mercoledì 24 dicembre 2008

Il cerchio si chiude

E si finisce dove si è cominciato. Ho, infatti, iniziato l’anno ad Istanbul e scrivo quest’ultima trama del 2008 sulla Turchia. E su scrittori che ne parlano. Due, poi, sono anche turchi, ed anche nelle differenze si sente la loro patria. L’americano è solo (ma è importante) innamorato dell’atmosfera turca. Forse un po’ ne risente. Ma andiamo con ordine. Cominciamo con
Jason Goodwin “L’albero dei giannizzeri” Einaudi euro 12,50 (in realtà, scontato 8,75)
Nel complesso pensavo meglio, anche se il finale è interessante. Buon quadro di Istanbul degli anni ’30 del 1800. Bello l’inquadramento storico, che rimanda a periodi turbinosi di cui qui in Occidente non molto si conosce. 1830, complotto a Istanbul. Una serie di omicidi costringe Yashim ad abbandonare le amate letture, l'adorata cucina ed a tornare detective. Nelle sue investigazioni frequenta ambasciate e diplomatici, si reca da guide e corporazioni, coltiva l'ambiente dei danzatori eunuchi, gruppo di magnifici travestiti. Le sue indagini sembrano condurre ai Giannizzeri, il potente corpo d'élite ottomano, per secoli considerata la fanteria più efficiente e feroce del mondo. Nel frattempo una serie di incendi minaccia la città, e poiché i Giannizzeri sono anche i pompieri della capitale tutto sembra preparare il loro minaccioso ritorno... Quindi un plauso per il plot e l’ambientazione. Interessante anche la figura dell’eunuco detective, anche se cenni di sfuggita fanno presagire l’intenzione di sequel o prequel. Purtroppo ad un certo punto si perde la fila degli omicidi, anche perché a volte la narrazione si fa filmica, andando su e giù nel filo dello scorrere del tempo, per mostrare avvenimenti contemporanei ma che si svolgono in diversi punti della città. Comunque quello che più ho apprezzato è la presenza di Istanbul, dei suoi odori e sapori, da Agya Sofia alla Moschea Blu, dal Gran Bazar alla collina di Pera. Ci si torna?
Come detto questo è l’unico non turco. In fatti, Jason Goodwin nasce in Inghilterra nel 1964. Rimane stregato da Istanbul mentre studiava storia bizantina all'università di Cambridge. Dopo il successo del suo libro A Time for Tea: Travels Through China and India in Search of Tea, ha intrapreso un pellegrinaggio di sei mesi in Europa orientale, raggiungendo Istanbul per la prima volta. Il viaggio è stato raccontato in On Foot to the Golden Horn: A Walk to Istanbul. Ha inoltre scritto Lords of the Horizons: A History of the Ottoman Empire. Dopo I saggi, decide di dedicarsi al romanzo cominciando la saga del detective eunuco Yashim. Attualmente vive nel Sussex con la moglie e i suoi quattro figli.
Veniamo ora ai locali, con un autore di cui da non molto ho già scritto.
Orhan Pamuk “Il mio nome è rosso” Einaudi s.p. (regalo)
Questo suo libro, in vero, non mi è piaciuto. Scritto bene, ma che fatica!! E che mondo non tanto lontano quanto poco visibile. La vicenda sembra partire a forte andatura. Istanbul, 1591. Nella Turchia divisa fra il fermento innovativo arrivato dall’Occidente, cui sembra sensibile il sultano Murad III, e l’integralismo religioso radicato e sempre molto forte, che si evidenzia specie nelle sue forme più estreme, si inserisce una vicenda gialla: il ritrovamento di un cadavere. Parte un’indagine affidata a Nero che si intreccia di rosa, poiché da sempre lui è innamorato di Shekurè. Che poi è il nome della madre di Pamuk, che chiude il libro chiede a suo figlio Orhan di narrare storie. Ma lo scopo del romanzo non è attirare il lettore con una storia (che almeno fosse avvincente ma non lo è). Neanche in questa polifonia che intreccia passati e presenti. Infatti, il tema centrale attorno a cui verte non solo l’omicidio, ma tutta la vicenda narrata, è la disputa sull’opportunità di rappresentare o meno la figura umana, per non recare offesa ad Allah. Quindi (e forse qui stanno le ragioni del Nobel) nel cercare di capire se esiste una possibile convivenza tra oriente e Occidente… Ma poi…. Prima di commentare ho anche riletto quanto avevo scritto in nota al Castello Bianco. Confermo: grande scrittore, colto, ultra-cross-referenziante, ma … che palle. Sa tutte sulle miniature, ed io no. E cita e ri-cita i libri dei grandi miniaturisti arabi (“Il libro dell’anima” di Ibn Qayyim Al-Jawziyya, “Il libro dei Re” di Furdusi, “La storia di Hüsrev e Shirin di Nizami, “La storia” di Tall Hasan, “Il libro delle vittorie” dedicato a Solimano il Magnifico, e tanti altri ancora). Ma non cita mai i precedenti europei (vogliamo ricordare l’ornatissimo Codice esposto ad Urbino?). E nel 1600, in Occidente forse più che di miniatura si parlava di pittura, di quella vera. Finisco restando come detto perplesso.
“se dentro di te, inciso sul cuore, vive il volto della persona amata, il mondo è ancora la tua casa”
“l’amore è la capacità di rendere visibile l’invisibile”
“cerchi ciò che desideri con il cuore, invece dovresti decidere con la testa”
La biografia l’ho pubblicata il 03/08/2007, ma se si vuole si può approfondire su http://it.wikipedia.org/wiki/Orhan_Pamuk
Finisco con quello che in realtà più mi è piaciuto.
Elif Shafak “La bastarda di Istanbul” Rizzoli euro 6,90 (in realtà, scontato euro 5,42)
Dopo averlo letto si capisce l’ostracismo che ha avuto in patria. Infatti, si parla, bene o male, del genocidio armeno. Con parole che rivelano tutta la difficoltà ed il dramma di ripercorrere quegli anni buoi. La storia si attorciglia un po’, andando quasi per gradi, non trovando un suo centro, ma ri-centrandosi di volta in volta, concentrandosi sui vari personaggi che entrano ed escono. Belle rimangono le immagini di Istanbul, del ponte di Galata, del Gran Bazar, dei piccoli bar decentrati, fin a quel miracolo del caffè Kundera. Tutto si intreccia, perché tutto è poi intrecciato: i turchi e gli armeni hanno più legami che divisioni (ma a quando un libro senza pudore anche sui curdi?). Qui c’è la storia di Asya, la bastarda del titolo, di cui non si conosce il padre, di Zeliha, la madre, delle zie, della nonna, e di Amy la cugina americana, e dello zio che, come tutti i maschi della famiglia, dovrebbe essere di svelta morte. Si intrecciano le storie dei Tchakhmakhchian e dei Kazanci. Fino allo scioglimento finale, con qualche sorpresa annunciata ma soprattutto con la zia Banu che decide (visto che lei è la veggente) di sopportare il peso della conoscenza, e di arrivare sino alla fine. Forse il finale è un po’ meno deciso di quanto ci si poteva aspettare. Ma il tutto scorre bene insieme, e, come detto, restituisce un’immagine della Turchia di com’è ora, con i suoi odori, i suoi sapori e le sue contraddizioni. Un bel tè caldo in un bar di Ortakoy.
“la stragrande maggioranza delle persone non pensa e quelli che pensano non diventeranno mai la stragrande maggioranza (dal Manifesto Nichilista di Asya Kazanci)”
Elif Şafak o Shafak è una scrittrice turca, anche se è nata a Strasburgo nel 1971 e molto ha vissuto all’estero. Tant’è che spesso scrive anche in inglese. Per notizie più approfondite http://it.wikipedia.org/wiki/Elif_Shafak.
Sarebbe tempo di bilanci, ma forse non ne ho tanta voglia. Tanto si è letto quest’anno (secondo le statistiche di aNobii sono sui 170 libri) e tanto si avrebbe voglia di leggere.
Forse bisognerà trovare dei modi di condividere di più. Non so.
Ora vorrei salutare tutti unendomi all’augurio di Roberta (eccovi un sorriso) coinvolgendovi nei bei momenti che sto attraversando. E allora anche un po’ di serenità a tutti.
Buona DUEMILAENOVE (umido e venAle)!
Giovanni

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