Una
buona cinquina in crescendo.
Grazia Verasani “Senza Ragione Apparente”
Repubblica Mistero Noir 33 euro 8,90
[A: 11/02/2025 – I: 09/03/2025 – T:
10/03/2025] &&
+
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 204; anno:
2015]
Giorgia
Cantini, allora, viene coinvolta dal padre nell’impresa famigliare di
un’agenzia di investigazione privata. Perché il padre è una forte presenza,
essendo la madre morta lei ancora piccola. Ed inizia (nel primo libro) cercando
di trovare (trovandolo) il bandolo della matassa della morte della sorella
avvenuta dieci anni prima. Un suicidio che forse non lo è. Anche se tutto ciò
passa nel dimenticatoio. Come vi passano i vari amorazzi delle prime uscite.
Mentre ora, con più solidità, ha un rapporto di convivenza con il capo della
squadra mobile, Luca Bruni. Rapporto complicato, con molti alti e bassi, ma che
fa solo da sfondo alla vicenda al centro della trama.
Giorgia,
infatti, viene incaricata dalla madre di Emilio Matera di indagare sulla morte
del figlio avvenuta otto mesi prima. Suicidio, sembra proprio, ma con scarse
spiegazioni. Parlando nell’ambiente scolastico, Giorgia si avvicina a Valerio
Britti, il miglior amico di Emilio. Ma questi, “senza una ragione apparente”,
precipita dall’ultimo piano del liceo dove tutti loro studiavano. E Giorgia si
arrovella, pensando che la sua indagine abbia smosso qualcosa che forse non
doveva.
Sempre
indagando tra situazioni anomale del periodo della morte di Emilio e l’ambiente
stesso del liceo, Giorgia viene aiutata anche da Mattia, il figlio di Luca che
non ha un buon rapporto con il padre ed attraversa un periodo “buio”, ma il
coinvolgimento con Giorgia lo farà un po’ aprire.
Intanto,
tirando le fila, Giorgia scopre la vicenda di una donna che per l’appunto otto
mesi prima era stata falciata da un pirata della strada. Parlando con il
compagno scopre che in quel periodo la donna si era allontanata da lui, avendo
uno stretto rapporto con Toni Speranza. Toni è il rude e manesco padre di
Pietro, che, con Alex, Emilio e Valerio costituiva un quartetto di ragazzi
molto uniti, nel bene e nel male.
Dall’esame
dei verbali, Giorgia scopre che pochi giorni prima di essere travolta da una
macchina, la donna aveva fatto una interruzione volontaria della gravidanza. E
contemporaneamente aveva deciso di chiudere con Toni. Giorgia riesce a legare
tutti i fili, a scoprire ed a far parlare chi deve dire e fare. Ma il suo
compito non è di polizia. Lei riferisce alla madre di Emilio. Poi sarà
qualcun’altro, deputato alla bisogna, che definirà le responsabilità
individuali di ognuno.
La
cifra di Grazia Verasani, pur in un contesto che non è di grande
coinvolgimento, rimane in ogni caso costante. La bella atmosfera di Bologna,
che non guasta mai. Citazioni di libri, anche questi ben dosati senza troppe
sbavature. Ma soprattutto, data anche la tipologia di provenienza dell’autrice,
la musica di fondo. La musica di Giorgia, adeguata ad una quarantenne di
ascendenze rock. Ma anche la musica dei giovani, con quelle tendenze che, a me,
non è che risultano molto gradite, e che tuttavia sono presenti nell’universo
giovanile. E fa bene Giorgia, quando ne parla ad esempio con Mattia, a non
trincerarsi dietro cortine difensive, ma aprirsi ad esperienze diverse e quindi
da comprendere.
Inoltre,
il nocciolo duro della scrittura della nostra autrice è l’eccentricità rispetto
a possibili delitti. In realtà, si indaga su disagi, su spinte altre, con
quell’empatia che l’investigatrice Contini mette in ogni sua indagine. E qui,
allora, ben si sviluppa una riflessione sul rapporto tra genitori e figli,
soprattutto sull’assenza dei primi, sul loro delegare il proprio ruolo ad
altro, di modo da non dare ai figli punti di riferimento solidi. Magari non
accettati, ma almeno da affrontare.
E
di converso, risalta anche la superficialità dei rapporti tra i giovani, che
nella poca profondità di riflessione sfocia spesso in una crudeltà “da
videogioco”. Come si dice in altro libro da poco letto, che nel videogioco
muori, ma poi rinasci e ricominci da capo. Nella vita, si muore. E basta.
Grazia Verasani “Come la pioggia sul
cellofan” Repubblica Anima Noir 30 euro 8,90
[A: 17/01/2022 – I: 25/03/2025 – T: 26/03/2025]
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 187; anno:
2020]
E con questo siamo arrivati alla penultima
uscita dell’investigatrice Giorgia Cantini partorita dalla penna dell’ottima Grazia
Verasani. Ed è stato un parto difficile, che sono passati ben cinque anni dall’episodio
precedente. Dove credo anche che ci siano delle difficoltà intrinseche in tutta
la serie, visto che per l’ultimo episodio passeranno altri cinque anni.
Anche se sono passati cinque anni, comunque,
ci sono elementi costanti nella vicenda ed elementi che si evolvono.
Ovviamente, dato il passato di Grazia, non può mancare la musica, sia in quella
di qualche nuovo locale, sia in quella, cantautorale ed un po’ datata, del
protagonista della vicenda. Ma soprattutto gli agganci cinematografici e
letterari che non mancano mai, e qui mi hanno ricordato il bellissimo “Vertigo”
di Hitchcock e il libro “D’entre les morts” di Boileau e Narcejac che servì di
base alla sceneggiatura.
Non manca certo la segretaria tuttofare
Genzianella detta Gen (anche se questa volta ha un ruolo solo di contorno).
Manca invece, ed è questo il punto dolente che la scrittrice ci presenta sin
dalle prime pagine, il commissario Bruni. A seguito di un brutto incidente del
figlio Mattia, Bruni lascia Giorgia e torna alla moglie ed alla famiglia.
Questo sarò un tormentone per tutto il libro, e forse uno dei punti più
“pallosi”. Cioè c’è stata una rottura, Giorgia soffre come un cane, ma tornarci
sopra ogni due pagine, senza aggiungere niente di nuovo, alla fine risulta un
po’ frustrante per un lettore che si aspetta una confezione libraria un po’ più
vivace.
Rimane, ancora, la coprotagonista Bologna,
con quella bella immagine della pioggia, laddove non serve l’ombrello se si
cammina sotto i portici. E c’è, fuori dal contesto del filo rosso del libro, un
paio di considerazioni sul mondo attuale e sul (cattivo) uso di cellulari ed
affini che non posso che condividere. Colpisce l’immagine che ci dà Grazia di
queste monadi che si aggirano per il mondo, risultando alla fine ben più solitarie
proprie nella ricerca di un contatto sociale.
Comunque, triste ed un po’ bevuta per le
vicende personali, grazie ad i buoni uffici di un amico, Giorgia si ritrova in
campo. Un cantante, Furio Salvadei, che ha fatto furore anni prima, ma che ora,
viaggiando sui cinquanta, si sta ripiegando nell’ombra, è oggetto di
stalkeraggio da parte di una signorina veneta, tal Adele. Il nostro Furio
chiede allora a Giorgia di verificare questa persecuzione, e di trovare il modo
di mettervi fine.
Qui si incentra tutta la parte che serve ad
introdurre informazioni che provano a portare fuori strada il lettore, ed è
anche un po’ troppo arzigogolata. Comunque, Giorgia, seguendo Furio, incrocia
una bionda che sembra proprio Adele, e che si comporta da buona persecutrice.
Ma poi ne perde le tracce, per trovare casualmente una signora bruna che sembra
la fotocopia di Adele in altri colori. Purtroppo, non è Adele ma tal Miriam.
Nelle more, Furio che non si dà pace di non
essere sulla cresta dell’onda, un po’ beve, un po’ rimorchia donzelle
(pentendosene subito), e molto si lamenta di essere stato lasciato. D’altra
parte, se non sai tenere a bada l’uccello … E comunque si palesano anche
Adriana, avvocato storico di Furio, che lo assiste nelle cause di stalker. Si
aggira alle costole di Furio il suo tuttofare Alberto, che aiuta, ordina, prova
ad incanalare Furio su vie “normali”, ma che, in ogni caso, ha il suo
tornaconto sui guadagni accumulati dal nostro. E si fa vivo infine anche Rocco,
il fratello (ma poi si scopre fratellastro), fotografo che si è rifugiato
all’estero, non si sa se per star lontano da Furio o dal fisco.
Il tutto precipita una notte in cui Furio,
deluso di sé, beve sino allo stordimento entrando in coma etilico. E nello
stesso tempo, viene trovata morta Miriam di cui sopra. Grande sembra la
confusione sotto il cielo, ma questa volta non c’è una gestione oculata degli
indizi e dei tempi dell’indagine. Intanto, perché Giorgia ogni due per tre
ripensa a Bruni ed alla sua storia passata. In questo non certo aiutata dallo
stronzo che non trova di meglio che dirle di rimanere amici. Ma che siamo in un
film degli Anni Trenta?
Comunque, frugando tra le cose di Miriam, la
nostra investigatrice trova una parrucca bionda, ed alcune interessanti
fotografie. Così, senza che noi si possa intervenire con ragionamenti
polizieschi, il caso viene risolto, sempre nella direzione dei finali alla
Maigret. Un conto è la verità ed un conto è la giustizia.
Unico momento da condividere con Giorgia
quando, riflettendo sulla fine della sua storia, si dice quanto sia facile
perdersi di vista, ti volti e la persona con sui stavi parlando fino a un
attimo prima non c’è (e non parliamo solo di amori, ma anche di amicizie).
Grazia Verasani sembra aver perso un po’ di
verve in questa sua sesta storia di Giorgia, come se la fine della storia con
Bruni abbia congelato la protagonista e la scrittrice. Si sente un blocco, ed
anche uno sforzo per superarlo. Qui, purtroppo, non c’è ancora riuscita, siamo
ancora un po’ in ruggine. Speriamo meglio per Grazia nel futuro.
Antonio Paolacci & Paola Ronco “Il
punto di vista di Dio” Repubblica Anima Noir 31 euro 8,90
[A: 21/01/2022 – I: 11/03/2025 – T: 13/03/2025]
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 377; anno:
2020]
Farà senz’altro piacere ai miei cugini
“deandreiani” che anche questo secondo testo della coppia scrivente Paolacci
& Ronco faccia riferimento al grande Faber. Ricordo che il primo volume
della serie si intitolava “Nuvole barocche” (titolo del primo singolo inciso da
Faber). Questo invece, nel titolo, rievoca una riga del testo della canzone “Khorakhané
(a forza di essere vento)”, contenuta invece nell’ultimo album inciso in studio
nel 1986 (“Anima salve”).
Ma d’altra parte non poteva che essere
comunque un omaggio a Genova anche questa scrittura, visto che seppur da
località diverse (Paolacci da Maratea e Ronco da Torino) i nostri autori hanno
eletto Genova come loro luogo di vita e del cuore. Ed in effetti è proprio
Genova l’attore non protagonista che pervade il testo. Dove, a prescindere
dalla trama, ci aggiriamo per i carrugi, ovviamente perdendoci. Ma anche
scoprendo piazze, chiese, bar. Vedendo inutili turisti perdersi senza posa. Ed
immigrati più o meno regolari cercar di trovare il modo di arrivare a sera. Una
città che, pur nella mia poca frequentazione, sempre mi torna alla mente
(risalendo per via del Campo).
Prima di entrare nella trama e nelle
vicende, colgo l’attimo per citare altri due rimandi che anche in questo testo
sono presenti. Ovviamente, Andrea Cotti con il suo commissario di ascendenze
cinesi, Luca Wu, che ha introdotto il nostro vicequestore alla pratica del Tai
Chi. Ma anche altrettanto ovviamente, l’omaggio ad uno dei loro riferimenti di
genere, cioè Carlo Lucarelli, che anche qui vediamo tirato per i capelli
menzionando i non ortodossi comportamenti del suo ispettore Coliandro.
Comunque, migliorando in scorrevolezza la
scrittura, anche se la trama gialla non è eccelsa, i nostri confezionano una
buona seconda storia (cosa sempre difficile se la prima ha avuto un buon
successo), intorno al vicequestore aggiunto Paolo Nigra ed alla sua squadra.
Che ovviamente apprezziamo in tutto il lato “privato” della storia (visto che
in realtà a parte il supporto organizzativo tutte le deduzioni vengono dal
nostro). C’è l’assistente capo Marta Santamaria, sempre con la sua pipa in
azione e con la sua sboccata parlata romanesca. C’è l’ispettore Caccialepori,
sempre più immerso nella sua ipocondria, anche se qualche sua uscita laterale
ci fa ben sperare.
C’è l’amica Sarah ed il suo rapporto
conflittuale con il capo di Nigra, il sostituto procuratore Evangelisti. Ma
soprattutto c’è Rocco, il compagno di Paolo, legati da un rapporto ormai
triennale, leggermente incrinato dall’impossibilità di Rocco di palesarsi,
visto che, da attore, è diventato star di una fiction televisiva in cui, per
antitesi, interpreta un poliziotto, il commissario napoletano Scognamiglio. E
per di più, un poliziotto sciupafemmine. Ma sono gradevoli i siparietti privati
dei nostri, tra gricia in orrore d’eresia (“mai mangiare una gricia lontano da
Roma” sentenzia Santamaria), manicaretti super carboidrati ideati da Nigra e
grandi bevute del loro cocktail preferito, il Ti’ Punch (o “petit ponch”), una
bevanda caraibica costituita da rum agricole bianco, lime e sciroppo di
zucchero, in proporzioni a piacere.
Per quel che riguarda il giallo, l’idea
costruttiva è senz’altro divertente. C’è una congregazione di persone anziane,
o quantomeno avanti negli anni, che mette su un circolo di giallisti. La
composizione è variegata: professori in pensione, vedove di professori in
pensione, ex-dottoresse di base, un ipoudente maresciallo dei carabinieri, due
farmacisti in attività ed uno scrittore presupponente che ovviamente pubblica
da sé i suoi libri.
Il fulcro del circolo è l’ex professore
Sergio Bruzzone, sempre molto sopra le righe, sempre a prendere in giro e
mettere in difficoltà tutte le persone che frequenta. Bruzzone è anche celiaco,
per questo la domenica, fa per primo la comunione con delle particole senza
glutine preparate per lui dai suoi amici farmacisti. Peccato che subito dopo la
comunione, si accascia sul banco della Chiesa, la sua amica dottoressa accorre
e ipotizza un avvelenamento. Cosa che verrà confermato dal medico legale: avvelenamento
da cianuro.
A parte alcune digressioni sul cianuro,
tutta la storia si avvolge intorno ai rapporti all’interno del circolo, dove
tutti hanno, in grado più o meno forte, avversione per Bruzzone e non sono
certo dispiaciuti della sua dipartita. Quello che riesce difficile comprendere
sono le modalità dell’avvelenamento. Che il sacchetto da cinquanta particole
gluten free non contiene altri segnali di cianuro. Che comunque le particole
erano in sacrestia non custodite e potevano essere accessibili a chiunque.
Mentre i nostri autori si divertono anche a
spingere verso soluzione assurde (tipo un attacco islamico alle ostie sacre),
Nigra adotta il metodo ragionativo “alla Sherlock Holmes”, quando hai eliminato
l'impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità.
Ed alla verità arriveremo, anche se sembra possibile accorgersene molto prima
del vicequestore aggiunto.
Nigra, tuttavia, rimane simpaticamente nei
nostri cuori, sperando in una nuova e leggera puntata delle sue storie.
Elda Lanza “La cliente sconosciuta”
Repubblica Anima Noir 41 euro 8,90
[A: 01/04/2022 – I: 31/03/2025 – T: 01/04/2025]
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 233; anno:
2015]
Elda Lanza, che tutti ricordano come la
prima presentatrice della televisione italiana (nel 1952 a 27 anni), come ho
detto nei primi tre libri tramati, è stata molto altro. Laureata alla Sorbona,
dove frequentava Sartre, poi esperta di bon ton, nonché moglie e madre
affettuosa, nel 2012 (alla veneranda età di 87 anni) tira fuori dal cassetto
una serie di idee “gialle” che diventano ben presto dei libri di discreto
successo, tutti editi da Salani.
Sono gialli imperniati sulla figura di
Massimo Gilardi (detto Max, così come il figlio di Elda). I primi tre sono tomi
assai ponderosi, che servono, in un certo senso, a delineare la figura del
protagonista, ed a farcelo conoscere entrando nei meandri della sua evoluzione.
Nel primo libro è un commissario in quel di Milano che, mentre risolve un caso
spinoso, trova il modo di sposare una collega italo-etiope, di farci un figlio,
per poi essere coinvolto in una catastrofe: una bomba fa saltare in aria moglie
e figlia.
Gli altri due libri servono a farci seguire
Max prima nell’abbandono della polizia, nel suo ritorno alla Napoli natia, dove
decide di riprendere la sua professione di base (nonché paterna, anche se con
Gilardi sr non va né andrà mai d’accordo). Eccolo quindi avvocato, con uno
studio strampalato che accetta anche casi poco ortodossi. E dove viene aiutato
da Giacomo Cataldo, suo amico d’infanzia, che ne diventa un po’ il Paul Drake
di Perry-Max. Nonché da Laura Licasi, prima assistente e giovane di studio, poi
avvocato essa stessa. Ed anche dal nuovo giovane di studio, l’immigrato Aziz.
Nelle more, dopo varie storielle poco
significative, si innamora della giovane Paola, la sposa e fa anche un figlio
con lei. Ma questa volta (almeno per ora) le vicende familiari sono in
sottofondo, dato che solo Max con il suo acume, Cataldo con le sue ricerche e
Laura con la sua presenza in primo piano, ci fanno partecipi della vicenda e
delle sue soluzioni.
Una vicenda che inaugura la seconda vita
dell’avvocato Gilardi. Come confessa l’autrice in un’intervista, a dispetto dei
primi libri, troppo voluminosi, da qui in avanti, le vicende saranno contenute
in spazio e tempo. Così da consentire al lettore di seguirle meglio. L’idea,
condivisibile in principio, vedremo che a valle si scontra con una fine forse
troppo veloce della vicenda.
Una vicenda che nasce da un curioso incarico
che riceve Gilardi. Viene convocato per un caso “serio” (come dice la donna),
da tal Lidia Morandi. Ma quando arriva, trova la polizia e Lidia uccisa da
sette pugnalate. Avendo però ricevuto un anticipo per la vicenda, che tuttavia
non conosce, Max decide di calarsi nel panno della vittima e di cercare di
capire, insieme alla polizia, i motivi ed i modi della sua morte.
Si sviluppa così un disvelarsi capitolo dopo
capitolo della vita di Lidia, dove, unendo i puntini di tutte le informazioni
che lo studio Gilardi riceve durante le indagini, avremo alla fine il dipinto
di una figura forse diversa da come ce l’aspettavamo.
Scopriamo che Lidia, venti anni prima, aveva
vinto, in Brasile, un concorso di bellezza, a scapito di una gloria locale. Poi
aveva sposato un miliardario americano, aveva divorziato riuscendo ad ottenere
una liquidazione principesca. Quindi era tornata in Italia, dove si era
accompagnata per quattro anni con Loris, un architetto rampante. Ma per una
serie di incompatibilità, lui la molla e lei lo stalkera a lungo. Fino a che,
investita da un SUV, le amputano le gambe, e comincia una vita ritirata. Anche
se, apparentemente, più gioiosa della precedente.
Loris era stato indagato, ma prosciolto,
dall’incidente con il SUV, e allo stesso tempo si era unito ad una giovane
brasiliana (molto giovane). Non solo, pochi giorni prima della morte,
accompagnata dal padre di un suo amico meccanico, era andata dal notaio a
modificare il testamento.
Alla fine, bisognerà trarre le fila di chi
aveva interesse e modo di compiere i misfatti. Loris per trasferirsi in Brasile
con Carmen? Carmen che si sentiva perseguitata da Lidia? Luisa, un amica di
Carmen, che era l’unica del vecchio cerchio di amici che ancora frequentasse
Lidia? Rosa, la badante, che aveva i tempi tecnici per l’omicidio ma non i
motivi? Léon, l’uomo di Rosa, un immigrato che forniva di nascosto a Lidia la
morfina? Franco, il meccanico, che forse sa più di quanto dice sull’incidente? E
questi sono solo i più vicini a Lidia.
La scrittrice, dopo aver condotto bene le
danze, mescolando Max, Luisa, Loris ed altre figure, per arrivare ad avere un
quadri a tutto tondo della morta, nelle ultime venti pagine si avvia verso una
soluzione dei “misteri” spesso sorvolando passaggi ed anche omettendo i modi
perché Max sia arrivato alle sue ipotesi, poi verificate e vere. Questa forse è
la pecca più grave: a lungo si dice che Max è un grande pensatore, che riflette
molto, che ha qualcosa in testa. E poi, si risolve tutto, quasi senza passare
da Max.
Non so se, per qualche strano giro del caso,
gli altri otto libri che Lanza scrisse prima di morire a 94 anni entreranno
nella mia biblioteca. Per ora, la storia di Max e di Napoli mi è sufficiente.
Gaspare Grammatico “Le Spine Del
Ficodindia” Repubblica Mistero Noir 41 euro 8,90
[A: 28/03/2025 – I: 07/04/2025 – T: 08/04/2025]
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[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 217; anno:
2024]
Gaspare Grammatico è
essenzialmente un autore di testi televisivi, non a caso da anni nella squadra
che scrive i programmi per Maurizio Crozza. E come molti autori, spesso ci
si trova che è bello ed appagante scrivere anche in proprio. Non so neanche in
base a quale paradigma mentale, poi, spesso questa scrittura si orienta
nell’ambito di letteratura di genere.
Così sembra aver fatto il nostro Gaspare, introducendo,
da buon trapanese, una storia siciliana. A me dispiace solo che questo sia il
secondo episodio che vede protagonista il commissario Nené Indelicato, visto
che il primo, uscito presso Mondadori, non ho avuto modo di vederlo comparire
nel mio orizzonte librario.
Dobbiamo quindi trovare alcuni punti di
riferimento un po’ poco stabili, desunti dalla trama e da accenni sparsi.
Quello che è palese è che Nené è un padre single che cresce (direi abbastanza
bene, con tutti i distinguo del caso) Sara, la figlia quindicenne. Non
sappiamo, qui non se ne parla, i motivi per cui la madre di Sara si sia
allontanata, ma di sicuro è viva da qualche parte (da accenni di Sara stessa).
Nené è onestamente distratto come tutte le
persone della sua età (non espressa, ma con una figlia quindicenne, si fanno
presto calcoli normali), discretamente preoccupato della crescita della figlia
(come trovare un preservativo in camera), ragionatore il giusto nelle cose di
lavoro e molto simpatico (a me) nelle scelte alimentari, sia quando raramente
cucina, sia nella rete di conoscenze tra porto e ristoranti di buona forchetta.
Ha una squadra di agenti che lo aiutano
nelle incombenze quotidiane, ma soprattutto ha una vice, Salvina Russo, con cui
ha un affiatamento che spesso va al di là delle operazioni di polizia. Basta
uno sguardo e via. Russo ha anche una vita privata gestita da tal Bea, che al
momento non ho inquadrato in modo definitivo.
Come si potrebbe dedurre dal titolo, la
parte gialla è come il ficodindia, irta di spine. E come per il ficodindia che
di spine ne ha due tipi diversi, anche qui le indagini sono due, e ben diverse.
Il ficodindia, come ben si sa, ha in effetti le spine propriamente dette,
lunghe fino a due centimetri, e poi i glochidi, sottili spine lunghe pochi
millimetri, ma spesso molto più fastidiose e difficili da togliere.
Così le indagini sono due. Una coinvolge una
serie di persone che vengono prese a mazzate (anzi, per dirla in dialetto, a
timpulate) apparentemente senza motivo. Una professoressa colpita con un
mattarello. Un’anziana signora prima colpita con una borsa piena di fichidindia
e poi con una padella. Un prete preso a schiaffi. Sembrano azioni isolate e
sterili, ma partendo dall’ultima, e mostrandosi testardo come un mulo (anzi,
come un mulo e mezzo), Nenè viene a capo della piccola storia, risolvendola a
modo suo. Anche se, per la sua spiegazione, non usa tante parole. Forse questa
è una pecca, che magari ci sarebbe voluto qualche rigo in più.
L’altra indagine è di sicuro più pungente,
cioè più dolorosa. Parte dall’invio a radio e giornali, di alcuni denti che il
patologo di turno fa risalire senz’altro ad individui di sesso femminile.
Quando poi una studentessa narra della scomparsa di due sue coinquiline, il
meccanismo da killer seriale si mette subito in moto. Si cerca tra persone di
misoginia conclamata, magari unita a tendenze manesche. Si mette anche una
poliziotta a far da esca.
Pochi i passi avanti, anche dopo il
ritrovamento di altri denti. Molti passi avanti, invece, quando si trovano foto
e riscontri ed altri collegamenti, che non vi narro, ma che porteranno Nenè e
Salvina prima ad ipotizzare, poi ad incastrare il colpevole. Alla fine reo
confesso, con una punta di follia (o forse più di una punta) che non si capisce
se congenita o recitata. Fatto sta che le spine piccole e dolorose, sono tante,
ed alcune non verranno più via.
Ora, se le parti gialle sono poco
appariscenti, l’una giustamente stemperata dall’ironia, l’altra un po’ campata
per aria, il libro si regge sul contorno. Sui personaggi, sulle loro azioni
quotidiane, e sulla poco nota ma bella ed interessante città di Trapani (forse
ancor meglio se vista e vissuta da Erice, città natale del nostro scrittore).
Il bello e consolatorio momento del quotidiano è il farci incontrare da parte
di Gaspare alcune persone di sicuro affetto. Come lo stesso Nenè che acquista
materiale elettrico che non gli serve solo per far un’elemosina nascosta ad un
negoziante di poco successo. O come il pescatore, che tornando a casa dopo aver
venduto buona parte del pesce pescato, quello che avanza lo regala alle persone
meno abbienti che incontra per strada.
Insomma, un libro di buona fattura e di
sapiente scrittura, con qualche punto in più in prospettiva magari di altre
puntate (o perché no, di una sua serializzazione televisiva).
Non avendo grandi citazioni gialle, vi
sommergo con dei bei pensieri di un autore a me caro, lo scozzese Alexander McCall Smith tratte da una delle sue serie interessanti
(anche se non la migliore) “44
Scotland Street”. Vi chiedo di
meditare sulla seconda, grande riflessione:
“Capiva
quando una si stava innamorando di lui. Era il modo in cui lo guardavano,
leggermente fuori fuoco. Doveva essere una reazione chimica. L’effetto dei
ferormoni faceva appannare gli occhi delle donne. Era strano, ma l’aveva notato
tantissime volte quando le donne lo guardavano.” (203)
“-
Perché la gente fotografa? … - Perché non è capace di guardare quello che ha
davanti agli occhi e soffermarsi a pensarci per più di due secondi. È un segno
di distrazione. Vedono, fotografano e passano oltre. Vedono ma non guardano.”
(220)
“Davvero
aveva ancora in mente quelle cose, a cinquant’anni? Era triste pensare che
desiderasse ancora la compagnia di ragazze come Sally perché in quel caso era
condannato a smaniare per persone che inevitabilmente erano interessate a
uomini più giovani e non a lui. Non che fosse brutto, anzi, e gli avresti dato
qualche anno meno, forse poteva anche passare per un quarantenne.” (259)
“Sebbene
non si possa dimostrare che siamo liberi, dobbiamo comportarci come se il
libero arbitrio esistesse, perché altrimenti la vita sociale sarebbe
impossibile.” (262)
“Lui
sapeva cosa voleva dire amare senza speranza e sapeva che l’unico modo per
affrontare lo sconforto era guardare in faccia la propria infelicità. Ed era
importante capire, pensava, che l’ultima cosa che l’infelice desidera è
sentirsi ricordare le sofferenze più grandi della sua. Dire a una persona col
mal di denti che altri hanno un mal di denti peggiore non è di nessun aiuto.”
(268)
“-
Non ci si può impedire di provare qualcosa per un’altra persona. Non si può e
basta. … - Oh, sì che si può. … Ci si può benissimo impedire di amare qualcuno.
È sufficiente cambiare il modo di guardarlo.” (279)
“- Sono così sollevata di non dover vivere in
un paese noioso. – Per esempio?... – Il Belgio … Il Belgio è noiosissimo…. Non
ho mai capito a cosa serva il Belgio.” (271)
“Direi
che ha un disturbo narcisistico della personalità. Si tratta di persone molto
interessanti. Non sono necessariamente cattive, anzi, ma il modo in cui
trattano gli altri può rivelarsi distruttivo.” (307)
Arrivati alla metà di giugno, non posso far altro (a parte soffrire il gran caldo romano) che ringraziare la grande famiglia dei miei cugini dove, anche se con fatica, siamo riusciti a rendere un omaggio corale alla nostra grande nonna ed a tutti i nostri zii: grande meeting con ben 14 cugini su 24 presenti sul territorio (e molti assenti giustificati per convegni e convivialità fuori Roma). Un giorno torneremo anche sulle famiglie, per ora si è parlato troppo quindi vi abbraccio.
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