempre originali, si seguono bene. La presenza ed
il ruolo di Grace invece rimane molto deficitario per essere compreso. Prima di
tutto, fatto salvo il bagno di irrealtà che comporta, un emissario dovrebbe non
interferire nelle vicende terrene, che sarebbe uno sconquasso fisico-temporale.
Al massimo dovrebbe posizionarsi prima dell’evento. A meno che le sue parole
non siano altro che fumo negli occhi di Sam e la sua mira di diverso obiettivo.
Intanto, sempre come “emissario” non dovrebbe
intervenire, come invece fa, nella vita della figlia squinternata. Né mettersi
a rinvangare il passato con il suo non amante Mark Rutelli (nome omen).
Insomma, l’unica cosa che riesce, realmente, a fare Grace, con Sam, Shake e
Mark, è farci ricostruire esattamente le circostanze della sua morte.
Ovvio che ci si avvia verso la scena finale. Verso
la teleferica che unisce Manhattan a Roosevelt Island (posta sul fiume
all’altezza dei Queens) convergono tutti i protagonisti della storia (Grace,
Mark, Sam e Juliette). Chi salirà sulla cabina? E la cabina riuscirà ad
attraversare il fiume nella tormenta o precipiterà? Domande interessanti da
lasciare al lettore.
Noi torniamo a Musso, ed alla sua scrittura. Il
libro sarebbe pur interessante, se non utilizzasse questo espediente degli
“emissari” che non solo risulta poco credibile (ci vuole poco), ma che fa
rivestire il tutto di un alone poco coinvolgente. Peccato per Musso, che
aspettiamo nei successivi libri prodotti.
Notiamo anche che ci sono anche piccole incongruenze
o mancanze. Per un capitolo (una decina di pagine) entra in scena la madre di
Juliette che aspetta la figlia a Parigi, poi per il resto del libro non se ne
ha traccia. Ancora peggio con un personaggio che sembra minore, ma che forse è
solo stato lasciato senza un perché. Nel suo ultimo giorno di lavoro Juliette
prende un caffè con un signore che pensa (ma rimane sul vago) di aver servito
varie volte nel bar dove lavorava. Vero o meno, fatto sta che il tizio l’ammonisce
di riflettere prima di partire e possibilmente di non prendere l’aereo che sta
per prendere. Potrebbe essere un emissario buono, un angelo, o solo uno che
butta parole a caso. Fatto sta che quell’aereo (con o senza Juliette)
precipita. Ma del tizio, dopo i caffè, non se ne sa più nulla. Non si lasciano
così i personaggi.
Si vede che il trentenne Musso ancora non ha preso
in mano tutti i ferri del mestiere, cosa che farà presto, diventando uno dei
“best seller maker” francese.
Finiamo con una piccola tirata d’orecchi al primo
editore italiano del libro, l’editore Sonzogno, che nel 2005 lo pubblicò con il
titolo “La donna che non poteva essere qui”. Grazie a “La Nave di Teseo” per
aver riportato il titolo all’originale.
“La vita va vissuta guardando avanti, ma si
comprende solo guardando indietro (Søren Kierkegaard).” (213)
Guillaume
Musso “Skidamarink” Le Livre de Poche s.p. (regalo di Alessandra)
[A: 22/01/2023 – I: 22/01/2023 – T:
23/01/2023] - &&& --
[tit. or.: Skidamarink; ling. or.: francese; pagine: 569; anno 2001]
In occasione di un week-end ricorrenza a
Parigi, ricevo, tra altro che non dico, anche un paio di libri presi alla
grande libreria FNAC delle Halles. Questo in particolare gradito, che,
finalmente, dopo circa venti anni, Musso decide di mettere mano, anche senza
riscriverlo, al suo primo romanzo. Che infatti aveva visto la luce il 9 maggio
2001, in soli 3000 esemplari, in pochi anni esauriti e mai ristampato.
Tra l’altro, per analoghi motivi, è forse
l’unico libro dell’autore che ancora non è stato tradotto in italiano. Per cui,
gradito il regalo, che o si legge così o niente.
La lettura è al fine un po’ filologica, che
fa vedere la nascita della scrittura di Musso, all’epoca ventiseienne, con
ancora alcune ingenuità, e, per fortuna, senza quell’indulgenza dei primi libri
letti, di cui ho parlato da poco, un po’ troppo pieni di riferimenti ad entità
“non-naturali” che ne limitano l’adesione intellettuale. Ma su questi punti
torneremo più avanti.
La storia è una specie di gioco dell’oca
dove, per andare avanti, bisogna risolvere misteri, indovinelli, e tranelli
vari. Il gioco coinvolge quattro personaggi che, ricevute quattro parti di un
dipinto, su questa base e su altri input, devono arrivare alla ricostruzione completa
del puzzle pensato dall’autore.
I quattro sono discretamente eterogenei:
Theo, un avvocato che, pur giovane, decide di ritirarsi dall’arena competitiva
dei tribunali, Magnus, un professore di genetica, Barbara, una lobbista
rampante, e Vittorio, un prete. Tutti ricevono un pezzo del dipinto di Leonardo
da Vinci, la famosa Gioconda (o meglio Monna Lisa Gherardini moglie di
Francesco del Giocondo), corredato ognuno da una citazione.
Saranno queste citazioni il faro guida delle
loro indagini, citazioni di Victor Hugo sul liberalismo economico, di John
Donne sull’individualismo, di Rabelais sulla scienza e di Tocqueville sulla
democrazia. Il tutto condito appunto dal furto, probabilmente perpetrato dal
potente Steiner, leader indiscusso della tecnologia avanzata con la sua impresa
MicroGlobal, che tuttavia è stato appena rapito.
Oltre ai pezzi del dipinto, i quattro
ricevono altri input parziali. Non risolvono il primo, che vedrà la morte di
Steiner come risultato. Risolvono invece gli altri, poco prima che questi
possano innescare altre catastrofi. I nostri, poi, all’inizio sono molto
combattuti tra loro, ma ad un certo punto, anche per altri fattori esterni che
minacciano, anche, la loro vita, fanno squadra.
E come squadra, avranno successo. In particolare,
quando capiscono che non è un caso che qualcuno li abbia coinvolti. Sarà il
momento in cui trovano questo filo rosso che darà la svolta alla loro ricerca.
È una donna che li unisce. Una donna che ha fatto una figlia con Magnus, che
era (è) innamorata (platonicamente) di Theo, che è stata l’amante di Barbara,
che è la confidente di Vittorio. Risolti altri enigmi, finirà che ognuno dei
personaggi riuscirà a fare quello per cui pensava di essere portato e che fin a
questo momento di crisi globale non era riuscito ad esprimere.
Un finale un po’ troppo happy, ma ci sta data
la gioventù dello scrittore. Che, come dirà in un’intervista, ha scritto il
libro con due pensieri nella testa. Scrivere un libro che avrebbe avuto piacere
di leggere, e questo spiega il forse troppo facile finale positivo. E scrivere
un libro che tenga il lettore legato alla pagina e lo faccia pensare mentre va
avanti pagina dopo pagina.
Questa seconda parte è quella un po’ forzata,
laddove appunto le quattro citazioni sopra indicate, portano a piccole tirate
morali sull’avanzare dell’individualismo nella società contemporanea, con una
conseguente disattenzione verso la democrazia. Dovuta anche ad una
mondializzazione sfrenata dell’economia ed all’uso della scienza senza una
coscienza critica a corredo. Belle parole per un giovane che ha tutta la vita
davanti, ma che, lette ora, non possono che riportarci con i piedi per terra ad
un crudo pessimismo. Sarebbe stato bello se…, ma non è stato.
Questa è forse la pecca più evidente del
libro. Poi abbiamo i misteri da risolvere. Qui, contravvenendo a tutte le
regole auree del buon giallo, Musso li risolve (cioè li fa risolvere) ma sempre
dai nostri, per delle loro conoscenze che a noi non è dato sapere. Un esempio
su tutti viene proprio dal titolo.
Ora, Skidamarink è una filastrocca infantile
molto popolare in America, poco in Francia, ed assolutamente ignota in Italia
(a meno che qualcuno non ne ricordi il ritornello cantato da un coro di bambini
ad un certo punto del film “La gatta sul tetto che scotta”). Ma il punto è che
anche sapendolo non avremmo risolto nulla, perché il nome era stato dato da
Celia, la figlia di Magnus, ad un suo pupazzo di peluche. Ecco, questo è quanto
dico giocare sporco.
Altre piccole ingenuità giovanile vengono dal
citare, eventualmente agire, ma poi dimenticarne l’esistenza di alcuni
personaggi. Come la Celia di poco fa, chiamata al telefono, citata, e poi
dimenticata. O come il cattivo di turno, quello che cerca a più riprese di
uccidere i nostri, di cui ci viene fatta la storia, sottolineandone alcuni
punti oscuri. Poi viene preso in carico da una specie di ordine monastico, e
fatto sparire, senza che i punti di cui sopra vengano chiariti.
Infine, la cosa che più mi ha lasciato
perplesso è l’idea di dividere in quattro Monna Lisa, che sarà pure un quadro a
olio dipinto su una tavola di pioppo, ma non credo che la tavola, se segata,
possa mai tornare come l’originale. Certo che scrivere della Gioconda quattro
anni prima di Dan Brown è comunque una buona prova di preveggenza. O citare le torri
gemelli in un libro uscito 4 mesi prima dell’11 settembre.
Una menzione personale comunque viene da me
rivolta all’autore per tre motivi. Due li trovate nelle citazioni
sottoelencate. La terza viene dal fatto che ad un certo punto l’azione di
sposta in Islanda, dove uno dei protagonisti non solo percorre il Ring, ma si
ferma a lungo, ed anche con sentimenti di ammirazione che condivido, sulle
vicinanze dello Jökulsárlón. Per uno che come me ritiene l’Islanda una terra
magica è stato un momento di grande partecipazione.
Insomma, una buona prova, se vista con
l’occhio di un lettore di venti anni fa, ed un discreto raccordo con la
scrittura globale di Musso se letta al giorno d’oggi.
“Noi non potremo avere perfetta vita senza
amici (Dante).” (186) [in italiano nel testo]
“Rien ne vaut un bon ‘panettone’ … arrosé
de sauce au mascarpone.” (552) [“Non c'è niente di meglio di un buon
panettone... innaffiato di salsa al mascarpone” … specialmente se la salsa è
quella di Ale]
Sapendo che il mese dei pesci è pieno di ricorrenze,
non vi tedio con i compleanni della settimana (che ci sono), ma, in omaggio al
mio amico di Grecia patito, ripenso ad una non molto nota scrittrice ellenica, Mara
Meimaridi, ed al suo interessante
seppur non imperdibile “Le
streghe di Smirne”. Da cui estraggo
due belle frasi, la prima dedicata ai miei amici attori e cantori: “A.
aveva un libro con le figure. In ogni pagina c’era anche una storia. Sulla
prima c’era Il corvo e la volpe; la storia finiva a fondo pagina. Girata
pagina, cominciava un’altra storia, La lepre che voleva tutto. Anche
questa finiva. Che dobbiamo fare? Tutto finisce a un certo punto, le cose belle
e le cose brutte. A noi è finita una cosa bella. Peccato. Se ne fosse finita
una brutta avremmo detto ‘Fortunatamente è finita.’ Dimmi tu, se tutto
il libro avesse parlato solo del corvo, A. che cosa avrebbe imparato? E dimmi
ancora, è più saggio chi legge molte storie, o chi ne conosce una sola?” (249).
La seconda a tutti quelli che come me pensano
che le canzoni siano dirette ad ogni ascoltatore in particolare, e non a tutti
in generale: “La vita dura quanto una canzone, anzi la vita è come una canzone.
Ogni canzone parla di cose diverse, come è diversa la vita di ogni essere
umano. La maggior parte delle canzoni parlano d’amore, che nella vita è
indispensabile. Se la canzone non è buona, non piace a nessuno e nessuno la
canterà più, se invece è bella la gente se la ricorda per molti, molti anni.”
(569)
Siamo alla fine del primo mese di un anno eponimo, che tante iniziative vede in cantiere, ma di cui si parlerà a suo tempo. Ora è tempo di mettere a frutto il pregresso, prima di pensare al futuro. La cripticità è uno dei nostri punti forti. Per cui mando ad ognuno di voi lettori un saluto ed un abbraccio.
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