domenica 1 giugno 2025

Tanto De Cataldo - 01 giugno 2025

Approfittando di una congiuntura tra libri da leggere perché mi andava, prestiti del mio amico Roberto e completamenti per riuscire a leggere di fila le avventure del procuratore Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda, uscito appunto dalla penna di Giancarlo De Cataldo. Quattro libri che completano quanto per ora pubblicato, con un buon riscontro per l’ambientazione romana, meno invece sulla parte poliziesca che mi ha convinto il giusto. Meglio, come omaggio, la quinta trama, gradita lettura dedicata allo scomparso Roberto Perrone, anche se neanche questa sale molto di tono.

Giancarlo De Cataldo “Un cuore sleale” Repubblica Essenza Noir 8 euro 8,90 (in realtà, scontato a 8,45 euro)

[A: 12/10/2022 – I: 11/01/2025 – T: 12/01/2025] &&    

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 267; anno: 2020]

Giancarlo De Cataldo da buon ex-magistrato e da eccellente scrittore, a lungo nelle sue opere ha privilegiato storie anche forti, ma che erano conchiuse nello spazio di un libro. Ecco invece che, da circa sei anni, ha affiancato alla sua produzione tradizionale, dei romanzi seriali, basati sul protagonista principale, il procuratore Manrico Spinori. Ne ho letto il primo episodio, direi discreto, ed eccoci al secondo romanzo, dove alcuni caratteri si definiscono meglio, anche se la storia in sé risulta meno avvincente.

Il protagonista, dicevo, è un procuratore (il cui nome completo, mi piace ripetere, è Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda, ed anche per questo è soprannominato “il contino”). A fronte del suo carattere un po’ “tombeur de femme”, ha divorziato dalla moglie Adelaide, ed ha frequentazioni episodiche con il figlio Alex (anche se, pur su versanti opposti, sono appassionati di musica). In più deve fare i conti con una madre ludopatica che ha sperperato il patrimonio familiare.

Manrico è un appassionato dell’opera (tanto che spesso la cita, ed altrettanto spesso ne trae spunto per interpretare quanto gli succede, foss’anche i delitti su cui va ad indagare). E tramite la lirica ha una convergenza con Maria Giulia. Convergenza non semplice, che lei ha problemi familiari non meglio identificati, e Manrico sembra rifuggire i problemi, tanto che, nelle more della lontananza di lei, ha una storia di sesso con Stella, la giovane anatomopatologa.

Sul fronte del gruppo che contorna il nostro, ci sono le sue collaboratrici. Sullo sfondo Gavina, la maga dei computer, e Stella, ordinata archiviatrice in preda a pene d’amore (di cui per ora si sa poco). In primo piano Deborah, l’ispettora “romana de Roma”, che fa da contraltare giovane e giovanile di Manrico. Lui contino serioso, quando pensa sentiamo sempre in sottofondo le note dell’opera, lei sempre pronta a partire in resta, con molto dialetto ed irruenza.

Come sembra ovvio, l’idea di fondo è di mettere sempre in contrasto le visioni dei problemi di Deborah e Manrico, in modo che dal contrasto ne possa nascere l’intuizione giusta. Cosa che puntualmente è avvenuta nel primo episodio ed avverrà in questo.

La trama “noir” comincia il 9 dicembre. I maschi della famiglia Proietti, per celebrare la ricorrenza della morte della moglie del capofamiglia, fanno una gita sullo yacht di famiglia. Una super nave, battezzata “ChiWi”, dato che sono laziali, ed il nome si riferisce a Chinaglia e Wilson. Sul mega-yacht ci sono piscine, una pedana per allenarsi al golf, stanze, cucine, saloni. Insomma, il lusso che lui Ademaro Proietti ha costruito (anche un po’ al nero da buon palazzinaro romano). Con lui appunto Umberto e Tommaso, i gemelli, Renzo, il figlio giovane, e Brian, lo sposo di Sofia, l’unica donna di famiglia.

Peccato che al ritorno non ci sia traccia di Ademaro, che viene ripescato il giorno dopo, morto, di certo annegato, ma con una strana contusione alla base del cranio. Da qui si scatena la sarabanda della faida familiare. Brian è pieno di debiti e viene mantenuto solo per la presenza di Sofia. Renzo è gay (anche se poco palesato) e viene accudito dalla protetta del capo, Flavia, donna “con le palle”, come dice Ademaro che con lei ha avuto una storia (finita), ma non nota ai più. I gemelli sono al solito a specchio: uno forte, Umberto, ma sempre pronto ad imbarcarsi in imprese fallimentari, ed uno debole, Tommaso, sempre pronto a chinare la testa.

Insomma, uno scenario tipico, dove già capiamo il possibile evolversi. Che però si evolve piano, che sembra arenarsi più volte, e che solo per un capriccio del caso, unito alle conoscenze di Deborah nel mondo “di mezzo” ed alle intuizioni melomani di Manrico, porterà all’inevitabile soluzione del caso. Ed è proprio la parte finale, forse, quella più debole di tutto il testo.

Una trama, tuttavia, sempre piena di Roma, sia per gli intrecci che per i luoghi dove si muovono i protagonisti (ovvio, ad esempio, sia Ostia per le barche che Piazzale Clodio per il tribunale). Ed anche per i rimandi, dove, casualmente, come nel da poco letto libro di Caringella imperniato sul giudice Virginia Della Valle, si fa cenno anche alla lontana vicenda romana dei coniugi Bebawi (che vi invito nuovamente a ripercorrere). C’è forse un filo di troppo dialetto romano. E c’è il dubbio se il cuore sleale sia della famiglia Proietti o dei tradimenti che al solito sembrano essere una costante del cuore di Manrico.

Stiamo allora pronti a capirne le evoluzioni.

Giancarlo De Cataldo “Il suo freddo pianto” Repubblica Mistero Noir 1 euro 8,90

[A: 21/06/2024 – I: 20/01/2025 – T: 21/01/2025] && e ½     

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 237; anno: 2021]

Eccoci allora alla terza puntata delle avventure del PM Manrico Spinori e della sua banda, nonché esimia scrittura del tarantino De Cataldo (ci tenevo a sottolineare la diversa pugliesità con il barese Carofiglio).

Una storia un filo più interessante della precedente, anche se non tutta riuscita. Molto centrata su Manrico stesso, e su alcuni problemi “giudiziari”, che da sempre tormentano ed esaltano la giustizia italiana. Devo però anche qui rimarcare che, sebbene lo scrittore sia sempre su buone corde, non ha più ripreso i toni delle grandi epopee da “Romanzo criminale”.

Rispetto al precedente, allora, rimangono molto sullo sfondo le sue collaboratrici. Gavina Orru fa il suo come maestra dell’informatica, riuscendo a scovare informazioni e connessioni in rete che servono al nostro per ragionare sul fatto criminoso. Sandra Vitale, alle prese con la sua crisi matrimoniale, che forse si evolve verso una riappacificazione, rimane nella sua veste di ordinatrice delle informazioni accumulate.

Come sullo sfondo con qualche cammeo rimangono la madre Elena, ludopatica con alti e bassi di vincite e ripicche, il fido maggiordomo Camillo, forse anche badante della madre, ed il figlio Alex, che attraversa rapido un paio di capitoli, il primo per lasciare la fidanzatina Dora, il secondo per incontrare la figlia di un collega del padre e forse imbastire una nuova storia.

Ed a proposito di storie, sempre presenti, ed anche ben incasinate, sono le vicende amorose del nostro. Maria Giulia si è trasferita dalle figlie a Milano, e non ha più quell’empatia musicale con Manrico. La patologa Stella Dubois entra ed esce dalle grazie di Manrico, entrando a gamba tesa e proponendosi al nostro, che non sa né vuole rifiutarsi, ma uscendone quando passa per Roma il suo fidanzato vagabondo. Compare Sibilla, ex compagna di liceo e moglie del suo amico Alfredo. Una piccola apparizione con sesso a latere, ma più per motivi sentimental-storici che per instaurare qualche cosa di serie. E compare la muova procuratrice Valentina Poli, che ancora non si palesa come possibile compagna di letto, ma non si sa mai.

Prima di passare a Manrico, avevo volutamente tralasciato il suo braccio armato, l’ispettora Deborah Cianchetti. In fondo, la persona più simpatica del lotto, fresca e ruspante, piena di risorse ed iniziative, tanto che sarà una sua mossa a sorpresa a consentire a Manrico di chiudere in maniera positiva il caso. Ma anche con qualche problema evolutivo nel corso del futuro della serie. Da un lato perché studia per diventare commissario, e dall’altro perché abbiamo il forte sospetto che sia rimasta incinta.

Manrico è al solito al centro del romanzo. In molta parte per i suoi tormenti esistenziali verso il gentil sesso (vedi sopra), in altra per i tormenti verso una giustizia ben amministrata. Infatti, il caso nasce dalle dichiarazioni di un pentito relative ad un caso di dieci anni prima gestito dal nostro. La trans Veronica viene trovata uccisa con poche prove per addebitarne l’omicidio a qualcuno. Ma qualcosa esce fuori, nelle frequentazioni della stessa. In particolare, viene implicato un colonnello che travolto dagli eventi si suicida. Caso chiuso.

Ma il pentito mette una zeppa nel ragionamento di Manrico di dieci anni prima. Ora, per buona parte del rapporto tra Manrico, l’avvocato che gestisce il pentito ed il pentito stesso, viene alla luce la discussione sull’affidabilità dei pentiti e sul loro ruolo all’interno del cartello giudiziario. Non essendo però noi giuristi neanche di basso livello, ci esimiamo dal parlarne.

Ripercorrendo allora le vicende, la nostra squadra scopre: che Betty, l’amica di Veronica, muore un anno dopo di overdose, che a scoprire le due morti sono sempre la stessa coppia di agenti, Luberti e Pimpinella. Il primo si dimette dalla polizia ed ora gestisce la security di una grossa impresa gestita da un suo collega di paese, Giulioni; un’impresa con molte mani in pasta in commesse anche di livello. Il secondo è invece rimasto in polizia, ma ai margini, affondando nella solitudine e nell’alcool. Il terzo fatto avviene quando, volendo fare delle confessioni a Deborah, Pimpinella non vi riesce, risultando investito da un furgone rubato.

Tanti punti non chiari rafforzano sempre di più il sospetto di qualcosa di losco. Anche perché viene ritrovato un frammento di tappeto con del DNA sospetto, e perché i nostri vengono spiati attraverso l’uso di trojan nei cellulari (se no sapete cosa sono, cercatene), che ovviamente non possono che venire da qualcuno esperto in materia. Facendo collegare DNA, mezze parole e intercettazioni, Deborah riesce a stanare qualcuno meglio informato dei fatti, e portare Manrico alla soluzione anche di questo caso.

Soluzione che Manrico aveva raggiunto anche da solo, compulsando le sue opere liriche, ma senza poter avere le prove. Questa volta l’opera si capisce, perché viene citata espressamente la “Lulù” di Alban Berg. Un opera difficile, anche incompleta, dove Lulù, per tutti e tre gli atti impegnata in scaramucce sentimentali ed economiche con altri personaggi, alla fine viene uccisa da Jack lo Squartatore, che compare senza precedenti motivi nelle ultime tre pagine del libretto d’opera. Dove poco prima c’è un duetto tra Lulù e la contessa che spiega il mistero del titolo.

Oltre a questa, a lungo si parla di un’altra opera che mi ha incuriosito per la sua originalità. Parlo de “L’Arlesiana” di Bizet, dove la donna di Arles del titolo è presente per tutta l’opera ma non entra mai in scena. Un’idea bizzarra ma affascinante.

Lasciamo quindi Manrico ad una fuga in moto con Stella, Deborah alle prese con un test di gravidanza che non sa se vuole fare, e De Cataldo alla sua scrittura, sempre gradevole, meglio costruita che in alter occasioni, e tuttavia ad un livello solo di mera sufficienza.

Giancarlo De Cataldo “Colpo di ritorno” Einaudi euro 13 (in realtà, scontato a 6,20 euro)

[A: 18/01/2025 – I: 13/02/2025 – T: 14/02/2025] && e ½     

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 238; anno: 2023]

Siamo così giunti al quarto episodio delle storie del PM Manrico Spinori (di cui vi risparmio il nome completo che ormai abbiamo citato già troppe volte). Ed ormai possiamo dire che i meccanismi narrativi di De Cataldo, in queste avventure seriali, sono abbastanza noti. Lo scrittore prima sceglie un’opera lirica di riferimento, su cui avvolgere tutta la vicenda. Un’opera che Manrico ci rivelerà solo nel finale. Nel mezzo, oltre le indagini, i due filoni narrativi consolidati: il rapporto tra Manrico e le donne, ed i duetti scenici tra Manrico il contino e l’ispettora Deborah la coatta. Tutto ciò fa sì che, seppur gradevoli e ben confezionate, le storie stiano a poco a poco perdendo di mordente.

Qui, la prima cosa da affrontare è comunque il titolo che, come la trama principale del libro, è legato alla magia, e si riferisce agli effetti negativi che tornano indietro verso chi ha lanciato una fattura che non è andata a buon fine.

Fatte queste prime due precisazioni, il leit motiv delle avventure erotiche (molto soft) del nostro saccente ed onesto PM, cominciano a rarefarsi ed incartarsi. Nella precedente storia, con Maria Giulia, la sua ormai “storica” amante, i sentimenti andavano su e giù, anche per colpa della breve storia con la rampante Stella. Qui sembra esserci un riavvicinamento (nella prima scena i due sono addirittura ancor a letto), in attesa (un’attesa che durerà tutto il libro) di fare una vacanza insieme in Giappone per la fioritura dei ciliegi. Vedremo nell’ultima scena se quest’idillio svolterà sul bello o sul brutto.

I duetti Manrico  e Deborah sono in vece in minore, che la nostra ispettora sta ancora elaborando la mancata gravidanza. Oltre ad interloquire con la sua forte parlata romanesca (che a volte è un po’ troppo eccessiva e caricaturale), funziona sempre da buona spalla, suggerendo percorsi di indagine e, soprattutto, tenendo le fila della compagnia di supporto del PM: la maga del computer Gavina, la maga degli archivi Sandra e la bella segretaria Brunella.

Non a caso ho parlato di maghi, che tutto nasce dall’omicidio del famoso mago Narouz, che, dopo un colpo di fortuna (o forse una spinta alla stessa) era diventato un punto di riferimento per politici, attori e vip in genere. Un piccolo inciso “colto”, come rileva il dotto Manrico, il mago aveva preso il nome da uno dei personaggi del “Quartetto di Alessandria” di Lawrence Durrell. Forse De Cataldo voleva seminare qualche indizio fuorviante, ma la citazione risulta troppo colta per l’intreccio della trama.

Comunque, è da qui che parte l’indagine e l’intreccio tra potere e superstizione. C’è una senatrice molto assidua del mago, Bianca Maria Olivieri, cui chiedeva consigli anche politici. C’è l’onorevole Frosoni un suo collega di partito che invece usava il mago come procacciatore di bellezze femminili. C’è un’incallita giocatrice la signora  altolocata Cornelia Villalta cui il mago forniva “numeri magici” che le consentissero vincite al tavolo da gioco. C’è l’attrice che aveva beneficiato del colpo di fortuna (era seconda nella gerarchia di possibili conduttrici di uno show televisivo, quando la prima si tira fuori, pare, e sottolineo pare, perché infortunatasi ad una gamba). E poi, ad aumentare il nugolo di sospettati e sospettabili c’è il cognato Silvestro Boni che l’ha trovato; ci sono le sorelle Floriana e Doriana Bucci; c’è il rivale, il mago Gayan; c’è la presentatrice televisiva Giusy Flakki, e la sua rivale Alessia Mantelli; fino ad arrivare all’associazione esoterica Azazel con il capo Asmodeus. E speriamo che basti.

Insomma, il mago era al centro di molte ed intrigate trame. Manrico comincia a seguirne alcune. Prima possibili truffe, poi possibile prossenetismo. Il tutto per condire la trama anche di altri maghi, imbroglioni e truffatori. Ma anche di persone che credono fermamente allo spiritismo, come il marchese Baioni-Conestabile, tra l’altro zio di Manrico. Sarà comunque alla morte del cognato del mago che tutto comincia a prendere una nuova dimensione, anche se Manrico tentenna su quale sia la strada migliore.

Come spesso succede (purtroppo) il finale si preannuncia veloce ed innescato da elementi che per duecento pagine anche noi lettori ignoravamo. Tra l’altro, con un aiuto decisivo che viene anch’esso inaspettato dalla simpatica madre del contino. Tutto si risolve, tutto si chiarisce, sembrava così anche nelle trame femminili di Manrico, se non ci fosse la scena aeroportuale che rimette tutto in discussione. Certo, De Cataldo vuol mantenere il suo PM in una zona grigia, che farlo pendere verso un’attrazione univoca sembrerebbe limitare le potenzialità. Tuttavia, a me questo tentenna non mi convince granché.

La scrittura di De Cataldo è al solito lineare come piace a me, senza inutili fronzoli, con solo divagazioni per lo più musicali, e talvolta dedicate alla città di Roma. A questo proposito, mi piace sottolineare che a pagina 117 il contino prende una gelato alla “Gelateria di Gracchi” secondo me, forse, il miglior gelato di cioccolato e pistacchio di Roma.

Mentre per le divagazioni musicali, ci sorbiamo lunghe disquisizioni sulla possibilità, visto l’ambiente legato ai maghi, che l’opera cui si lega il testo sia “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti. Ma che alla fine si rivelerà un’opera di Čajkovskij, ma non vi dico quale.

Sapendo infine con l’autore che benché si parli di magia, nessuno, usandola, può dare una svolta ai propri problemi di salute, di lavoro o financo di sentimento. Siamo solo noi i responsabili della nostra vita. E con ciò, attendiamo di leggere l’ultimo capitolo pubblicato della saga del nostro amico Manrico.

Giancarlo De Cataldo “Il bacio del calabrone” s.p. (prestito/regalo di Fako)

[A: 07/01/2025 – I: 20/02/2025 – T: 22/02/2025] &&     

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 237; anno: 2024]

Ormai alla quinta indagine del PM Manrico Spinori creato dalla fertile penna di Giancarlo De Cataldo, noi assidui lettori ci aspettavamo qualcosa in più. Non che sia scritto male o che ne sia faticosa la lettura. Ma il canovaccio generale torna ad essere ripetitivo e quindi foriero di poche sorprese.

Un morto forse un omicidio o forse no. Indagini che stentano. Piccoli passi spesso più casuali che volutamente cercati. Spinori che vuole abbandonare l’indagine. La sua squadra, ed in particolare l’ispettora Deborah Cianchetti che trovano elementi nuovi, uniti ad altre morti questa volta non sospette, cioè sicuramente omicidi. Soluzione del caso per una congiunzione astrale di fortuna e ragionamento. Opera lirica che viene trovata a suggellare il caso. Condita da tutti tormenti di Spinori verso l’universo femminile.

Mettete il contesto nuovo (qui ci muoviamo nel mondo dell’alta moda) e qualche piccola divagazione sul tema, e la nuova impresa di Spinori è ben descritta ed archiviata.

Come accennato, De Cataldo ci porta qui nel mondo dell’haute couture, cominciando da un evento che lega la moda alla passione principe di Manrico, l’opera. La prima del “Trovatore” di Verdi è legata alla sfilata di moda della maison Cannelli, dove il titolare, Tito, ha anche l’interesse di agevolare la vendita della sua casa ad investitori arabi, con la mediazione del suo avvocato personale Mainz, e di presentarsi pubblicamente con la sua prossima sposa, cresciuta nella sua ditta, l’altezzosa Irina Zed.

Peccato che durante la sfilata, Cannelli muoia per uno shock anafilattico dovuto alla puntura di una variante asiatica del calabrone, la Vespa Mandarinia, un calabrone gigante normalmente nativo nei sottoboschi giapponesi. Sembrerebbe una fatalità, ma ben presto vengono fuori un primo video di minacce durante la cena, che evidenzia una serie di conflitti e gelosie fra i vertici dell’azienda di Tito Cannelli, collegate anche ad aspre competizioni per acquisizioni varie che vedono in competizione acquirenti arabi e francesi, e che sembrerebbero manovrati dall’avvocato della casa, Wolfgang Mainz.

La situazione è confusa, e Spinori non può che muoversi a tutto tondo, cercando motivi e spiegazioni nelle varie personalità coinvolte nella vicenda. Primo fra tutti, lo stilista Luciano Righi, che ha riportato in auge la casa di mode, ma che Tito ed Irina hanno licenziato poco prima della sfilata. Licenziamento che Righi non ha digerito, minacciando sopra le righe i due. Ovvio che anche Irina debba essere coinvolta, per il suo strano astio verso Righi e per la sua veloce e poco giustificata scalata ai vertici aziendali. C’è anche Jacky, uno stravagante modello in cerca di fama e di un posto al sole, che girava per la sfilata con un cellulare “a tutto video”. E come dimenticare l’avvocato Mainz, forse ripulito, ma in passato in odore di collusione con la mafia calabrese, grazie anche alle sue origini materne.

Il tutto condito dalla presenza, esteticamente gradita da Manrico, ma con alti e bassi di avvicinamenti e allontanamenti, dell’affascinante Vera Grant, redattrice di un rivista di moda. Che conosce tutti, e che sa molti segreti. Inciso: intanto Spinori si è definitivamente lasciato, per motivi che poco ci interessano, con la sua storia Maria Giulia, motivo per cui non è indifferente alla bella Vera. Con cui, dopo diverse esitazioni, passa anche momenti eroticamente rilevanti.

Quando anche l’avvocato Mainz ed il rampante Jacky vengono uccisi, il quadro di fa più chiaro (sono tutti omicidi) ma anche più oscuro (non si trovano motivi seri per collegare le diverse morti). Anche se sicuramente il recente viaggio di tutta la maison Cannelli in Giappone può far nascere il sospetto di dove sia sbucata la vespa assassina (per la fioritura dei ciliegi in Giappone c’erano tutti i possibili sospetti della vicenda: Tito, Irina, Righi, Jacky, Vera, Mainz, gli arabi, i francesi, altri di cui non ricordo il nome; c’era anche Manrico nella sfortunata vacanza con Maria Giulia che li ha portati alla rottura).

Mentre Manrico, dopo essere andato a letto con Vera, vuole tirarsi indietro, la nostra infaticabile Deborah prende il controllo laterale delle operazioni. Vede i video, controlla i telefoni con Gavina, scopre contatti strani tra un cellulare ed il tribunale, reperiscono oggetti legati ad un incidente stradale avvenuto quindici anni prima. E così, con la solita imprevedibilità delle svolte nei finali dei testi di De Cataldo, una volta rimessi sul piatto tutte le possibili mosse ed attività, il nostro PM, sulle ali di un’opera di Puccini, ci svela i misteri, i come ed i perché.

Come vedete, mi sono dilungato in particolari, ma il nucleo è quello citato nelle prime righe iniziali. Rimane il gradimento di leggere un testo che non pone troppi problemi, e che scorre senza troppi intoppi. Con la curiosità di capire cosa succederà ora a Manrico. Con la sottolineatura della greve romanità di Deborah. Insomma, con i binari tracciati su cui il treno della serie continua a muoversi. Forse non proprio con una sufficienza piena, ma con la leggerezza che tutto sommato ne veniva richiesta.

Roberto Perrone “L’estate degli inganni” BUR euro 13 (in realtà, scontato a 10,40 euro)

[A: 22/05/2021 – I: 05/02/2025 – T: 07/02/2025] &&  

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 360; anno: 2018]

Come dicevo tramando il primo episodio delle storie di Annibale Canessa, sono fortemente dispiaciuto di scriverne quando ormai l’ottimo giornalista del Corriere sono ormai due anni che ci ha lasciato. Così che posso dire di sapere che è uscito un terzo libro di Canessa nel 2019, ma poi è tutto finito. Prima per la pandemia, poi per la breve e definitiva malattia.

Rispetto al primo che aveva qualche idea innovativa, questa seconda prova l’ho trovata un po’ ripetitiva. Riprende stilemi della prima, riprende l’idea pasoliniana “Io so, ma non ho le prove”. Ci fornisce un quadro possibile della nostra martoriata Italia, ma prende poco. Anzi, alcune scelte raffreddano molto la sensazione di avere in Canessa un affidabile compagno di viaggio.

Mentre nel primo libro si parlava di BR e affini, qui si passa sul versante nero del terrorismo italico del secolo scorso. Ripercorrendo il periodo di inizio degli anni ’80 che fu ben pesante in termini di vittime, ed ancora mai completamente acclarato. Il colpo multiplo di quegli anni inizia il 27 giugno 1980 con l’incidente (chiamiamolo così) aereo sul cielo di Ustica dove muoiono 81 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Non è mai stato chiarito il modo, ma una delle tesi più accreditate è che l’aereo sia stato colpito da un missile NATO. Prosegue poi il 18 luglio con il ritrovamento di un MiG libico schiantatosi sulla Sila, ma con forti dubbi sulla data, poiché il corpo del pilota libico risulterebbe essere morto molti giorni prima del 18 luglio, forse lo stesso 27 giugno. Infine, il 2 agosto dello stesso anno, una bomba piazzata alla stazione di Bologna provoca 85 morti e 200 feriti.

Questo, per collocare il quadro storico in cui si muove la fantapolitica di Perrone. Che ipotizza l’aereo libico guidato da un figlio naturale di Gheddafi. Aereo non armato, e con permesso di transito. Permesso però non comunicato ad una pattuglia NATO che abbatte l’aereo. Molto furioso, è lo stesso Gheddafi che assolda un terrorista sciolto per mettere la bomba a Bologna a mo’ di vendetta personale.

La storia quindi parte da queste ipotesi molto labili, e dove nel presente, mentre è in gita in Israele, Canessa viene avvicinato da un agente del Mossad che gli fornisce documenti che vanno nella direzione sopra espressa. Ovvio che Canessa, pur attento ai dettagli, non può esimersi di seguire questa pista. Trovando il terrorista di cui sopra ormai in fin di vita per cancro che gli conferma il dossier. Quando però Canessa vuol farlo testimoniare in via ufficiale, lo trova morto. E scopre ben presto non per cause naturali.

Come muore in un incidente un carabiniere che sta aiutando Canessa nelle indagini. Così che lo stesso Annibale comincia a temere per sé, per la sua donna, la giovane Carla, nonché per la cognata e la nipote. Il tutto, ovviamente, viene condito dalla presenza di ministri e politici dell’epoca, che forse sapevano, che forse tramavano, che forse Gheddafi aveva detto loro che …, oppure che anche senza prove dirette, era meglio far guardare in altre direzioni.

Insomma, c’è tutto l’impianto possibile, teoricamente ma anche praticamente, che riguarda i servizi segreti deviati ed altre piccole e grandi storie (o piccole e grandi bufale) che hanno imperversato in Italia per anni. Ma che, in alcuni rivoli, ed in molti complottisti di vari livelli, sono ancora presenti. In un certo senso, se Perrone avesse inserito anche la Banda della Magliana il cerchio sarebbe stato veramente completo e onnicomprensivo.

Ovviamente, da fantalibro di fantadiplomazia, non può mancare il killer di tutte le morti attuali, che neanche il Mossad riesce a fermare. Altrettanto ovviamente, sarà “Carrarmato” Canessa che troverà il modo di bloccare anche il killer. Mentre, seguendo l’esempio di uno dei suoi punti di riferimenti della scrittura, Gerard de Villers, Perrone non potrà fare a meno, saltuariamente ma in modo costante, di inserire scene di sesso, per tenere un po’ desta l’attenzione del lettore. Attenzione che viene anche destata da una svolta inattesa che porta ben oltre la crisi il rapporto tra Carla ed il nostro. Tanto che ci si domanda se tutto ciò avrà un futuro. Che forse potrà scoprirsi nel caso venga letto il terzo ed ultimo romanzo della serie.

Un peccato avere questo dubbio, che la squadra “Canessa” sembrava essere ben affiatata, sia con Carla, ma soprattutto con l’ex braccio destro di Annibale ne pensionamento, il maresciallo Ivan Repetto, e l’amico factotum e senza limiti di spesa, il Vampa (una sorta di Wolf di Pulp Fiction). Non poteva poi mancare il lato gourmet di Perrone, dove mi basta citare una merenda a base di “provolone del Monaco”, un DOP di Agerola, innaffiato da un rosso, la Querciola della cantina Massa Vecchia (un chicca da 80 euro a bottiglia).

Insomma, un risultato modesto, anche se Perrone rimane tra gli autori che nel tempo mi hanno ispirato immediata simpatia. Peccato.

Passiamo allora alle letture del mese di marzo, un mese che ha toccato una delle vette di lettura con i suoi diciannove titoli. Di cui ben tre che si collocano nelle prime posizioni di gradimento: il libro dedicato al mondo dei game (ed alle dinamiche relative a chi li produce) di Gabrielle Zevin, un delicato giapponese di Kawakami Hiromi ed uno dei libri della cinquina dello Strega, l’interessante romanzo di Andrea Bajani. Ed anche un mese di letture anche non eccelse, per cui non posso non segnalare due inutili gialli, il primo di Ippolito Ferrario nella collana discesa dai Fratelli Frilli, il secondo di Enrico Luceri, nei Gialli Mondadori.

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Mario Rigoni Stern

Le stagioni di Giacomo

Repubblica Montagna

9,90

2

2

Ippolito Ferrario

Il banchiere di Milano

Corriere Gazzetta

7,99

1

3

Gabrielle Zevin

Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow

TEA

9

4

4

Roberto Perrone

L’estate degli inganni

BUR

13

2

5

Gerd B. Achenbach

Il libro della quiete interiore

Repubblica Filosofia Viva

9,90

2

6

Grazia Verasani

Senza Ragione Apparente

Repubblica Noir

8,90

2

7

Valérie Perrin

Tatà

E/O

s.p.

2,5

8

Antonio Paolacci & Paola Ronco

Il punto di vista di Dio

Repubblica Noir

8,90

3

9

Kawakami Hiromi

La cartella del professore

Corriere Giappone

8,90

4

10

Arnaldur Indriðason

I figli della polvere

TEA

14

3

11

Enrico Luceri

L’ombra dei vecchi peccati

Mondadori

7,90

1

12

Haruki Murakami

L’assassinio del Commendatore

Corriere Giappone

9,90

2

13

Gaetano Savatteri

Quattro indagini a Màkari

Sellerio

15

3

14

Andrea Bajani

L’anniversario

Feltrinelli

16

4

15

Soseki Natsume

Guanciale d’erba

Repubblica Giappone

8,90

3

16

Grazia Verasani

Come la pioggia sul cellofan

Repubblica Noir

8,90

2,5

17

Beppe Severgnini

Socrate, Agata e il futuro

Rizzoli

17,50

2

18

Michael Connelly

La morte è il mio mestiere

Pickwick

10,90

3

19

Angelo Del Boca

Nella notte ci guidano le stelle

Repubblica Resistenza

7,90

3

 

Questo mese, niente citazioni, niente rimandi, visto che siamo un po’ in formazione ridotta, sballottati tra le varie location per sistemare tutto il sistemabile in vista di quest’inizio estivo. Ma avremo modo di rifarci a breve, per cui vi abbraccio.

 

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