No, nessun saggio contro l’uscita
della Gran Bretagna dall’Europa, ma quattro bei libri, anche se uno poco al di
sotto della soglia (d’altra parte, racconti…). Ma, appunto, niente inglesi,
bensì gallesi (quelli da 2 e ½), scozzesi che tornano finalmente a buoni
livelli, e, visto che si parla di isole, un ottimo sardo. Per completare il
quadro, un inno ai futuri lavori degli inglesi, appunto, sperando continuino a
fare … buchi nella sabbia.
Marcello Fois “Memoria del vuoto” Einaudi euro 12 (in realtà, scontato
a 9,60 euro)
[A: 01/11/2015 – I: 24/11/2016 – T: 26/11/2016] – &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 212;
anno 2006]
Per
me è sempre un piacere leggere di Marcello Fois, per tornare ad una Sardegna
che mi piace anche se a volte non capisco. Come non capisco alcune di queste
pagine dedicate alla ricostruzione romanzata di una vicenda reale. Perché sono
scritte in sardo stretto, che non si capisce proprio, non come il siciliano
inventato di Camilleri, che bene o male si riesce ad intuire. Fois riesce
sempre a fare cose egregie, come quando scriveva di quella Sardegna interna,
quella senza (o lontana dal) mare. Qui sviluppa un’interessante prova
narrativa, dove unisce una storia vera, quella di Samuele la tigre
dell’Ogliastra, con una serie di finzioni che tuttavia riescono a raccordare
gli elementi del vero in una storia che, se non è vera, è verosimile. E di
sicuro molto vicina a mille e mille altre che hanno solcato l’isola
impenetrabile ed i suoi altrettanto impenetrabili abitanti. Ben fatta, questa
operazione, tanto da meritare nel 2007 il premio Grinzane, prima che il premio
stesso si sputtanasse e fosse cancellato con ignominia dal panorama letterario,
per colpa di quel suo inqualificabile direttore. Ma torniamo alla storia, o
meglio alla sua verosimile finzione. Dove seguiamo tutta la parabola della vita
di Samuele Stocchino, dal giorno di San Sebastiano dei suoi sette anni, cioè il
20 gennaio 1902, in poi. Lì che comincia la vicenda, anche se per la madre
Antioca era nata fin dalla nascita di Samuele, come se la madre sapesse che
questo figlio tanto dolore avrebbe portato. Lì, intanto, a San Sebastiano,
Samuele e suo padre Felice tornano dal battesimo di un compare, e vengono mal
trattati dal bovaro Boi che rifiuta loro l’acqua del ristoro. Da questo rifiuto
nasce una contrapposizione frontale fra gli Stocchino ed il fronte dei
“potenti”: i Boi, i Manai, i Bardi. Mentre Samuele fa (cerca di fare) il suo
percorso di vita (qualche anno elementare, tanto per saper leggere e scrivere,
partenza con menzogna per la campagna di Libia del 1911, quasi morte e congedo,
arruolamento per la Grande Guerra, quasi morte sul Piave, eroismi vari e
ritorno con medaglia), si consuma anche il percorso parallelo dei potenti. Bardi
che vorrebbe far sposare il figlio scapestrato con la bella Mariangela. Ma lei
si è internamente promessa a Samuele, da quando lo vide a sei anni perdersi
nella foresta, e ritrovato grazie alla sua, di Mariangela, improvvisa
apparizione. Manai che prende Samuele come stalliere, ma quando questi, per
scherzo, fa mangiare al cavallo le patate del campo di Manai, questi se la lega
al dito, giurando vendetta. Così, quando Samuele parte per il Fronte, i
“potenti” cominciano a tessere la vendetta: prima costringono il fratello
Gonario a vendere le poche pecore di proprietà per far fronte ad un contratto
firmato senza averlo capito. Poi fanno licenziare il padre Felice, con la scusa
dell’anzianità che lo porta a non essere più tanto abile con le mani per la
raccolta delle olive. Antioca la madre non sa come fare fronte ai bisogni familiari,
pur mandando Genesia, l’unica figlia, a servizio. Al ritorno, decorato dalla
guerra, Samuele trova la sola Mariangela a volergli ancora e per sempre bene.
Intanto è morto Felice il padre. Poi Gonario, vestito con la divisa di Samuele,
viene colpito da una pallottola vagante (sicuramente destinata al fratello). Il
20 gennaio 1920, 18 anni dopo l’affronto che diede inizio alla mala vicenda,
Samuele si vendica della famiglia Boi, sterminandola. Poi della famiglia Bardi,
uccidendo la figlia minore. Manai sembra proporre un accordo di pace, ma è una
trappola, cui la tigre non cade, uccidendo anche Luigi Manai. Ormai braccato e
solitario, si riunisce solo saltuariamente alla sua Mariangela trovando insieme
riparo in una grotta. Poi, malattie e stenti, portano via anche Mariangela, e
Samuele, solo e sempre più triste (e come direbbe Osvaldo Soriano, “final”), si
ammala anche lui. Nel frattempo, il fascismo sale al potere nel continente, ed
i Manai e i Bardi hanno buon gioco ad allearsi con i vari prefetti. Ma sarà
solo il commissario speciale Saverio Potito, che conobbe Samuele in Libia, a
riuscire ad aver ragione della tigre dell’Ogliastra. Ovvio, solo perché Samuele
decide di cedere alla polmonite. Svolta come un canto di paese, con cori e
contraddanze, Fois ci snocciola tutto il percorso di un povero Cristo, che
niente voleva di più al mondo che vivere in pace, magari amando e sposando la
sua bella. Ma gli altri, quelli ricchi, quelli del potere, non possono
permettere che un Cristo qualunque non sottostia ai loro interessi. Nasce così
questo girotondo perverso, che porta tutti verso la morte. Detto ancora una
volta la bellezza della scrittura, la difficoltà della lingua, la non sempre
felice riuscita dei tempi narrativi, che a volte corrono troppo, a volte troppo
rallentano, non posso che dare una sufficienza grossa e piena ad un libro che
mi fa pensare ai miei amici di Sardegna, ai Dafni e Francesca, ad Augusta, alla
Cossu. Finisco solo con un pensiero che ad un certo punto mi ha trafitto
l’animo, quando Samuele vede per la prima volta realmente Mariangela, e dove
Fois fa un balzo riportandomi alla mente Giacobbe e Rachele, il loro amore a
prima vista, e tutta la loro storia che qualcuno definì di impossibile
realizzazione, ma che fu solo compiuta con lentezza. E con infinto amore.
“Dentro di lui si era palesata una certezza
assoluta: … quella donna l’aveva scelto … non c’era niente che potesse fare per
costringerla a cambiare idea.” (87)
“La morte non è un fatto grave, ma una
certezza.” (107)
Marco Malvaldi “Buchi nella sabbia” Sellerio euro 14 (in realtà,
scontato a 11,90 euro)
[A: 21/11/2015 – I: 05/12/2016 – T: 06/12/2016] - &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 243;
anno 2015]
Più
che letto, direi alquanto divorato, anche per la facile scrittura del simpatico
toscano. Che qui si cimenta in un nuovo romanzo senza i “vecchietti del
BarLume” e che questa volta si barcamena leggermente meglio di quando abbandona
la pineta del litorale toscano. Certo, siamo sempre lì intorno, che l’azione,
se così si può dire, si svolge a Pisa, con una puntata, che non guasta, a San
Rossore. Devo dire che, prima di entrare nel merito, anche se non fosse uno
scritto di Malvaldi, autore che a me risulta gradevole in lettura, avrei comunque
comperato un libro che parla di Ernesto Ragazzoni. Per almeno due specifici
motivi, legati alla ballata sua più famosa, e che riporto in fondo. Quando ero
sui tredici anni, tra i dischi paterni, c’era (come allora si usava) un 45 giri
di letture poetiche del grande Vittorio Gassman. Tra le tante (tra cui un
intenso “Lamento per la morte di Ignazio” di Garcia Lorca) c’era questa
strampalata ballata sul far buchi nella sabbia (attività emerita del
perditempo). Poi, poco prima del mio cinquantenario, nel saggio finale del
corso di auto-aiuto, il grande Fabrizio, come punto finale del corso, venne
recitando proprio questa poesia. Geniale (io per parte mia, recitai “Sally” di
Vasco Rossi). Inoltre, ed a parte tutto, proprio Ragazzoni è un personaggio
eponimo del mio panorama ideale, con tutti i suoi limiti e le sue uscite “fuori
dall’usuale”. Inciso: accomunato come esempio opposto ma sempre nel mio
pantheon a Sergio Corazzini (di cui parlerò altrove). Poeta, scrittore, ma
soprattutto giornalista, e, fondamentalmente, anarchico ed etilista. Tanto
dedito al bere, che morirà a soli 50 anni di cirrosi epatica. Tanto
anarchicamente giornalista, che dopo essere cacciato per l’estremismo dei suoi
scritti da vari giornali, solo l’intelligenza di Antonio Frassati, direttore de
“La Stampa” lo tenne tra i suoi, spedendolo poi coscientemente fuori d’Italia,
come corrispondente a Parigi. Tanto ludicamente poeta, che oltre alla ballata
di cui si tratta, fece una traduzione stupenda della satira del giovane Werther
di Goethe scritta da William Makepeace Thackeray. Speravo quindi che fosse un
libro sul mio “eroe”. Invece è qualcosa d’altro, anche se Ragazzoni c’è e ne
costituisce l’ossatura. La trama infatti si imbastisce su di una
rappresentazione operistica, e non banale. La famosa “Tosca” di Giacomo
Puccini. Inserita poi in un contesto pucciniano, come sa chi ha passato giorni
a Torre del Lago. Odi, passioni ed anarchie. Quelle dei marmisti di Carrara,
anche amici dell’ambito pucciniani. Opera che si vuole rappresentare nel bel
teatro di Pisa, all’epoca Regio Teatro Nuovo ed ora Teatro Verdi, con uno dei
palcoscenici più grandi d’Italia, per rendere omaggio alla visita del Re da
poco più di un anno insediatosi. Quel Vittorio Emanuele III salito al regno
dopo l’assassinio del padre Umberto I per mano dell’anarchico Bresci. Ma
torniamo alla Tosca, che appunto si vuole rappresentare a Pisa, il 1 giugno
1901, cioè appena dieci giorni dopo la strana morte in carcere di Bresci. Qui
Malvaldi fa una bella opera corale, mettendo in piedi i carabinieri, il tenente
Pellerey ed il capitano Dalmasso, i cantanti, il tenore Ruggero Balestrieri,
bravo ed anarchico, il soprano Giustina Tedesco, l’impresario Cantalamessa, il
maestro d’armi, i marmisti di Carrara, il menagramo ex-basso Teseo Parenti. Con
Ragazzoni che si aggira fra tutti. Il nodo è che durante la rappresentazione,
Ruggero, che fa Cavaradossi, viene fucilato come voleva la finzione scenica, ma
con pallottole vere ed ucciso realmente. Da qui una ridda di ipotesi e di
pagine leggere, ma anche piene di riferimenti storici e operistici. Le
propensioni politiche di Puccini, la storia del menagramo Parenti, le
intemperie di Ruggero (da vivo), i tentativi di fare sceneggiate anarchiche
durante l’opera, i due carabinieri ora furbi ora stolti, con gustose scelte di tempo
(si sa che l’effetto comico è sempre una questione di tempo, del movimento,
della battuta, vero Rosa?). Non entro nel merito dello sviluppo della storia,
che troppo ironica è nel suo sviluppo da essere difficilmente trasportabile. Vi
svelo solo che i misteri saranno risolti, avendo anche il modo, il nostro
Ragazzoni, di declamare la sua ballata. Purtroppo riportata con due “errori”:
la sostituzione del termine questurini con carabinieri, e l’inversione delle
parole “intorno sussurrarmi”. Errori che fanno saltare le rime, cosa che
avrebbe fatto inorridire Ragazzoni. A proposito di errori, ho anche avuto poco
supporto dall’emerologico cristiano sui santi che Malvaldi riporta. Spero sia
questa una lacuna mia. Finisco con un’ulteriore nota di colore proprio sulla
Tosca che pare abbia il record di incidenti scenici. Dal tappeto elastico che
sostituì i materassi per il suicidio di Tosca (e che così rimbalzò più volte
sopra le mura di Castel Sant’Angelo) alla parrucca di Tosca interpretata dalla
Callas nel 1965 che prese fuoco e costrinse il baritono Tito Gobbi, che
interpretava Scarpia, a spegnarla con un salto prima di essere ucciso
(scenicamente) dalla pugnalata di Tosca. Quest’ultimo ricordo mi rimanda ad una
visita che feci a casa Gobbi anni ed anni fa. Ma anche questa è un’altra
storia. Mentre quella di Malvaldi è una storia godibile, leggibile e da tener
da conto. Aspettando di tornare ai nostri cari vecchietti del BarLume, ma
soprattutto a Massimo il “barrista”.
“Una delle prerogative inderogabili del
cretino è quella di individuare, dopo che è accaduto un fenomeno di qualsiasi
tipo, la spiegazione più comoda e naturale per il proprio punto di vista,
rifiutandosi pervicacemente di considerare il fatto che ce ne sono altre
centomila, tutte molto più plausibili della propria.” (49)
“Ballata
Se ne vedono nel mondo
che son osti... cavadenti
boia, eccetera... (o, secondo
le fortune grand'Orienti).
C'è chi taglia e cuce brache,
chi leoni addestra in gabbia,
chi va in cerca di lumache...
Io... fo buchi nella sabbia.
I poeti anime elette,
riman laudi e piagnistei
per l'amore di Giuliette
di cui mai sono i Romei!
I fedeli questurini
metton argini alla rabbia
dei colpevoli assassini...
Io... fo buchi nella sabbia.
Sento intorno sussurrarmi
che ci sono altri mestieri...
Bravi... A voi! Scolpite marmi,
combattete il beri-beri,
Allevate ostriche a Chioggia,
filugelli in Cadenabbia,
fabbricate parapioggia.
Io... fo buchi nella sabbia.
O cogliate la cicoria
e gli allori. A voi! Dio v'abbia
tutti quanti, in pace, e gloria!
Io... fo buchi nella sabbia.” (128)
Dylan Thomas “Ritratto dell’autore da cucciolo” Einaudi s.p. (biblioteca
di Tolemaide)
[A: 06/06/2015– I: 20/12/2016
– T: 26/12/2016] - && e ½
[tit. or.: Portrait of the author as a young dog; ling. or.: inglese; pagine: 245; anno 1940]
Secondo
leggende che girano sul Web (ma abbastanza accreditate) il premio Nobel per la
letteratura 2016, Robert Allen Zimmerman, avrebbe scelto come pseudonimo
proprio il nome di questo autore gallese. Secondo fonti accertate (lo stesso
autore) invece, è sempre dal poeta gallese che prende nome il fumetto Dylan Dog
di Tiziano Sclavi. Tutto questo per introdurre un vecchio libro, credo
acquistato una quarantina di anni fa, che finì tra le pieghe delle mie
biblioteche, e che non fu mai letto. Lo scorso anno, dovendo liberare scaffali
per la famiglia di Sara, me lo sono ritrovato (insieme ad altri che ho letto e
leggerò, ed altri che aspettano di essere scoperti e che per ora sono a
Soriano), e mi è punta vaghezza, come dicono i letterati, di capire di più.
Capire perché quelle derivazioni summenzionate. Capire perché questo autore è
diventato un riferimento di culto, di cui si parla spesso, ma che io,
personalmente non avevo mai letto. Di certo è un personaggio particolare,
guardando alla sua biografia letteraria. Figlio di insegnanti, non finisce la
scuola, fa un paio di anni il giornalista, ed a 20 anni pubblica poesie che
fanno scalpore nel mondo anglo-sassone. Motivo per cui diventa un riferimento.
E 20 anni li compie nel 1934, essendo nato in Galles, appunto, nel 1914. Ma pur
essendo intimamente gallese scrive sempre in corretto inglese. Scrive
affastellando parole, immagini, rendendo vivide situazioni indescrivibili. Il
tutto condito da una dose incontrollabile di alcool. Venti, venticinque pinte
di birra servono solo ad inumidirgli la gola. Che poi bagna abbondantemente di
whisky. Attraversa così altri venti anni in uno stato di etilismo sempre
presente, continuando a scrivere poesie che parlano di morte, di incubi, di
emarginati, di possibili ma inarrivati riscatti. Così scrive questo libro di
cui si dovrà parlare. Così scrive un testo teatrale “Sotto il bosco di latte”
che non conoscevo ma di cui ho cercato notizie e, da quello che ho letto, mi
sembra interessante. Almeno come spunto. La storia di una cittadina intratessuta
dai sogni dei suoi abitanti (ad esempi, il sogno di silenzi che pervade la vita
della moglie dell’organista della chiesa). Poi, appena compiuti 39 anni, ai
primi di novembre del 1953, muore a New York, dove si era recato per delle
letture pubbliche, a causa di una polmonite e di un edema cerebrale,
probabilmente dovuti ad abuso alcolico (anche se il fegato non presentava segni
di cirrosi). E torniamo allora alla lettura. Anzi al libro, che in questa
vecchia edizione Einaudi, oltre alla raccolta del titolo sono presenti
l’abbozzo di un romanzo da lui abbandonato (“Avventure nel commercio della
pelle” – “Adventures in the Skin Trade”) e due racconti (“Gli inseguitori” –
“The Followers” e “Una storia” – “A Story”) tutti del 1953. I racconti li tralascio,
che non mi hanno lasciato riflessi. L’abbozzo è fortemente visionario, nello
stile Thomas, dove l’autore colpisce forte descrivendo la fuga di casa di un
giovane per andare a fare, forse, il giornalista a Londra. Ma prima distrugge
tutta una serie di emblemi casalinghi (pelouche, lavori a maglia, conti del
padre) iconoclasticamente. Ma quello che più mi colpisce è poi quel suo farsi
trascinare da quasi tutto quello che gli succede intorno una volta arrivato
nella capitale. Sempre, fin dalla prima bevuta, con una bottiglia che gli si
incastra nel dito indice. Un’immagine di una bellezza straniante, ironica e
emblematica. Il corpo centrale, o meglio inziale, è invece questa carrellata
attraverso dieci racconti della vita di un giovane gallese, nato in una
cittadina piccola ma ben individuata nei suoi connotati lavorativi e sociali.
Tipo la sua Swansea. Sono dieci bozzetti, in cui rinveniamo il filo rosso della
presenza di un io narrante, che in ogni episodio è un po’ più grande. Ne
vediamo i primi passi coscienti accompagnando il padre con un carretto, facendo
visita al nonno che, sentendosi anziano, vuole andare al cimitero con i suoi
piedi. Poi passeggiando con la governante ed assistendo agli approcci amorosi
delle bambinaie. Cresce, va in gita, vede ragazze, e soprattutto incontra
gente. Gente che beve, gente che non sa perché si è sposata, gente allo sbando.
Fino ad un giovane di redazione, alle prese con i “giornalisti” di firma, con
situazioni strambe, come la veglia funebre organizzata da una vecchia
prostituta per la figlia morta di parto, ma che serve solo a raccogliere i
soldi della colletta, ed andarseli a bere, che la figlia non è affatto morta.
Fino all’incontro forse decisivo per la sua virilità con la bella Lou, ma che,
tra alcool e sogno non pare finisca in gloria come si aspettava. Perché c’è
sempre birra a fiumi che scorre per tutte le pagine. Ma c’è, in ogni riga, in
ogni immagine, la fantasia sbrigliata di Thomas, che scrive, pensa, fa sogni ad
occhi aperti, confonde realtà e volontà. Certo non deve essere stata facile la
traduzione. Certo è gradevole il tono ed il modo. Purtroppo non mi coinvolge lo
spirito come dovrebbe. La testa è presente, segue, annuisce. Collega, che molto
è anche gioco di Thomas che fa la parodia del grande Joyce nel suo “Ritratto
dell’artista da giovane”, usando però non il romanzo ma lo stile da racconto,
che lo stesso Joyce aveva usato in “Gente di Dublino”. Quasi a voler creare
un’epopea gallese da contrapporre a quella irlandese di Joyce. Ma se la testa è
soddisfatta, il risultato complessivo, tenuto conto anche degli ultimi tre
scritti poco coinvolgenti, rimane, anche se di poco, sotto la mia
sufficienza.
“Com’è bella questa sua attesa di me,
benché ella non sappia di attendermi, e io non possa dirglielo.” (127)
Alexander McCall Smith “Le affascinanti manie degli altri” TEA euro 10
(in realtà, scontato a 5 euro)
[A: 01/12/2015– I: 29/12/2016
– T: 31/12/2016] - &&& e ½
[tit. or.: The Charming Quirks of Others; ling. or.: inglese; pagine: 259; anno 2010]
È
stato bello riprendere in mano dopo più di due anni un libro di McCall Smith.
Un autore che scrive in modo semplice, che non scrive libri “imperdibili”, ma
solo (e non è poco) libri gradevoli. Che hanno due pregi: ti fanno immergere
nell’atmosfera sempre piacevole di Edimburgo e pongono domande e quesiti
comportamentali interessanti. L’autore, ricordo, si diletta in alcune scritture
seriali, quella più famosa su di una detective nello Zimbabwe, sua terra
natale, quella del condominio di Scotland Street, e questa dedicata a Isabel
Dalhousie, di professione filosofa. Questa è in effetti la serie che seguo con
maggior interesse, proprio per quelle questione di etica che l’impareggiabile
Isabel riesce a sollevare in ogni avventura. Sempre per completezza, è bene
riprendere, dopo questi due anni, un minimo dell’insieme dei personaggi della
serie, almeno quelli principali. C’è appunto Isabel, filosofa e direttrice
della “Rivista di Etica Applicata”, che misura ogni suo atteggiamento e
comportamento alla luce appunto di una morale costituita dal complesso delle
regole etiche che, tutti, dovremmo seguire. Ora è da tempo fidanzata (e
probabilmente avviata al matrimonio) con Jamie, più giovane di lei (e questo le
crea ogni tanto dei dubbi), suonatore di fagotto, ex-fidanzato della nipote di
Isabel, ed ora genitore con Isabel del piccolo Charlie. C’è quindi Cat, la
nipote, che spesso si accompagna con fidanzati improbabili o poco graditi alla
zia, e che gestisce una semplice ma fruttifera gastronomia in città. I meccanismi
dei romanzi sono spesso analoghi, dove c’è Isabel cui viene richiesto qualcosa
(un parere, un’investigazione o simili ricerche) cui lei, per la sua ferrea
etica non riesce mai a tirarsi indietro (ed anche perché secondo me è anche un
po’ curiosa). Svolgendo le sue ricerche si imbatte in genere in problemi etici
che affronta, disamina, discute con sé stessa, con i suoi cari e con il lettore
(in modo trasversale, ovvio). Per poi risolverli, o portarli alla loro fine
naturale, mentre la vita nella città di Edimburgo scorre piacevole (e spesso
freschina come sa chi ci ha soggiornato anche in periodi supposti caldi). Qui
Isabel viene coinvolta nella risoluzione di un problema relativo alla nomina di
un professore in una prestigiosa scuola locale. Ci sono tre candidati
possibili, ma la moglie del rettore l’avverte dell’esistenza di una lettera
anonima che fa sospettare uno dei candidati non essere all’altezza. Per
scoprire i pettegolezzi nascosti, Isabel si avvale di conoscenze e gossip vari.
Un professore, appassionato di montagna, potrebbe avere lasciato morire
qualcuno durante una scalata. Un secondo è al momento il nuovo fidanzato della
nipote, cosa che impedisce un giudizio sereno. Il terzo non sembra avere titoli
sufficienti. Il tutto poi nasce dalla volontà dell’attuale occupante la
cattedra di trasferirsi in Nuova Zelanda. Il dilemma di Isabel è che viene a
sapere delle cose sui candidati da elementi a loro vicini. Allora, si può
utilizzare una confidenza in amicizia per risolvere un caso di coscienza? Cos’è
più importante, usare l’informazione e perdere l’amico o non usarla e
rinunciare alla ricerca? Fortunatamente Isabel non demorde e non si tira
indietro. Non usa nessuna delle fonti “in bilico”, e decide, e questo mi sembra
corretto, di vedere il famoso professore profugo e capire di più su di lui.
Dove capisce anche che la lettera anonima è scritta con inchiostro verde, e
apprende che il rettore è daltonico, e non si meraviglia che il possibile
emigrante è belloccio, piacente, e con moglie moscettina. Fortunatamente,
ancora, qualcuno cui non può dire di no chiede al professore di restare, e
tutto decade. Isabel può continuare la sua vita, risolvendo anche altri due
problemi collaterali. L’acquisto di un quadro cui teneva, ed il possibile
adulterio di Jamie con una suonatrice dell’orchestra. Adulterio inesistente,
sia perché Jamie è veramente innamorato, sia perché la violoncellista è
leggermente mitomane. Ripeto quanto all’inizio. Lettura facile, scorrevole, che
rilassa la testa, che ci fa tornare piacevolmente in Scozia, tra whisky torbati
(che si tornerà ad assaggiare prima o poi), birre chiare o scure, thè di tutti
i tipi, e scones come se piovesse. Mentre ci rilassiamo con tutto questo ben di
Dio, proviamo anche a rispondere al quesito di Alexander: dov’è il confine tra
“mania” e “colpa”?
“Non era certa di capire come le persone
potessero diventare indifferenti agli ex.” (82)
“Finché le persone ci ricordavano, allora la
morte non era completa. Solo se non c’era più nessuno a ricordarci la morte era
definitiva.” (120)
“Gli amici veri … devono correre il rischio
di dire certe cose.” (145)
“C’era gente che attraeva gli altri a sé
flirtando, fingendosi disponibile anche quando non lo era.” (156)
Al
solito sapete che la prima trama è dedicata anche al menzionarvi libri letti.
Questa volta siamo a gennaio, mese molto piatto con un discreto numero di
letture sufficienti (i 2/3 per l’esattezza), ma senza nessun acuto.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Arnaldur Indridason
|
Sfida cruciale
|
TEA
|
10
|
3
|
2
|
Gulio Leoni
|
Il testamento del papa
|
TEA
|
10
|
2
|
3
|
David Grossman
|
Qualcuno con cui correre
|
Mondadori
|
s.p.
|
3
|
4
|
Jussi Adler-Olsen
|
La donna in gabbia
|
Corriere della Sera Svezia
|
7,90
|
3
|
5
|
Julie Powell
|
Julie & Julia
|
Corriere della Sera Cucina
|
7,90
|
2
|
6
|
Anna Grue
|
Nessuno conosce il mio nome
|
Corriere della Sera Svezia
|
7,90
|
3
|
7
|
Herbert Adams
|
La stessa sera alla stessa ora
|
Corriere della Sera Gialli
|
6,90
|
3
|
8
|
Sergio Rossi
|
Un lampo nell’ombra
|
Repubblica Noir Junior
|
6,90
|
3
|
9
|
Arnaldur Indridason
|
Le notti di Reykjavik
|
TEA
|
11
|
2
|
10
|
Liza Marklund
|
Happy Nation
|
Marsilio
|
14
|
2
|
11
|
Zadie Smith
|
Cambiare idea
|
Minimum Fax
|
s.p.
|
3
|
12
|
Clive Cussler & Grant Blackwood
|
Il regno dell’oro
|
TEA
|
9,90
|
3
|
Si
avvicina la Pasqua a grandi passi, mentre non si avvicinano viaggi, anche se Israele
sembra cominciare ad avere basi più solide. Allora, e con piacere, sfrutto
questi gironi e queste settimane per vedere e rivedere amici in modo meno
frettoloso del solito. Magari cercando di portare avanti alcuni elementi
costitutivi della mia dimora che lasciano a desiderare.
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