domenica 29 gennaio 2023

E allora Musso - 29 gennaio 2023

Ultima trama di gennaio, e siamo ancora all’analisi di un singolo autore. Dopo tre classici, ora ci siamo messi alla lettura di un francese, moderno (e come direbbe Moretti, vivente). In pandemia lessi due libri di Guillaume Musso che mi fecero una buona e più che sufficiente impressione. Poi, per varie ed opposte ragioni, lo trascurai per un anno, ma la ripresa non fu così interessante come le prime letture. Solo ora, al ritorno da Parigi con in regalo la sua prima uscita, ancora inedita in Italia, riprende un po’ dello slancio. Si vedrà in futuro…   

Guillaume Musso “Central Park” Bompiani euro 12

[A: 18/09/2019 – I: 05/07/2021 – T: 07/07/2021] - &&& e ½

[tit. or.: Central Park; ling. or.: francese; pagine: 310; anno 2014]

Secondo libro delle veloci scritture di Musso, e, forse anche più del primo libro che ho letto, poco incasellabile in uno schema, in un percorso dato. Devo anche sottolineare che è un libro di scrittura precedente a quello letto lo scorso anno, e, forse, questo solco che qui inaugura lo porta all’altra scrittura e non viceversa.

Comunque, Musso sa tenere sul filo il lettore, lo coinvolge in un caleidoscopio di possibilità e di situazioni, portandolo in giro (non prendendolo, ovvio) a credere prima una cosa, poi un’altra, per poi, alla fine, disvelare molto altro, anche inaspettato.

Qui, i colpi di scena di certo non mancano. Personaggio centrale, Alice, poliziotta francese, che si sveglia una mattina su di una panchina, ammanettata ad una persona che non conosce. Non solo, ma Alice ricorda solo che la sera prima si era ubriacata con delle amiche. La prima sorpresa, oltre alle manette, è che il tizio si chiama Gabriel e sostiene che la sera prima stava suonando al Temple Bar di Dublino. Già questo spiazza la nostra poliziotta. Ma entrambi cadono dal pero, quando scoprono che la panchina su cui sono seduti si trova nel Central park di New York. Come hanno fatto ad arrivarci? E come fanno ad avere una pistola cui mancano dei colpi? Come possono fare per liberarsi? Una trama avvincente.

Ma che diventa sempre più forte e tenace con il passare delle pagine. Intanto scopriamo la vita di Alice. Polizotto durissimo che non molla mai, due anni prima si sposa con Paul e rimane incinta. Non solo ma segue con grande trasporto una vicenda di serial killer molto intricata. Sta per trovare il bandolo e l’assassino, ma si fa trovare impreparata, e da lì il baratro. Il killer la pugnala quasi a morte, uccidendo il bambino, lasciandola in fin di vita, e per correre all’ospedale per starle accanto, Paul sbanda, finisce nella Senna e muore. Terribile.

Ma ora Alice sembra trovare tracce del killer di cui sopra. E nonostante sia a New York, riesce a farsi aiutare dal suo secondo, Seymour, che sta a Parigi. Dopo una serie di colpi di scena che vi lascio leggere con calma, Gabriel si palesa: non è un jazzista, ma un agente dell’FBI che sta seguendo una pista di serial killer analoga a quella di Alice, come se il killer francese o si fosse spostato in America, o avesse un emulo, o, addirittura, un complice.

Anche qui, tralascio i passaggi intermedi, che servono a Musso ad incatenarci alla pagina. Si gira per New York, poi si trovano tracce che portano a Boston. Non solo, ma dalla pistola e dal sangue, sembra addirittura facile risalire ad un infermiere di uno sperduto ospedale nell’entroterra americano. Ma ci sono ulteriori elementi che destabilizzano Alice. Seymour le dice di non trovare traccia di come sia finita in America, e che, invece, trova un’altra vittima dove avrebbe dovuto esserci il corpo del killer (non vi dico perché). Ma Alice è un poliziotto pieno di risorse: si fa mandare il filmato della telecamera dove aveva lasciato la macchina. Ed alla guida c’è proprio Seymour. Non solo, le impronte digitali del killer, che lei aveva preso due anni prima, sono esattamente le stesse di Gabriel. È forse lui il killer che ha montato tutta la messa in scena, solo per trovare la sua vendetta definitiva?

L’abilità di Musso è di fornirci l’ultima parte del libro che ribalta tutte le certezze, che ci fa rileggere tutte le prime duecento pagine in un’ottica diversa. E non in un’ottica brutta. Anzi, la parte finale, pur con qualche caduta (forse è la più debole, anche se sempre di buon livello), ci dice che non possiamo mollare l’osso prima di capire chi sia Alice, chi sia Seymour, chi sia Gabriel, e cosa è successo in tutto il romanzo.

La caduta finale, verso un possibile, ma non scontato, avvicinamento tra alcuni personaggi del libro, è appunto già prevista da tempo. Forse non banale, ma non è detto che ci stia bene al 100%. Ma il libro va preso nel suo complesso. Ed è un complesso decente e gradevole.

Non solo, ma in questi tempi di chiusure e di pochi viaggi, vedere New York, alcune passeggiate ed alcuni ponti, è un balsamo per i nostri cuori feriti.

Comunque, la chiave di tutto il giallo, che poi giallo forse non è, o forse non lo è tutto, da buon conoscitore di come vanno serviti i mix letterari, Musso la fornisce ad un certo punto, in un oscuro negozio newyorchese. E se siete attenti, vi darà la chiave per anticipare quello che poi inevitabilmente succede. Ben fatto, autore.

E ben fatti non solo gli incipit dei capitoli, ma la leggenda finale che ne spiega la provenienza. Se dico che avrei fatto così anch’io spero di non essere troppo presuntuoso.

Guillaume Musso “Un appartamento a Parigi” Repubblica Passione Noir 1 euro 7,90

[A: 18/06/2018 – I: 05/08/2021 – T: 08/08/2021] - &&& e ½

[tit. or.: Un appartement à Paris; ling. or.: francese; pagine: 380; anno 2017]

Al terzo libro di Musso che leggo, confermo di ritenerlo un autore interessante. Forse non sempre coglie tutti i bersagli, ed a volte si incarta troppo nel compiacersi di essere bravo. Tuttavia, ad ora, le idee alla base delle trame sono interessanti  stimolanti.

Come quella da cui parte questo libro, dal titolo variamente ammiccante, quasi fosse un libro della Casati Modignani. Invece, Parigi c’entra come scenario, non come luogo da “luci, cuore, amore”. Ed è la Parigi che amo, quella normale, di cui mi innamorai qualche decina di anni fa. Tra cui questa Rue du Cherche-Midi, strada tranquilla in Montparnasse, dietro i giardini del Lussemburgo, dove talvolta passeggiai, dopo un pranzo in uno dei miei locali preferiti, il ristorante Polidor in rue Monsieur-le-Prince, opposta alla precedente con i giardini in mezzo.

Per un disguido, in un appartamento della via di cui sopra capitano contemporaneamente i due protagonisti del libro. Uno, Gaspard Coutances è uno scrittore che in realtà odia Parigi, ma vi ritorna saltuariamente perché pare l’unico posto dove riesce a scrivere i suoi drammi teatrali. Lei, Madeline Greene, invece, è una poliziotta, specializzata nel trattamento dei problemi verso i minori, che ha deciso di prendersi un periodo di riposo a Parigi, prima di volare in Spagna per sottoporsi ad un intervento di fecondazione assistita, visto che vuole figli ma non ha partner.

La prima parte si gioca molto sul filo dell’ironia, contrapponendo la bella ed astuta Madeleine, pur dolente di un burrascoso recente passato, al tenebroso e solitario Gaspard, che odia la compagnia di chicchessia, tanto che sceglie queste case isolate al centro di Parigi, per isolarsi ancora di più. Ed ho trovato divertente il modo di Musso di porre in essere questo gioco delle parti.

Ovvio però che ci dev’essere qualcosa in più. Ed è così che i due nostri eroi scoprono che questo appartamento a Parigi era stata l’ultima dimora di un rinomato pittore, Sean Lorenz. Questi la usava come studio, e le luci ed i colori del posto sembrano fatti a posta per un amante delle belle arti. Lorenz è morto l’anno precedente, dopo una specie di discesa all’inferno. Il tutto era cominciato con il rapimento, a New York, della moglie e del loro figlio. Poi, dopo una serie di avvenimenti che vi consiglio di seguire, la moglie viene liberata ed il figlio non viene più trovato. Già questo basterebbe per stuzzicare la curiosità dei nostri.

Ma c’è di più. Pare che Lorenz, prima di morire, e non sappiamo se per suicidio, omicidio o consunzione, abbia confidato al suo agente di aver lasciato tre dipinti, che ora risultano misteriosamente scomparsi. Un mistero che stuzzica i nostri due eroi, che iniziano ad indagare. Gaspard perché lo ritiene un momento di vita affascinante, Madeline perché è nel suo DNA. Anche se lei, ad un certo punto, confessa di non farcela, di volersi tirare indietro.

Sarà Gaspard a farle rinascere la voglia di cercare, dopo che riescono a trovare i quadri perduti, molto più belli della precedente produzione di Lorenz, e con un messaggio criptico nascosto. Dalla ricerca dei quadri, Gaspard e Madeline iniziano allora a cercare di capire: i motivi del rapimento, i motivi della ricomparsa della sola moglie, se il figlio di Lorenz sia ancora vivo, quale sia in finale il messaggio dei quadri.

Tutta una serie di interrogativi che, ora, i nostri affronteranno insieme, recandosi anche a New York, teatro iniziale del dramma. Dove i fili si annodano, tutto viene spiegato (ma non vi dico come e perché). Comunque, e si può dire, ci sarà anche una sorta di lieto fine in un isola greca. Ma anche qui, che tipo, come, perché, quando, meglio leggerlo, che vale la pena.

Perché certo, non è un romanzo impegnativo e cerebrale, piuttosto direi ricreativo. Ma laddove c’è l’intelligenza, qualcosa salta fuori. Alcuni temi interessanti (la misoginia, la voglia di maternità, e qualche altro), ed un excursus nel mondo dell’arte. Nonché (e l’ho trovato bello perché rispecchia un mio sentire) l’incipit dei capitoli, con citazioni mirate (e già questo è un buon segno), ma soprattutto, spiegate nella loro provenienza in un riferimento bibliografico finale, che ho trovato di un’eleganza sontuosa.

Vi cito solo quella che ritengo migliore, pronunciata da Audrey Hepburn (bellissima) nel film “Sabrina”: “Parigi è sempre una buona idea”. Che dire? Concordo.

Quindi, un thriller nel thriller, una buon caratterizzazione umana, uno sguardo non banale sull’arte, un grande giro a Parigi, un assaggio americano, una scrittura gradevole. Insomma, un buon prodotto.

Guillaume Musso “E poi …” La nave di Teseo euro 12,50

[A: 22/08/2021 – I: 09/07/2022 – T: 10/07/2022] - && e ½

[tit. or.: Et après … ; ling. or.: francese; pagine: 388; anno 2003]

A quasi un anno dall’ultima lettura, torno ai libri di Musso. Anzi a quello che è stato il secondo  e che, per la critica e per il pubblico, viene ritenuto il suo miglior libro. Anche perché il primo libro che ha scritto non è mai arrivato in Italia, ed è introvabile anche in Francia.

Personalmente, l’ho trovato invece un po’ datato (scritto venti anni fa, e si sente in alcune parti poco scorrevoli), e con elementi di trama a volte troppo sopra le righe, e fuori da quel contesto del vivere che ho trovato gradevole e stimolante in altri libri.

Inseriamo intanto il libro nel contesto del suo concepimento. Nel 1999 Musso, da poco insegnante in un liceo di Montpellier, per ragioni di cuore si reca sovente a Nizza. Una sera, perde il controllo dell’auto, si sfracella in un incidente che poteva essere mortale, ma ne esce, con le ossa rotte ma vivo. Da lì comincia ad interrogarsi sulla vita e sulla morte, concependo e quindi delineando nel corso di qualche anno una storia che proprio su quegli interrogativi fonda la sua base narrativa.

Eccoci allora a questo “e poi…”, come giustamente i tipi di Teseo hanno ricondotto il titolo rispetto alla prima uscita italiana di cui parlerò in finale. La storia, rispetto alle successive di Musso, è poco noir, pur essendoci una domanda, inquietante, che insegue la trama per tutto il suo svolgimento. Ah, secondo elemento tipico di Musso (e non solo del primo) è l’ambientazione americana. Musso, a 18 anni, prima dell’Università, si trasferisce a New York affascinato dalla Grande Mela, e spesso e volentieri in America ambienta tutte o in parte le sue trame. Come questa, massimamente newyorchese con alcune punte nel Nord dei facoltosi, sopra il New Jersey.

Il protagonista, come l’autore, è di origini italiane, Nathan Del Amico (infelice scelta che non è di facile pronuncia né in italiano né in francese). Viene da una famiglia povera, con madre single, che trova la svolta nella vita andando a lavorare presso la famiglia Wexler. Facoltosi, lui grande avvocato, con una figlia Mallory più o meno coetanea di Nat. I due, solitari nella campagna dei Wexler, ovviamente si frequentano. Il momento clou è quando Mallory cade in acqua nel lago, Nat si tuffa per salvarla, come succede con successo, ma la fatica lo strema che affonda e praticamente annega. Ripescato, rimane a lungo in coma, per poi uscirne sotto le cure di un giovane medico.

Com’è come non è, Nat e Mallory si perdono di vista, si ritrovano, si frequentano, si amano, si sposano, mettono al mondo una figlia che chiameranno Bonnie. Dopo qualche anno, nasce anche un maschio, che però muore in culla una notte che Nat era solo in casa a lavorare. Perché Nat è diventato anche lui avvocato, di grande successo, tanto che sfiderà in una causa il suocero (che non lo ha mai accettato), vincendola e mettendo ancora più sul filo del rasoio i rapporti familiari. Che sono incrinati da quella morte, tanto che Mallory si trasferisce con Bonnie in California, e Nat rimane solo e pensoso a lavorare ed accumulare tristemente soldi.

Tutto ciò è un prologo ed un contorno, che l’elemento scatenante è la visita del misterioso dottor Garrett, che coinvolge Nat in una serie di scene dove, chi prima chi dopo, molte persone muoiono. Qui comincia anche la parte “favolistica”. Garrett confessa di essere un “Messaggero”, dotato del potere di vedere un aureola sulla testa delle persone che si avviano alla morte.

La vicinanza di Garrett, e gli episodi che si susseguono, fanno andare fuori di testa Nat, che, convinto di morire, comincia a raddrizzare le non molte storture che ha combinato nella vita. Un approccio più etico alla professione, un aiuto agli altri, lui sempre un po’ egotista, un riavvicinamento con il suocero (anche in base ad una serie di avvenimenti che non vi anticipo). Ma soprattutto, cerca con insistente tenacia, di riavvicinarsi a Mallory. Il loro era un allontanamento molto dovuto all’elaborazione del lutto. Ma nel profondo, si amano, si sono sempre amati.

Nat riuscirà a ricucire molto, sempre aiutato da Garrett che, ed era facile prevederlo, era il giovane medico che lo aiutò ad uscire dal coma. E che da quel giorno, Nat di 8 anni e Garrett di 26, cerca di rispondere alla domanda: per quale motivo Nat è tornato indietro da quella che sembrava una morte irreversibile?

Di certo, a voler essere buoni, è un libro che induce a riflettere sulla morte, traguardo che tutti, chi prima, chi poi, raggiungeremo. Quindi a ridar valore ad ogni attimo che si vive, laddove, qui forse l’autore un po’ semplicisticamente, ci dice che solo gli affetti contano nella vita. Certo, l’amore dà pienezza al nostro esistere, ma è un collante di tanti piccoli pezzi di puzzle che saranno il nostro io.

Nel 2008 ne è stato tratto un film, che non mi pare di molto successo, anche se aveva un buon John Malkovich nella parte del dottor Garrett.

Infine, per tornare all’accenno sui titoli, la prima traduzione italiana, di Sonzogno, nel 2005, portava l’infelice titolo “L'uomo che credeva di non avere più tempo”. Grazie ad Elisabetta Sgarbi di aver riportato il libro all’origine (ed agli scaffali).

Guillaume Musso “Salvami” La nave di Teseo euro 12,50

[A: 27/07/2021 – I: 14/01/2023 – T: 16/01/2023] - && e ½

[tit. or.: Sauve-moi; ling. or.: francese; pagine: 376; anno 2005]

Dopo un inizio senza troppa metodicità, ecco che, anche sotto la spinta di Ale cui sono piaciuti, mi sono dedicato ad una lettura più organica dei romanzi di Musso. Quindi, rimanendo sempre in attesa del primo, non ancora tradotto in italiano, eccoci ora ad affrontare il terzo libro pubblicato. Sempre con la sua scrittura che discretamente cattura, anche se la trama lascia un po’ a desiderare, come si evince dal mio giudizio globale.

Inoltre, sembra pure mantenersi molto nel solco precedente, per quanto riguarda presenze strane, anche se qui passiamo da protagonisti qualificati come “messaggeri” a co-protagonisti etichettati come “emissari”, e probabilmente il cambio è in peggio.

La storia, pur variata e diversa, risente comunque molto delle problematiche di Musso in questo suo primo periodo di scrittura. Innanzi tutto, il grande amore dell’autore per gli States, dove aveva vissuto più di un anno, con la relativa ambientazione newyorchese molto presente nelle sue storie. La seconda è il ricordo del grave incidente automobilistico da cui esce illuso ma molto provato psicologicamente, tanto, appunto, che questi suoi primi romanzi sono molto legati alla tematica della morte.

L’apparente protagonista sembra all’inizio Juliette, un’intrepida francese sbarcata negli USA con ambizione d’attrice, ma che finisce nel fare la cameriera, e quindi (quasi) per tornare a casa, finito il tempo del visto. Per una serie di casualità incontro Sam, un dottore con molti problemi alle spalle (e ne parleremo). Ovvia la nascita dell’amore, ma anche il conseguente perdersi e ritrovarsi, ed imbastire una possibile storia. Fin qui sembra tutto banalotto, ma dobbiamo entrare nel personaggio Sam, che ben presto diventa lui il centro dell’attenzione.

Veniamo allora alla sua storia. Sam nasce a Bed-Stuy (nome complete Bedford-Stuyvesant, considerato l’Harlem di Brooklyn, dove hanno avuto i natali grandi rapper come Notorious B.I.G. e Jay-Z), un quartiere violento dove lui, bianco, deve lottare per sopravvivere. Si crea così un trio con una donna, Federica, ed un nero, Shake. Si barcamenano sul filo tra legale e illegale, poi devono comunque darsi allo spaccio per sopravvivere. Per salvare Federica da una difficile situazione, Sam uccide una persona, aiutato da Shake che ne uccide una seconda. Risultato: Sam riesce a studiare con una borsa di studio ed a sposare Federica, Shake si fa prete, Federica sembra riprendersi, ma dopo qualche anno si suicida.

Ecco che Sam, ad un anno dalla morte, ancora senza riprendersi, incontra Juliette di cui sopra. Con un subitaneo peggioramento della trama: Juliette non sale su di un aereo che precipita, ed ecco che compare Grace, una poliziotta morta dieci anni prima, che si qualifica come “emissaria” dell’al di là, e che convince Sam che Juliette doveva morire sull’aereo e lei deve “raddrizzare la situazione”.

Ecco che Musso comincia ad intrecciare le storie, dove quelle terrene, pur non sempre originali, si seguono bene. La presenza ed il ruolo di Grace invece rimane molto deficitario per essere compreso. Prima di tutto, fatto salvo il bagno di irrealtà che comporta, un emissario dovrebbe non interferire nelle vicende terrene, che sarebbe uno sconquasso fisico-temporale. Al massimo dovrebbe posizionarsi prima dell’evento. A meno che le sue parole non siano altro che fumo negli occhi di Sam e la sua mira di diverso obiettivo.

Intanto, sempre come “emissario” non dovrebbe intervenire, come invece fa, nella vita della figlia squinternata. Né mettersi a rinvangare il passato con il suo non amante Mark Rutelli (nome omen). Insomma, l’unica cosa che riesce, realmente, a fare Grace, con Sam, Shake e Mark, è farci ricostruire esattamente le circostanze della sua morte.

Ovvio che ci si avvia verso la scena finale. Verso la teleferica che unisce Manhattan a Roosevelt Island (posta sul fiume all’altezza dei Queens) convergono tutti i protagonisti della storia (Grace, Mark, Sam e Juliette). Chi salirà sulla cabina? E la cabina riuscirà ad attraversare il fiume nella tormenta o precipiterà? Domande interessanti da lasciare al lettore.

Noi torniamo a Musso, ed alla sua scrittura. Il libro sarebbe pur interessante, se non utilizzasse questo espediente degli “emissari” che non solo risulta poco credibile (ci vuole poco), ma che fa rivestire il tutto di un alone poco coinvolgente. Peccato per Musso, che aspettiamo nei successivi libri prodotti.

Notiamo anche che ci sono anche piccole incongruenze o mancanze. Per un capitolo (una decina di pagine) entra in scena la madre di Juliette che aspetta la figlia a Parigi, poi per il resto del libro non se ne ha traccia. Ancora peggio con un personaggio che sembra minore, ma che forse è solo stato lasciato senza un perché. Nel suo ultimo giorno di lavoro Juliette prende un caffè con un signore che pensa (ma rimane sul vago) di aver servito varie volte nel bar dove lavorava. Vero o meno, fatto sta che il tizio l’ammonisce di riflettere prima di partire e possibilmente di non prendere l’aereo che sta per prendere. Potrebbe essere un emissario buono, un angelo, o solo uno che butta parole a caso. Fatto sta che quell’aereo (con o senza Juliette) precipita. Ma del tizio, dopo i caffè, non se ne sa più nulla. Non si lasciano così i personaggi.

Si vede che il trentenne Musso ancora non ha preso in mano tutti i ferri del mestiere, cosa che farà presto, diventando uno dei “best seller maker” francese.

Finiamo con una piccola tirata d’orecchi al primo editore italiano del libro, l’editore Sonzogno, che nel 2005 lo pubblicò con il titolo “La donna che non poteva essere qui”. Grazie a “La Nave di Teseo” per aver riportato il titolo all’originale.

“La vita va vissuta guardando avanti, ma si comprende solo guardando indietro (Søren Kierkegaard).” (213)

Guillaume Musso “Skidamarink” Le Livre de Poche s.p. (regalo di Alessandra)

[A: 22/01/2023 – I: 22/01/2023 – T: 23/01/2023] - &&& --

[tit. or.: Skidamarink; ling. or.: francese; pagine: 569; anno 2001]

In occasione di un week-end ricorrenza a Parigi, ricevo, tra altro che non dico, anche un paio di libri presi alla grande libreria FNAC delle Halles. Questo in particolare gradito, che, finalmente, dopo circa venti anni, Musso decide di mettere mano, anche senza riscriverlo, al suo primo romanzo. Che infatti aveva visto la luce il 9 maggio 2001, in soli 3000 esemplari, in pochi anni esauriti e mai ristampato.

Tra l’altro, per analoghi motivi, è forse l’unico libro dell’autore che ancora non è stato tradotto in italiano. Per cui, gradito il regalo, che o si legge così o niente.

La lettura è al fine un po’ filologica, che fa vedere la nascita della scrittura di Musso, all’epoca ventiseienne, con ancora alcune ingenuità, e, per fortuna, senza quell’indulgenza dei primi libri letti, di cui ho parlato da poco, un po’ troppo pieni di riferimenti ad entità “non-naturali” che ne limitano l’adesione intellettuale. Ma su questi punti torneremo più avanti.

La storia è una specie di gioco dell’oca dove, per andare avanti, bisogna risolvere misteri, indovinelli, e tranelli vari. Il gioco coinvolge quattro personaggi che, ricevute quattro parti di un dipinto, su questa base e su altri input, devono arrivare alla ricostruzione completa del puzzle pensato dall’autore.

I quattro sono discretamente eterogenei: Theo, un avvocato che, pur giovane, decide di ritirarsi dall’arena competitiva dei tribunali, Magnus, un professore di genetica, Barbara, una lobbista rampante, e Vittorio, un prete. Tutti ricevono un pezzo del dipinto di Leonardo da Vinci, la famosa Gioconda (o meglio Monna Lisa Gherardini moglie di Francesco del Giocondo), corredato ognuno da una citazione.

Saranno queste citazioni il faro guida delle loro indagini, citazioni di Victor Hugo sul liberalismo economico, di John Donne sull’individualismo, di Rabelais sulla scienza e di Tocqueville sulla democrazia. Il tutto condito appunto dal furto, probabilmente perpetrato dal potente Steiner, leader indiscusso della tecnologia avanzata con la sua impresa MicroGlobal, che tuttavia è stato appena rapito.

Oltre ai pezzi del dipinto, i quattro ricevono altri input parziali. Non risolvono il primo, che vedrà la morte di Steiner come risultato. Risolvono invece gli altri, poco prima che questi possano innescare altre catastrofi. I nostri, poi, all’inizio sono molto combattuti tra loro, ma ad un certo punto, anche per altri fattori esterni che minacciano, anche, la loro vita, fanno squadra.

E come squadra, avranno successo. In particolare, quando capiscono che non è un caso che qualcuno li abbia coinvolti. Sarà il momento in cui trovano questo filo rosso che darà la svolta alla loro ricerca. È una donna che li unisce. Una donna che ha fatto una figlia con Magnus, che era (è) innamorata (platonicamente) di Theo, che è stata l’amante di Barbara, che è la confidente di Vittorio. Risolti altri enigmi, finirà che ognuno dei personaggi riuscirà a fare quello per cui pensava di essere portato e che fin a questo momento di crisi globale non era riuscito ad esprimere.

Un finale un po’ troppo happy, ma ci sta data la gioventù dello scrittore. Che, come dirà in un’intervista, ha scritto il libro con due pensieri nella testa. Scrivere un libro che avrebbe avuto piacere di leggere, e questo spiega il forse troppo facile finale positivo. E scrivere un libro che tenga il lettore legato alla pagina e lo faccia pensare mentre va avanti pagina dopo pagina.

Questa seconda parte è quella un po’ forzata, laddove appunto le quattro citazioni sopra indicate, portano a piccole tirate morali sull’avanzare dell’individualismo nella società contemporanea, con una conseguente disattenzione verso la democrazia. Dovuta anche ad una mondializzazione sfrenata dell’economia ed all’uso della scienza senza una coscienza critica a corredo. Belle parole per un giovane che ha tutta la vita davanti, ma che, lette ora, non possono che riportarci con i piedi per terra ad un crudo pessimismo. Sarebbe stato bello se…, ma non è stato.

Questa è forse la pecca più evidente del libro. Poi abbiamo i misteri da risolvere. Qui, contravvenendo a tutte le regole auree del buon giallo, Musso li risolve (cioè li fa risolvere) ma sempre dai nostri, per delle loro conoscenze che a noi non è dato sapere. Un esempio su tutti viene proprio dal titolo.

Ora, Skidamarink è una filastrocca infantile molto popolare in America, poco in Francia, ed assolutamente ignota in Italia (a meno che qualcuno non ne ricordi il ritornello cantato da un coro di bambini ad un certo punto del film “La gatta sul tetto che scotta”). Ma il punto è che anche sapendolo non avremmo risolto nulla, perché il nome era stato dato da Celia, la figlia di Magnus, ad un suo pupazzo di peluche. Ecco, questo è quanto dico giocare sporco.

Altre piccole ingenuità giovanile vengono dal citare, eventualmente agire, ma poi dimenticarne l’esistenza di alcuni personaggi. Come la Celia di poco fa, chiamata al telefono, citata, e poi dimenticata. O come il cattivo di turno, quello che cerca a più riprese di uccidere i nostri, di cui ci viene fatta la storia, sottolineandone alcuni punti oscuri. Poi viene preso in carico da una specie di ordine monastico, e fatto sparire, senza che i punti di cui sopra vengano chiariti.

Infine, la cosa che più mi ha lasciato perplesso è l’idea di dividere in quattro Monna Lisa, che sarà pure un quadro a olio dipinto su una tavola di pioppo, ma non credo che la tavola, se segata, possa mai tornare come l’originale. Certo che scrivere della Gioconda quattro anni prima di Dan Brown è comunque una buona prova di preveggenza. O citare le torri gemelli in un libro uscito 4 mesi prima dell’11 settembre.

Una menzione personale comunque viene da me rivolta all’autore per tre motivi. Due li trovate nelle citazioni sottoelencate. La terza viene dal fatto che ad un certo punto l’azione di sposta in Islanda, dove uno dei protagonisti non solo percorre il Ring, ma si ferma a lungo, ed anche con sentimenti di ammirazione che condivido, sulle vicinanze dello Jökulsárlón. Per uno che come me ritiene l’Islanda una terra magica è stato un momento di grande partecipazione.

Insomma, una buona prova, se vista con l’occhio di un lettore di venti anni fa, ed un discreto raccordo con la scrittura globale di Musso se letta al giorno d’oggi.

“Noi non potremo avere perfetta vita senza amici (Dante).” (186) [in italiano nel testo]

“Rien ne vaut un bon ‘panettone’ … arrosé de sauce au mascarpone.” (552) [“Non c'è niente di meglio di un buon panettone... innaffiato di salsa al mascarpone” … specialmente se la salsa è quella di Ale] 

Sapendo che il mese dei pesci è pieno di ricorrenze, non vi tedio con i compleanni della settimana (che ci sono), ma, in omaggio al mio amico di Grecia patito, ripenso ad una non molto nota scrittrice ellenica,  Mara Meimaridi, ed al suo interessante seppur non imperdibile “Le streghe di Smirne”. Da cui estraggo due belle frasi, la prima dedicata ai miei amici attori e cantori: “A. aveva un libro con le figure. In ogni pagina c’era anche una storia. Sulla prima c’era Il corvo e la volpe; la storia finiva a fondo pagina. Girata pagina, cominciava un’altra storia, La lepre che voleva tutto. Anche questa finiva. Che dobbiamo fare? Tutto finisce a un certo punto, le cose belle e le cose brutte. A noi è finita una cosa bella. Peccato. Se ne fosse finita una brutta avremmo detto ‘Fortunatamente è finita.’ Dimmi tu, se tutto il libro avesse parlato solo del corvo, A. che cosa avrebbe imparato? E dimmi ancora, è più saggio chi legge molte storie, o chi ne conosce una sola?” (249).

La seconda a tutti quelli che come me pensano che le canzoni siano dirette ad ogni ascoltatore in particolare, e non a tutti in generale: “La vita dura quanto una canzone, anzi la vita è come una canzone. Ogni canzone parla di cose diverse, come è diversa la vita di ogni essere umano. La maggior parte delle canzoni parlano d’amore, che nella vita è indispensabile. Se la canzone non è buona, non piace a nessuno e nessuno la canterà più, se invece è bella la gente se la ricorda per molti, molti anni.” (569)

Siamo alla fine del primo mese di un anno eponimo, che tante iniziative vede in cantiere, ma di cui si parlerà a suo tempo. Ora è tempo di mettere a frutto il pregresso, prima di pensare al futuro. La cripticità è uno dei nostri punti forti. Per cui mando ad ognuno di voi lettori un saluto ed un abbraccio.

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