mercoledì 3 aprile 2013

Da Tai a Ita - 01 aprile 2013


Con anagramma in stile “EP”, per riprendere al volo le nostre trame al ritorno da un veloce, eppur intenso, viaggio in Thailandia (che, in effetti, si scrive con l’acca…). Ed un po’ per parafrasare anche il deamicisiano dagli Appennini alle Ande… Quindi, oltre a tornare da un viaggio, torniamo ad autori italiani. E ad autori di “gialli”. Il primo, che meno di tutti mi è piaciuto, ci riporta comunque ad un onesto scrittore italiano, Giuseppe Pederiali, che ci ha lasciato il mese scorso. Non mancano quindi due Camilleri doc, ma non ancora ai livelli abituali, anche se con punte di apprezzamento. Inframmezzati dall’ultima avventura del commissario Ricciardi, che, purtroppo, da quando ha lasciato Fandango per Einaudi, mi lascia viepiù perplesso.
Giuseppe Pederiali “Camilla e i vizi apparenti” Garzanti euro 9,90 (in realtà, scontato 7,92 euro)
[A: 24/06/2012 – I: 28/12/2012 – T: 30/12/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 246; anno: 2004]
Devo dire che a volte il pensiero rimane nella testa al di là dei ricordi reali, e degli avvenimenti connessi. Questa frase sibillina serve ad introdurre un libro che ho comprato e letto per colmare un vuoto, ma che, essendomi piaciuto veramente a bassi livelli, mi sono chiesto perché lo avessi incluso nei libri da leggere. Ricordavo soltanto che era il secondo episodio dedicato all’ispettrice Camilla Cagliostro, di cui avevo letto il primo ed il terzo. Quindi questo per il vuoto da colmare. Ma ricordavo (fallacemente) che mi avevano incuriosito i due episodi. Rileggo le trame andate (la prima del 2008, la seconda del 2010, quasi un appuntamento biennale) e trovo che non ne avevo parlato bene. Trame deboline, qualche idea, certo scrittura scorrevole (tanto che anche questo l’ho letto in un giorno e mezzo). Ma la stessa tesi di fondo: romanzi banalotti. Questo ricalca e ribadisce questo giudizio, facendomi pensare che il quarto libro (che c’è) magari lo leggerà tra due anni. All’inizio sembra promettere, inserendoci nelle storie di una famiglia della Ferrara bene, dove casualmente il padrone di casa è amico della nostra Camilla, avendone frequentato la casa quando la futura ispettrice era un’adolescente. Ci sono attriti forti tra moglie e figlia, la piacente Andrea e l’immatura Fosca. Si inizia con una vacanza in Sardegna, dove tragicamente muore un amichetto della dodicenne Fosca, forse per colpa, sicuramente per distrazione, della mamma Andrea. Salto temporale, e l’amico Riccardo chiede a Camilla di passare giorni con la famiglia per che vede acuirsi le crisi. Ci sarà anche, come in Sardegna, la coetanea Matilde, presenza presente ma poco spiegante. Com’è e come non è, fatto sta che Andrea muore, e si scopre che (ma questo era ovvio fin dalle prime pagine) a premere il grilletto è stata proprio la piccola Fosca. E dopo quindi una buona metà di libro sopportabile, cadiamo in pieno in situazioni “angosciose”. La quasi totalità dei drammi avvengono nella famiglia (e basta rileggersi le cronache dello scorso anno per verificarlo). Ma Riccardo ha soldi, ingaggia luminari, ed in breve riporta a casa Fosca che inizia una terapia psichiatrica familiare. Ma Camilla è inquieta, non capisce qualcosa. Ed anche se i superiori le chiedono di non indagare, come può tirarsi indietro? E comincia dal punto debole della vicenda, l’ombrosa Matilde. Che ben presto cede e si confida e spiega la sua presenza sempre intorno senza motivi (apparenti). Quando lei era dodicenne il (falso) buon Riccardo l’aveva presa (con un po’ di violenza e molti soldini). Erano stati amanti fino al suo maturare adolescente. Poi Riccardo l’aveva sistemata, prima con lavoretti, poi facendola sposare da un suo sottoposto. Ed a questo punto si spalanco le porte degli inferi. Si comincia la discesa nella Geenna. Scopronsi gli altarini, ed un mondo che sembrava privo di vizi apparenti, risulterà poi pieno di vizi veri. Che la bella Andrea (e questo si poteva immaginare) aveva avuto coorti di amanti, e nella fattispecie un lungo amore, finito con la gravidanza di Fosca, che a questo punto non si sa se sia figlia di Riccardo o meno. Ma il resto lo avete già capito. Come capirete che ad un certo punto Fosca andrà anche lei veramente fuori di testa, e probabilmente anche Riccardo troverà una resa dei conti. Non si sa se reale, presunta, immanente o differita. Scopritelo leggendolo. Come scoprirete l’evoluzione della storia di Camilla con l’ispettore Donato. E cosa successe veramente tra Camilla e Matilde. Ed i sentimenti di Lolli, la cameriera filippina. Ed altri minimi misteri minori. Non so perché ho continuato a leggerne, di Pederiali. Sicuramente incuriosito dall’evolversi della storia di Camilla, qui il dito sulla piaga vira verso le perversioni a danno dell’infanzia. Uno dei temi più difficili, scabrosi, e che, sinceramente, non so affrontare. Al solito, la non eccelsa mira dello scrittore emiliano, colpisce un bersaglio e spalanca porte. Ma la sua visione del resto della vita non mi coinvolge, ed il ritmo diventa un blando quartetto campagnolo. Chissà cosa leggerò tra due anni?
Andrea Camilleri “Una lama di luce” Sellerio euro 14
[A: 13/06/2012 – I: 01/01/2013 – T: 05/01/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 244; anno: 2012]
Gradevole ritorno del nostro buon Camilleri ai fasti e nefasti del commissario nazionale (che ormai Montalbano è diventato quasi un’istituzione). Gradevole ma non ai livelli abituali, che la storia, pur non facendo acqua come altre prove di altri esimi scrittori italici di gesta poliziesche, non riesce a prendere fino in fondo. Ho avuto anche la (s)fortuna di leggere l’ultima intervista rilasciata da Camilleri, che spaziava su molti argomenti, ma uno mi è rimasto in fondo al cervello, come un tarlo che mi rode da un po’. Il nostro agrigentino riafferma l’inesistenza di negri aiutanti alle sue scritture, ma l’affermazione (un po’ excusatio non petita) mi ribadisce la possibilità di questo “aiutino”. E non che non sia utile, se vogliamo pensare ad una persona che, andando verso i novanta, continua a scrivere e sfornare episodi e romanzi con ritmi giovanili. Ma torniamo alla lama di luce di questo romanzo. Che al solito gioca su di una serie di registri tipici del plot di Montalbano. Un’indagine che tiene banco come asse portante. Una o più storie laterali. Nonché, l’alternarsi di attrazione e repulsione tra il nostro cinquantino e la lontana Livia, in genere dovuto anche (e qui non ne è da meno) alla comparsa di una qualche bella “fimmina”. E proprio da questa storia laterale (ma fino ad un certo punto) vorrei cominciare a tessere la nostra trama. Che ormai da diversi romanzi il rapporto con Livia si è andato viepiù sfilacciando. Qui, inoltre, compare la bella Marian, che fa breccia non solo nel corpo, ma anche nella testa del nostro commissario. Tanto che sembra ben deciso a porre fine all’amore a distanza con la genovese (ultimamente un po’ bistrattata). Marian che risulta coinvolta in un caso di quadri rubati, che ci aspettiamo ne sia travolta, e che, Salvo aiutando, ne esce bene (e non me lo aspettavo). Ma una vicenda trasversale, che lega questa tarda vicenda ad uno dei primi casi (il bel “Ladro di merendine”), fa prendere a Montalbano una decisione (anche se, al solito, bisogna vedere cosa ne pensano gli altri) e ne vedremo nei prossimi romanzi le conseguenze. Mentre la storia portante è un po’ banalotta. Una rapina che non si rivela esserlo. Una storia fra un attempato gestore di un supermercato e la sua più che giovane commessa. Dove la giovane esce da una storia con un picciotto mafiosetto. Dove si invaghisce di un altro giovane di mafia, per di più fratellastro della sua migliore amica. E tra questi triangoli e quadrati (che non mi si leva dalla testa che l’amica Valeria voglia un bene un po’ più intenso dell’amicizia verso la giovane Loredana) si spiegano le rapine di cui sopra, ci si coinvolge in un’ammazzatina, e, tra una mangiata da Enzo ed una delle melanzane di Adelina, comprese le passeggiate al molo, le chiacchierate con i granchi ed altri “topos” montalbanici, il commissario elabora una teoria convincente. La applica. E trova colpevole e mandanti. C’è anche un piccolo lavoro in fior di parole con l’esimio Gottaduro avvocato della mafia, che fa camminare Salvo pericolosamente sul crinale di qualche possibile (ma non fattibile) cedimento. Per il resto, e fino alla conclusione (o alle conclusioni), tutto è nei binari del più trito ossequio ai canoni di cui sopra. Fazio con le sue trovate. Mimì con le sue femmine. Catarella con i suoi strafalcioni. Ma anche Salvo con i suoi sogni, che ormai stanno un po’ rompendo i cabbasisi. Risulta sempre più ovvia la corrispondenza del sogno premonitore con qualche cosa che avverrà. Qui non se ne fa a meno, anche se, tra sogno e realtà, passano 200 pagine. Tralascio qualcosa, per il gusto di chi lo vuole leggere (e tuttavia devo dire ne vale comunque la pena), anche se poteva illuminare passi di romanzo. Ma preferisco qualche ombra alla troppa luce. Rimarco solo, in finale, che Camilleri avanza sempre più faticosamente nelle storie di Montalbano, quasi che sentisse il bisogno di finirla, ma che non ne abbia il coraggio (tanto per non finire come Conan Doyle e la prima morte di Sherlock Holmes). E questa stanchezza pervade tutto il romanzo, facendo prendere punti di vantaggio alle altre storie di Vigata, che sono più agili, ma che sembrano più fresche delle avventure del commissario: perché, caro Andrea, non fai andare in pensione il nostro Salvo, e, lasciandoci i suoi sottoposti, provi a mettere un nuovo capo al commissariato di Scicli? Sarebbe una prova rischiosa, ma degna sfida per una penna di vigore.
Maurizio de Giovanni “Vipera” Einaudi s.p. (Natalino dell’arabista di Nico)
[A: 01/01/2013 – I: 19/01/2013 – T: 22/01/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 304; anno: 2012]
Premesso che sono un fan della prima ora del commissario Ricciardi, e che seguo gli scritti de Giovanni con attenzione (anche se non mi discosto da questa sua saga), devo dire che questo sesto episodio conferma il trend al ribasso delle ultime uscite. Come altri hanno rilevato, intanto, il passaggio dalla Fandango ad Einaudi non ha giovato molto alla resa editoriale dei testi. I titoli, che avevano una logica ed una consequenzialità, stanno diventando banalotti. Come questo che, pur evocando la bella canzone di E.A. Mario (inciso dedicato a questo grande della canzone: di Vipera scrisse, infatti, parole e musica, come per la sua canzone più famosa “La leggenda del Piave”, composta solo un anno prima di questa, proprio nel 1918), non è altro che il nome della povera vittima, Maria Rosaria detta Vipera di professione prostituta nel bordello “Il Paradiso”. Poi anche i sentimenti delle festività: i primi quattro romanzi, quelli di Fandango, erano dedicati alle stagioni, mentre ora siamo passati alla santificazione delle feste. Prima il Natale, ora la Pasqua (con quella inutile didascalia su “Nessuna resurrezione”, che l’editor di Einaudi poteva risparmiarsi). Anche l’intreccio diciamo nella parte dedicata al mistero è ben misero. Viene uccisa una bella ragazza per sua sfortuna prostituta, in quanto bella sì ma povera. E molti potrebbero averne voluto la morte: il figlio del commendator Vincenzo dato che il padre per lei si stava rovinando, la bella Lucy, altra prostituta, cui Vipera aveva tolto il posto d’onore, Peppe a’ frusta, suo antico spasimante che l’aveva ritrovata e chiesta in sposa, Madama Yvonne, la famiglia di Peppe o la famiglia di Maria Rosaria stessa, se Vipera avesse detto si a Peppe. Né in aiuto al commissario vengono le parole della vittima che lui risente nell’aria (sappiamo che questo è il grande punto d’attacco di tutta la serie, ma anche la maledizione del commissario che continua a vedere per alcuni giorni i morti di morte violenta che ripetono l’ultima frase prima di spirare). Si fa un po’ d’indagine, aiutato dal fido brigadiere Maione. Ma solo casualmente, ripensando ad una barzelletta dell’amico dottore al nostro scattano le meningi e trova il pur facile bandolo. Perché, a prescindere da tutti i moventi, già da tempo si capiva dove sarebbero arrivate le indagini, nell’unico modo plausibile per spiegare come possa aver fatto l’assassino ad entrare ed uscire senza essere disturbato. E Ricciardi sembra particolarmente “intontito” che solo nelle ultime pagine si risolve a chiedere conferma della sua deduzione al finto cieco che sta fisso davanti al bordello. Lui sapeva da giorni che era finto, avrebbe potuto pensare prima a chiedere cosa avesse visto. Ma tutto è diluito perché seguiamo l’altro versante della storia, che fa perno sul momento storico della vicenda. Siamo ben nel 1932, ed il fascismo comincia a consolidare le sue forze dopo quasi dieci anni di governo. Questa parte, pur con qualche titubanza, è forse meglio sviluppata. I pochi che resistono, e che vengono ben presto isolati e mandati al confino (quando va bene), come sta per succedere al dottor Modo, il patologo di riferimento del commissario, nonché medico benvoluto da tutti, nonché amico di Ricciardi, nonché antifascista nell’animo che non sopporta la deriva italica. Ed il dottore fa un passo falso e rischia di essere mandato a Ventotene (dove avrebbe trovato compagnie illustri da Pertini ad Altiero Spinelli e Camilla Ravera). Per salvare l’amico entriamo nella terza trama del testo, quella che più mi fa dolere, che de Giovanni non sembra avere intenzione di sciogliere i nodi amorosi del nostro commissario. Che il cuore di Ricciardi, pur con le titubanze della sua natura) batte per la simpatica e timida Enrica. Ma il corpo del nostro commissario è irretito dalla bella ed estroversa Livia, quella che è amica di Edda Ciano. E mentre facciamo tutti il tifo per un pranzo pasquale ordito da Enrica su consiglio della tata Rosa, Ricciardi è ripreso all’amo della bella per sdebitarsi della liberazione del dottore. Questa è la parte emozionalmente più debole (per me), mentre nella scrittura debbo rilevare che de Giovanni continua ad infarcire di tanto in tanto dei capitoli che vogliono essere lirici, che spaziano, che sembrano dire e non dire, ma che non sono funzionali a nulla, se non ad aumentare il numero delle pagine. Io li taglierei decisamente. Chissà che in questo modo possa il nostro scrittore risalire la china in attesa della prossima festività (domanda: sarà il Corpus Domini o l’Assunta?).
“Gli uomini non sanno mai quello che vogliono … perché si pensano che il mondo finisce domani, e allora si occupano solo di quello che succede oggi. Siamo noi donne che vediamo chiaro come il sole quello che succederà, e ce ne dobbiamo fare carico. E un poco alla volta … li dobbiamo portare a fare quello che vogliamo noi, facendogli credere che lo hanno deciso loro.” (47)
Andrea Camilleri “Una voce di notte” Sellerio euro 14 (in realtà, scontato 11,90 euro)
[A: 18/09/2012 – I: 22/01/2013 – T: 24/01/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 267; anno: 2012]
Letto quasi d’un fiato, e finalmente! Un Camilleri non dico ritornato ai massimi livelli, ma di sicuro al di sopra dei livelli di guardia cui era sceso ultimamente nelle vicende del commissario Montalbano. E si capisce meglio alla luce della nota finale, che il nostro scrittore appone alla fine. Perché (e questo era stato scritto tra le righe in alcune sue interviste) ha dato alla Sellerio un numero consistente di storie di Montalbano, che la casa editrice decide (a suo buon cuore) di dare alle stampe in ordine sparso (fatto salvo l’ultima, quella che sarà pubblicata postuma per suggellare la fine sia di Camilleri che del nostro amico Salvo). Questa, quindi, risulterebbe precedente (come scrittura) alla di sopra tramata, a parte i necessari aggiustamenti temporali e di riferimento a vicende trascorse. E sebbene Salvo nel corso della vicenda festeggi (anzi, compia, che di festeggiare non se la sente) i suoi cinquantotto anni, non è infarcito da quelle dosi di pencolamento verso l’universo femminile, che mi avevano un po’ stranito nell’ultima uscita. Certo, rimane il continuo battibeccare a distanza con Livia, ma risulta quasi uno scontato scandire dei giorni di lontananza. Purtroppo la Marian della puntata precedente non può comparire (essendo questa stata scritta prima, quindi avrebbe necessitato una riscrittura completa). E Livia dalla sua Genova sta stressando anche i nostri cabbasisi. Inoltre, questa volta la vicenda è nuovamente (e con più forza) politica. Che il direttore di un supermercato, strettamente legato alla mafia locale in quanto contabile della stessa, subisce un misterioso furto durante l’orario di chiusura. Misterioso fino ad un certo punto, che ne provoca la morte. La mafia vuole farlo passare per lo scorno di essere stato accusato o di essere realmente complice del furto stesso. Montalbano, gira che ti rigira, sempre aiutato dai pizzini del suo aiutante Fazio e dalle capacità informatiche dell’ottimo Catarella, troverà a seguire una pista che, pur nell’oscurità mafiosa delle soluzioni complesse, renderà giustizia al povero direttore, e farà in modo che uno degli autori della manovra ci rimetta le penne. Questo è il motivo conduttore, che tramite telefonate notturne mascherate (e grazie ad altro che non vi dico) Montalbano induce i colpevoli allo scoperto. Stesse manovre che utilizza nell’altro caso che segue in parallelo, questa volta con l’ottimo Mimì (che però sempre più in minore sta) della morte di una giovane trovata nuda e trucidamente pugnalata nella villa dove conviveva con il giovane Strangio, figlio (e succube) del professore presidente della Provincia. Anche qui tutto sembra accusare il ragazzo. Ma il parallelismo tra i casi, consente al commissario di trovare anche qui il bandolo, anzi il filo di spugna della matassa (ed accontentatevi di questo indizio). Il resto è tutto frutto del sacco di memoria del nostro autore (quello che lo collega al commissario Beck o al commissario Charistos). Sogni premonitori in cui si vede nella parte di un intoccabile alla De Palma alla ricerca di incastrare Al Capone. Discussioni solitarie sulla deriva che porta l’Italia sempre più vicina a quella Chicago più letta che vissuta. Il malaffare delle televisioni (sempre nel contraltare tra TeleVigata e Retelibera) che dove sono asservite al potere servono a distorcere le notizie più che ad informare lo spettatore. Insomma, pur non scadendo nel solito sdilinquimento dell’incensatore di professione dei risvolti di copertina, il pur bravo Nigro (che a me risulta tuttavia sempre meno simpatico), sicuramente un Camilleri più tonico. Ed anche più in linea con i soliti standard i comprimari (Augello, Fazio e Catarella) e gli antagonisti (il signore e questore, il dottor Pasquano). Anche i coinvolti nelle vicende hanno un normale spessore che fa piacere rilevare. Nonché le grandi mangiate di Montalbano, sia quelle in trattoria da Ezio sia nelle cenette che gli prepara la fida Adelina (ma io continuo a domandarmi come si fa a mangiare spaghetti e triglie a pranzo, e poi sbafarsi un polipo intero a cena; sarà la giovinezza di Salvo che gli consente tali performance?). Si sente, e con piacere, tutta la penna di Camilleri in questo romanzo. Speriamo che ne abbia già spediti altri con la stessa verve. E speriamo di leggere il più tardi possibile la puntata conclusiva delle storie del commissariato di Vigata.
Inizio mese, quindi cominciamo gli elenchi delle letture di questo 2013, che, liberatomi da ritmi di lavoro molto vincolanti, pensavo più leggente, ma che si sta rivelando più lento dello scorso anno (e forse è un bene, per chi mi segue). Purtroppo un anno iniziato con una sola lettura coinvolgente (l’agile libricino di Osborne) e molte letture sotto la media.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Andrea Camilleri
Una lama di luce
Sellerio
14
3
2
Dolores Prato
Scottature
Quodlibet
7
3
3
Lawrence Osborne
Shangri-La
Adelphi
5,50
4
4
Michael Connelly
Il buio oltre la notte
Piemme
11
3
5
Simone Weil
Manifesto per la soppressione dei partiti politici 
Castelvecchi
6
3
6
Irene Dische
Le lettere del sabato
Feltrinelli
5,50
3
7
Salman Rushdie
Joseph Anton
Mondadori
s.p.
2
8
Elvira Seminara
I racconti del parrucchiere
Gaffi editore
7,50
2
9
Paul Pen
 Il presagio
Newton Compton
s.p.
1
10
John Burdett
Bangkok Eight
Corgi Books
9,50
3
11
Rodolfo Sonego
Diario australiano
Adelphi
5,50
3
12
Maurizio de Giovanni 
 Vipera
Einaudi
s.p.
3
13
Carl Schmitt
La tirannia dei valori
Adelphi
5,50
3
14
Andrea Camilleri
Una voce di notte
Sellerio
14
3
15
J. M. Erre
 Serie Z
Cult editore
s.p.
3
16
Paco Ignacio Taibo II
Svaniti nel nulla
Net
7
3
17
Elizabeth Peters
L’enigma della piramide nera
TEA
8,60
2

Comunque, e ci si tornerà, il viaggio è stato interessante, con un bel gruppo che ha lavorato all’unisono per renderlo piacevole. Ora comincia Aprile, ma più che altro… Beh, non diciamo nulla per ora, solo
Un bacio
Giovanni

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