Con anagramma in stile “EP”, per
riprendere al volo le nostre trame al ritorno da un veloce, eppur intenso,
viaggio in Thailandia (che, in effetti, si scrive con l’acca…). Ed un po’ per
parafrasare anche il deamicisiano dagli Appennini alle Ande… Quindi, oltre a
tornare da un viaggio, torniamo ad autori italiani. E ad autori di “gialli”. Il
primo, che meno di tutti mi è piaciuto, ci riporta comunque ad un onesto
scrittore italiano, Giuseppe Pederiali, che ci ha lasciato il mese scorso. Non
mancano quindi due Camilleri doc, ma non ancora ai livelli abituali, anche se
con punte di apprezzamento. Inframmezzati dall’ultima avventura del commissario
Ricciardi, che, purtroppo, da quando ha lasciato Fandango per Einaudi, mi
lascia viepiù perplesso.
Giuseppe Pederiali “Camilla e i vizi apparenti” Garzanti euro 9,90 (in
realtà, scontato 7,92 euro)
[A: 24/06/2012 – I: 28/12/2012 – T: 30/12/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 246;
anno: 2004]
Devo dire che a volte il pensiero
rimane nella testa al di là dei ricordi reali, e degli avvenimenti connessi.
Questa frase sibillina serve ad introdurre un libro che ho comprato e letto per
colmare un vuoto, ma che, essendomi piaciuto veramente a bassi livelli, mi sono
chiesto perché lo avessi incluso nei libri da leggere. Ricordavo soltanto che
era il secondo episodio dedicato all’ispettrice Camilla Cagliostro, di cui
avevo letto il primo ed il terzo. Quindi questo per il vuoto da colmare. Ma
ricordavo (fallacemente) che mi avevano incuriosito i due episodi. Rileggo le
trame andate (la prima del 2008, la seconda del 2010, quasi un appuntamento
biennale) e trovo che non ne avevo parlato bene. Trame deboline, qualche idea,
certo scrittura scorrevole (tanto che anche questo l’ho letto in un giorno e
mezzo). Ma la stessa tesi di fondo: romanzi banalotti. Questo ricalca e ribadisce
questo giudizio, facendomi pensare che il quarto libro (che c’è) magari lo
leggerà tra due anni. All’inizio sembra promettere, inserendoci nelle storie di
una famiglia della Ferrara bene, dove casualmente il padrone di casa è amico
della nostra Camilla, avendone frequentato la casa quando la futura ispettrice
era un’adolescente. Ci sono attriti forti tra moglie e figlia, la piacente
Andrea e l’immatura Fosca. Si inizia con una vacanza in Sardegna, dove
tragicamente muore un amichetto della dodicenne Fosca, forse per colpa, sicuramente
per distrazione, della mamma Andrea. Salto temporale, e l’amico Riccardo chiede
a Camilla di passare giorni con la famiglia per che vede acuirsi le crisi. Ci
sarà anche, come in Sardegna, la coetanea Matilde, presenza presente ma poco
spiegante. Com’è e come non è, fatto sta che Andrea muore, e si scopre che (ma
questo era ovvio fin dalle prime pagine) a premere il grilletto è stata proprio
la piccola Fosca. E dopo quindi una buona metà di libro sopportabile, cadiamo
in pieno in situazioni “angosciose”. La quasi totalità dei drammi avvengono
nella famiglia (e basta rileggersi le cronache dello scorso anno per
verificarlo). Ma Riccardo ha soldi, ingaggia luminari, ed in breve riporta a
casa Fosca che inizia una terapia psichiatrica familiare. Ma Camilla è
inquieta, non capisce qualcosa. Ed anche se i superiori le chiedono di non
indagare, come può tirarsi indietro? E comincia dal punto debole della vicenda,
l’ombrosa Matilde. Che ben presto cede e si confida e spiega la sua presenza
sempre intorno senza motivi (apparenti). Quando lei era dodicenne il (falso)
buon Riccardo l’aveva presa (con un po’ di violenza e molti soldini). Erano
stati amanti fino al suo maturare adolescente. Poi Riccardo l’aveva sistemata,
prima con lavoretti, poi facendola sposare da un suo sottoposto. Ed a questo
punto si spalanco le porte degli inferi. Si comincia la discesa nella Geenna.
Scopronsi gli altarini, ed un mondo che sembrava privo di vizi apparenti,
risulterà poi pieno di vizi veri. Che la bella Andrea (e questo si poteva
immaginare) aveva avuto coorti di amanti, e nella fattispecie un lungo amore,
finito con la gravidanza di Fosca, che a questo punto non si sa se sia figlia
di Riccardo o meno. Ma il resto lo avete già capito. Come capirete che ad un
certo punto Fosca andrà anche lei veramente fuori di testa, e probabilmente
anche Riccardo troverà una resa dei conti. Non si sa se reale, presunta,
immanente o differita. Scopritelo leggendolo. Come scoprirete l’evoluzione
della storia di Camilla con l’ispettore Donato. E cosa successe veramente tra
Camilla e Matilde. Ed i sentimenti di Lolli, la cameriera filippina. Ed altri
minimi misteri minori. Non so perché ho continuato a leggerne, di Pederiali.
Sicuramente incuriosito dall’evolversi della storia di Camilla, qui il dito
sulla piaga vira verso le perversioni a danno dell’infanzia. Uno dei temi più
difficili, scabrosi, e che, sinceramente, non so affrontare. Al solito, la non
eccelsa mira dello scrittore emiliano, colpisce un bersaglio e spalanca porte.
Ma la sua visione del resto della vita non mi coinvolge, ed il ritmo diventa un
blando quartetto campagnolo. Chissà cosa leggerò tra due anni?
Andrea Camilleri “Una lama di luce” Sellerio euro 14
[A: 13/06/2012 – I: 01/01/2013 – T: 05/01/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 244;
anno: 2012]
Gradevole ritorno del nostro buon
Camilleri ai fasti e nefasti del commissario nazionale (che ormai Montalbano è
diventato quasi un’istituzione). Gradevole ma non ai livelli abituali, che la
storia, pur non facendo acqua come altre prove di altri esimi scrittori italici
di gesta poliziesche, non riesce a prendere fino in fondo. Ho avuto anche la
(s)fortuna di leggere l’ultima intervista rilasciata da Camilleri, che spaziava
su molti argomenti, ma uno mi è rimasto in fondo al cervello, come un tarlo che
mi rode da un po’. Il nostro agrigentino riafferma l’inesistenza di negri
aiutanti alle sue scritture, ma l’affermazione (un po’ excusatio non petita) mi
ribadisce la possibilità di questo “aiutino”. E non che non sia utile, se
vogliamo pensare ad una persona che, andando verso i novanta, continua a
scrivere e sfornare episodi e romanzi con ritmi giovanili. Ma torniamo alla lama
di luce di questo romanzo. Che al solito gioca su di una serie di registri
tipici del plot di Montalbano. Un’indagine che tiene banco come asse portante.
Una o più storie laterali. Nonché, l’alternarsi di attrazione e repulsione tra
il nostro cinquantino e la lontana Livia, in genere dovuto anche (e qui non ne
è da meno) alla comparsa di una qualche bella “fimmina”. E proprio da questa
storia laterale (ma fino ad un certo punto) vorrei cominciare a tessere la
nostra trama. Che ormai da diversi romanzi il rapporto con Livia si è andato
viepiù sfilacciando. Qui, inoltre, compare la bella Marian, che fa breccia non
solo nel corpo, ma anche nella testa del nostro commissario. Tanto che sembra
ben deciso a porre fine all’amore a distanza con la genovese (ultimamente un
po’ bistrattata). Marian che risulta coinvolta in un caso di quadri rubati, che
ci aspettiamo ne sia travolta, e che, Salvo aiutando, ne esce bene (e non me lo
aspettavo). Ma una vicenda trasversale, che lega questa tarda vicenda ad uno
dei primi casi (il bel “Ladro di merendine”), fa prendere a Montalbano una
decisione (anche se, al solito, bisogna vedere cosa ne pensano gli altri) e ne
vedremo nei prossimi romanzi le conseguenze. Mentre la storia portante è un po’
banalotta. Una rapina che non si rivela esserlo. Una storia fra un attempato
gestore di un supermercato e la sua più che giovane commessa. Dove la giovane
esce da una storia con un picciotto mafiosetto. Dove si invaghisce di un altro
giovane di mafia, per di più fratellastro della sua migliore amica. E tra
questi triangoli e quadrati (che non mi si leva dalla testa che l’amica Valeria
voglia un bene un po’ più intenso dell’amicizia verso la giovane Loredana) si
spiegano le rapine di cui sopra, ci si coinvolge in un’ammazzatina, e, tra una
mangiata da Enzo ed una delle melanzane di Adelina, comprese le passeggiate al
molo, le chiacchierate con i granchi ed altri “topos” montalbanici, il
commissario elabora una teoria convincente. La applica. E trova colpevole e
mandanti. C’è anche un piccolo lavoro in fior di parole con l’esimio Gottaduro
avvocato della mafia, che fa camminare Salvo pericolosamente sul crinale di
qualche possibile (ma non fattibile) cedimento. Per il resto, e fino alla
conclusione (o alle conclusioni), tutto è nei binari del più trito ossequio ai
canoni di cui sopra. Fazio con le sue trovate. Mimì con le sue femmine.
Catarella con i suoi strafalcioni. Ma anche Salvo con i suoi sogni, che ormai
stanno un po’ rompendo i cabbasisi. Risulta sempre più ovvia la corrispondenza
del sogno premonitore con qualche cosa che avverrà. Qui non se ne fa a meno,
anche se, tra sogno e realtà, passano 200 pagine. Tralascio qualcosa, per il
gusto di chi lo vuole leggere (e tuttavia devo dire ne vale comunque la pena),
anche se poteva illuminare passi di romanzo. Ma preferisco qualche ombra alla
troppa luce. Rimarco solo, in finale, che Camilleri avanza sempre più
faticosamente nelle storie di Montalbano, quasi che sentisse il bisogno di
finirla, ma che non ne abbia il coraggio (tanto per non finire come Conan Doyle
e la prima morte di Sherlock Holmes). E questa stanchezza pervade tutto il
romanzo, facendo prendere punti di vantaggio alle altre storie di Vigata, che
sono più agili, ma che sembrano più fresche delle avventure del commissario: perché,
caro Andrea, non fai andare in pensione il nostro Salvo, e, lasciandoci i suoi
sottoposti, provi a mettere un nuovo capo al commissariato di Scicli? Sarebbe
una prova rischiosa, ma degna sfida per una penna di vigore.
Maurizio de Giovanni “Vipera” Einaudi s.p. (Natalino dell’arabista di
Nico)
[A: 01/01/2013 – I: 19/01/2013 – T: 22/01/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 304;
anno: 2012]
Premesso
che sono un fan della prima ora del commissario Ricciardi, e che seguo gli
scritti de Giovanni con attenzione (anche se non mi discosto da questa sua
saga), devo dire che questo sesto episodio conferma il trend al ribasso delle
ultime uscite. Come altri hanno rilevato, intanto, il passaggio dalla Fandango
ad Einaudi non ha giovato molto alla resa editoriale dei testi. I titoli, che
avevano una logica ed una consequenzialità, stanno diventando banalotti. Come
questo che, pur evocando la bella canzone di E.A. Mario (inciso dedicato a
questo grande della canzone: di Vipera scrisse, infatti, parole e musica, come
per la sua canzone più famosa “La leggenda del Piave”, composta solo un anno
prima di questa, proprio nel 1918), non è altro che il nome della povera
vittima, Maria Rosaria detta Vipera di professione prostituta nel bordello “Il
Paradiso”. Poi anche i sentimenti delle festività: i primi quattro romanzi,
quelli di Fandango, erano dedicati alle stagioni, mentre ora siamo passati alla
santificazione delle feste. Prima il Natale, ora la Pasqua (con quella inutile
didascalia su “Nessuna resurrezione”, che l’editor di Einaudi poteva
risparmiarsi). Anche l’intreccio diciamo nella parte dedicata al mistero è ben
misero. Viene uccisa una bella ragazza per sua sfortuna prostituta, in quanto
bella sì ma povera. E molti potrebbero averne voluto la morte: il figlio del
commendator Vincenzo dato che il padre per lei si stava rovinando, la bella
Lucy, altra prostituta, cui Vipera aveva tolto il posto d’onore, Peppe a’
frusta, suo antico spasimante che l’aveva ritrovata e chiesta in sposa, Madama
Yvonne, la famiglia di Peppe o la famiglia di Maria Rosaria stessa, se Vipera
avesse detto si a Peppe. Né in aiuto al commissario vengono le parole della
vittima che lui risente nell’aria (sappiamo che questo è il grande punto
d’attacco di tutta la serie, ma anche la maledizione del commissario che
continua a vedere per alcuni giorni i morti di morte violenta che ripetono
l’ultima frase prima di spirare). Si fa un po’ d’indagine, aiutato dal fido
brigadiere Maione. Ma solo casualmente, ripensando ad una barzelletta dell’amico
dottore al nostro scattano le meningi e trova il pur facile bandolo. Perché, a
prescindere da tutti i moventi, già da tempo si capiva dove sarebbero arrivate
le indagini, nell’unico modo plausibile per spiegare come possa aver fatto
l’assassino ad entrare ed uscire senza essere disturbato. E Ricciardi sembra
particolarmente “intontito” che solo nelle ultime pagine si risolve a chiedere
conferma della sua deduzione al finto cieco che sta fisso davanti al bordello.
Lui sapeva da giorni che era finto, avrebbe potuto pensare prima a chiedere
cosa avesse visto. Ma tutto è diluito perché seguiamo l’altro versante della
storia, che fa perno sul momento storico della vicenda. Siamo ben nel 1932, ed
il fascismo comincia a consolidare le sue forze dopo quasi dieci anni di
governo. Questa parte, pur con qualche titubanza, è forse meglio sviluppata. I
pochi che resistono, e che vengono ben presto isolati e mandati al confino
(quando va bene), come sta per succedere al dottor Modo, il patologo di
riferimento del commissario, nonché medico benvoluto da tutti, nonché amico di
Ricciardi, nonché antifascista nell’animo che non sopporta la deriva italica.
Ed il dottore fa un passo falso e rischia di essere mandato a Ventotene (dove
avrebbe trovato compagnie illustri da Pertini ad Altiero Spinelli e Camilla
Ravera). Per salvare l’amico entriamo nella terza trama del testo, quella che
più mi fa dolere, che de Giovanni non sembra avere intenzione di sciogliere i
nodi amorosi del nostro commissario. Che il cuore di Ricciardi, pur con le
titubanze della sua natura) batte per la simpatica e timida Enrica. Ma il corpo
del nostro commissario è irretito dalla bella ed estroversa Livia, quella che è
amica di Edda Ciano. E mentre facciamo tutti il tifo per un pranzo pasquale
ordito da Enrica su consiglio della tata Rosa, Ricciardi è ripreso all’amo
della bella per sdebitarsi della liberazione del dottore. Questa è la parte
emozionalmente più debole (per me), mentre nella scrittura debbo rilevare che
de Giovanni continua ad infarcire di tanto in tanto dei capitoli che vogliono
essere lirici, che spaziano, che sembrano dire e non dire, ma che non sono
funzionali a nulla, se non ad aumentare il numero delle pagine. Io li taglierei
decisamente. Chissà che in questo modo possa il nostro scrittore risalire la
china in attesa della prossima festività (domanda: sarà il Corpus Domini o
l’Assunta?).
“Gli uomini non sanno mai quello che
vogliono … perché si pensano che il mondo finisce domani, e allora si occupano
solo di quello che succede oggi. Siamo noi donne che vediamo chiaro come il
sole quello che succederà, e ce ne dobbiamo fare carico. E un poco alla volta …
li dobbiamo portare a fare quello che vogliamo noi, facendogli credere che lo
hanno deciso loro.” (47)
Andrea Camilleri “Una voce di notte” Sellerio euro 14 (in realtà,
scontato 11,90 euro)
[A: 18/09/2012 – I: 22/01/2013 – T: 24/01/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 267;
anno: 2012]
Letto quasi d’un fiato, e
finalmente! Un Camilleri non dico ritornato ai massimi livelli, ma di sicuro al
di sopra dei livelli di guardia cui era sceso ultimamente nelle vicende del
commissario Montalbano. E si capisce meglio alla luce della nota finale, che il
nostro scrittore appone alla fine. Perché (e questo era stato scritto tra le
righe in alcune sue interviste) ha dato alla Sellerio un numero consistente di
storie di Montalbano, che la casa editrice decide (a suo buon cuore) di dare
alle stampe in ordine sparso (fatto salvo l’ultima, quella che sarà pubblicata
postuma per suggellare la fine sia di Camilleri che del nostro amico Salvo).
Questa, quindi, risulterebbe precedente (come scrittura) alla di sopra tramata,
a parte i necessari aggiustamenti temporali e di riferimento a vicende
trascorse. E sebbene Salvo nel corso della vicenda festeggi (anzi, compia, che
di festeggiare non se la sente) i suoi cinquantotto anni, non è infarcito da
quelle dosi di pencolamento verso l’universo femminile, che mi avevano un po’
stranito nell’ultima uscita. Certo, rimane il continuo battibeccare a distanza
con Livia, ma risulta quasi uno scontato scandire dei giorni di lontananza.
Purtroppo la Marian della puntata precedente non può comparire (essendo questa
stata scritta prima, quindi avrebbe necessitato una riscrittura completa). E
Livia dalla sua Genova sta stressando anche i nostri cabbasisi. Inoltre, questa
volta la vicenda è nuovamente (e con più forza) politica. Che il direttore di
un supermercato, strettamente legato alla mafia locale in quanto contabile
della stessa, subisce un misterioso furto durante l’orario di chiusura.
Misterioso fino ad un certo punto, che ne provoca la morte. La mafia vuole
farlo passare per lo scorno di essere stato accusato o di essere realmente
complice del furto stesso. Montalbano, gira che ti rigira, sempre aiutato dai
pizzini del suo aiutante Fazio e dalle capacità informatiche dell’ottimo
Catarella, troverà a seguire una pista che, pur nell’oscurità mafiosa delle
soluzioni complesse, renderà giustizia al povero direttore, e farà in modo che
uno degli autori della manovra ci rimetta le penne. Questo è il motivo
conduttore, che tramite telefonate notturne mascherate (e grazie ad altro che
non vi dico) Montalbano induce i colpevoli allo scoperto. Stesse manovre che
utilizza nell’altro caso che segue in parallelo, questa volta con l’ottimo Mimì
(che però sempre più in minore sta) della morte di una giovane trovata nuda e
trucidamente pugnalata nella villa dove conviveva con il giovane Strangio,
figlio (e succube) del professore presidente della Provincia. Anche qui tutto
sembra accusare il ragazzo. Ma il parallelismo tra i casi, consente al
commissario di trovare anche qui il bandolo, anzi il filo di spugna della
matassa (ed accontentatevi di questo indizio). Il resto è tutto frutto del
sacco di memoria del nostro autore (quello che lo collega al commissario Beck o
al commissario Charistos). Sogni premonitori in cui si vede nella parte di un
intoccabile alla De Palma alla ricerca di incastrare Al Capone. Discussioni
solitarie sulla deriva che porta l’Italia sempre più vicina a quella Chicago
più letta che vissuta. Il malaffare delle televisioni (sempre nel contraltare
tra TeleVigata e Retelibera) che dove sono asservite al potere servono a
distorcere le notizie più che ad informare lo spettatore. Insomma, pur non
scadendo nel solito sdilinquimento dell’incensatore di professione dei risvolti
di copertina, il pur bravo Nigro (che a me risulta tuttavia sempre meno
simpatico), sicuramente un Camilleri più tonico. Ed anche più in linea con i
soliti standard i comprimari (Augello, Fazio e Catarella) e gli antagonisti (il
signore e questore, il dottor Pasquano). Anche i coinvolti nelle vicende hanno
un normale spessore che fa piacere rilevare. Nonché le grandi mangiate di
Montalbano, sia quelle in trattoria da Ezio sia nelle cenette che gli prepara
la fida Adelina (ma io continuo a domandarmi come si fa a mangiare spaghetti e
triglie a pranzo, e poi sbafarsi un polipo intero a cena; sarà la giovinezza di
Salvo che gli consente tali performance?). Si sente, e con piacere, tutta la
penna di Camilleri in questo romanzo. Speriamo che ne abbia già spediti altri
con la stessa verve. E speriamo di leggere il più tardi possibile la puntata
conclusiva delle storie del commissariato di Vigata.
Inizio
mese, quindi cominciamo gli elenchi delle letture di questo 2013, che,
liberatomi da ritmi di lavoro molto vincolanti, pensavo più leggente, ma che si
sta rivelando più lento dello scorso anno (e forse è un bene, per chi mi
segue). Purtroppo un anno iniziato con una sola lettura coinvolgente (l’agile
libricino di Osborne) e molte letture sotto la media.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Andrea Camilleri
|
Una lama di luce
|
Sellerio
|
14
|
3
|
2
|
Dolores Prato
|
Scottature
|
Quodlibet
|
7
|
3
|
3
|
Lawrence Osborne
|
Shangri-La
|
Adelphi
|
5,50
|
4
|
4
|
Michael Connelly
|
Il buio oltre la notte
|
Piemme
|
11
|
3
|
5
|
Simone Weil
|
Manifesto per la soppressione dei partiti politici
|
Castelvecchi
|
6
|
3
|
6
|
Irene Dische
|
Le lettere del sabato
|
Feltrinelli
|
5,50
|
3
|
7
|
Salman Rushdie
|
Joseph Anton
|
Mondadori
|
s.p.
|
2
|
8
|
Elvira Seminara
|
I racconti del parrucchiere
|
Gaffi editore
|
7,50
|
2
|
9
|
Paul Pen
|
Il presagio
|
Newton Compton
|
s.p.
|
1
|
10
|
John Burdett
|
Bangkok Eight
|
Corgi Books
|
9,50
|
3
|
11
|
Rodolfo Sonego
|
Diario australiano
|
Adelphi
|
5,50
|
3
|
12
|
Maurizio de Giovanni
|
Vipera
|
Einaudi
|
s.p.
|
3
|
13
|
Carl Schmitt
|
La tirannia dei valori
|
Adelphi
|
5,50
|
3
|
14
|
Andrea Camilleri
|
Una voce di notte
|
Sellerio
|
14
|
3
|
15
|
J. M. Erre
|
Serie Z
|
Cult editore
|
s.p.
|
3
|
16
|
Paco Ignacio Taibo II
|
Svaniti nel nulla
|
Net
|
7
|
3
|
17
|
Elizabeth Peters
|
L’enigma della piramide nera
|
TEA
|
8,60
|
2
|
Comunque,
e ci si tornerà, il viaggio è stato interessante, con un bel gruppo che ha
lavorato all’unisono per renderlo piacevole. Ora comincia Aprile, ma più che
altro… Beh, non diciamo nulla per ora, solo
Un bacio
Giovanni
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