domenica 22 dicembre 2024

Pulixi e gli altri - 22 dicembre 2024

In attesa della fine di un anno non certo allegro, porgo una trama quasi tutta dedicata a Piergiorgio Pulixi, uno scrittore interessante con delle trame che mantengono un buon tenore di riuscita. Gli fanno di contorno altre due buone prove di due scrittori diversi: le trame soft-noir di Alice Basso e le vicende molto veneziane di Paolo Forcellini.

Alice Basso “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” Garzanti euro 9,90

[A: 01/08/2021 – I: 17/07/2024 – T: 19/07/2024] &&&  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 269; anno: 2015]

Alice Basso è un’altra delle tante penne italiane di cui avevo sentito parlare ma di cui non avevo, ancora, letto nulla. Rimedio con questo che è il primo libro della serie dedicata a Vani Sarca (che credo sia di cinque libri), e devo dire che è una scrittura godibile, con alcune punte di ironia che mi hanno divertito, ed un impianto globale interessante. Non sono ancora sicuro se il finale mi convince del tutto, ma ci sarà tempo di parlarne.

La scrittura è decisamente gradevole, frutto ovvio della frequentazione di Alice con l’ambiente letterario. Soprattutto Vani, pur con delle palesi contraddizioni tipiche degli esseri umani, è ben tratteggiata ed esce prepotentemente con simpatia dalle pagine. Cosa purtroppo poco vera per gli altri personaggi, forse a me è piaciuta solo la ragazza vicina di casa, Morgana.

Intanto, per una definizione della scrittura stessa si potrebbe coniare un termine tipo “chick noir”, visto che questo è un tipico esempio di una struttura di scrittura degli ultimi anni. Un giallo abbastanza leggero con spiccati elementi umoristici o quanto meno ironici, unito ad una buona dose di quello che viene indicato con “chick lit”. Un termine che etichetta un certo modo di scrivere, cominciato se vogliamo dai diari di Bridget Jones, la cui definizione è composta da  chick un termine informale usato per indicare le "ragazze" e derivato da chicken (nel senso di “pollastrella"), mentre lit è l'abbreviazione di literature ("letteratura").

Questi romanzi sono in genere con un taglio umoristico e post-femminista, con protagoniste delle donne dinamiche, fra i venti e i quarant'anni, che vivono in grandi città  e lavorano in settori come l'editoria, la pubblicità, la finanza o la moda. Esattamente come la nostra.

La protagonista è infatti Silvana Cassandra Sarca detta Vani, di professione ghostwriter per la sua capacità camaleontica di entrare in sintonia con lo scrittore per cui deve scrivere un libro, riuscendo ad immedesimarsi in una storica dell’età moderna, in un tipografo, in un cabarettista, in una divulgatrice di educazione musicale innovativa, in un ciclista, arrivando anche a scrivere testi per la bibliografia di un imprenditore cui servivano per curriculum.

Sarcastica e scanzonata, dark prima che esistesse il dark, ha due svolte all’inizio del libro, che diventeranno l’ossatura della trama: il suo editore, Enrico, la costringe ad incontrare un autore, Riccardo, ed a visitare una possibile futura autrice, Bianca Dell’Arte Cantavilla.

Con Riccardo aveva scritto piccole cose, ma l’incontro è fulminante, e da chiacchiere ed altro nascono un nuovo best-seller “Più dritta di una corda di chitarra” ed una storia d’amore. Alice riesce a mescolare vicinanze e lontananze, così che i due inevitabilmente si lasciano, anche perché Riccardo potrebbe nascondere qualche scheletro, che prima o poi si sollevano e vanno altrove, lasciando la possibilità che nelle successive opere (che ci sono) potrebbero avere ancora un percorso insieme.

Foriera di maggior trama è l’incontro con Bianca, un’autrice presa dal blocco della scrittura che le chiede aiuto per proseguire la saga delle “Cronache Angeliche” (nel senso che parla con gli angeli). Peccato che subito dopo Bianca scompare e tutta la parte ironico-noir è tesa alla ricerca della scomparsa. Conosciamo così un altro simpatico personaggio, il commissario Romeo Braganza, che, intuite le doti camaleontiche di Vani, la spinge ad entrare nei personaggi.

Seguiamo così il percorso di Vani, che ovviamente prende molte strade senza uscita, prima di imboccare quella maestra, complice un’attenta lettura dei giornali e qualche connessione tra messaggi, scritti ed intuizioni. Certo è un po’ un cilindro da cui esce fuori un gatto, visto che per i conigli è troppo facile. Ma è certo da gustare l’invenzione letteraria della strategia che Vani adotta per portare a compimento il salvataggio di Bianca.

L’idea migliore è propria la capacità “alla Zelig” di Vani, mentre qualche punto di perplessità lascia una parte dell’impianto generale, che sembra ricalcare, in modo molto lontano ma paragonabile, un simile impianto del primo libro di Alessia Gazzola: donna, con capacità, non fortunata (o non portata) per le storie d’amore, commissario intelligente che ne sfrutta le capacità per risolvere problemi noir. Certo, le differenze sono molto, e ci sta, ma qualche idea è germogliata, e con successo, nell’orto di Alice.

Un tipico libro estivo, rilassante con quelle punte ironiche che di certo non guastano. Mi ha incuriosito e qualche altra cosa ne leggerò.

Paolo Forcellini “Vipere a San Marco” Marsilio euro 15 (in realtà, scontato a 14,25 euro)

[A: 25/04/2021 – I: 25/10/2024 – T: 27/10/2024] &&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 312; anno: 2021]

Paolo Forcellini, come dicevo già altrove, è un amico per “buffa” interposizione, per cui ho sempre piacere di leggere i suoi scritti (anche se con moderazione) e tramarli senza lasciarmi prendere da nessun tentennamento: mi piace se mi piace, trovo errori se ci sono. Gli amici servono (anche) a questo.

Qui errori non ne ho trovati, ma il risultato complessivo del libro è stato leggermente inferiore alle aspettative. Forcellini nasce giornalista, e la qualità della scrittura ne risente positivamente. Mentre, a livello di intreccio e di tensione si rimane molto in superficie. Ci sono fatti delittuosi, ci sono coscienziosi indagatori, ci sono begli intarsi della coprotagonista della vicenda, cioè Venezia, sia con l’accenno ad alcuni piatti locali, sia, e con più interesse da parte mia, un ondivagare tra le mille cose che la città offre. Campielli, porteghi e sottoporteghi, chiese, cripte, passaggi segreti, bellezze nascoste o palesi.

Quello che meno mi ha preso, nella “venezianità”, è l’uso del dialetto. Forse è funzionale ai personaggi, ma in alcuni punti ho avuto una grossa difficoltà ad interpretarlo, a decodificarlo. E in parallelo, anche la figura del protagonista, il cronista del quotidiano “L’Istrice”, Alvise Selvadego, non mi ha preso completamente. Simpatico, imbranato il giusto e con tanti contatti (ma se ne hai così tanti perché fai ancora il cronista da battaglia?).

A parte la trama, a cui arriveremo, ed oltre al manuale turistico e culinario, Forcellini ha due frecce che ha intenzione di scoccare. Una, palese, sull’ambiente giornalistico, sulla sua ipocrisia, sui suoi falsi valori. Ecco così che mette in scena la redazione de “L’Istrice” piena di epigoni dei giornalisti che lo stesso Paolo ha incontrato nella sua carriera. C’è Piero Zambo, il direttore, rude e scontroso, tanto che si merita il soprannome di Grizzly, e c’è l’editorialista, che era anche il precedente direttore, tanto che viene chiamato Ex (sceso di grado, ma sempre con stipendio alto), c’è il caposervizio Marco Bertoli, detto l’Ovvio (autoesplicativo) c’è il generico tuttofare Baldo Nordio, detto Culodipietra dato che non è stato mai visto muoversi dalla sua scrivania, e c’è il vaticanista bigotto, Nazareno Deogratias. A dare un tocco di leggerezza, fortunatamente, ci pensa l’addetta alla cultura, Gaspara Meravegia detta Gas. Penso abbiate già capito l’intento ironico di questa pittura di redazione.

A dirigere le indagini, in realtà, ci sarebbe il vicequestore Bastiano Possamai, per inciso anche grande amico e sodale di Alvise, tanto che proverà (ci riuscirà?) per tutto il libro a spingere Gas (descritta proprio come una meraviglia) tra le braccia di Alvise.

La trama prende il via dalla sparizione di Franco Bisato, l’anziano patriarca di Venezia. Sparito e morto, volutamente o accidentalmente? Sparito per un attacco di dissociativo con perdita di memoria? Sparito in seguito a rapimento?

Le indagini si muovono con i piedi di piombo, data la figura scomparsa. Ma cominciano a prendere una discreta velocità alla scoperta di un tassista marino ucciso a colpi di pistola. Così si comincia a seguirne le piste, scoprendone pregresse frequentazioni seminariali. Ed a questo punto, Alvise gioca duro mettendo in mezzo l’aiutante di don Bisato, che gli fornisce alcuni indizi, ma, forse per devozione curiale o per altro, ne nasconde anche.

Seguendo comunque le fila della giovinezza del morto, le sue frequentazioni, un prete tedesco che di sicuro ha delle ombre (non mi ero dimenticato, questo è il facile secondo bersaglio dell’autore verso la poco raccomandabile gestione dei seminari, in presenza di elementi non allineati), ed altri piccoli jolly che scopre durante le sue ricerche, Alvise si persuade che il bersaglio sono tesori nascosti nella cripta della Chiesa di San Marco, dove, con l’aiuto di Bastiano e di Gas, farà quadrare il cerchio.

Insomma, Forcellini è sempre una lettura distensiva, impreziosita dal fatto di averlo letto nella breve vacanza ai bordi del Lago di Garda.

Finisco con il proverbio che riporto, e che, commentandolo a valle di un libro di Rino Cammilleri, ne scrivevo la genesi. Infatti, un tempo tra le colonne di San Marco e San Todaro venivano eseguite le condanne capitali. Tra quelle colonne, i condannati prima di venire ammazzati guardavano dritto alla torre dell'orologio che avevano davanti che segnava l'ora della propria morte. Una locuzione quindi usata per minacciare qualcuno. Cosa che usa sapientemente anche Forcellini.

“Te fasso veder mi che ora che xe.” (229) [vedi Cammilleri]

Piergiorgio Pulixi “Per mia colpa” Mondadori euro 8,90

[A: 24/06/2024 – I: 11/08/2024 – T: 12/08/2024] &&& --  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 279; anno: 2021]

Come dissi altrove, avevo seguito i primi passi di Piergiorgio Pulixi quando scriveva, su ispirazione di Massimo Carlotto, nel collettivo Mama Sabot. Avendone lasciato altrove le successive prove, ne ritrovai traccia un paio di anni fa in un’interessante ma non riuscitissimo libro isolato (“Lo stupore della notte”) per poi rendermi conto che ora ho diversi libri suoi nella mia libreria, così tanto vale che ne torni a leggere.

Con un libro che, per la mia indole, è superiore alle precedenti letture, anche se non mi ha convinto sino in fondo. È certo un libro che pone interrogativi, che interroga sull’animo umano e sulle scelte di vita che si effettuano. Pur tuttavia, la trama gialla ha qualche buco qua e là, e la parte più personale, anche avendo introdotto punti interessanti, rimane sospesa.

Per una ragione semplice, che avevo già indicato sia in lui, ma anche su tanti altri autori. Non sono mai a mio agio quando un autore utilizza un personaggio dell’altro sesso, in special modo quando parla in soggettiva. Anche qui, ci sono capitoli in cui Giulia Riva parla in prima persona, e sono quelli che mi convincono di meno. Certo, vengono dette cose, seguiti ragionamenti, ma domando alle mie lettrici: riuscite ad immedesimarvi in quanto viene scritto?

Questo ci porta ad un altro punto debole del testo. Si passa spesso da capitoli in soggettiva in cui seguiamo i ragionamenti e le azioni del vicecommissario Giulia Riva, ed altri in terza persona, da scrittore onnisciente, che ci porta a spasso per le pieghe del libro (e che ci porterà alla non banale conclusione). Un’alternanza che si presenta anche nelle parti in corsivo, dove seguiamo l’altra donna del testo, Virginia Piras, che nel presente del romanzo risulta scomparsa da un anno.

Le colpe personali dei vari personaggi del testo, venendo al romanzo vero e proprio, sono spesso quelle di non aver seguito le proprie passioni, di aver anteposto altro a sé stessi. Così è per Giulia da anni invischiata in una relazione senza sbocco con il suo capo. Così è per Virginia che pur vivendo un matrimonio senza intoppi, è insoddisfatta, non riesce ad esternare sino in fondo l’amore per la figlia Elisa, e si ritrova in una situazione erotica che anche lì, per sua colpa, non riesce a gestire.

Sono due presenze femminili, poi, che fanno scattare i meccanismi di Giulia: una donna che uccide l’amante del marito che la stalkerava, ed una bambina che chiede a Giulia di non dimenticarsi di sua madre, scomparsa da un anno. Il primo meccanismo innesca una presa di coscienza in Giulia che capisce e lascia l’amante-capo. Il secondo provoca una spirale di empatia, che convince Giulia a dedicarsi a corpo morto nel caso.

Qui veniamo alla parte solidale-comica del testo (ironia che in Pulixi è sempre fortunatamente presente), per merito di Flavio, collega di Giulia. Un tempo punta di diamante, ma che, per motivi che scopriremo solo nell’ultimo capitolo, cade in una spirale di alcool e autodistruzione. Peccato che proprio lui sia stato il titolare delle prime indagini sulla scomparsa di Virginia. E non sembra proprio che sia riuscito a portarle avanti con il dovuto rigore.

Mentre Giulia, magari un po’ più attenta, magari un po’ più fortunata, riesce ad unire una serie di puntini sparsi che non pareva volessero unirsi. Trova quindi traccia di una relazione clandestina di Virginia con Raffaele, cosa che nessuno sospettava. Ma mentre ipotizziamo o che Virginia sia fuggita con lui o che lui l’abbia uccisa per qualche suo motivo o che l’abbia fatto il marito di Virginia se avesse scoperto la tresca, il castello di carte cade nel nulla: Raffaele si suicida alcuni mesi prima della scomparsa di Virginia. Ma ormai il filo della ricostruzione è innescato e Giulia riuscirà a rimettere insieme tutti i pezzi scomposti del puzzle ed a portarci al sorprendente finale, forse uno dei punti migliori del romanzo. Non come sia scritto, che arriva un po’ troppo senza scosse, ma per come sia stato pensato dall’autore.

Ciò detto, e ribadendo i primi punti poco entusiasmanti sopra esposti, altri elementi vengono a mettere in crisi un giudizio troppo ottimistico del romanzo nel complesso. Di sicuro, il fatto che tutti i personaggi siano di bell’aspetto, sembrano positivi, anche quando sono psicologicamente labili. Positivo appare anche Flavio, pur nella spirale di negatività che lo contorna.

L’altro punto fortemente critico è una serie di approssimazioni nelle indagini, sia nelle prime di Flavio, sia nella prima parte di quelle di Giulia. Pare poco professionale non seguire le tracce sulle ultime cellule occupate dal cellulare di Virginia prima di scomparire, come poco realistico l’acquisto di SIM non rintracciabili. Posso, in Italia, comprare delle prepagate, e se nessuno sa che le ho, non mi si può rintracciare, ma è il massimo che si può fare in Italia. C’è poi una multa che compare assai presto nelle parole che descrivono un sopralluogo. E come il grande Anton Céchov in uno dei principi della drammaturgia moderna: “Se in un racconto compare una pistola, bisogna che prima o poi spari.” Ma sarebbe stato più professionale seguirne le tracce cento pagine prima. Non entro in altre piccole disavventure narrative che già stiamo addentrandoci in una spirale di spoiler poco piacevole per chi non ha letto il libro.

E pur con i tanti piccoli punti neri, ci sono tanti altri punti colorati e piacevoli, come, e questo è un punto fisso dell’autore, la descrizione dei luoghi sardi, ed in particolare di Cagliari, delle sue strade, dei suoi caffè, della sua atmosfera. Si percepisce che, pur se da lontano, il cuore di Pulixi batta sempre nell’isola, riuscendone a scriverne con gradevolezza e amore.

Siccome come ho detto abbiamo altri e non pochi libri di Pulixi in via di lettura, rimandiamo altro ad altra trama.

Piergiorgio Pulixi “Un colpo al cuore” Rizzoli euro 16

[A: 16/03/2021 – I: 27/08/2024 – T: 29/08/2024] &&& --  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 506; anno: 2021]

“A promise is a promise”, come direbbe Schwarzenegger, e quindi torniamo a Pulixi, a questo libro scritto lo stesso anno del precedente, ma con una storia diversa, che ho scoperto solo a libro finito, e che lo mette anche in una luce ed in una prospettiva diversa.

Perché, leggendone, e cercandone in rete, questo risulta essere il quarto episodio di una serie che l’autore ha intitolato “I canti del male”, laddove il titolo del libro, ogni volta si riferisce ad una canzone. Inoltre, vede i “destini incrociati” (scusa Calvino) di due tipologie di poliziotti. Dove c’era il commissario Vito Strega nei primi due canti (“Il canto degli innocenti” e “La scelta del buio”) mentre le ispettrici Mara Rais ed Eva Croce si erano presentate nel terzo (“L’isola delle anime”). Qui i tre si riuniscono e credo che poi ci saranno ancora indagini incrociate che, alla fine di questa, Strega coinvolge le due ed il suo fido Pavan in un corso a Roma per costituire una squadra estesa sul territorio nazionale per la caccia ai criminali.

In questo episodio, Pulixi, sempre attento anche ai fenomeni globali del mondo in cui viviamo, ci offre due bersagli su cui riflettere: la giustizia e l’informazione. Per costruire il suo castello di notizie ed accuse si serve di un fantomatico “Dentista”, che rapisce delle persone, strappa loro i denti, poi manda un messaggio broadcasting chiedendo ai riceventi di emettere una sentenza. Elenca le colpe del rapito, e chiede, tipo le lotte al Colosseo, pollice verso o meno per deciderne le sorti.

Il fatto che la prima “sentenza” venga emessa nel territorio sardo fa sì che vediamo subito coinvolte Mara ed Eva. Il fatto che sia complicato e di grande risonanza fa in modo che venga coinvolto Vito, che noi sappiamo oltre essere di colore e con molti screzi con i superiori, un poliziotto molto in gamba anche se (ma questo è un rilievo personale) milanese.

Si susseguono così, mentre seguiamo sia le indagini dei nostri tre, sia le loro interazioni, una serie abbastanza complicata di delitti simili al primo perpetrato. Non sappiamo le storie precedenti dei detective ma capiamo che Vito ha avuto problemi con le gerarchie, che Eva ha problemi personali da risolvere e che Mara ha di sicuro qualche interesse non professionale verso qualche elemento della squadra.

Ma l’interesse dell’autore è sempre più appuntato sui due punti sopra esposti. Il Dentista sceglie le sue vittime tra coloro che, pur commettendo un reato, attraverso cavilli legali o altre astuzie giudiziarie, riescono ad ottenere pene non consone al reato commesso. Ed ecco che il cattivo si erge a giudice punendo comunque il reo. Non a caso gli strappa i denti, come a mostrare che non potrà più essere cattivo, non potrà mordere. In soprammercato, il suo comportamento emana una sentenza di condanna verso il sistema giudiziario non capace di assolvere alla propria funzione.

Il secondo punto che Pulixi pone all’attenzione è il sistema mediatico che sta sempre più prendendo la mano nel nostro mondo. Ci sono condanne che avvengono attraverso i media prima che sia acclarata la reità del soggetto. Inoltre, il Dentista coinvolge un’ampia platea di fruitori dei social, mostrando, attraverso l’uso di cellulari e WhatsApp, lo svolgimento del crimine e chiedendo un coinvolgimento del pubblico. Sarà il pubblico che deciderà della condanna del reo alla massima pena (che non sono previste soluzioni intermedie). Si mostra così il potere deviato dei social, che invece di divenire strumenti di comunicazione e contatto positivo vengono stravolti e portati ad essere dei “tronisti” estremi, capaci di assolvere o condannare, senza minimamente essere coinvolti in un procedimento di discussione.

Seguiamo con attenzione le dinamiche dei nostri investigatori, capiamo anche abbastanza presto che non può essere un serial killer isolato, ma che deve inserirsi in una trama complessa. Pulixi ha una buona mano per condurci ad un finale che toglie il respiro, dove, seppur soluzioni si trovano, ci sono sorprese che non ci si aspettava e che avranno sicuramente ripercussioni future.

Alfine, una buona prova, che dispiace solo aver iniziato in corso d’opera, cosa che ci lascia alcuni dubbi sulla costruzione complessiva dei personaggi. Ma l’autore a me non dispiace, e ritengo abbia ben utilizzato il suo apprendistato di modo che ora cammina con le sue gambe. Ricordo che nasce in una scuola di scrittura sotto la guida dell’ottimo Massimo Carlotto, e che l’ho apprezzato fin dalla sua prima uscita, con il collettivo Mama Sabot in un ormai lontano “Perdas de Fogu”.

Inoltre, ho gradito i luoghi teatro dell’azione, dalla spiaggia del Poetto a Cagliari al Teatro dell’Elfo a Milano, luoghi che ho visitato, passando per altri, come il ristorante Brellin e la libreria ora intitolata a Pietro Germi, di cui ho sentito parlare.

Piergiorgio Pulixi “La libreria dei gatti neri” Repubblica Profondo Noir euro 8,90

[A: 08/01/2024 – I: 08/11/2024 – T: 09/11/2024] &&& --  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 238; anno: 2023]

Un libro interessante, anche se non completamente riuscito. Con un’insolita pervicacia, infatti, Pulixi prova a scrivere un libro che si muove come un canto a più voci, come una struttura polifonica che tenta di cantare una canzone all’unisono.

C’è una trama nera che sottende tutto il testo, di una brutalità quasi eccessiva e c’è la storia di Marzio e della libreria del titolo, che si potrebbe reggere da sola, però non sarebbe più un vero e proprio giallo. Per cui Pulixi ci mette un paio di poliziotti che indagano sulla trama e che, conoscendo Marzio, lo coinvolgono nelle indagini.

Dicevo la trama nera è forte e brutale. C’è un killer spietato che si introduce nelle case di qualcuno. Nello specifico, lo vediamo entrare a casa Vincis, dove ci sono padre, madre e figlio di dieci anni. A casa Atzori, dove c’è Sabrina ed i suoi due anziani genitori. A casa Patteri, dove c’è il padre, malato di SLA su di una sedia a rotelle, ed i suoi due figli grandi.

Il killer entra, li narcotizza, li lega, e quando si svegliano chiede ad uno dei presenti di decidere in un minuto chi debba uccidere degli altri due. Se non decide, li uccide entrambi, mentre lascia in vita gli altri. Una vita con il rimorso di una scelta. All’inizio sembra un gioco, ma il killer uccide davvero, e non lascia tracce.

Così che la polizia non ha all’apparenza elementi per indagare. Quando però Marzio ed i suoi sodali vengono coinvolti nelle indagini, utilizzando i tanti elementi derivanti dalle loro conoscenze giallistiche, si intravede un barlume. Come nella “Lettera rubata” di Poe c’è un indizio talmente evidente da confondersi con il rumore di fondo delle indagini. Una volta individuato, il resto viene con disarmante facilità, e porta ad una soluzione congruente, ma traballante dal punto di vista della casualità.

Insomma, nella parte noir si parte con una Ferrari e si arriva al traguardo con una Topolino.

Meglio, di contro, la storia di Marzio, che spiega un punto che ho sopra esposto e non spiegato. Marzio era un ottimo insegnante di matematica, molto empatico con i suoi alunni. Scoperto uno evidentemente maltrattato, anche fisicamente, dal padre, perde il controllo e prende a pugni il padre, con conseguente licenziamento in tronco. Non perché abbia sbagliato, ma per il modo con cui si è vendicato.

Per sbarcare il lunario, allora Marzio decide di dedicarsi alla sua passione, i libri gialli. Aprendo una libreria specializzata, “La libreria del Mistero”. Ma le librerie di genere non hanno grande spazio, a fronte dei colossi della distribuzione, finché l’anziana Nunzia lo costringe ad aprire il locale il martedì per una discussione assembleare su di un libro giallo diverso ogni volta. Così il locale si ricicla come “La libreria del Martedì”. Con il successone che dura fino a quando Nunzia non scivola nell’Alzheimer.

Potrebbe essere un colpo mortale, ma due gatti neri adottano il busto di Agatha Christie e i librai decidono di utilizzarli come sponsor per proporre libri. Questo porta ad una vendita stabile e sufficiente a mantenere in piedi le sorti di Marzio. Che per riconoscenza, cambia ancora il nome della libreria, che diviene definitivamente quello del titolo.

Ma i consessi che con Nunzia portavano decine di lettori e compratori, non tornano più, rimanendo un piccolo nucleo di quattro eletti, che continuano le discussioni del martedì intorno ai testi più interessanti della letteratura poliziesca. E ce ne sono assai, credetemi. Comunque sono loro i sodali cui accennavo prima, dalle cui discussioni ed analisi si rilevano elementi nuovi di indagine, che, per l’appunto porteranno alla soluzione del caso.

Rimangono da seguire, e Pulixi lo fa per tutto il libro, le vicende private e pubbliche di Marzio, che danno un tono ironico e fresco a buona parte del testo. Anche se nella convergenza finale delle varie storie, compreso il mai palesemente espresso innamoramento di Marzio per la bella poliziotta, tutto si sfalda in un finale scontato in alcune parti e leggermente improbabile in altre.

Quello che di certo ho apprezzato sono gli elementi di cultura giallistica, da cui traspare la conoscenza e l’amore di Pulixi per il genere, le descrizioni di luoghi e scorci di Cagliari, belli da leggere e spero altrettanto interessanti da vedere se, spero, si tornerà nell’isola, e le frecciate ironiche ma non tanto verso i frequentatori, spesso casuali, delle librerie e le loro richieste, spesso venate di un surrealismo bellissimo.

Per sottolineare questo punto, che ritengo il migliore del libro, non posso esimermi dal citare le richieste di alcuni clienti. Che vanno da “Sequestro un uomo” di Primo Levis a “Il nome della sposa” di Eco. C’è chi chiede un libro di Carrisi, ma non Donato bensì Albano. C’è chi chiede “Innaffiare i fiori” cercando il libro di Valerie Perrin. Infine, ci sono le tre bellissime pagine del contraddittorio tra un Marzio all’inizio condiscendente poi, via via, sempre più irritato, con una cliente il cui unico indizio è “il libro ha una copertina gialla”. Tre pagine mirevoli.

Tuttavia, il libro non è riuscito benissimo, forse tolto dal forno troppo presto, che alcune parti non si sono cotte bene. Mentre altre sembrano far intravedere un possibile secondo episodio che, alla data, non è né previsto né prevedibile.

“[era] lassista come ogni uomo davanti allo spettro delle grandi pulizie.” (12)

In una settimana, ma anche in un anno complicato mi sono venute sulla penna due frasi di Liza Marklund tratte da “Il lupo rosso”:

“Mi piacerebbe avere una vita come la sua … Sentirmi a casa da qualche parte.” (64)

“Se due persone devono vivere la loro vita insieme devono essere d’accordo entrambe.” (301)

Speriamo che passino in fretta questi dieci giorni dell’infausto 2024, che anche in questo finale ci mostra la sua potenza negativa, mostrandomi, come non mai, che la cattiveria degli uomini è spesso superiore alla nostra immaginazione. Ma il mio ottimismo di fondo non può che portarmi verso le persone buone che saluto ancora e sempre con un sentito abbraccio.

Nessun commento:

Posta un commento