Dall’Inghilterra a Hong Kong, passando per
l’Egitto (e notiamo che comunque sono tutti paesi toccati dall’anglicizzazione)
anche i nostri scrittori “gialli” viaggiano. Certo non ha bisogno di
presentazioni l’esimia Rowling, che, dopo i successi potteriani, si dedica (con
piacevolezza almeno all’inizio) ad una nuova storia seriale poliziottesca. Meno
noti, ma interessanti per l’ambientazione, l’egiziano Mourad (che tuttavia non
convince) ed il cinese Ho Kei (più interessante, anche se quel cognome sembra
“quasi” inventato).
J.K. Rowling (Robert Galbraith) “Il richiamo del cuculo” Repubblica
MondoNoir 1 euro 7,90
[A: 07/07/2014– I: 05/02/2016
– T: 10/02/2016] - &&& e ½
[tit. or.: The Cuckoo’s Calling; ling. or.: inglese; pagine: 523; anno 2013]
Dopo
i planetari successi della saga di Harry Potter, la scrittrice britannica (ma
residente ad Edimburgo in Scozia) J.K. Rowling decide di dedicarsi ad altri
progetti. Impiega cinque anni per scrollarsi di dosso il fortunato maghetto. E
dopo un romanzo di fiction, decide di provare anche il genere thriller. Al fine
di non inquinare giudizi e vendite, questa volta usa un nuovo pseudonimo,
marcatamente maschile, Robert Galbraith (usando il nome di un giudice scozzese
del 1500). L’ho letto con interesse, senza pensare agli scritti famosi della
Rowling. Ed è stata una lettura piacevole, forse leggermente inquinata dalla
eccessiva lunghezza dello scritto. L’autrice è presa dal trip delle parole, e
spesso allunga, a volte divaga, regalandoci incisi e parentesi non sempre
consoni alla trama. O forse sì, ma che io avrei tagliato per rendere il libro
più agile nella lettura. Capisco anche la mania degli autori, quando sono di
fronte ad un nuovo personaggio, di volercene regalare una descrizione completa.
Ricordo invece che il primo libro di Harry Potter, oltre ad essere gradevole,
aveva una veloce caratterizzazione dei personaggi, essendo la Rowling
consapevole che parte del suo pubblico avrebbe gradito poco una lunga disamina
del perché e del percome di Albus Silente o Minerva McGranitt o Severus Piton.
Ma torniamo a questo di libro. Dove s’introduce il personaggio centrale, che si
capisce sarà al centro anche di altre storie. Cormoran (come cormorano senza la
T finale in inglese) Strike, investigatore privato, reduce dall’Afghanistan
dove ha avuto un piede amputato in un’azione di guerra, per cui usa una protesi
ben nascosta, con alcuni problemi relazionali sia con la ragazza con la quale
si lascia sin dall’inizio, sia con la sua storia personale (è figlio
illegittimo di un rockstar e di una “groupie”). Anche nell’esercito bazzica
intorno ai servizi ed alle “intelligence”. Ora, da civile, continua, anche se
con poco successo. Entra presto nella trama anche una simpatica per ora
temporanea segretaria. Certo, un investigatore di nome Cormoran non può che
avere un uccello come segretaria. Ecco quindi delinearsi il secondo personaggio
della saga, l’efficiente Robin (pettirosso). E non pensiamo a Batman! La storia
in cui si trova immerso Cormoran, nasce dalla morte della modella Lula, caduta
dal suo attico miliardario: omicidio o suicidio? La polizia, non avendo
particolari indizi, chiude il caso sulla seconda ipotesi. Mentre John, il
fratellastro di Lula, non convinto, ingaggia il nostro per la ricerca della
verità. Il motivo per cui viene coinvolto Cormoran è la sua frequentazione
giovanile con Charlie, altro fratellastro di John, fino alla morte di questi,
caduto in bicicletta da una scogliera. Abbiamo così una famiglia ben allargata:
Alec, padre putativo, è morto da un po’, Lady Yvette è affetta da un cancro
terminale, Tony, lo zio è uno dei maggiori avvocati di un grande studio legale,
dove lavora il nipote John. Studio tenuto dal grande Cyprian, sposato con
Ursula, la cui sorella Tansy è la moglie del produttore Bestigui. Non solo, è
anche l’unica che, abitando al piano di sotto di Lula, sostiene che sia stata
gettata dal balcone. Con questa grande famiglia, entriamo nel mondo glamour
della moda e del cinema. C’è il fidanzato di Lula, il drogatello Evan. C’è un
rapper americano che c’entra e non c’entra. C’è Ciara, l’amica di Lula e
modella anche lei. C’è lo stilista omosessuale Guy Somé. C’è Alison, fidanzata
di John e segretaria di Tony. Insomma, un bel parterre de roi. Dove, pagina
dopo pagina, incominciamo a ricostruire la vita di Lula, sempre in difficoltà
essendo meticcia in un ambiente di bianchi, ma salvata dalla sua fulgida
bellezza. Anche lei con problemi di droga, e con la disperata ricerca delle sue
origini, un modo per trovare appiglio in una realtà che macina i suoi eroi.
Lentamente, ovvio date le oltre 500 pagine del libro, scopriamo nessi e
connessi. Cormoran con abili mosse scopre che Tansy aveva detto la verità,
scagionando il possibile Bestigui come colpevole. Che ben presto si restringe a
pochi elementi: lo zio Tony, dal comportamento ambiguo, il fidanzato Evan, che
va in giro con una maschera di lupo sulla faccia, e lo stesso John, dagli
improbabili alibi durante gli avvenimenti mortiferi. Ad un’attenta lettura, il
meccanismo giallo si svela, ma io non lo dico. Come non rivelo se, alla fine,
la segretaria temporanea Robin rimarrà o meno con il nostro. La fine ha anche
un discreto colpo di scena, che fa salire le quotazioni investigative di
Cormoran, preludendo ad un futuro teso verso investigazioni più remunerative.
Come detto una buona lettura, una buona scrittura, ed una buona resa di questo
secondo (in lettura) libro della serie “Giro del Mondo in Nero” edito da
Repubblica che, per ora, si mantiene su standard migliori delle altre serie
dello stesso editore.
Ahmed Mourad “Polvere di diamante” Repubblica MondoNoir 12 euro 7,90
[A: 22/09/2014– I: 28/03/2016
– T: 30/03/2016] - &&---
[tit. or.: Tourab al-mass; ling. or.: arabo; pagine: 350; anno 2009]
Veramente
sono rimasto un tantino deluso da questo nuovo (per me) scrittore arabo. Tra
l’altro giovane (è un under 40) e nasce come fotografo, anche se di regime (era
l’addetto stampa di Mubarak per le foto). Da una decina di anni scrive, ed
anche se non ho letto altro di lui, non sono convinto della sua scrittura
(dando per scontato che la traduzione di Barbara Teresi sia ottima e fedele).
Infatti, mi sembra che abbia interpretato al contrario l’aforisma di Antoine de
Saint-Exupéry ("La perfezione non si ottiene quando non c'è più nulla da
aggiungere, bensì quando non c'è più nulla da togliere"). Mourad aggiunge
tanto, per confezionare un libro che avrebbe bisogno invece di essere più
snello. È un esempio forse del più ritrito stile arabo, che parla, comincia da
lontano, ingarbuglia, e ci fa arrivare stanchi alla meta. Non apporta molto
tutta la prima parte, sia sulla morte del nonno sia sulla vita del padre di
Taha, il personaggio centrale del romanzo. Se ne poteva fare un ricordo quando,
dopo la morte del padre, Taha scava nei suoi ricordi. Perché il centro della
storia, ed il suo svolgimento, è altresì lineare: Taha scopre che il padre è
una specie di vendicatore dei torti che utilizza la polvere di diamante per
uccidere le persone che lui ritiene si discostino dalla retta via. È anche
paralizzato, vive su di una sedia a rotelle, e dalla sua finestra scruta il
mondo intorno. Da lì probabilmente vede qualcosa che non doveva, per questo un
sicario prezzolato lo uccide, riducendo anche Taha in fin di vita. Il giovane
si riprende, trova i diari del padre, ripercorre la vita di piccole vendette, e
scopre il nascondiglio della famigerata polvere. Con la quale, un po’
semplicisticamente, uccide il sicario di cui sopra. Peccato che venga scoperto
da Walid, un corrotto funzionario di polizia, che costringe Taha ad uccidere
l’omosessuale Hany, convincendolo che sia il mandante della morte del padre.
Quando però Taha scopre che, nel periodo incriminato, Hany non era in Egitto,
troverà anche il modo di scovare il vero colpevole e di ucciderlo con lo stesso
mezzo. Il tutto contornato dai problemi personali di Taha, diventato
informatore farmaceutico per volere del padre, pur avendo nell’animo solo la
passione per la musica in generale e per la batteria in particolare. Tanto che
alla fine decide di lasciare tutto e tutti, e di andare a fare il side man a
Sharm el-Sheikh. Infarcito dalla storia d’amore con la giornalista Sara, donna
contraddittoria e simpatica, che gira con il velo, ma in privato beve birra e
fuma spinelli. Non è un rapporto facile il loro, che Taha è bloccato dalle
memorie paterne, e non è politicizzato, mentre Sara è parte attiva anche di
movimenti anti-governativi. Riusciranno i due a coronare il loro (inespresso)
sogno d’amore? Il tutto inframmezzato dal comportamento aberrante di Walid e
della polizia egiziana, che, se ne leggiamo alla luce dell’omicidio Regeni, ne
abbiamo un quadro non molto distante dalla verità. Mourad quindi infarcisce la
sua opera sia di riferimenti autobiografici (Taha nasce il 14 febbraio come il
nostro Ahmed, si parla di manifestazioni e di infiltrazioni, che da “vicino” di
Mubarak ha sicuramente orecchiato), sia di riferimenti a momenti e situazioni
egiziane, che probabilmente avrebbero avuto necessità, per essere colte dal
lettore italiano medio, o di una bella post-fazione, o di esaurienti note a piè
pagina. Facciamo degli esempi: a pagina 252 si cita Djamila Bouhired, che pochi
ricordano essere stata una grande combattente per la liberazione dell’Algeria,
condannata a morte per un attentato nel ’57, graziata dopo una campagna di
stampa internazionale, e ben ricordata in uno degli episodi de “La Battaglia di
Algeri” di Pontecorvo. Oppure, a pagina 274, si paragona il modo di vivere di
Sara con Souad Hosny, una delle più grandi attrici arabe, protagonista di decine
e decine di film negli anni Sessanta e Settanta, dove spesso faceva la parte
della donna emancipata (ma che spesso non andava a finire bene). Infine, non
molti, al di fuori dei circuiti gay, conoscono la storia dei 52 uomini
arrestati nel 2001 a bordo della “Queen Boat”, una nave che bordeggiava il Nilo
e dove furoreggiava l’amore omosessuale; anche perché i 52 uomini subirono
lunghe detenzioni, soprusi e processi non certo sereni. Forse solo la citazione
di “Palazzo Yacoubian” può smuovere il lettore, che ne conosce per averlo letto
(è il primo e migliore libro di ‘Ala al-Aswani), qui però ne viene citato il
film, che, visto che come nel libro si parla di omosessualità, venne osteggiato
in Egitto e fatto uscire con la visione “Solo per Adulti”. Due ultime note di
colore. La prima, riguarda la polvere di diamante, ritenuta appunto
nell’antichità veleno potentissimo, ma poi riconosciuta agente di morte solo in
quanto provocava inarrestabili emorragie interne, di impossibile cura. Elemento
che venne studiato e descritto dal grande esperto di metallurgia del
Cinquecento, il toscano Vannoccio Biringuccio. L’altra riguarda una grande
festa che nel capitolo 21 si tiene all’Hotel Semiramis. Un hotel a me caro per
tante ragioni: è stato il primo hotel dove ho dormito nel centro della città,
nel lontano settembre 1989; è stato l’hotel cui sono sempre tornato tutte le
volte che negli anni Novanta tornavo in Egitto per lavoro; è situato in una
posizione fantastica, sul bordo del Nilo, a poche centinaia di metri da piazza
Tahir e dal Museo Egizio, e con di fronte il mitico (per noi viaggiatori) Shepheard
Hotel, dove negli anni Trenta transitavano Lawrence d’Arabia e Agatha Christie.
Ma il libro di Mourad non è un libro di memorie, anche se le suscita in me. È
un libro giallo, e non è un libro giallo riuscito.
Chan Ho Kei “Duplice delitto a Hong Kong” Repubblica AgendaNoir 11 euro
7,90
[A: 07/09/2015 – I: 25/04/2016
– T: 27/04/2016] - &&& +
[tit. or.: Yiwang
Xingjing: The Man who sold the World;
ling. or.: cinese; pagine: 205; anno 2011]
Interessante
prova, anche se non completamente riuscita. Peccato intanto che nel titolo
italiano si perda l’accenno a David Bowie, che invece ha un suo ruolo nella
confezione e nella soluzione della storia. Anche se la parte cinese del titolo
(la seconda parte ricordo è il titolo di una canzone del Duca Bianco) non ha
una traduzione semplice. Secondo quanto ho dedotto da alcuni siti specializzati
contiene cenni alla polizia ed a fatti avvenuti nel passato. Che poi è il succo
di questo romanzo del nativo di Hong Kong. Tengo a sottolineare questo fatto
perché pare che il testo originale abbia molte inflessioni derivanti dal
cantonese, piuttosto che dal cinese mandarino ufficiale. Sarebbe inoltre
interessante fare un paragone tra questo noir di Hong Kong e la serie di noir
ambientati a Shangai e scritti a Qiu Xialong. Essendo tutto ciò, al momento,
fuori dalla mia portata, torno al libro, e ad Hong Kong. Ed anche a Bowie, che
anche lui (come troppi musicisti) ci ha lasciato quest’anno. Intanto l’autore,
Ho Kei, non è certo molto noto all’estero, pur avendo un buon background di
sceneggiature di fumetti. Vena che, in alcuni momenti, sembra emergere anche
dal racconto. Possiamo immaginarne i riquadri che riempiono le pagine di noi
vecchi amanti del disegno a parole. Ed inizia anche con un po’ straniamento.
Una sensazione che l’autore spinge un po’ all’eccesso: abbiamo un uomo che, per
confusione mentale, stress, o altro, pensa di essere nel 2003 ed invece è nel
2009. E pensa di essere l’agente di polizia criminale Hui, che sta indagando
sull’assassinio di una coppia (di cui la donna è anche incinta) nella
brulicante città di Hong Kong. Facciamo subito un inciso: l’autore si sente
appartenere alla città tentacolare, e riesce a farcene percepire i ritmi e le
contraddizioni. Io ho visto avanzare la città inglese fino a diventare uno
strano enclave multietnico in Cina. Città dove l’isola è diversa da Kowloon e
dall’entroterra. Dove ci sono ville e grattacieli. Dove si vive ammassati (i
poveri) e si vive in spazi immensi (i ricchi). Dove la cosa più costosa non è
la casa, ma il posto auto! Bravo Chan. Hui (chiamiamolo così fino a prova
contraria) si imbarca in una ricerca di capire dove sia, e si imbatte, anche
nel 2009, nel mistero della morte che viene dal passato. Stanno girando un film
sulla storia, e una giornalista, Sum, sta facendo interviste ai protagonisti.
Hui e Sum allora incontrano May Lei, la sorella della vittima, e ripercorrono
con lei la storia. Incontrano la moglie del presunto assassino, Lam, che muore
solo qualche giorno dopo il feroce omicidio. Vengono a conoscenza
dell’esistenza di Yim, amico di Lam, tipo violento e con qualcosa da
nascondere. Hui accumula brani di notizie, e noi con lui, che l’autore ci fa
fare ogni tanto dei flashback guidati, ricostruendo la storia di Hui, del suo
entrare in polizia, delle prime indagini, del DPTS che lo assilla (DPTS à
Disturbo Post-Traumatico da Stress), disturbo che colpisce anche Yim, e di cui,
nei flashback, conosceremo i motivi (e di certo non ve li dico io, che
altrimenti che vi leggete?). Tra flashback e presente scopriamo che Hui e Yim
si frequentano, anzi sono amici, e … Arriviamo così al convulso (dal punto di
vista della logica e dei capovolgimenti di fronte) finale. Dall’inizio, ora
possiamo dirlo, non stiamo seguendo Hui, ma stiamo seguendo Yim. Che
ricostruisce la storia perché il suo amico Hui gli ha trovato un posto come
attore nel film che stanno girando. E dopo un colpo in testa, Yim si scorda di
essere Yim e pensa di essere Hui, ricostruisce il tutto ed accusa … sé stesso
dell’omicidio. Ma mentre cerca di spiegarlo a May Lei e a Sum, da foto sui
giornali le donne capiscono che parlano con Yim, si spaventano e Yim viene
quasi ucciso in una colluttazione. Sul letto d’ospedale, finalmente viene anche
per noi lettori ricostruita la storia di Hui e di Yim, con il secondo
scagionato dagli omicidi per una serie di testimonianze. Che, nel ricordo di
Yim, scagionando anche Lam. Sarà la musica di Bowie che permetterà a Yim di
risalire ad una ricostruzione completa della parte finale della vicenda. Che si
scinderà in due gradevoli sotto-finali entrambi plausibili. Anche questi non li
racconto, neanche per grandi linee. Sarebbe bene che chi non ha visitato la
cittadina anglo-cinese ne legga, anche per immedesimarsi nel suo invivibile ma
vissuto caos. Faccio un’ultima menzione d’onore alla casa editrice che ha
portato Chan in Italia, oltre che a Repubblica che ne ha amplificato
l’audience. Si tratta di “Metropoli d’Asia”, editore specializzato appunto in
poco noti testi orientali. Un plauso, e la speranza che possa continuare a
prosperare.
J.K. Rowling (Robert Galbraith) “Il Baco da seta” Repubblica AgendaNoir
1 euro 7,90
[A: 06/07/2015– I: 25/05/2016 – T: 31/05/2016] - &&
e ½
[tit. or.: The Silkworm; ling. or.: inglese; pagine: 540;
anno 2014]
Secondo
appuntamento con la scrittura gialla della mammina di Harry Potter. Ed anche
primo appuntamento con una nuova serie di gialli editi da Repubblica,
intitolata “Agenda Noir” (e cercheremo di capirne prima o poi il motivo).
Ritroviamo i personaggi seriali del primo libro, ma la (voluta) complessità non
tanto della trama ma dell’idea ad essa sottesa, rende questo libro meno
gradevole del primo. Non ci sono quegli scatti che potrebbero rendere più
accattivanti i personaggi. Ma soprattutto c’è questa tesi che percorre tutto il
libro che vuole essere un’accusa, bonaria ma tendenzialmente pungente, del
mondo editoriale. Dove si discetta per le più di cinquecento pagine (anche qui
siamo sul lunghetto…) su autori, su libri maledetti, su libri caustici, su
parole che fanno male ed inducono a male azioni. Fortunatamente Cormoran ha avuto
un buon ritorno economico dal precedente caso, tanto che si permette di
ingaggiare il suo pettirosso a tempo pieno. E con Robin come assistente
comincia ad indagare sulla misteriosa scomparsa dell’eccentrico scrittore Owen
Quine. Caso in cui si impegna anche se ben presto capisce che la parte
economica non è così rilevante come vorrebbe. Infatti, è la disperata moglie di
Quine che chiede il suo aiuto, ed il suo istinto lo porta ad accettare senza
pensare più (per ora) al denaro. Owen Quine, personaggio sgradevole e fuori
dagli schemi, autore di testi controversi e alla ricerca di una fama che, dopo
il successo del primo libro non si è ripresentata, è scomparso ed ha portato
con sé un suo manoscritto che getta (getterebbe, se lo si potesse leggere)
fango su parecchi personaggi del mondo editoriale di cui fa parte, un libro in
cui tortura e sessualità malata tessono le fila per portare a galla i vizi e i
segreti più oscuri di molti suoi colleghi. Non è un caso che il libo scomparso
si intitoli “Bombyx Mori”, il nome della farfalla che, quando è allo stato
larvale diventa l’ingrediente numero uno della seta, il famoso baco da seta (da
cui il titolo inglese “Silkworm”). I nostri due detective scopriranno nel corso
delle indagini tanti punti oscuri e tanti efferati delitti. C’è l’ex-amico di
Quine, Michael Francourt, la cui prima moglie pare si sia suicidata dopo la
pubblicazione di un libro apocrifamente ascritto a lei ma in realtà opera di…
C’è Elizabeth, l’agente di Francourt e di Quine, un tempo anche amante del
primo, ma da cui viene lasciata per una più allegra e promettente
(sessualmente) signorina. Entrambi colpiti “a morte” da una frase detta da
Quine ad un banchetto, dove lo scrittore in via di scomparire afferma che
Michael con Elizabeth ha “il cazzo moscio”. E non vi dico il putiferio che
suscita. C’è appunto la moglie di Quine
(sempre un po’ tristina e fuori luogo). C’è la ragazza Orlando, afflitta da
ritardi psichici e figlia di… Ci sono gli agenti di Scotland Yard. E c’è anche
il fratello di Cormoran (anzi fratellastro; cioè figlio del famoso cantante
pop, ma con altra madre ed altra strada nella vita). Ovviamente Quine è morto,
ed in maniera abbastanza trucida. Il libro, una volta svelati alcuni misteri,
comunque corre velocemente (si fa per dire) verso il suo ragionevole epilogo,
dove sempre più capiamo che Robin può diventare qualcosa di meglio di una
segretaria. Ovviamente c’è anche della tensione erotica tra Cormoran e Robin
(con una fenomenale battuta, quando questa lo chiama “Fulmine”, in memoria del
detto inglese “Lightnig dosen’t strike twice”, e ricordandoci che, appunto, il
cognome del nostro è Strike) con un finale aperto che ci lascia intravedere
possibili episodi numero 3. Come ricordavo parlando del libro di Corrias, anche
qui si cerca di evidenziare gli aspetti più oscuri del mondo delle lettere. Un
mondo fatto di invidie e ostacoli in cui il desiderio di fama, a volte, supera
quello di esprimersi attraverso la propria arte. La Rowling, quindi, dopo
essersela presa con il mondo della moda nel primo libro, qui appunto passa a
qualcosa a lei più vicino, quello della letteratura, degli scrittori, dei
traduttori, degli agenti. Ma la scrittura non è caustica come vorrebbe, anche
se, fortunatamente, il lato giallo è abbastanza ben salvaguardato. A me viene
da pensare quanto sia stato più dirompente il libro di Doris Lessing “Il diario
di Jane Sommers”, dove l’affermata scrittrice pubblica un libro sotto
pseudonimo, per smascherare le ipocrisie appunto del mondo delle lettere. Ma
tornando alla trama, e al testo, fin dall’inizio gli indizi “polizieschi” sono
numerosi, presentati quasi come insignificanti dettagli: qualsiasi cosa, da una
brutta tosse a un cane malandato sono appunti da prendere mentalmente!
Contribuisce poi a questo, il fatto che nel romanzo di Quine, ogni persona sia
mascherata dietro uno stravagante personaggio, e ogni segreto sia invece
svelato in modo allegorico, e fornisca quindi ulteriori indizi. Tuttavia il
gioco allegorico è troppo pesante da essere sostenuto sino in fondo. E nella
parte finale, tutto si svela, anche se, contravvenendo alle regole auree del
genere, Cormoran è sempre un passo avanti al lettore. E se i personaggi propri
del dramma sono caricati e caricaturali, io mi attengo a quelli fissi, a
Cormoran ed a Robin, che tutto sommato mi piacciono e che spero di incontrare
ancora nel futuro. Insomma, un libro da ombrellone, ma non proprio da buttare
via.
Chiudiamo queste note al termine di una
giornata segnata, anche per noi romani, da scosse di terremoto come non si
sentivano da anni. La casa tremò come ricordo tremò nel lontano terremoto
irpino (anche se era un’altra casa). Spero che tutti (ed in primis i miei amici
umbri) stiano bene, come indicano i messaggi ricevuti.
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