domenica 2 ottobre 2016

Super-romanzi - 02 ottobre 2016

E già! Nel senso che abbiamo una quaterna di libri tutti ad alto (mio) gradimento. Non capita spesso e non capitava da tempo. Un Premio Pulitzer che non conoscevo e che ci porta in una saga corale del mondo ispano-americano. Un libro che non dimostra i suoi 60 anni. Uno scrittore che non sempre mi piace, ma che qui mi ha avvinto. In mezzo, uno svizzero, letto nella sua stesura originale, che segnalo anche perché in uscita ho letto sta per prendere posto sugli scaffali delle librerie una specie di “sequel” dei personaggi di questo strano meta romanzo sulla scrittura e sulle sue difficoltà. Delle letture veramente interessanti.
Junot Diaz “La breve favolosa vita di Oscar Wao” Mondadori euro 10
[A: 01/08/2014– I: 18/02/2016 – T: 23/02/2016] - &&&&
[tit. or.: The Brief Wonderous Life of Oscar Wao; ling. or.: inglese; pagine: 292; anno 2007]
In genere, e sono d’accordo con l’opinione segnalati da critici più agguerriti di me, i premi letterari non mi convincono, la loro assegnazione non sempre corrisponde ad una reale bontà del libro, quanto, il più delle volte, a criteri politico-letterari per bilanciare il generale andamento del mercato. Dicevo in genere, perché, per la mia personale esperienza, il Premio Pulitzer per la Narrativa esula da questa omogeneizzazione. Ho letto, fino ad ora, altri quattro libri premiati negli ultimi quindici anni (e certo i nomi sono di garanzia Chabon, Eugenides, McCarthy, Egan) e come potete vedere dalle trame, tutti con discreto gradimento. Come altri, questo, l’avevo segnalato da una recensione di Annarita Briganti dal numero 3 di Satisfiction. Non nascondo che questo è anche un libro complesso, che, narrando la storia dei componenti della famiglia Cabral, ed in particolare di Oscar, si allarga ad abbracciare altri temi cari all’autore: i ruoli maschili e femminili nelle tradizioni domenicane, l’America come terra promessa (e quasi mai mantenuta), la storia della Repubblica Domenicana (terra natia dei personaggi e dello stesso autore). Il tutto con gli occhi da narratore onnisciente impersonato da Yunior de las Casas, un personaggio presente spesso nella narrativa di Diaz, che ne rappresenta l’alter-ego necessario alla narrazione. Diaz è infatti domenicano, è immigrato in America, ha studiato, scritto, e raggiunto un discreto successo con questo libro, così come potrebbe aver fatto Junior. Ma non è di Junior che vogliamo parlare, ma della famiglia Cabral, a partire dal capostipite Abelard, a sua figlia Hypatia Belicia, ed ai suoi due nipoti, Lola e Oscar. La loro storia è legata a filo doppio con la storia della Repubblica Domenicana, a partire dagli anni ’40, che videro l’ascesa sociale del medico Abelard, e la sua rovina per non aver voluto cedere l’onore della figlia al dittatore che spadroneggiò nell’isola dal 1930 al 1961, l’infame Rafael Leónidas Trujillo Molina. Diaz è pieno di citazioni delle infamità trujillesche, che noi forse da qui poco conosciamo, ma che risuonano come campanelli nelle turpi vicende dittatoriali (uccisioni in patria e all’estero degli oppositori, come il giornalista Galindez e le sorelle Mirabal, incarcerazioni senza motivo, torture, fino a tutti i passatempi sessuali possibili, che i domenicani sono noti per il loro sangue caliente). Una volta fatto fuori Abelard, rimane in vita solo la piccola Belicia, prorompente bellezza che la nonna Inca voleva far studiare per far tornare la famiglia ai fasti paterni. Ma Belicia è focosa, matura presto (con dei seni da ottava misura), e si dedica al passatempo preferito degli isolani: il sesso. Ovvio che, dopo varie vicende, tutte sfortunate, ne abbia una ancora più sfortunata, con un personaggio soprannominato “il Gangster” (nome omen), che, purtroppo, ha sposato una figlia del dittatore. Motivo per cui, quando Belicia si fa troppo avanti, verrà ridotta in fin di vita. Riuscirà a salvarsi solo per le preghiere della nonna, e fuggendo negli Stati Uniti. Dove, da altri amori poco felici, nasceranno Lola ed Oscar. Lola sembra l’unico personaggio positivo, anche se passa tutti i peggiori periodi delle adolescenti, con ribellioni, fughe ed altro. Avrà anche una storia d’amore tormentata con Yunior, anch’essa destinata ad una fine ingloriosa (che Yunior non sa tener fuori il suo “ropio” da qualsiasi persona di sesso femminile giri intorno a lui, ed immagino che ne sappiate il significato). Ma la storia ha sempre per protagonista trasversale Oscar. Un dominicano nerd, grasso ed emarginato, che trova la sua ragion d’essere nei fumetti e nella fantascienza (e tutto il libro è anche pervaso di citazioni che ho gustato con diletto infantile, aiutato da un corposo ed insostituibile glossario finale). Soprannominato Wao per storpiare in modo onomatopeico il grande Wilde (di cui riprende il peso ma non le abitudini). Oscar, schizzato dalle donne dietro cui sbava, si rinchiude nella scrittura per cullare i suoi sogni di redimere il mondo e salvare la fanciulla dei suoi sogni. Avrà anche lui la sua storia d’amore triste e sfortunata. Tutto quindi finirà male, come dalle premesse del titolo. E come dalla pervasione dello spirito dominicano, dove tutto andrà male per delle maledizioni ancestrali, che Diaz battezza “fukù”, e solo alla fine ho capito essere un argot locale per il meglio noto “fuck you”. La bellezza del grande affresco social-personale, è la capacità di Diaz di dar voce a voci diverse nel corso della narrazione. Piccoli incisi con altri punti di vista. Note e disgressioni. Una scrittura complessa e accattivante per la descrizione di un mondo, e di un modo di vivere che tiene legato alla pagina.
“Hypatia … avrebbe sviluppato un tipico malessere … un inestinguibile desiderio di altrove.” (73)
Patrick Dennis “Zia Mame” Adelphi euro 12
[A: 01/08/2014– I: 23/02/2016 – T: 27/02/2016] - &&&&
[tit. or.: Auntie Mame: An Irriverent Escapade; ling. or.: inglese; pagine: 380; anno 1955]
Ne avevo sentito parlare, e non mi ero mai deciso ad affrontarlo. Spinte eterogenee mi ci hanno finalmente portato, e, come al solito, devo dire che dovrei più spesso cedere a questi impulsi. Non è un libro bellissimo. Si sente il passare degli anni (in fondo, ha quasi la mia età…). Se poi dovessi solo giudicare dal testo, prenderebbe qualcosa in meno. Risale grazie ad un contesto degno, e ad una post-fazione magistralmente condotta sul filo dell’ironia dall’ottimo Matteo Codignola. Scopro quindi che Dennis in realtà si chiama Edward Everett Tanner III, che è un toro (18 maggio), che il padre lo chiamava Patrick in omaggio al pugile Pat Sweeney, che ha scritto 16 romanzi, di cui 4 con il diverso pseudonimo di Virginia Rowans, che si sposa nel 1948 (a 27 anni), ha due figli, poi verso la seconda metà degli anni Cinquanta, scopre che è più attratto dagli uomini, va a vivere in Messico con un suo preteso amante, che in Messico viene derubato di tutti i suoi averi, che torna in America dove spende gli ultimi anni della sua vita usando il suo nome reale, e facendo il maggiordomo per Ray Kroc, l’allora capo indiscusso e amministratore delegato della McDonald’s, che muore a 55 nel 1976 di cancro alla prostata. Benché il grande successo dei Cinquanta, e benché il suo personaggio – icona di zia Mame sia portato sulle scene teatrali (ed in modo magistrale) da Rosalind Russell, libro (e commedia e film) caddero nel dimenticatoio, per essere ripresi solo negli ultimi anni, grazie agli sforzi del figlio di Patrick in patria e di Adelphi da noi in Italia. Da questo mini excursus si capisce appunto il contesto frizzante da cui sorge il testo, inizialmente non molto ben visto neanche dall’editoria americana. Erano una decina di racconti legati insieme dalla figura di zia Mame, ricalcata sulla figura reale della zia di Edward, Marion Tanner. Fu solo un non meglio noto curatore editoriale della casa Vanguard ad avere la brillante idea, che ha portato prima alla pubblicazione, poi al successo inaspettato (per due anni nella classifica dei best-seller del New York Times): legare i vari racconti da una specie di filo rosso legato ad oscure pagine pubblicate da “Selezione del Reader's Digest” relative ad una improbabile signorina del New England. Questa finzione permette al nostro Patrick di scatenarsi nel racconto di una sua finta autobiografia, punteggiata dalla vita e dalle opere della mirabolante zia Mame Dennis. Racconto che inizia nel 1928, con Patrick decenne e con il padre che inopinatamente muore, lasciandolo ricco ereditiere (quando maggiorenne) ed affidato alle cure dell’unica parente vivente, appunto la zia Mame. Fin dalle prime battute si instaura il plot generale del racconto: zia Mame è rutilante, si impegna in attività senza capo né coda e Patrick tenta di mitigarne la “dolce pazzia”. Ovvio che per rendere il tutto appetibile per quasi quattrocento pagine, poi, ogni tanto la trama si inverte, ed è zia Mame che “salva” l’incauto nipote. Vediamo Mame affascinata dalle teorie didattiche d’avanguardia, coinvolgendo Patrick in una scuola sperimentale. Di certo dal respiro corto, tanto che Patrick sarà preso costretto alle più classiche scuole scelte dal suo tristo tutore (che ha l’unico pregio di salvare i beni del giovane dalla catastrofe del ’29). Il ’29 invece vede intaccare ben presto gli averi della zia, che seguiamo agli inizi degli anni Trenta doversi dedicare a qualche mestiere. Da antologia il suo apprendistato da Macy’s, dove non riesce a vendere nulla non sapendo usare le casse. Fortuna vuole che lì in contri Franck, un gentiluomo del Sud, che, affascinato dalle sue grazie, provvede a sposarla ed a sistemarla economicamente. Per poi coinvolgere, zia e nipote, in una discesa nelle sue terre del profondo Sud, dove zia Mame si destreggia in una mitica caccia alla volpe. Passati i guai, Franck gentilmente muore lasciandola di nuovo possidente. Consigliata dai suoi amici fuori di testa, decide di scrivere la storia della sua vita, riuscendo in un nuovo disastroso flop, dove Patrick la salva da un irlandese che mira ai suoi soldi, e che riesce solo a mettere in cinta la sua segretaria. Zia Mame, allora, diventa l’angelo delle sventure di Patrick, salvandolo da una cameriera esilarante nel suo inglese sconnesso, poi dalle mire di una razzista signorina che mira anche lei solo al patrimonio. Ci sarà la guerra a far da cesura ai racconti, e Patrick (come l’autore) ne passa quasi indenne, tornando a casa leggermente ferito, e dovendo aiutare la zia in una bislacca opera filantropica. Ma ormai anche il nipote è cresciuto, e la zia pensa suo dovere trovare una moglie al trentenne nipote. Ultima avventura, che per fortuna porta Patrick a conoscere una simpatica ragazza che finalmente sposerà. Chiusura alcuni anni dopo, dove la zia, visto che non ha più il potere su Patrick, affascina ed ammali Mick il giovane nipote di sette anni. Ecco appunto che ogni storia nasce con un punto affascinante e mirabolante, si svolge andando verso catastrofi annunciate, e salvate per miracolo all’ultimo istante. Schema leggermente ripetitivo, che rende prevedibile l’andamento. Fortuna vuole che la verve innata di zia Mame, ben descritta dall’agile penna del nostro, renda comicamente appetibili le più matte (dis)avventure. Incongruamente, poi, zia Mame diventa nei pochi anni di auge della metà degli anni Cinquanta, anche una icona dei gay americani. Alla fine, tuttavia, un libro che mette allegria, anche se risente, in modo assai pesante, i suoi sessanta anni.
Joël Dicker « La vérité sur l’affaire Harry Quebert » De Fallois euro 9,20
[A: 17/04/2014– I: 05/03/2016 – T: 13/03/2016] - &&&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: francese; pagine: 858; anno 2012]
Formidabile. Un libro veramente formidabile ed inclassificabile. Cioè ha una struttura da giallo con morti, assassini e misteri da scoprire. Ma è anche di più. Un libro sull’amore, sull’amicizia e soprattutto sul mestiere di scrittore. Comincio intanto però dall’autore, svizzero francofono ginevrino, che stava per essere lanciato da quello scopritore di talenti che fu Vladimir Dimitrijević (di cui ho tramato l’interessante “La vita è un pallone rotondo”), lancio stroncato dalla tragica morte di quest’ultimo. Rimane però nel mirino delle edizioni “L’age de l’homme”, e con loro pubblica i suoi due primi romanzi. Ne avevo sentito parlare da Feltrinelli, ed in occasione del bel viaggio francese di due anni fa (circa) l’ho trovato in economica da FNAC a Parigi, e subito preso. Non letto, che aspettavo di avere tempo e spazio da dedicare ad un libro certo di non poche pagine. Anche perché non è un libro da viaggio, ma solo un libro letto in originale (e sicuramente con un andamento interessante di musicalità fonetica). Come i pochi autori svizzeri a me noti, Dicker è poi scarsamente incasellabile in uno scomparto solo. Certo non raggiunge (scusate il paragone) l’alta drammaturgia di Dürrenmatt (svizzero-tedesco) e tiene sicuramente qualche giro di vantaggio in una corsa con Fazioli (svizzero-italiano). Ma se volete un panorama multilingue del paesaggio svizzero leggeteli tutti e tre. Tornando a noi, la storia linearmente si svolge intorno al seguente nodo: un giovane scrittore trentaquatrenne, Harry, non riesce a scrivere, si trasferisce ad Aurora (immaginaria cittadina del New Hampshire), dove si innamora, ricambiato, della quindicenne Kellergan. I due vivono un’estate amorosa, programmano di fuggire insieme, ma la giovane sparisce. Harry diventa scrittore, poi professore di lettere, ha per allievo il promettente Marcus. Poi, trentatré anni dopo si scopre il corpo della giovane nel giardino di Harry, che viene accusato dell’omicidio di lei e della signora Dora che aveva denunciato il fatto all’epoca. Marcus allora si arma della pazienza e dei metodi dello scrittore (che Harry per anni gli ha insegnato), non riuscendo neanche lui, trentenne, a scrivere il secondo romanzo, dopo il primo folgorante successo. Sarà Marcus che scavando nella vita di Harry e di Aurora troverà il modo di tornare a scrivere “Il caso H.Q.”, di avere un enorme successo, di salvare Harry, ma in una serie infinta di sottofinali, trovare ogni volta una verità diversa, una spiegazione diversa e plausibile. Fino alla soluzione finale, per la quale scrive questo libro, che, appunto, si intitola “La verità sul caso H.Q.”. certamente sarete stupiti anche voi come una trama così lineare, apparentemente lineare direi, possa poi svilupparsi per più di 800 pagine. Intanto, come ho detto sopra, questa è la trama “gialla”, mentre molta parte del libro, altrettanto interessante e coinvolgente, verte sull’amicizia tra Harry e Marcus, sulle loro vite in parallelo, sull’amore e sulla sua inspiegabilità, sul mestiere di scrittore, sul mestiere di vivere (come direbbe Pavese), sulle similitudini tra scrittura e sport (che sicuramente avevano colpito Vladimir, se ben ho imparato a conoscerne leggendo), anche se qui si parla di boxe. Tanto per divagare, poi, domandiamoci perché uno scrittore svizzero ambienti una storia nel New Hampshire. Sicuramente colpisce come la scelta della copertina originale, con quel desolato (al solito) dipinto di Hopper. A me hanno colpito anche altre somiglianze: la giovane che sconvolge Aurora si chiama Nola, Harry fa di cognome Quebert. Lui ha venti anni più di lei. Ecco subito un collegamento con Lola e Humbert Humbert (avete certamente notato le assonanze). Ma se poi si segue tutto il complesso della storia, si trovano anche dei grandi spunti che a Dicker saranno venuti dalla lettura de “La macchia umana” di Philip Roth. Sicuramente, come ha scritto altrove e ben dottamente De Cataldo, tutto il libro può (e deve, forse) essere letto tenendo in mente il grande Orson Welles quando, nel film “F come falso” citando Picasso afferma “l’arte è una menzogna che ci fa capire la verità”. Ma chi sono i personaggi di questo grande romanzo, oltre a Marcus Goldman, narratore e alter-ego di Dicker? Vediamone i principali, allora. Harry Quebert è lo scrittore che pubblica “Le Origini del male”, libro che narra di un amore impossibile, che avrà successo strepitoso collocandolo nel Pantheon americano, e consentendogli, anche, una carriera accademica, durante la quale scoprirà il talento di Marcus, lo spronerà a scrivere divenendo, per il giovane, il suo migliore amico (nonostante i quaranta anni di differenza). Harry comunque vive isolato nel New Hampshire, aspettando il ritorno di Nola. La giovane nell’esuberanza dei suoi quindici anni, si innamora perdutamente di Harry, e farà di tutto per convincerlo a scrivere, per aiutarlo a scrivere quando è in difficoltà, impostando tutto verso una loro fuga d’amore, che non avverrà per la sua scomparsa. Ma è anche problematica, sembra quasi schizzata quando fugge da casa con evidenti ematomi. E poiché Harry in realtà è povero, e non ha i soldi per pagare tutto quello che si concede ad Aurora, ecco che Nola si “vende” a Stern un miliardario proprietario della casa di Harry, che per concederle l’affitto, la costringe a posare nuda per il suo tuttofare Caleb. Questi era un promettente pittore, sfigurato nel corpo e nell’anima da una banda di adolescenti, con dentro ancora elementi poetici che riversa su Nola, sul bel quadro che le fa, e su altri elementi che non vi svelo. Caleb ha anche difficoltà espressive, per cui nessun riesce a capire bene cosa dica e cosa voglia. Tanto da impaurire Jenny Davis, la figlia della proprietaria della locale caffetteria, dove tutti, anche Harry, vanno. E dove lavora anche Nola, il sabato. Jenny che si innamora di Harry, senza capire mai che lui non se la fila di pezza. Jenny che invece è l’amore dell’agente Travis, timido a tal punto che non riesce mai a dichiararsi. Ma che prende di mira Caleb quando questi sembra importunare Jenny. Sarà Travis il primo ad accorrere alla chiamata di Dora che vede una ragazza correre nel bosco inseguita da un uomo. Insieme al suo capo Pratt, cui la madre di Jenny aveva svelato i suoi sospetti sulla possibile relazione incresciosa tra Harry e Nola, ma che Nola aveva trovato un modo per neutralizzare. Non vi narro tutte le persone che moriranno nel corso del romanzo (credo quattro alla fine), per lasciarvi gustare il progressivo cambiamento di scena, menzogna dopo menzogna, fino ad arrivare al non certo dolce finale. Nessun lieto fine, Dicker, anche se Marcus riesce a riprendere la scrittura, rivelandosi, come Harry aveva predetto, un ottimo scrittore, quello che con il primo capitolo mette KO il lettore, al pari di un incontro di boxe. Pur essendo ponderoso, dalla metà in poi non sono quasi riuscito a staccarmene, per i continui rivolgimenti, per l’amore che cominciavo a riversare verso tutti i personaggi. Per la voglia, infine, di capire che cosa fa di un dattilografo di parole un “vero” scrittore. Confesso che un paio di passaggi, sui 2/3 del libro mi hanno lasciato perplesso. Ma li ho digeriti nel grande calderone del romanzo, usando il termine in senso di contenitore gigante e non nel suo senso spregiativo. Ora ho bisogno di qualcosa di più leggero per distendermi. Ultima nota: avevo collocato il libro nello scaffale dei gialli. Adesso l’ho spostato in quello dei romanzi.
“Je ne sais pas si ce sont les écrivains qui sont seuls ou si c’est la solitude qui pousse à écrire…” [Non so se sono gli scrittori ad esser solitari o è la solitudine che spinge a scrivere…] (179)
« Marcus … écrivez parce que c’est le seul moyen pour … faire de cette minuscule chose insignifiante qu’on appelle vie une expérience valable et gratifiante. » [Scrivi Marcus … perché è il solo modo … per fare di questa minuscola cosa insignificante che chiamiamo vita un’esperienza valida e gratificante.] (351)
John Irving “Hotel New Hampshire” Bompiani euro 10
[A: 05/08/2014 – I: 05/02/2016 – T: 22/03/2016] - &&&&  
[tit. or.: The Hotel New Hampshire; ling. or.: inglese; pagine: 447; anno 1993]
Secondo le dottoresse dei libri, questo romanzo potrebbe aiutare ad avvicinare il vostro partner (femmina) alla lettura. Ora, fatto salvo che è un buon libro, pieno di invenzioni, lo ritengo tuttavia un libro difficile, per entrare a pieno nello spirito di una lettrice neofita. Irving è sempre stato, nelle prove che ho letto (e soprattutto ne “Il mondo secondo Garp”), uno scrittore pieno di immagini, ma di immagini non sempre facilmente decifrabili. In Garp, ricordo le parossistiche scene proto-femministe, la sessualità come lussuria, la morte del secondo figlio di Garp. Ma qui parliamo dell’Hotel e non di Garp, un libro scritto tre anni dopo il precedente. Anche qui, forse in maniera più palese, c’è il percorso di crescita. Nella fattispecie la crescita, corale e personale, della famiglia Berry, dall’incontro tra Win e la futura moglie, sino ai quarant’anni dei figli maggiori. Cioè dal ’39 al ’80, circa (così come Garp si estendeva dal ’42 al ’75). L’impronta a tutta la famiglia viene data dal padre, Win, un estremo sognatore, che si butta a capofitto nelle imprese più folli e disperate, uscendone spesso malconcio, ma sempre pronto a ripartire. Per pagarsi l’Università si mette a fare il cameriere in un albergo a Dairy nel New Hampshire, dove incontra la futura moglie, anche lei lavorante nell’albergo e Freud, un saltimbanco austriaco che gira l’America con un sidecar ed un’orsa. Decide allora di comprare l’orsa, di sposare la donna, e di iniziare a girare anche lui l’America per fare soldi. Non ne farà molti, ma ogni volta che torna a casa mette incinta la moglie, che partorisce in tre anni Frank, Franny e John (lo scrittore che narra la storia). A questo punto, approfittando della vendita di una ex-scuola femminile, decide di indebitarsi, la compra e la trasforma in albergo, l’hotel New Hampshire. Mentre fervono i preparativi per l’albergo, muore l’orsa, sostituita dal cane Sorrow. Poi a distanza di qualche anno nascono due nuovi figli: Lilly, che sarà affetta da nanismo, ed Egg, mago dei travestimenti ed un po’ duro d’orecchio. L’adolescenza dei tre fratelli Berry prosegue tra alterne vicende: Frank si scopre omosessuale, e ne vivrà coscientemente la strada, anche se non sempre felicemente, Franny è la più matura di tutti, ed anche la più avvenente, John, per distogliersi dal suo morboso amore verso Franny si dedicherà con successo al sollevamento pesi. La prima svolta avviene verso la metà degli anni ’50, quando il capitano della squadra di football e due suoi amici violentano Franny, che impiegherà molti anni a riprendersi (quello della violenza sulle donne è un altro dei temi cardine di Irving). Muore Sorrow di vecchiaia, e Frank, per consolare la sorella, lo impaglia. Ma lo nasconde nell’armadio del nonno, che, aprendolo inavvertitamente, e vedendo il cane che suppone morto, viene preso da un infarto e muore lui stesso. Pochi anni dopo, Win riceve una lettera da Freud, tornato a Vienna, che lo invita nella sua città per mettere in piedi un altro albergo. Ovviamente il sognatore non si tira indietro, vende tutto e tutti, e comincia la nuova avventura. Come spesso nei libri di Irving, qui il destino ci mette una zampa: Win ed i quattro fratelli maggiori partono ed arrivano a Vienna, la Mamma ed Egg partono che un secondo aereo che si inabissa nell’Oceano. Questo è appunto un altro tema forte dello scrittore: la perdita, la sua elaborazione e la successiva ricostruzione. Il periodo viennese viene vissuto dalla famiglia Berry come altro momento di crescita, anche se inserito in un contesto demenziale. L’albergo ospita al secondo piano quattro simpatiche prostitute ed all’ultimo un gruppo di fatiscenti “radicali”, che oggi chiameremo terroristi e che impiegheranno i sette anni viennesi dei Berry per costruire una bomba ed effettuare un attentato all’Opera di Vienna. In questi anni austriaci, si radicalizzano i sentimenti dei nostri: l’omosessualità discreta di Frank, la difficoltà di tornare alla normalità di Franny (che troverà solo tra le braccia dell’accogliente Suzie, che si aggira per l’albergo vestita da … orso), le impossibilità sessuali di John, che, seppur aveva passato la soglia della verginità in America, non riesce a darne sfogo, continuando ad essere ossessionato dalla sorella, la crescita (morale non fisica) di Lilly, che, elaborando i suoi lutti, scrive un libro, che nel futuro, campione di incassi e trasformato anche in film (come succede a tutti i migliori romanzi di Irving) darà la tranquillità economica alla famiglia. Dopo i sette anni di crescita, tra alti e bassi, i radicali costringono i Berry ad una scelta. Diventeranno eroi salvando l’Opera, ma Freud morirà nello scoppio e Win diverrà cieco. Però avranno i soldi per tornare in America dove si operano le ultime vicissitudini dei nostri paladini. Lilly, pur cercando di scrivere, non riesce a crescere, e si butta dalla finestra dell’albergo. Prima però i fratelli Berry riescono a vendicarsi dello stupratore di Franny, e la stessa decide di salvare sé stessa ed il fratello attraverso una cura di sesso che dura un tempo lunghissimo, lasciandoli ad un futuro che finalmente libera entrambi dalla perversa attrazione. Il mesto, ma tutto sommato allegro, finale, vede i Berry comperare un nuovo albergo, anche se faranno solo finta, tanto Win è cieco. Ma se lo possono permettere con i soldi di Lilly. Suzie trasferitasi in America anche lei si dichiara ed è accettata da John, che vivrà con lei il resto della sua vita. Franny sposa un ex-atleta di colore di cui era da sempre innamorata (dai tempi del liceo direi). E via narrando. Ci vorrebbero altrettante pagine per narrare tutti i risvolti immaginati da Irving per la trama, i trabocchetti, i rimandi, i giochi di parole. Ed altrettanto ci sarebbe da dire sui temi quasi autobiografici del testo: John diventa un campione di sollevamento pesi e Irving (anche lui John) era una campione di lotta libera all’Università; sia Irving che i Berry (ma anche i Garp) per un certo periodo della loro vita si trasferiscono a Vienna. Ma tutte queste ed altre astuzie letterarie e di storie le lascio a voi amati lettori, perché, nonostante appunto l’intricata gestione delle storie, è un bel libro da scorrere, anche lentamente se vogliamo. Io vi riporto solo un piccolo brano che John dedica al fratello quando questi compie quaranta anni. Una poesia del poeta americano Donald Justice, a me poco noto, ma mi si dice autore di belle righe da meditare. Come queste: Men at forty / Learn to close softly / The doors to rooms they will not be / Coming back to.  [Gli uomini a quarant’anni / imparano a chiudere piano / le porte di stanze nelle quali / non torneranno più]. Credo che al fine non sia il migliore tra i libri di Irving (che tutti indicano in “Le regole della Casa del Sidro”, che non ho letto), ma un libro che va in ogni caso letto, e ben ponderato.
“Leggere ad alta voce per qualcuno è uno dei piaceri di questo mondo.” (415)
È domenica, è la prima trama del mese, ecco le letture di luglio. Che sono poche data la parentesi dei Parchi americani. Che non si discostano molto da una onesta media, a parte l’interessante e da meditare libro di Savater,

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Richard Castle
Heat Wave
Repubblica Noir
7,90
2
2
Rosa Mogliasso
L’amore si nutre d’amore
TEA
9
2
3
Rosa Mogliasso
La felicità è un muscolo involontario
TEA
9
3
4
Danila Comastri Montanari
Ars Moriendi
Mondadori
9,90
3
5
Fernando Savater
Etica per un figlio
Laterza
8
4

Eccoci ancora qui, in questo ottobre che già si preannunciava complicato di impegni e di attività (fortunatamente italiche, che questo mese i viaggi riposeranno). E che si va a poco a poco complicando più del complicato. Ma noi sapremo tenere a bada le procellose spinte, e continueremo diritti per le nostre vie.

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