domenica 22 giugno 2025

Tra giallo e blu - 22 giugno 2025

Altra trama poliziesca, dedicata ad autori italiani, divisa tra il giallo Mondadori ed il blu Sellerio.

Per il primo abbiamo tre uscite che vanno dal pessimo (Boccia & Lombardi) al bruttino (Luceri) ed al passabile (Franco). Sul secondo siamo più ferrati, ben oltre la sufficienza, con uno storico Savatteri dedicato alle gustose avventure in quel di Màkari ed un neo-uscito con l’ultima fatica di Robecchi, dove compaiono come protagonisti due personaggi che avevano fatto fugaci apparizioni nella serie a me molto gradita di Carlo Monterossi.

Un assaggio del riposo estivo della mente. Anche se vi consiglio di soffermarvi sulle citazioni in coda.

Luigi Boccia & Nicola Lombardi “Strigarium I delitti del noce” Mondadori euro 5,90

[A: 02/02/2022 – I: 25/01/2025 – T: 27/01/2025] ½   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 209; anno: 2022]

Non conoscevo la coppia di scrittura Boccia & Lombardi, sapendo solo che questo testo era arrivato in finale ad un Premio italiano (ma non lo aveva vinto). E solo documentandomi un po’ ho scoperto i due essere, da soli o in coppia, molto attivi nel panorama di scrittura italiana. Fumetti, sceneggiature, saggi su streghe ed affini, vicinanza elettiva con Dario Argento. Insomma, scrittori di varia abilità, pur in campi che non frequento molto.

Frequento molto, al contrario, i gialli, ed in questa veste ho preso, letto e mal digerito questo romanzo. Certo, un po’ horror, ed anche con qualche collegamento non-fiction, ma la storia non prende, e la soluzione dei misteri, alla fine, è da un lato monca (non tutto viene spiegato) dall’altro poco convincente. In realtà, le uniche cose notevoli di questo abbastanza deludente libro sono la data di acquisto (2/2/22) e quella di inizio lettura (25/1/25), cui si possono associare ragionamenti numerici di varia natura. Per il resto, come detto, il libro è senza mordente, con qualche velleità storica, ma con una trama prevedibile. Ed anche con l’impressione che se ne voglia trarre un seguito. Paura!

L’azione si svolge nel 1678, e subito abbiamo un tuffo all’organizzazione del testo. Ogni tanto, esce fuori la scritta: “tre mesi prima”, che ci costringe a quei salti temporali che, se mal gestiti, rischiano di affossare i testi che li utilizzano. Così, con qualche evidente difficoltà, seguiamo la storia che si barcamena tra il giugno e l’ottobre di quell’anno.

Nel giugno, per la festa di San Giovanni, si dà vita ad un grande sabba intorno ad un grande albero delle noci, che si dice abbia poteri magici. O che nasconda un oracolo femminile, che, proprio in quel 24 giugno, si palesa e passa lo scettro ad una diversa ragazza. Non solo, si dice anche che per i loro riti, le pulzelle usassero il cervello di bambini appena nati, dato che il cervello assomiglia al gheriglio della noce, e che il noce era ritenuto un albero magico.

Mi ero dimenticato, l’azione si svolge a Benevento, ed il noce di Benevento, fin dall’antichità, era ritenuto un albero magico (o diabolico), tanto che nel VII secolo il vescovo di Benevento, san Barbato, lo fece abbattere. Ma le streghe trovarono il modo di farlo rinascere. Fatto sta, che frati del convento vicino denunciano gli strani fatti di queste donne danzanti, ed uno squadrone papale interviene in loco, massacrando un buon numero di signorine. Non quelle che si riteneva essere i capi, che fuggono nel bosco, si riorganizzano e, assalito il convento dei frati, a loro volta ne uccidono un bel po’.

Per portare ordine e comprendere il reale svolgimento dei fatti, il papa Innocenzo XI invia suo nipote, Flaviano Altobrandini (o Aldobrandini, c’è un po’ di indecisione nella scrittura), per indagare. Nipote aiutato da un valente (ma subdolo) spadaccino, Jacopo da Cornedo. Nel corso dell’indagine vediamo morire, uccisi o sucidi, l’economo del convento Romualdo, colui che aveva chiesto a padre Ariberto di indagare sulla scomparsa di bambini, nonché su possibili profanazioni di tombe. Flaviano incontra anche le cosiddette streghe. Una, Vinia, che, catturata e torturata, lo porta a trovare il modo di incontrare sia la capa, Petra, sia le due più agguerrite contro lo strapotere maschile, le gemelle Albina e Alcina.

Facendo tutti i riscontri, alla fine Flaviano si rende conto che la situazione è molto più complessa di quanto sembrava, e che lo scontro tra il Cristianesimo ed il paganesimo delle streghe nasconde anche altro. E forse il Vaticano nasconde qualche colpa che non si sospettava. La soluzione alle varie morti è trovata, ma Flaviano dovrà trovare il modo di badare a sé stesso.

Come detto, però, questa parte è poco profonda, e tocca corde a me lontane. Io preferisco girare nei meandri del rapporto tra finzione e realtà, laddove si parla del papa Innocenzo XI, in carica al tempo degli avvenimenti, anche se il papa è noto per la sua opera moralizzatrice nella chiese e non si sa nulla dei suoi interventi “contra stirgarium”. Un bel cammeo si trova ad un certo punto quando vengono citate le attività caritatevoli di Vincenzo Maria Orsini, all’epoca vescovo di Salerno (e quindi di prossimità con i luoghi dell’azione). Orsini all’epoca aveva 29 anni. Sulla soglia dei 75, venne poi eletto papa con il nome di Benedetto XIII, ed è ricordato come l’ultimo papa nato nel sud dell’Italia.

Ma soprattutto si parla a lungo di un libro, edito nel 1635, e scritto dal filosofo e medico Pietro Piperno, e dal titolo “De Nuce maga Beneventana”, cioè “Della superstiziosa noce di Benevento”, in cui si narrano tutte le leggende intorno al noce, con particolar menzione al ruolo delle donne (ovviamente in quanto streghe).

Un ultima spigolatura, nello stemma della squadra di calcio di Benevento (attualmente in Serie C) è rappresentata una strega che vola su di una scopa.

“Tutte le cose che i nostri occhi vedono sono governate dalla matematica, che è il grande architetto dell’esistenza dell’uomo e dei processi che accadono attorno a lui in cielo e in terra. Nulla accade per caso, perché la matematica non contempla tale possibilità.” (126) [penso non ci sia bisogno di aggiungere altro …]

Enrico Luceri “L’ombra dei vecchi peccati” Mondadori euro 7,90

[A: 07/03/2025 – I: 15/03/2025 – T: 16/03/2025] &   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 186; anno: 2025]

Enrico Luceri è un autore ben presente nella mia biblioteca (ben nove romanzi) e soprattutto ho la collezione completa delle avventure del commissario Buonocore. Una serie che si regge solo sulla simpatia del commissario e sulle uscite del suo aiutante, l’ispettore capo Angela Garzya. Tanto che il risultato migliore è stato il secondo libro “Le notti della luna rossa”, dove Buonocore e Garzya agivano in un tandem molto affiatato.

Purtroppo, con questo sesto episodio torniamo ai bassi livelli delle riuscite poco ottimali. Primo, per l’assenza di Angela (si dice che è in ferie e poi se ne tace). Secondo perché la storia è semplice, lineare e facilmente comprensibile dall’esterno, mentre poliziotti e investigatori vari sembra vagolino nel buio. Terzo ed ultimo che dalle prime pagine è tutto chiarissimo. Bisogna solo trovare qualche connessione, che arriverà alla fine, e come al solito nelle scritture non all’altezza, arriverà dall’esterno. Così, noi che si era capito i come, veniamo edotti dai perché senza poter aiutare il buon commissario.

La storia si muove su tre piani temporali di cui uno ben distinto, mentre gli altri si intrecciano creando qualche confusione. Il primo è, nel prologo, il tempo della morte di una ciclista, Anna Coronato, investita da una macchina in una stradina a strapiombo sul mare, dove lei casca. Non muore sul colpo, ma la macchina non si ferma, nessuno la salva e lei muore. Lasciando un fidanzato basito ed una madre in una struttura assistenziale di cui Anna a fatica pagava la retta.

Il secondo piano segue la successione dei fatti, in particolare non mollando mai il nostro commissario che viene chiamato sulla scena del primo assassinio. E dove, al primo morto, seguiranno altri cinque omicidi ed un suicidio. il primo morto è Graziano Chianello, piccolo pregiudicato, ucciso nel bagno di un bar da un tizio dall’aspetto dimesso. Poi viene uccisa Luigina Arrighi mentre aspettava il compagno, l’assassino essendo descritto come un tizio vestito con ricercatezza. Poi ci sono due morti strangolati con una corda da bucato, un altro tizio preso a martellate, una persona che si suicida, finendo con un maresciallo della municipale ucciso a coltellate.

Tutti potrebbero essere stati uccisi per motivi vari, ma Buonocore è convinto invece che ci sia una regia ben precisa dietro. Anche perché l’ultimo morto, il maresciallo, era l’unico che non era mai stato convinto della morte casuale della ciclista, ed era l’unico che cerca di trovare qualche idea di prova.

Il terzo piano, che si intreccia con il secondo dal punto di vista della scrittura, anche se si colloca a valle di tutti, è legato alla visita che Buonocore fa a Sergio Zito, ex assistente sociale ora in pensione, che aveva iniziato tempo addietro un dossier capitato casualmente tra le carte del commissario ed il cui contenuto potrebbe aver attinenza con gli omicidi descritti nel secondo piano temporale. Inciso: la vicenda in tempo reale va praticamente da Ferragosto a circa la fine del mese.

Luceri accumula descrizioni, accumula informazioni su tutte le persone che, da vicino o da lontano, possano avere collegamenti con la vicenda. Il tutto soffuso da un sentimento di malinconia, quasi tristezza. Vediamo così Anna la sfortunata ragazza che vive per la madre e muore in bicicletta. Vediamo la donna separata dal marito che trova un nuovo compagno che la sfrutta. Vediamo il piccolo delinquente che sta cercando un suo piccolo riscatto nell’ambiente malavitoso, senza riuscirci. Vediamo il maresciallo che vorrebbe provare che Anna non è morta per un caso, in modo che l’assicurazione possa pagare le cure per la madre di lei, non riuscendoci. Vediamo il signore solitario che cura due pappagallini. Vediamo lo spazzino fidanzato di Anna distrutto dalla morte di lei. Vediamo due piccoli truffatori che si muovono sul limite della legge.

Ma soprattutto vediamo come, alla fine, Buonocore riesca ad unire i puntini del rompicapo, spiegandoci anche i perché, e soprattutto fermando alla fine la mano dell’assassino. Attraverso tutta una serie di motivazioni che servirebbero a spiegare, ma che lasciano spazio a salti interpretativi non dimostrati.

Non è la prima volta che parlo di Luceri. E non è la prima volta che ribadisco come l’esimio romano nato a ridosso del compleanno di Simenon, sappia di sicuro scrivere, e conosca bene il mondo del giallo (non a caso, il titolo di questo romanzo rimanda ad Agatha Christie). Quello che difetta è un po’ di pulizia nel testo, e qualche scatto in meno di onniscienza. Lo scrittore sa, ma nel caso del giallo, anche il lettore deve sapere, altrimenti manca un elemento del triangolo virtuoso scrittore – lettore – trama.

E nonostante tutto, continuerò a leggere di Luceri, sapendo che lui leggerà i miei commenti.

Gaetano Savatteri “Quattro indagini a Màkari” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 14,25 euro)

[A: 25/03/2022 – I: 20/03/2025 – T: 21/03/2025] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 339; anno: 2021]

Chi mi conosce, ed ha letto qualche mia trama, sa che ho un’affezione sincera verso Gaetano Savatteri ed il suo mondo siciliano, mediato anche dagli episodi ben fatti della serie TV. Con un bravo Claudio Gioè nel ruolo di Saverio, la bella Ester Pantano in quello di Suleima e l’ottimo caratterista Domenico Centamore nel ruolo di Peppe.

In questa antologia vengono poi riuniti i primi episodi usciti dalla penna di Savatteri e che erano stati pubblicati in alcune antologie di Sellerio a partire dal 2014, elementi di cui vi do conto nel parlare dei vari episodi. E seppur ho già tramato i quattro romanzi dedicati a Màkari, è bene fare un piccolo riordino delle idee, a partire proprio da queste prime uscite.

Le storie di Savatteri ruotano intorno a Saverio Lamanna, scrittore e giornalista, che conosciamo perché, da uomo immagine di un politico, dopo aver sbagliato una dichiarazione, viene licenziato in tronco. Onde per cui decide (anche per problemi economici) di andar via da Roma e tornare nella sua Sicilia natia. Ed in particolare a Màkari, dove la sua famiglia aveva una casa dedicata all’estate. Casa non più frequentata dopo la morte della madre, e con il padre di Saverio, professore in pensione, che preferisce vivere a Palermo.

In questa località (che sulla carta viene indicata come Macari, con la “C”, frazione di San Vito lo Capo) fa due incontri fondamentali. Il primo è con Peppe Piccionello, factotum locale, devotissimo a Lamanna senior, che rappresenta il lato “giullare” dei racconti. E come ben sappiamo il giullare fa certo anche ridere come il buffone di corte, ma è anche portatore di pensieri e riflessioni spesso molto serie. La seconda è con la giovane studentessa di architettura, Suleima, che per mantenersi agli studi lavora come cameriere nel ristorante di Marilù, una cara amica di Saverio. Suleima che ben presto intreccia una bella storia d’amore con Saverio, fatta di rispetto ed aiuto reciproco.

Il primo racconto, Il lato fragile (Vacanze in giallo, 2014), è in assoluto la prima uscita di Saverio Lamanna. Ne conosciamo quindi la storia, ed i motivi per cui si trasferisce in Sicilia. Vediamo la veloce, e positiva, corte con Suleima, ed i primi incontri con Piccionello. Tralasciando poi le mini-analisi su similitudini e differenze tra scritto e sceneggiato, qui non tutti sanno che Saverio è ormai disoccupato. Così, un prete lo invita ad un convegno sulla Mafia (e qui si potrebbe aprire un dibattito sull’analisi dello snobismo mafia-antimafia sulla scia delle analisi di Sciascia), dove ci scappa il morto, e dove Saverio, per caso o per fortuna, scopre motivi e protagonisti della storia.

Per non dimenticare, ma anche per tirare avanti (visto che non ha più lo stipendio romano), dalla storia precedente ricava un libro quasi giallo che vende. Ma che gli porta anche nuovi grattacapi nel secondo racconto Il fatto viene dopo (La crisi in giallo, 2015). Infatti, qui si parla della crisi industriale, di licenziamenti come avviene ad un sodale di Piccionello (da qui, il nostro Peppe comincia ad avere un suo ruolo). L’amico inscena un finto rapimento chiedendo a Saverio di scriverne, come ha fatto per il precedente. Ma a fronte di una serie di equivoci, e di qualche militare che non sa ragionare, si arriva ad un epilogo tragico, che servirà comunque a Lamanna per scrivere del degrado dell’economia siciliana.

A parte alcuni contorni, il succo del terzo racconto La regola dello svantaggio (Turisti in giallo, 2015), risiede nell’attività richiestagli dall’amica Marilù di fare l’anfitrione ad un gruppo di turisti. Che gira la Sicilia per cantine e ristoranti. Gruppo legato al patriarca danaroso, con donna slava al seguito, figlio trentenne costretto obtorto collo a stare nel gruppo, più alcuni amici inglesi, russi e siciliani. La morte del patriarca porta il racconto a virare sul giallo, anche se per poco, che Saverio tutto capisce. Si ripete qui un motivo di fondo. C’è un giallo, ma quello che interessa a Savatteri è l’atmosfera, e la connotazione di una Sicilia che non è solo mafia. Ma anche piccole astuzie quotidiane, come quella dell’idraulico che affitta all’ignaro Saverio la casa di Màkari, convincendolo poi a non denunciare nessuno, applicando al contrario la regola calcistica del vantaggio (se non la conoscete, divertiti a leggere il racconto).

E per rimanere in tema di calcio, l’ultimo racconto È solo un gioco (Il calcio in giallo, 2016) parla di calcio partendo dal funerale di un cugino di Saverio morto in un incidente di macchina. È un testo molto leggero, con una facile virata sulle scommesse clandestine, e sul sospetto, poi certezza, che il cugino sia morto per altri motivi.

Per tornare con una battuta su libri e video, nello sceneggiato ha un ruolo più presente il buon Piccionello, sempre in giro con pantaloni corti, magliette con slogan sicilianisti e infradito. Probabilmente, la sua presenza sullo schermo riesce meglio che quella del solo Saverio, che invece, nello scritto, con la sua ironia, a me piaceva di più.

Ma nel complesso, è un buon inizio per chi vuol tornare alle radici di Lamanna e un buon ripasso per chi aspetta la quarta serie televisiva. Non sono gialli, si diceva, anche se ci sono morti ed indagini, ma c’è una scrittura leggera, ironica, ma anche con uno sguardo diverso (e partecipe) delle martoriate terre sicule.

“La cucina è come la letteratura: il contenuto non conta, conta come si racconta.” (265)

Alessandro Robecchi “Il tallone da Killer” Sellerio s.p. (Regalo della sig.ra Laura)

[A: 07/05/2025 – I: 08/05/2025 – T: 10/05/2025] &&& ---

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 340; anno: 2025]

Dopo aver scavato a fondo nell’universo di Carlo Monterossi, e dopo averci dato una bella divagazione raccontando vita e soprattutto morte del padre del giallo italiano, Augusto De Angelis, il nostro poliedrico Robecchi decide di prendere in mano due personaggi minori delle sue trame, comparsi realmente ed in modo ben presente solo nel primo romanzo della serie “Monterossi” (e nell’antologia “Un anno in giallo” al mese di giugno), e di costruirci intorno una gradevole commedia nera.

Perché i due personaggi sono due killer di lunga data, con una solida ed abbastanza agenzia da gestire. Anche se, nel poche uscite libresche, erano stati individuati con due soprannomi soltanto: il Biondo e Quello con la cravatta. Ora, facendone due killer professionisti, si capisce che di nomi possono assumerne tanti, e quindi va bene individuarli così.

I due (che nel mio ricordo erano abbastanza pasticcioni) qui assumono un profilo diverso, anche manageriale, se vogliamo, in un ramo non certo da inserzioni pubblicitarie in tv. Il Biondo è un battitore libero (non sposato, frequenta varie signorine, tornando spesso da una escort di lusso con cui ha un rapporto speciale), è discretamente colto (cita Majakovskij dopo una notte di sesso), ha intuizioni, ma a volte non finalizza le operazioni. Quello con la cravatta invece è sposato con Marta, hanno un figlio (Mattia) in piena tempesta ormonale. Lui per la famiglia lavora su strumenti ottici di precisione. Ed è lui che in genere ha le intuizioni che risolvono.

I nostri lavoratori del crimine hanno messo su un discreto business: quattro o cinque uccisioni all’anno, che portano un budget poco sopra il milione di euro. Anche se poi le spese sono tante, in particolare quelle per la sicurezza (schede telefoniche non rintracciabili, documenti falsi fatti a regola d’arte, ed altri piccoli accorgimenti). Proprio per tener conto della sicurezza bisogna decidere se aumentare il numero dei morti per anno, o aumentare il calibro dei morti stessi, facendoli diventare più redditizi. Questo è il punto debole del business dei nostri, che ha portato Robecchi alla trovata della battuta del titolo.

Interessante il meccanismo di coinvolgimento: inserzioni nei necrologi e passaparola. In questo modo si ha una clientela fidelizzata, ma una difficoltà nel marketing (non tutti vogliono uccidere, ed il passaparola ad un certo punto si ferma).

Comunque, tramite il necrologio solito hanno un incarico, ma mentre studiano le possibilità, il futuro morto viene ucciso da altri. Qui si apre un siparietto niente male sulla concorrenza, sui prezzi al ribasso, e su altre strategie di marketing. Peccato che si parli di morti, e che questi spuntino come funghi. Ma questo permette loro di conoscere Francesca, una killer solitaria, che lavora al ribasso (ah, la crisi…).

Fortunatamente, dopo l’infruttuoso avvio, hanno un nuovo incarico. La ricca Stefania decide di sbarazzarsi dell’amante che, pur ricoprendola di soldi, non si decide a divorziare, anzi si avventura anche verso altri lidi (femminili). Sembra un incarico semplice, hanno tante informazioni, possono mettere su un affare veloce. Peccato che si scopre non solo che il fedifrago è pluri-fedifrago, ma che gli affari non vanno così bene come sembra. Tanto che deve chiedere soldi in prestito a diverse cosche e coschette malavitose. Di modo che i suoi spostamenti sono iper-controllati, dovendo ognuno dei cattivi aver cura del proprio investimento.

I nostri due allora non trovano di meglio, anzi è quello il meglio, che coinvolgere la killer solitaria, in modo da poter sfruttare al meglio i possibili momenti in cui mandare all’altro mondo il finanziere traditore. Robecchi riesce a trovare molti modi di complicare la situazione, senza però fare quei salti di invenzione e di ironia che hanno caratterizzato soprattutto il primo Monterossi. Per cui tutto scivola un po’ così, trascinandosi verso un finale in cui ci aspettiamo di vedere se il contratto arriverà al suo compimento, viste le difficoltà incontrate per via-

Dopo tante peripezie, tuttavia, la storia poteva finire solo in due modi. Francesca li aiuta nel raggiungimento dell’obiettivo e si appresta, in un possibile futuro, a diventarne socia. O quanto meno free lance. Francesca (o Stefania o entrambe) si rivelano essere forze dell’ordine in incognito, e fermano l’azione dei nostri, che finiscono così la loro carriera. Finali entrambi plausibili, a voi sceglierne uno e, se vi va, leggere il libro per verificare la vostra soluzione.

Robecchi cerca di mettere la stessa verve del suo personaggio principe, infarcendo il prodotto di buone mangiate ed altrettante buone bevute (si ricorda senz’altro un Sassicaia 2020). E provando anche qualche altro elemento straniante (il killer con la cravatta contrapposto al suo ambiente familiare, le cene la sera, gli studi e le ragazze di Mattia) ma non riesce a smuovere la satira più di tanto. L’unica rilevanza è aver equiparato l’attività del killer ad un qualsiasi altro business, creando (cercando di creare) un’atmosfera credibile di commedia nera. Qualche critica sociale ci sta (d’altra parte che nasce con Crozza, non può certo dimenticarselo), ma io mi aspettavo meglio dalla confezione finale.

Andrea Franco “L’odore della rivoluzione” Mondadori euro 5,90

[A: 30/08/2022 – I: 23/05/2025 – T: 24/05/2025] &&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 247; anno: 2022]

Eccoci allora al terzo romanzo che Andrea Franco dedica al suo investigatore “storico” (nel senso che si muove in una Roma di centottanta anni fa) monsignor Andrea Verzi. Pur scrivendo di molte cose, Franco, nel ’13, vince il Premio Tedeschi per il giallo con “L’odore del peccato”. Ripetendosi tre anni dopo con un secondo titolo, “L’odore dell’inganno”, che, pur con gli stessi protagonisti, era meno convincente.

Ora, dopo sei anni (io, che ho letture lunghe ne leggo dopo altri tre), con questo ulteriore odore, cerca di rendere più robusta la saga del monsignor, collegandola ad altri eventi storici del periodo e del passato. Purtroppo, un’operazione che riesce solo in parte. C’è qualche personaggio meglio riuscito, c’è Attilio con alcune buone uscite, ma c’è una trama che fa un po’ acqua, quasi che, volendo mirare troppo in alto, si sia perso qualche buon colpo.

Intanto, comincia a collocarci sulla scena della storia. Anzi della Storia. Il primo romanzo comincia nel giugno del 1846, all’insediamento del papa con il pontificato più lungo certificato (Papa Pio IX rimane sul soglio di Pietro per quasi 32 anni). Mentre la seconda storia si svolge nell’agosto dello stesso anno. Qui, invece, siamo nel settembre del ’46 (anche se una parte della vicenda rimanda al 1786), e consideriamo che questi sessant’anni sono importanti.

Comunque, come già indicato nel precedente romanzo, i comprimari del nostro monsignore sono sempre più sbiaditi. In particolare, suor Rebecca, che interviene di quando in quando, senza l’allegria di un tempo. Più spazio hanno sia “il dottor Watson” di Verzi, don Giani, sia “l’ispettore Lestrade” cioè il capitano Agostino Iacoangeli (inciso e pettegolezzo: ho scoperto che il miglior sodale di Franco si chiama Cristiano … Iacoangeli). Anche se non hanno momenti topici nella vicenda. Forse solo Iacoangeli, mostrato in una deriva amorosa positiva ed una strana ludopatia. Ma tutto poco interessante, se non per qualche momento di difficoltà che viene creato al nostro prete detective.

In ogni caso, Verzi deve muoversi in una città che si va riempendo di cadaveri. Un primo, che per lungo tempo non avrà nome, viene trovato nudo e torturato, di fronte al Colosseo, nel luogo della “Meta Sudans” (su cui torneremo). Un secondo massacrato nella sua cella in convento. Un terzo finto suicida da un terzo piano. Il tutto contornato da un quarto che non è un prete, ma un malfattore proveniente dalla confraternita dei macellai.

Verzi cerca di muoversi tra le poche prove che ha, cerca l’aiuto della milizia di Iacoangeli per le indagini fuori del territorio strettamente vaticano, si imbatte su alcuni personaggi storici, come Jean-Achille Benouville, pittore, o alcuni preti, di nome inventato, ma appartenenti ad un’altra casistica storica ben delineata, quella dei “preti refrattari”. Mentre svolge le sue indagini, poi, il nostro detective viene preso di mira, rapito, minacciato, torturato (gli viene amputato il mignolo), poi messo anche alla prova mentre veniva torturata e violentata una signorina (ma questa è anche parte di tutta una storia nella storia che poco interessa il filo rosso della vicenda).

Alla fine, tutto si accentra su una reliquia storica, o para-storica: il velo di Veronica. Per farla molto breve, in una delle stazioni della Via Crucis, una dona asciuga il volto di Gesù, che rimane impresso nel velo. È una “vera icona” di Cristo. Di cui non c’è traccia nei Vangeli, ma molta nella letteratura apocrifa, dove viene para-anagrammato quanto sopra diventando Veronica. Si dice che fosse portato in Vaticano e che avesse ispirato Bonifacio VIII a proclamare il primo Giubileo storico nel 1300. Dopo di che, durante il sacco di Roma del 1527, il velo scompare.

Questa breve digressione serve ad introdurre una serie di personaggi, senza motivi apparenti legati alla Chiesa, che nel corso dei secoli cercavano tracce del velo. L’autore ipotizza che ce ne potessero essere informazioni durante l’inaugurazione del porto di Cherbourg in Francia nel 1786. Ma le persone allora coinvolte non ne vennero a capo. Poco dopo, le stesse, non avendo giurato fedeltà al potere civile, vennero bollate come “preti refrattari”, ed espulsi dalla Francia.

Alcuni ripararono in Italia, smistati in vari conventi. Sarà un amanuense che, copiando un testo, ritrova traccia del velo. Ne parla ad un suo amico cieco, che a sua volta sparge la voce. Ed ecco che i refrattari riprendono vigore, magari alleandosi a nuove forze, cardinalizie e civili.

Tuttavia, tutta la costruzione di Franco è debole assai. Non si trova traccia del libro in copia. La maggior parte degli attori della vicenda, se non è già morta, ora all’epoca di Verzi, ha dagli ottant’anni in su. Ed è un età che non era raggiunta da molti nell’Ottocento. Insomma, tutta la costruzione delle morti su cui indagano Verzi e soci si basa su di un presupposto talmente labile che si fa molta fatica a seguire il corso della vicenda, a capirne i nessi, ed anche ad arrivare alla comprensione delle motivazioni.

Resta, e questa è di sicuro un punto a favore, la ricostruzione del periodo storico, la puntuale fotografia della Roma di quegli anni (ed io mi aspetto che si arrivi anche a parlare del 1848 e della Repubblica Romana), nonché alla descrizione degli usi e costumi del tempo (bella la parte dedicata alla Suburra). Ma ancor migliore è la trovata iniziale, del morto vicino alla fontana “Meta Sudans”, che era una fontana prospicente il Colosseo (e che rottura, l’autore filologicamente lo chiama Anfiteatro Flavio), di forma particolare, già in rovina all’epoca dei fatti, e poi definitivamente distrutta durante il fascismo per poter disegnare la via dei Fori Imperiali (uno dei tanti scempi mussoliniani).

Vorrei finire soltanto con una punta di dispiacere musical-filologico. Uno dei morti è frate Attenni, che, come dissi nel primo libro, va di sicuro ricordato nella mia mitologia privata come uno dei finti sponsor di quella banda musicali di miei amici folli, i Niente di Precyso di Vito Asta. Il frate muore, ma Vito, quest’anno, riesce a cantare in televisione. Un mito, per me.

Sottofinale: le due frasi che mi sono rimaste nella penna sono anch’esse da ricordare. La prima, per bocca di monsignor Verzi, credo sia un assunto “alla Catalano” mirabile. Il secondo mi riporta invece ad un altro mio amico, ed alla sua attività in quel d’Abruzzo.

“Più cose so, meno sono quelle che ignoro.” (71)

“[Padre Antoine] veniva da Morrovalle.” (84)

Nella solita alternanza tra trame e citazioni, visto che vi ho inondato di giallo, vado a passare sul registro serio dei pensieri con due signori autori. Il primo da me molto amato (grazie anche ai suggerimenti della mia amica Luana) è Paul Auster, che nel mirabile “Timbuctù” esprime un pensiero che farebbe la mia felicità:

“È tutto quello che ho sognato… Migliorare il mondo. Portare un po’ di bellezza negli angoli grigi e monotoni dell’anima. Ci puoi riuscire con un tostapane, ci puoi riuscire con una poesia, o tendendo la mano a uno sconosciuto. Non importa la forma. Ecco, lasciare un mondo un po’ migliore di come l’hai trovato. È la cosa più bella che possa fare un uomo.” (50)

Il secondo, con i suoi alti e bassi, che non sempre convincono, è Philip Roth che in “Pastorale americana”, un libro che a me non è piaciuto, comunque dice alcune cose mirabili:

“Ho passato i sessant’anni, non sono propriamente uno che abbia, nella vita, le stesse prospettive che aveva da ragazzo.” (27)

“Scrivere ti trasforma in una persona che sbaglia sempre … [con] l’illusione che forse un giorno l’imbroccherai.” (74)

“Perché le cose sono come sono? Una domanda senza risposta, e fino a quel momento era stato così fortunato da ignorare addirittura che esistesse la domanda.” (99)

“La vita è solo un breve periodo nel quale sei vivo.” (266)

Una giornata cupa, che tutti non avremmo voluto vedere. Spero che la forza della ragione porti consigli per fermare una valanga che a tutti fa paura. O almeno a me ne fa tanta. Ragionare con i muscoli è un modo che mi ha sempre visto dall’altra parte. Mi affido alla seconda parte del ragionamento gramsciano su intelligenza e volontà. Ma troppo ci sarebbe da ragionare in proposito, non essendo qui la sede, né avendone io le capacità, mi limito a mandare un pensiero positivo a tutti, accompagnato da un grande abbraccio.

Nessun commento:

Posta un commento