mercoledì 17 dicembre 2008

Intermezzo di rabbia

Rabbia nella scrittura, rabbia della scrittura, rabbia per chi scrive ed a successo (invidia?). Questo secondo intermezzo è pieno di rabbia. Cominciando da quella del cinese Ma Jian che cerca di scrivere del e sul Tibet, e per questo viene bandito (o meglio preferisce auto-esiliarsi) dalla patria natia.

Sto parlando di

Ma Jian “Tira fuori la lingua” Feltrinelli euro 9

Un libro agile, breve, interessante. Direi “per acculturarsi” vedendo narrare di una cultura tibetana non idealizzata, ma dipinta come è, dura, crudele, a volte disumana. Cinque racconti che mostrano come la povertà e la repressione politica abbiano annientato quella che un tempo era considerata una cultura ricca e brillante. Uno scrittore cinese con alle spalle un matrimonio fallito parte per il Tibet. Durante i suoi vagabondaggi assiste alla sepoltura celeste di una ragazza morta di parto, divide la tenda con un nomade diretto a una montagna sacra a chiedere perdono per aver avuto rapporti sessuali con la figlia, incontra un orafo che tiene appeso alla parete di una caverna il corpo della sua amante incartapecorito dal vento, ascolta la storia di una giovane lama morta durante un rito di iniziazione. Il confine tra realtà e finzione narrativa si assottiglia fino a immergere il protagonista in un mondo così diverso da tormentarlo anche in sogno. Detto del bene, parliamo del male. O meglio di cosa mi lascia perplesso. Non è la prima volta che leggo scrittori cinesi, ed in generale asiatici (la Yoshimoto è un caso a parte). E sempre rimango sospeso. C’è sempre qualcosa, una sensazione, una nota di altro che non mi arriva fino in fondo. Credo che la permeabilità della vita cinese, dove tutto è al contatto con tutto e poco si riesce a scindere, renda difficile entrare a fondo nel tessuto narrativo. Così mi accontento di squarci, decenti, ben tradotti, ma sempre limitati.

Forse comunque mi sfugge qualcosa (dal libro o dalla psicologia cinese), tanto che mi piace citare la motivazione della messa al bando del libro di Ma Jian, e motivo per cui preferì fuggire in Occidente:

Tira fuori la lingua è un libro volgare e osceno che diffama l’immagine dei nostri compatrioti tibetani. Ma Jian non è in grado di descrivere i grandi passi avanti compiuti dal popolo tibetano nella realizzazione di un Tibet socialista unito e prospero. Il ritratto del Tibet che esce da quest’opera sudicia e ignobile non ha nulla a che vedere con la realtà, e altro non è che il prodotto dell’immaginazione dell’autore e del suo desiderio ossessivo di sesso e soldi… A nessuno deve essere permesso leggere questo libro. Tutte le copie devono essere confiscate e distrutte immediatamente.”

Ma Jian è nato a Qingdao il 18 agosto del 1953 (pochi giorni dopo Nanni Moretti). Ha lasciato Pechino per Hong Kong nel 1987, poco prima che le sue opere fossero bandite in Cina. Dopo la restituzione dell’isola alla Repubblica Popolare Cinese, l’autore si è trasferito in Europa, prima in Germania e poi a Londra dove vive tuttora, con la sua traduttrice Flora Drew. In Italia, Neri Pozza ha pubblicato Polvere rossa nel 2002. Il suo ultimo libro Beijing Coma (2008) racconta la rivolta di Piazza Tienanmen dal punto di vista di uno studente rimasto in coma dopo le proteste. Il coma come metafora della capacità di ricordare e dell’incapacità di agire.

Rabbia nella scrittura, di quel fenomeno americano di cui da poco ho letto e tramato sul primo libro, ed ora passo al secondo, quello che mi fa sentire l’America vera del profondo, non quella troppo da cartolina di New York o San Francisco.

Cormac McCarthy “Meridiano di sangue” Einaudi euro 11,50 (in realtà, scontato 9,25)

È il secondo che leggo, ma devo dire ancora non so fino a che punto mi piace. Da una parte passa da una prosa all’altra come nei due esempi che riporto (a parte di capire il primo cui la metà delle parole mi sfuggono, come ‘ipomea’ o ‘calderugia’). Dall’altra, proprio questo contrasto disegna un’epopea di mondi lontani (il West selvaggio americano del 1850) che forse solo così si può rendere.

“Passarono attraverso un prato montano col suo tappeto di fiori di campo, acri di calderugia dorata e di zinnia e di genziana viola e viticci ritorti di ipomea blu, e una vasta pianura colma di piccoli fiori variegati che si protendeva come percalle stampata verso i lontani bordi dentellati del prato coperti da una foschia azzurra e le catene adamantine che sorgevano dal nulla come dorsi di mostri marini in un’alba devoniana.”

“La donna alzò la testa e lo guardò… Glanton indicò qualcosa con la sinistra e lei si voltò seguendo la mano e allora lui le appoggiò la pistola alla testa e sparò. … Un buco grande quanto un pugno si spalancò sull’altro lato della testa della donna vomitando un grande schizzo rosso, e lei crollò in avanti e giacque nel proprio sangue, irrimediabilmente morta.”

Siamo al confine tra Stati Uniti e Messico nel 1850, una banda di cacciatori di scalpi lascia dietro di sé una scia di sangue, sullo sfondo di una natura grandiosa e impassibile. Li comanda il corpulento giudice Holden: un predicatore e filosofo dei deserti che trascina con sé una corte di spostati, mezzosangue e reietti armati fino ai denti, in una spirale di ferocia e morte. Con loro c'è anche un ragazzo quattordicenne: sarà quella la sua iniziazione alle spietate leggi del West, tra agguati, lunghe marce, bivacchi desolati, notti di bagordi. È il mistero del Male e della violenza la grande ossessione di McCarthy, che fa lievitare le sue storie d'orrore ad altezze epiche. Tuttavia mi manca qualcosa. Alla fine, sembra che voglia fare “il prezioso” senza portare a termine le cose iniziate. O facendo finta, beh, ora andate avanti voi. Quei due muoiono o sono gay? Ed il ragazzo, carico d’anni e di sventura, dove finirà? Bacerà anche lui la sua petrosa Itaca? Non sono di quelli che vogliono tutto spiegato, ma tutto in ombra a far finta di “quanto sono intelligente”, a volta mi stufa. Si parla di Faulkner, ma dopo averne letto un racconto credo che ci sia della distanza da colmare.

Non trono sulla biografia, che ho pubblicato il 18/05/2008.

E per finire rabbia verso l’autrice di questo best-seller, forse troppo furbetto. Che poi mi è piaciuto, anche se non così come speravo. Ma ne ho visto troppo scoperte alcune “furbate” per farlo passare senza dolore.

Muriel Barbery “L’eleganza del riccio” E/O euro 18 (prestito di Benedetta)

Fenomeno del 2006 in Francia, opera seconda della Barbery (ed ora è uscita anche l’opera prima). Mi incuriosiva il successo, ma devo dire che, seppur non mi ha deluso, qualche interrogativo me lo lascia. Dalla sua guardiola di Rue de Grenelle 7, assiste allo scorrere della lussuosa vacuità della vita la portinaia Renée, che appare in tutto e per tutto conforme all'idea stessa della portinaia: grassa, sciatta, scorbutica e teledipendente. Niente di strano, dunque. Tranne il fatto che, all'insaputa di tutti, Renée è una coltissima autodidatta che adora l'arte, la filosofia, la musica, la cultura giapponese. Cita Marx, Proust, Kant... dal punto di vista intellettuale è in grado di farsi beffe dei suoi ricchi e boriosi padroni. Ma tutti nel palazzo ignorano le sue raffinate conoscenze, che lei si cura di tenere rigorosamente nascoste. Poi c'è Paloma, la figlia di un ministro ottuso; dodicenne geniale, brillante e fin troppo lucida che, stanca di vivere, ha deciso di farla finita (il 16 giugno, giorno del suo tredicesimo compleanno). Fino ad allora continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre, segretamente osservando con sguardo critico e severo l'ambiente che la circonda. E si va avanti così per pagine e pagine, citando, rinviando, ma in sostanza rimandando ad una cattiva metafora (uscire dal proprio gregge provoca disastri). Forse è un po’ snob, del tipo, vedete quanto sono brava nel dire cose forti con leggerezza. Comunque qualche corda me la tocca (come non voler bene a chi ama Blade Runner?) ma così, con un sorriso a fior di labbra, senza la grassa risata del discoprimento. La fine poi è tutta da discutere. Ah, per finire, la ragazzina mi sembra poi difficilmente sostenibile nella realtà. Leggere per rimanere aggiornati. E poi discuterne.

Muriel Barbery nasce in Marocco, a Casablanca, nel 1969. Studia all’École normale supérieure, ed ha insegnato allo IUFM de Saint-Lô. Scrive il suo primo romanzo nel 2000 “Une gourmandisse”, dove si narra di un critico gastronomico alla ricerca di nuovi sapori. Buon successo e traduzioni in 12 paesi. Ma la sorpresa editoriale si ha nel 2006 con “L'Élégance du hérisson” che in meno di un anno vende 600 000 copie in Francia ed è al primo posto delle vendite per 30 settimane. Con i soldi guadagnati, decide di andare a scoprire il Giappone, dove ora vive.

Ed allora, siamo ad una settimana dal Natale, saremo tutti più buoni? Spero di no. Speriamo di essere solo più noi stessi. Intanto penso alle novità che sto “rimuginando” per il nuovo anno.

Buona fine settimana

Giovanni

2 commenti:

  1. ciao!
    (arrivo sul tuo blog da anobii)
    ho letto l'eleganza dl riccio e invece l'ho trovato molto vicino alle mie corde.
    non sono ne' la portinaia sciatta ed erudita di un ricco stabile, ne' una dodicenne con intelligenza superiore che medita il suicidio, ma in qualche modo i due personaggi....er(an)o io...
    non so spiegarlo bene, ma i loro pensieri, il loro modo di guardare al mondo, agli altri, il modo di farsi guardare lo trovavo molto vicino a me...

    ora sto leggendo "una golosita'"... ho dovuto smettere perche' in una notte ne avevo letto meta' e non volevo bruciarmelo subito.

    e' forse la scrittura, il tono leggero del racconto, anche quando questo si fa pesante e drammatico, ma a me i due romanzi della barbery sono piaciuti...

    a presto!

    RispondiElimina
  2. ciao!
    (arrivo sul tuo blog da anobii)
    ho letto l'eleganza dl riccio e invece l'ho trovato molto vicino alle mie corde.
    non sono ne' la portinaia sciatta ed erudita di un ricco stabile, ne' una dodicenne con intelligenza superiore che medita il suicidio, ma in qualche modo i due personaggi....er(an)o io...
    non so spiegarlo bene, ma i loro pensieri, il loro modo di guardare al mondo, agli altri, il modo di farsi guardare lo trovavo molto vicino a me...

    ora sto leggendo "una golosita'"... ho dovuto smettere perche' in una notte ne avevo letto meta' e non volevo bruciarmelo subito.

    e' forse la scrittura, il tono leggero del racconto, anche quando questo si fa pesante e drammatico, ma a me i due romanzi della barbery sono piaciuti...

    a presto!

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