Alice Basso “L’imprevedibile piano della
scrittrice senza nome” Garzanti euro 9,90
[A: 01/08/2021
– I: 17/07/2024 – T: 19/07/2024] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 269; anno: 2015]
La scrittura è decisamente gradevole, frutto
ovvio della frequentazione di Alice con l’ambiente letterario. Soprattutto
Vani, pur con delle palesi contraddizioni tipiche degli esseri umani, è ben
tratteggiata ed esce prepotentemente con simpatia dalle pagine. Cosa purtroppo
poco vera per gli altri personaggi, forse a me è piaciuta solo la ragazza
vicina di casa, Morgana.
Intanto, per una definizione della scrittura
stessa si potrebbe coniare un termine tipo “chick noir”, visto che questo è un
tipico esempio di una struttura di scrittura degli ultimi anni. Un giallo
abbastanza leggero con spiccati elementi umoristici o quanto meno ironici,
unito ad una buona dose di quello che viene indicato con “chick lit”. Un
termine che etichetta un certo modo di scrivere, cominciato se vogliamo dai
diari di Bridget Jones, la cui definizione è composta da chick un termine informale usato per indicare
le "ragazze" e derivato da chicken (nel senso di
“pollastrella"), mentre lit è l'abbreviazione di literature
("letteratura").
Questi romanzi sono in genere con un taglio
umoristico e post-femminista, con protagoniste delle donne dinamiche, fra i
venti e i quarant'anni, che vivono in grandi città e lavorano in settori come l'editoria, la pubblicità,
la finanza o la moda. Esattamente come la nostra.
La protagonista è infatti Silvana Cassandra
Sarca detta Vani, di professione ghostwriter per la sua capacità camaleontica
di entrare in sintonia con lo scrittore per cui deve scrivere un libro,
riuscendo ad immedesimarsi in una storica dell’età moderna, in un tipografo, in
un cabarettista, in una divulgatrice di educazione musicale innovativa, in un
ciclista, arrivando anche a scrivere testi per la bibliografia di un
imprenditore cui servivano per curriculum.
Sarcastica e scanzonata, dark prima che
esistesse il dark, ha due svolte all’inizio del libro, che diventeranno
l’ossatura della trama: il suo editore, Enrico, la costringe ad incontrare un
autore, Riccardo, ed a visitare una possibile futura autrice, Bianca Dell’Arte
Cantavilla.
Con Riccardo aveva scritto piccole cose, ma
l’incontro è fulminante, e da chiacchiere ed altro nascono un nuovo best-seller
“Più dritta di una corda di chitarra” ed una storia d’amore. Alice riesce a
mescolare vicinanze e lontananze, così che i due inevitabilmente si lasciano,
anche perché Riccardo potrebbe nascondere qualche scheletro, che prima o poi si
sollevano e vanno altrove, lasciando la possibilità che nelle successive opere
(che ci sono) potrebbero avere ancora un percorso insieme.
Foriera di maggior trama è l’incontro con
Bianca, un’autrice presa dal blocco della scrittura che le chiede aiuto per
proseguire la saga delle “Cronache Angeliche” (nel senso che parla con gli
angeli). Peccato che subito dopo Bianca scompare e tutta la parte ironico-noir
è tesa alla ricerca della scomparsa. Conosciamo così un altro simpatico
personaggio, il commissario Romeo Braganza, che, intuite le doti camaleontiche
di Vani, la spinge ad entrare nei personaggi.
Seguiamo così il percorso di Vani, che
ovviamente prende molte strade senza uscita, prima di imboccare quella maestra,
complice un’attenta lettura dei giornali e qualche connessione tra messaggi,
scritti ed intuizioni. Certo è un po’ un cilindro da cui esce fuori un gatto,
visto che per i conigli è troppo facile. Ma è certo da gustare l’invenzione
letteraria della strategia che Vani adotta per portare a compimento il
salvataggio di Bianca.
L’idea migliore è propria la capacità “alla
Zelig” di Vani, mentre qualche punto di perplessità lascia una parte
dell’impianto generale, che sembra ricalcare, in modo molto lontano ma
paragonabile, un simile impianto del primo libro di Alessia Gazzola: donna, con
capacità, non fortunata (o non portata) per le storie d’amore, commissario
intelligente che ne sfrutta le capacità per risolvere problemi noir. Certo, le
differenze sono molto, e ci sta, ma qualche idea è germogliata, e con successo,
nell’orto di Alice.
Un tipico libro estivo, rilassante con
quelle punte ironiche che di certo non guastano. Mi ha incuriosito e qualche
altra cosa ne leggerò.
Paolo
Forcellini “Vipere a San Marco” Marsilio euro 15 (in realtà, scontato a 14,25
euro)
[A: 25/04/2021
– I: 25/10/2024 – T: 27/10/2024] &&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 312; anno: 2021]
Qui
errori non ne ho trovati, ma il risultato complessivo del libro è stato
leggermente inferiore alle aspettative. Forcellini nasce giornalista, e la
qualità della scrittura ne risente positivamente. Mentre, a livello di
intreccio e di tensione si rimane molto in superficie. Ci sono fatti
delittuosi, ci sono coscienziosi indagatori, ci sono begli intarsi della
coprotagonista della vicenda, cioè Venezia, sia con l’accenno ad alcuni piatti
locali, sia, e con più interesse da parte mia, un ondivagare tra le mille cose
che la città offre. Campielli, porteghi e sottoporteghi, chiese, cripte,
passaggi segreti, bellezze nascoste o palesi.
Quello
che meno mi ha preso, nella “venezianità”, è l’uso del dialetto. Forse è
funzionale ai personaggi, ma in alcuni punti ho avuto una grossa difficoltà ad
interpretarlo, a decodificarlo. E in parallelo, anche la figura del
protagonista, il cronista del quotidiano “L’Istrice”, Alvise Selvadego, non mi
ha preso completamente. Simpatico, imbranato il giusto e con tanti contatti (ma
se ne hai così tanti perché fai ancora il cronista da battaglia?).
A
parte la trama, a cui arriveremo, ed oltre al manuale turistico e culinario,
Forcellini ha due frecce che ha intenzione di scoccare. Una, palese,
sull’ambiente giornalistico, sulla sua ipocrisia, sui suoi falsi valori. Ecco
così che mette in scena la redazione de “L’Istrice” piena di epigoni dei
giornalisti che lo stesso Paolo ha incontrato nella sua carriera. C’è Piero
Zambo, il direttore, rude e scontroso, tanto che si merita il soprannome di
Grizzly, e c’è l’editorialista, che era anche il precedente direttore, tanto
che viene chiamato Ex (sceso di grado, ma sempre con stipendio alto), c’è il
caposervizio Marco Bertoli, detto l’Ovvio (autoesplicativo) c’è il generico
tuttofare Baldo Nordio, detto Culodipietra dato che non è stato mai visto
muoversi dalla sua scrivania, e c’è il vaticanista bigotto, Nazareno
Deogratias. A dare un tocco di leggerezza, fortunatamente, ci pensa l’addetta
alla cultura, Gaspara Meravegia detta Gas. Penso abbiate già capito l’intento
ironico di questa pittura di redazione.
A
dirigere le indagini, in realtà, ci sarebbe il vicequestore Bastiano Possamai,
per inciso anche grande amico e sodale di Alvise, tanto che proverà (ci
riuscirà?) per tutto il libro a spingere Gas (descritta proprio come una
meraviglia) tra le braccia di Alvise.
La
trama prende il via dalla sparizione di Franco Bisato, l’anziano patriarca di
Venezia. Sparito e morto, volutamente o accidentalmente? Sparito per un attacco
di dissociativo con perdita di memoria? Sparito in seguito a rapimento?
Le
indagini si muovono con i piedi di piombo, data la figura scomparsa. Ma
cominciano a prendere una discreta velocità alla scoperta di un tassista marino
ucciso a colpi di pistola. Così si comincia a seguirne le piste, scoprendone
pregresse frequentazioni seminariali. Ed a questo punto, Alvise gioca duro
mettendo in mezzo l’aiutante di don Bisato, che gli fornisce alcuni indizi, ma,
forse per devozione curiale o per altro, ne nasconde anche.
Seguendo
comunque le fila della giovinezza del morto, le sue frequentazioni, un prete
tedesco che di sicuro ha delle ombre (non mi ero dimenticato, questo è il
facile secondo bersaglio dell’autore verso la poco raccomandabile gestione dei
seminari, in presenza di elementi non allineati), ed altri piccoli jolly che
scopre durante le sue ricerche, Alvise si persuade che il bersaglio sono tesori
nascosti nella cripta della Chiesa di San Marco, dove, con l’aiuto di Bastiano
e di Gas, farà quadrare il cerchio.
Insomma,
Forcellini è sempre una lettura distensiva, impreziosita dal fatto di averlo
letto nella breve vacanza ai bordi del Lago di Garda.
Finisco
con il proverbio che riporto, e che, commentandolo a valle di un libro di Rino
Cammilleri, ne scrivevo la genesi. Infatti, un tempo tra le colonne di
San Marco e San Todaro venivano eseguite le condanne capitali. Tra quelle
colonne, i condannati prima di venire ammazzati guardavano dritto alla torre
dell'orologio che avevano davanti che segnava l'ora della propria morte. Una
locuzione quindi usata per minacciare qualcuno. Cosa che usa sapientemente
anche Forcellini.
“Te
fasso veder mi che ora che xe.” (229) [vedi Cammilleri]
Piergiorgio
Pulixi “Per mia colpa” Mondadori euro 8,90
[A: 24/06/2024
– I: 11/08/2024 – T: 12/08/2024] &&&
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[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 279; anno: 2021]
Come
dissi altrove, avevo seguito i primi passi di Piergiorgio Pulixi quando
scriveva, su ispirazione di Massimo Carlotto, nel collettivo Mama Sabot.
Avendone lasciato altrove le successive prove, ne ritrovai traccia un paio di
anni fa in un’interessante ma non riuscitissimo libro isolato (“Lo stupore
della notte”) per poi rendermi conto che ora ho diversi libri suoi nella mia
libreria, così tanto vale che ne torni a leggere.
Con
un libro che, per la mia indole, è superiore alle precedenti letture, anche se
non mi ha convinto sino in fondo. È certo un libro che pone interrogativi, che
interroga sull’animo umano e sulle scelte di vita che si effettuano. Pur
tuttavia, la trama gialla ha qualche buco qua e là, e la parte più personale,
anche avendo introdotto punti interessanti, rimane sospesa.
Per
una ragione semplice, che avevo già indicato sia in lui, ma anche su tanti
altri autori. Non sono mai a mio agio quando un autore utilizza un personaggio
dell’altro sesso, in special modo quando parla in soggettiva. Anche qui, ci
sono capitoli in cui Giulia Riva parla in prima persona, e sono quelli che mi
convincono di meno. Certo, vengono dette cose, seguiti ragionamenti, ma domando
alle mie lettrici: riuscite ad immedesimarvi in quanto viene scritto?
Questo
ci porta ad un altro punto debole del testo. Si passa spesso da capitoli in
soggettiva in cui seguiamo i ragionamenti e le azioni del vicecommissario
Giulia Riva, ed altri in terza persona, da scrittore onnisciente, che ci porta
a spasso per le pieghe del libro (e che ci porterà alla non banale
conclusione). Un’alternanza che si presenta anche nelle parti in corsivo, dove
seguiamo l’altra donna del testo, Virginia Piras, che nel presente del romanzo
risulta scomparsa da un anno.
Le
colpe personali dei vari personaggi del testo, venendo al romanzo vero e
proprio, sono spesso quelle di non aver seguito le proprie passioni, di aver
anteposto altro a sé stessi. Così è per Giulia da anni invischiata in una
relazione senza sbocco con il suo capo. Così è per Virginia che pur vivendo un
matrimonio senza intoppi, è insoddisfatta, non riesce ad esternare sino in
fondo l’amore per la figlia Elisa, e si ritrova in una situazione erotica che
anche lì, per sua colpa, non riesce a gestire.
Sono
due presenze femminili, poi, che fanno scattare i meccanismi di Giulia: una
donna che uccide l’amante del marito che la stalkerava, ed una bambina che
chiede a Giulia di non dimenticarsi di sua madre, scomparsa da un anno. Il
primo meccanismo innesca una presa di coscienza in Giulia che capisce e lascia
l’amante-capo. Il secondo provoca una spirale di empatia, che convince Giulia a
dedicarsi a corpo morto nel caso.
Qui
veniamo alla parte solidale-comica del testo (ironia che in Pulixi è sempre
fortunatamente presente), per merito di Flavio, collega di Giulia. Un tempo
punta di diamante, ma che, per motivi che scopriremo solo nell’ultimo capitolo,
cade in una spirale di alcool e autodistruzione. Peccato che proprio lui sia
stato il titolare delle prime indagini sulla scomparsa di Virginia. E non
sembra proprio che sia riuscito a portarle avanti con il dovuto rigore.
Mentre
Giulia, magari un po’ più attenta, magari un po’ più fortunata, riesce ad unire
una serie di puntini sparsi che non pareva volessero unirsi. Trova quindi
traccia di una relazione clandestina di Virginia con Raffaele, cosa che nessuno
sospettava. Ma mentre ipotizziamo o che Virginia sia fuggita con lui o che lui
l’abbia uccisa per qualche suo motivo o che l’abbia fatto il marito di Virginia
se avesse scoperto la tresca, il castello di carte cade nel nulla: Raffaele si
suicida alcuni mesi prima della scomparsa di Virginia. Ma ormai il filo della
ricostruzione è innescato e Giulia riuscirà a rimettere insieme tutti i pezzi
scomposti del puzzle ed a portarci al sorprendente finale, forse uno dei punti
migliori del romanzo. Non come sia scritto, che arriva un po’ troppo senza
scosse, ma per come sia stato pensato dall’autore.
Ciò
detto, e ribadendo i primi punti poco entusiasmanti sopra esposti, altri
elementi vengono a mettere in crisi un giudizio troppo ottimistico del romanzo
nel complesso. Di sicuro, il fatto che tutti i personaggi siano di
bell’aspetto, sembrano positivi, anche quando sono psicologicamente labili.
Positivo appare anche Flavio, pur nella spirale di negatività che lo contorna.
L’altro
punto fortemente critico è una serie di approssimazioni nelle indagini, sia
nelle prime di Flavio, sia nella prima parte di quelle di Giulia. Pare poco
professionale non seguire le tracce sulle ultime cellule occupate dal cellulare
di Virginia prima di scomparire, come poco realistico l’acquisto di SIM non
rintracciabili. Posso, in Italia, comprare delle prepagate, e se nessuno sa che
le ho, non mi si può rintracciare, ma è il massimo che si può fare in Italia.
C’è poi una multa che compare assai presto nelle parole che descrivono un
sopralluogo. E come il grande Anton Céchov in uno dei principi della
drammaturgia moderna: “Se in un racconto compare una pistola, bisogna che prima
o poi spari.” Ma sarebbe stato più professionale seguirne le tracce cento
pagine prima. Non entro in altre piccole disavventure narrative che già stiamo
addentrandoci in una spirale di spoiler poco piacevole per chi non ha letto il
libro.
E
pur con i tanti piccoli punti neri, ci sono tanti altri punti colorati e
piacevoli, come, e questo è un punto fisso dell’autore, la descrizione dei
luoghi sardi, ed in particolare di Cagliari, delle sue strade, dei suoi caffè,
della sua atmosfera. Si percepisce che, pur se da lontano, il cuore di Pulixi
batta sempre nell’isola, riuscendone a scriverne con gradevolezza e amore.
Siccome
come ho detto abbiamo altri e non pochi libri di Pulixi in via di lettura,
rimandiamo altro ad altra trama.
Piergiorgio
Pulixi “Un colpo al cuore” Rizzoli euro 16
[A: 16/03/2021
– I: 27/08/2024 – T: 29/08/2024] &&&
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[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 506; anno: 2021]
“A
promise is a promise”, come direbbe Schwarzenegger, e quindi torniamo a Pulixi,
a questo libro scritto lo stesso anno del precedente, ma con una storia
diversa, che ho scoperto solo a libro finito, e che lo mette anche in una luce
ed in una prospettiva diversa.
Perché,
leggendone, e cercandone in rete, questo risulta essere il quarto episodio di
una serie che l’autore ha intitolato “I canti del male”, laddove il titolo del
libro, ogni volta si riferisce ad una canzone. Inoltre, vede i “destini
incrociati” (scusa Calvino) di due tipologie di poliziotti. Dove c’era il
commissario Vito Strega nei primi due canti (“Il canto degli innocenti” e “La
scelta del buio”) mentre le ispettrici Mara Rais ed Eva Croce si erano
presentate nel terzo (“L’isola delle anime”). Qui i tre si riuniscono e credo
che poi ci saranno ancora indagini incrociate che, alla fine di questa, Strega
coinvolge le due ed il suo fido Pavan in un corso a Roma per costituire una
squadra estesa sul territorio nazionale per la caccia ai criminali.
In
questo episodio, Pulixi, sempre attento anche ai fenomeni globali del mondo in
cui viviamo, ci offre due bersagli su cui riflettere: la giustizia e
l’informazione. Per costruire il suo castello di notizie ed accuse si serve di
un fantomatico “Dentista”, che rapisce delle persone, strappa loro i denti, poi
manda un messaggio broadcasting chiedendo ai riceventi di emettere una
sentenza. Elenca le colpe del rapito, e chiede, tipo le lotte al Colosseo,
pollice verso o meno per deciderne le sorti.
Il
fatto che la prima “sentenza” venga emessa nel territorio sardo fa sì che
vediamo subito coinvolte Mara ed Eva. Il fatto che sia complicato e di grande
risonanza fa in modo che venga coinvolto Vito, che noi sappiamo oltre essere di
colore e con molti screzi con i superiori, un poliziotto molto in gamba anche
se (ma questo è un rilievo personale) milanese.
Si
susseguono così, mentre seguiamo sia le indagini dei nostri tre, sia le loro
interazioni, una serie abbastanza complicata di delitti simili al primo
perpetrato. Non sappiamo le storie precedenti dei detective ma capiamo che Vito
ha avuto problemi con le gerarchie, che Eva ha problemi personali da risolvere
e che Mara ha di sicuro qualche interesse non professionale verso qualche
elemento della squadra.
Ma
l’interesse dell’autore è sempre più appuntato sui due punti sopra esposti. Il
Dentista sceglie le sue vittime tra coloro che, pur commettendo un reato,
attraverso cavilli legali o altre astuzie giudiziarie, riescono ad ottenere
pene non consone al reato commesso. Ed ecco che il cattivo si erge a giudice
punendo comunque il reo. Non a caso gli strappa i denti, come a mostrare che
non potrà più essere cattivo, non potrà mordere. In soprammercato, il suo
comportamento emana una sentenza di condanna verso il sistema giudiziario non
capace di assolvere alla propria funzione.
Il
secondo punto che Pulixi pone all’attenzione è il sistema mediatico che sta
sempre più prendendo la mano nel nostro mondo. Ci sono condanne che avvengono
attraverso i media prima che sia acclarata la reità del soggetto. Inoltre, il
Dentista coinvolge un’ampia platea di fruitori dei social, mostrando,
attraverso l’uso di cellulari e WhatsApp, lo svolgimento del crimine e
chiedendo un coinvolgimento del pubblico. Sarà il pubblico che deciderà della
condanna del reo alla massima pena (che non sono previste soluzioni
intermedie). Si mostra così il potere deviato dei social, che invece di
divenire strumenti di comunicazione e contatto positivo vengono stravolti e
portati ad essere dei “tronisti” estremi, capaci di assolvere o condannare,
senza minimamente essere coinvolti in un procedimento di discussione.
Seguiamo
con attenzione le dinamiche dei nostri investigatori, capiamo anche abbastanza
presto che non può essere un serial killer isolato, ma che deve inserirsi in
una trama complessa. Pulixi ha una buona mano per condurci ad un finale che
toglie il respiro, dove, seppur soluzioni si trovano, ci sono sorprese che non
ci si aspettava e che avranno sicuramente ripercussioni future.
Alfine,
una buona prova, che dispiace solo aver iniziato in corso d’opera, cosa che ci
lascia alcuni dubbi sulla costruzione complessiva dei personaggi. Ma l’autore a
me non dispiace, e ritengo abbia ben utilizzato il suo apprendistato di modo
che ora cammina con le sue gambe. Ricordo che nasce in una scuola di scrittura
sotto la guida dell’ottimo Massimo Carlotto, e che l’ho apprezzato fin dalla
sua prima uscita, con il collettivo Mama Sabot in un ormai lontano “Perdas de
Fogu”.
Inoltre,
ho gradito i luoghi teatro dell’azione, dalla spiaggia del Poetto a Cagliari al
Teatro dell’Elfo a Milano, luoghi che ho visitato, passando per altri, come il
ristorante Brellin e la libreria ora intitolata a Pietro Germi, di cui ho
sentito parlare.
Piergiorgio
Pulixi “La libreria dei gatti neri” Repubblica Profondo Noir euro 8,90
[A: 08/01/2024
– I: 08/11/2024 – T: 09/11/2024] &&&
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[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 238; anno: 2023]
Un
libro interessante, anche se non completamente riuscito. Con un’insolita
pervicacia, infatti, Pulixi prova a scrivere un libro che si muove come un
canto a più voci, come una struttura polifonica che tenta di cantare una
canzone all’unisono.
C’è
una trama nera che sottende tutto il testo, di una brutalità quasi eccessiva e
c’è la storia di Marzio e della libreria del titolo, che si potrebbe reggere da
sola, però non sarebbe più un vero e proprio giallo. Per cui Pulixi ci mette un
paio di poliziotti che indagano sulla trama e che, conoscendo Marzio, lo
coinvolgono nelle indagini.
Dicevo
la trama nera è forte e brutale. C’è un killer spietato che si introduce nelle
case di qualcuno. Nello specifico, lo vediamo entrare a casa Vincis, dove ci
sono padre, madre e figlio di dieci anni. A casa Atzori, dove c’è Sabrina ed i
suoi due anziani genitori. A casa Patteri, dove c’è il padre, malato di SLA su
di una sedia a rotelle, ed i suoi due figli grandi.
Il
killer entra, li narcotizza, li lega, e quando si svegliano chiede ad uno dei
presenti di decidere in un minuto chi debba uccidere degli altri due. Se non
decide, li uccide entrambi, mentre lascia in vita gli altri. Una vita con il
rimorso di una scelta. All’inizio sembra un gioco, ma il killer uccide davvero,
e non lascia tracce.
Così
che la polizia non ha all’apparenza elementi per indagare. Quando però Marzio
ed i suoi sodali vengono coinvolti nelle indagini, utilizzando i tanti elementi
derivanti dalle loro conoscenze giallistiche, si intravede un barlume. Come
nella “Lettera rubata” di Poe c’è un indizio talmente evidente da confondersi
con il rumore di fondo delle indagini. Una volta individuato, il resto viene
con disarmante facilità, e porta ad una soluzione congruente, ma traballante
dal punto di vista della casualità.
Insomma,
nella parte noir si parte con una Ferrari e si arriva al traguardo con una
Topolino.
Meglio,
di contro, la storia di Marzio, che spiega un punto che ho sopra esposto e non
spiegato. Marzio era un ottimo insegnante di matematica, molto empatico con i
suoi alunni. Scoperto uno evidentemente maltrattato, anche fisicamente, dal
padre, perde il controllo e prende a pugni il padre, con conseguente
licenziamento in tronco. Non perché abbia sbagliato, ma per il modo con cui si
è vendicato.
Per
sbarcare il lunario, allora Marzio decide di dedicarsi alla sua passione, i
libri gialli. Aprendo una libreria specializzata, “La libreria del Mistero”. Ma
le librerie di genere non hanno grande spazio, a fronte dei colossi della
distribuzione, finché l’anziana Nunzia lo costringe ad aprire il locale il
martedì per una discussione assembleare su di un libro giallo diverso ogni
volta. Così il locale si ricicla come “La libreria del Martedì”. Con il
successone che dura fino a quando Nunzia non scivola nell’Alzheimer.
Potrebbe
essere un colpo mortale, ma due gatti neri adottano il busto di Agatha Christie
e i librai decidono di utilizzarli come sponsor per proporre libri. Questo
porta ad una vendita stabile e sufficiente a mantenere in piedi le sorti di
Marzio. Che per riconoscenza, cambia ancora il nome della libreria, che diviene
definitivamente quello del titolo.
Ma
i consessi che con Nunzia portavano decine di lettori e compratori, non tornano
più, rimanendo un piccolo nucleo di quattro eletti, che continuano le
discussioni del martedì intorno ai testi più interessanti della letteratura
poliziesca. E ce ne sono assai, credetemi. Comunque sono loro i sodali cui
accennavo prima, dalle cui discussioni ed analisi si rilevano elementi nuovi di
indagine, che, per l’appunto porteranno alla soluzione del caso.
Rimangono
da seguire, e Pulixi lo fa per tutto il libro, le vicende private e pubbliche
di Marzio, che danno un tono ironico e fresco a buona parte del testo. Anche se
nella convergenza finale delle varie storie, compreso il mai palesemente
espresso innamoramento di Marzio per la bella poliziotta, tutto si sfalda in un
finale scontato in alcune parti e leggermente improbabile in altre.
Quello
che di certo ho apprezzato sono gli elementi di cultura giallistica, da cui
traspare la conoscenza e l’amore di Pulixi per il genere, le descrizioni di
luoghi e scorci di Cagliari, belli da leggere e spero altrettanto interessanti
da vedere se, spero, si tornerà nell’isola, e le frecciate ironiche ma non
tanto verso i frequentatori, spesso casuali, delle librerie e le loro
richieste, spesso venate di un surrealismo bellissimo.
Per
sottolineare questo punto, che ritengo il migliore del libro, non posso
esimermi dal citare le richieste di alcuni clienti. Che vanno da “Sequestro un
uomo” di Primo Levis a “Il nome della sposa” di Eco. C’è chi chiede un libro di
Carrisi, ma non Donato bensì Albano. C’è chi chiede “Innaffiare i fiori”
cercando il libro di Valerie Perrin. Infine, ci sono le tre bellissime pagine
del contraddittorio tra un Marzio all’inizio condiscendente poi, via via,
sempre più irritato, con una cliente il cui unico indizio è “il libro ha una
copertina gialla”. Tre pagine mirevoli.
Tuttavia,
il libro non è riuscito benissimo, forse tolto dal forno troppo presto, che
alcune parti non si sono cotte bene. Mentre altre sembrano far intravedere un
possibile secondo episodio che, alla data, non è né previsto né prevedibile.
“[era]
lassista come ogni uomo davanti allo spettro delle grandi pulizie.” (12)
In
una settimana, ma anche in un anno complicato mi sono venute sulla penna due
frasi di Liza Marklund tratte da “Il lupo rosso”:
“Mi
piacerebbe avere una vita come la sua … Sentirmi a casa da qualche parte.” (64)
“Se
due persone devono vivere la loro vita insieme devono essere d’accordo
entrambe.” (301)
Speriamo che passino in fretta questi dieci giorni dell’infausto 2024, che anche in questo finale ci mostra la sua potenza negativa, mostrandomi, come non mai, che la cattiveria degli uomini è spesso superiore alla nostra immaginazione. Ma il mio ottimismo di fondo non può che portarmi verso le persone buone che saluto ancora e sempre con un sentito abbraccio.
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