domenica 2 aprile 2017

No Brexit - 02 aprile 2017

No, nessun saggio contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, ma quattro bei libri, anche se uno poco al di sotto della soglia (d’altra parte, racconti…). Ma, appunto, niente inglesi, bensì gallesi (quelli da 2 e ½), scozzesi che tornano finalmente a buoni livelli, e, visto che si parla di isole, un ottimo sardo. Per completare il quadro, un inno ai futuri lavori degli inglesi, appunto, sperando continuino a fare … buchi nella sabbia.
Marcello Fois “Memoria del vuoto” Einaudi euro 12 (in realtà, scontato a 9,60 euro)
[A: 01/11/2015 – I: 24/11/2016 – T: 26/11/2016] – &&&   
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 212; anno 2006]
Per me è sempre un piacere leggere di Marcello Fois, per tornare ad una Sardegna che mi piace anche se a volte non capisco. Come non capisco alcune di queste pagine dedicate alla ricostruzione romanzata di una vicenda reale. Perché sono scritte in sardo stretto, che non si capisce proprio, non come il siciliano inventato di Camilleri, che bene o male si riesce ad intuire. Fois riesce sempre a fare cose egregie, come quando scriveva di quella Sardegna interna, quella senza (o lontana dal) mare. Qui sviluppa un’interessante prova narrativa, dove unisce una storia vera, quella di Samuele la tigre dell’Ogliastra, con una serie di finzioni che tuttavia riescono a raccordare gli elementi del vero in una storia che, se non è vera, è verosimile. E di sicuro molto vicina a mille e mille altre che hanno solcato l’isola impenetrabile ed i suoi altrettanto impenetrabili abitanti. Ben fatta, questa operazione, tanto da meritare nel 2007 il premio Grinzane, prima che il premio stesso si sputtanasse e fosse cancellato con ignominia dal panorama letterario, per colpa di quel suo inqualificabile direttore. Ma torniamo alla storia, o meglio alla sua verosimile finzione. Dove seguiamo tutta la parabola della vita di Samuele Stocchino, dal giorno di San Sebastiano dei suoi sette anni, cioè il 20 gennaio 1902, in poi. Lì che comincia la vicenda, anche se per la madre Antioca era nata fin dalla nascita di Samuele, come se la madre sapesse che questo figlio tanto dolore avrebbe portato. Lì, intanto, a San Sebastiano, Samuele e suo padre Felice tornano dal battesimo di un compare, e vengono mal trattati dal bovaro Boi che rifiuta loro l’acqua del ristoro. Da questo rifiuto nasce una contrapposizione frontale fra gli Stocchino ed il fronte dei “potenti”: i Boi, i Manai, i Bardi. Mentre Samuele fa (cerca di fare) il suo percorso di vita (qualche anno elementare, tanto per saper leggere e scrivere, partenza con menzogna per la campagna di Libia del 1911, quasi morte e congedo, arruolamento per la Grande Guerra, quasi morte sul Piave, eroismi vari e ritorno con medaglia), si consuma anche il percorso parallelo dei potenti. Bardi che vorrebbe far sposare il figlio scapestrato con la bella Mariangela. Ma lei si è internamente promessa a Samuele, da quando lo vide a sei anni perdersi nella foresta, e ritrovato grazie alla sua, di Mariangela, improvvisa apparizione. Manai che prende Samuele come stalliere, ma quando questi, per scherzo, fa mangiare al cavallo le patate del campo di Manai, questi se la lega al dito, giurando vendetta. Così, quando Samuele parte per il Fronte, i “potenti” cominciano a tessere la vendetta: prima costringono il fratello Gonario a vendere le poche pecore di proprietà per far fronte ad un contratto firmato senza averlo capito. Poi fanno licenziare il padre Felice, con la scusa dell’anzianità che lo porta a non essere più tanto abile con le mani per la raccolta delle olive. Antioca la madre non sa come fare fronte ai bisogni familiari, pur mandando Genesia, l’unica figlia, a servizio. Al ritorno, decorato dalla guerra, Samuele trova la sola Mariangela a volergli ancora e per sempre bene. Intanto è morto Felice il padre. Poi Gonario, vestito con la divisa di Samuele, viene colpito da una pallottola vagante (sicuramente destinata al fratello). Il 20 gennaio 1920, 18 anni dopo l’affronto che diede inizio alla mala vicenda, Samuele si vendica della famiglia Boi, sterminandola. Poi della famiglia Bardi, uccidendo la figlia minore. Manai sembra proporre un accordo di pace, ma è una trappola, cui la tigre non cade, uccidendo anche Luigi Manai. Ormai braccato e solitario, si riunisce solo saltuariamente alla sua Mariangela trovando insieme riparo in una grotta. Poi, malattie e stenti, portano via anche Mariangela, e Samuele, solo e sempre più triste (e come direbbe Osvaldo Soriano, “final”), si ammala anche lui. Nel frattempo, il fascismo sale al potere nel continente, ed i Manai e i Bardi hanno buon gioco ad allearsi con i vari prefetti. Ma sarà solo il commissario speciale Saverio Potito, che conobbe Samuele in Libia, a riuscire ad aver ragione della tigre dell’Ogliastra. Ovvio, solo perché Samuele decide di cedere alla polmonite. Svolta come un canto di paese, con cori e contraddanze, Fois ci snocciola tutto il percorso di un povero Cristo, che niente voleva di più al mondo che vivere in pace, magari amando e sposando la sua bella. Ma gli altri, quelli ricchi, quelli del potere, non possono permettere che un Cristo qualunque non sottostia ai loro interessi. Nasce così questo girotondo perverso, che porta tutti verso la morte. Detto ancora una volta la bellezza della scrittura, la difficoltà della lingua, la non sempre felice riuscita dei tempi narrativi, che a volte corrono troppo, a volte troppo rallentano, non posso che dare una sufficienza grossa e piena ad un libro che mi fa pensare ai miei amici di Sardegna, ai Dafni e Francesca, ad Augusta, alla Cossu. Finisco solo con un pensiero che ad un certo punto mi ha trafitto l’animo, quando Samuele vede per la prima volta realmente Mariangela, e dove Fois fa un balzo riportandomi alla mente Giacobbe e Rachele, il loro amore a prima vista, e tutta la loro storia che qualcuno definì di impossibile realizzazione, ma che fu solo compiuta con lentezza. E con infinto amore.
“Dentro di lui si era palesata una certezza assoluta: … quella donna l’aveva scelto … non c’era niente che potesse fare per costringerla a cambiare idea.” (87)
“La morte non è un fatto grave, ma una certezza.” (107)
Marco Malvaldi “Buchi nella sabbia” Sellerio euro 14 (in realtà, scontato a 11,90 euro)
[A: 21/11/2015 – I: 05/12/2016 – T: 06/12/2016] - &&& e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 243; anno 2015]
Più che letto, direi alquanto divorato, anche per la facile scrittura del simpatico toscano. Che qui si cimenta in un nuovo romanzo senza i “vecchietti del BarLume” e che questa volta si barcamena leggermente meglio di quando abbandona la pineta del litorale toscano. Certo, siamo sempre lì intorno, che l’azione, se così si può dire, si svolge a Pisa, con una puntata, che non guasta, a San Rossore. Devo dire che, prima di entrare nel merito, anche se non fosse uno scritto di Malvaldi, autore che a me risulta gradevole in lettura, avrei comunque comperato un libro che parla di Ernesto Ragazzoni. Per almeno due specifici motivi, legati alla ballata sua più famosa, e che riporto in fondo. Quando ero sui tredici anni, tra i dischi paterni, c’era (come allora si usava) un 45 giri di letture poetiche del grande Vittorio Gassman. Tra le tante (tra cui un intenso “Lamento per la morte di Ignazio” di Garcia Lorca) c’era questa strampalata ballata sul far buchi nella sabbia (attività emerita del perditempo). Poi, poco prima del mio cinquantenario, nel saggio finale del corso di auto-aiuto, il grande Fabrizio, come punto finale del corso, venne recitando proprio questa poesia. Geniale (io per parte mia, recitai “Sally” di Vasco Rossi). Inoltre, ed a parte tutto, proprio Ragazzoni è un personaggio eponimo del mio panorama ideale, con tutti i suoi limiti e le sue uscite “fuori dall’usuale”. Inciso: accomunato come esempio opposto ma sempre nel mio pantheon a Sergio Corazzini (di cui parlerò altrove). Poeta, scrittore, ma soprattutto giornalista, e, fondamentalmente, anarchico ed etilista. Tanto dedito al bere, che morirà a soli 50 anni di cirrosi epatica. Tanto anarchicamente giornalista, che dopo essere cacciato per l’estremismo dei suoi scritti da vari giornali, solo l’intelligenza di Antonio Frassati, direttore de “La Stampa” lo tenne tra i suoi, spedendolo poi coscientemente fuori d’Italia, come corrispondente a Parigi. Tanto ludicamente poeta, che oltre alla ballata di cui si tratta, fece una traduzione stupenda della satira del giovane Werther di Goethe scritta da William Makepeace Thackeray. Speravo quindi che fosse un libro sul mio “eroe”. Invece è qualcosa d’altro, anche se Ragazzoni c’è e ne costituisce l’ossatura. La trama infatti si imbastisce su di una rappresentazione operistica, e non banale. La famosa “Tosca” di Giacomo Puccini. Inserita poi in un contesto pucciniano, come sa chi ha passato giorni a Torre del Lago. Odi, passioni ed anarchie. Quelle dei marmisti di Carrara, anche amici dell’ambito pucciniani. Opera che si vuole rappresentare nel bel teatro di Pisa, all’epoca Regio Teatro Nuovo ed ora Teatro Verdi, con uno dei palcoscenici più grandi d’Italia, per rendere omaggio alla visita del Re da poco più di un anno insediatosi. Quel Vittorio Emanuele III salito al regno dopo l’assassinio del padre Umberto I per mano dell’anarchico Bresci. Ma torniamo alla Tosca, che appunto si vuole rappresentare a Pisa, il 1 giugno 1901, cioè appena dieci giorni dopo la strana morte in carcere di Bresci. Qui Malvaldi fa una bella opera corale, mettendo in piedi i carabinieri, il tenente Pellerey ed il capitano Dalmasso, i cantanti, il tenore Ruggero Balestrieri, bravo ed anarchico, il soprano Giustina Tedesco, l’impresario Cantalamessa, il maestro d’armi, i marmisti di Carrara, il menagramo ex-basso Teseo Parenti. Con Ragazzoni che si aggira fra tutti. Il nodo è che durante la rappresentazione, Ruggero, che fa Cavaradossi, viene fucilato come voleva la finzione scenica, ma con pallottole vere ed ucciso realmente. Da qui una ridda di ipotesi e di pagine leggere, ma anche piene di riferimenti storici e operistici. Le propensioni politiche di Puccini, la storia del menagramo Parenti, le intemperie di Ruggero (da vivo), i tentativi di fare sceneggiate anarchiche durante l’opera, i due carabinieri ora furbi ora stolti, con gustose scelte di tempo (si sa che l’effetto comico è sempre una questione di tempo, del movimento, della battuta, vero Rosa?). Non entro nel merito dello sviluppo della storia, che troppo ironica è nel suo sviluppo da essere difficilmente trasportabile. Vi svelo solo che i misteri saranno risolti, avendo anche il modo, il nostro Ragazzoni, di declamare la sua ballata. Purtroppo riportata con due “errori”: la sostituzione del termine questurini con carabinieri, e l’inversione delle parole “intorno sussurrarmi”. Errori che fanno saltare le rime, cosa che avrebbe fatto inorridire Ragazzoni. A proposito di errori, ho anche avuto poco supporto dall’emerologico cristiano sui santi che Malvaldi riporta. Spero sia questa una lacuna mia. Finisco con un’ulteriore nota di colore proprio sulla Tosca che pare abbia il record di incidenti scenici. Dal tappeto elastico che sostituì i materassi per il suicidio di Tosca (e che così rimbalzò più volte sopra le mura di Castel Sant’Angelo) alla parrucca di Tosca interpretata dalla Callas nel 1965 che prese fuoco e costrinse il baritono Tito Gobbi, che interpretava Scarpia, a spegnarla con un salto prima di essere ucciso (scenicamente) dalla pugnalata di Tosca. Quest’ultimo ricordo mi rimanda ad una visita che feci a casa Gobbi anni ed anni fa. Ma anche questa è un’altra storia. Mentre quella di Malvaldi è una storia godibile, leggibile e da tener da conto. Aspettando di tornare ai nostri cari vecchietti del BarLume, ma soprattutto a Massimo il “barrista”.
“Una delle prerogative inderogabili del cretino è quella di individuare, dopo che è accaduto un fenomeno di qualsiasi tipo, la spiegazione più comoda e naturale per il proprio punto di vista, rifiutandosi pervicacemente di considerare il fatto che ce ne sono altre centomila, tutte molto più plausibili della propria.” (49)
“Ballata
Se ne vedono nel mondo
che son osti... cavadenti
boia, eccetera... (o, secondo
le fortune grand'Orienti).
C'è chi taglia e cuce brache,
chi leoni addestra in gabbia,
chi va in cerca di lumache...
Io... fo buchi nella sabbia.
I poeti anime elette,
riman laudi e piagnistei
per l'amore di Giuliette
di cui mai sono i Romei!
I fedeli questurini
metton argini alla rabbia
dei colpevoli assassini...
Io... fo buchi nella sabbia.
Sento intorno sussurrarmi
che ci sono altri mestieri...
Bravi... A voi! Scolpite marmi,
combattete il beri-beri,
Allevate ostriche a Chioggia,
filugelli in Cadenabbia,
fabbricate parapioggia.
Io... fo buchi nella sabbia.
O cogliate la cicoria
e gli allori. A voi! Dio v'abbia
tutti quanti, in pace, e gloria!
Io... fo buchi nella sabbia.” (128)
Dylan Thomas “Ritratto dell’autore da cucciolo” Einaudi s.p. (biblioteca di Tolemaide)
[A: 06/06/2015– I: 20/12/2016 – T: 26/12/2016] - && e ½  
[tit. or.: Portrait of the author as a young dog; ling. or.: inglese; pagine: 245; anno 1940]
Secondo leggende che girano sul Web (ma abbastanza accreditate) il premio Nobel per la letteratura 2016, Robert Allen Zimmerman, avrebbe scelto come pseudonimo proprio il nome di questo autore gallese. Secondo fonti accertate (lo stesso autore) invece, è sempre dal poeta gallese che prende nome il fumetto Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Tutto questo per introdurre un vecchio libro, credo acquistato una quarantina di anni fa, che finì tra le pieghe delle mie biblioteche, e che non fu mai letto. Lo scorso anno, dovendo liberare scaffali per la famiglia di Sara, me lo sono ritrovato (insieme ad altri che ho letto e leggerò, ed altri che aspettano di essere scoperti e che per ora sono a Soriano), e mi è punta vaghezza, come dicono i letterati, di capire di più. Capire perché quelle derivazioni summenzionate. Capire perché questo autore è diventato un riferimento di culto, di cui si parla spesso, ma che io, personalmente non avevo mai letto. Di certo è un personaggio particolare, guardando alla sua biografia letteraria. Figlio di insegnanti, non finisce la scuola, fa un paio di anni il giornalista, ed a 20 anni pubblica poesie che fanno scalpore nel mondo anglo-sassone. Motivo per cui diventa un riferimento. E 20 anni li compie nel 1934, essendo nato in Galles, appunto, nel 1914. Ma pur essendo intimamente gallese scrive sempre in corretto inglese. Scrive affastellando parole, immagini, rendendo vivide situazioni indescrivibili. Il tutto condito da una dose incontrollabile di alcool. Venti, venticinque pinte di birra servono solo ad inumidirgli la gola. Che poi bagna abbondantemente di whisky. Attraversa così altri venti anni in uno stato di etilismo sempre presente, continuando a scrivere poesie che parlano di morte, di incubi, di emarginati, di possibili ma inarrivati riscatti. Così scrive questo libro di cui si dovrà parlare. Così scrive un testo teatrale “Sotto il bosco di latte” che non conoscevo ma di cui ho cercato notizie e, da quello che ho letto, mi sembra interessante. Almeno come spunto. La storia di una cittadina intratessuta dai sogni dei suoi abitanti (ad esempi, il sogno di silenzi che pervade la vita della moglie dell’organista della chiesa). Poi, appena compiuti 39 anni, ai primi di novembre del 1953, muore a New York, dove si era recato per delle letture pubbliche, a causa di una polmonite e di un edema cerebrale, probabilmente dovuti ad abuso alcolico (anche se il fegato non presentava segni di cirrosi). E torniamo allora alla lettura. Anzi al libro, che in questa vecchia edizione Einaudi, oltre alla raccolta del titolo sono presenti l’abbozzo di un romanzo da lui abbandonato (“Avventure nel commercio della pelle” – “Adventures in the Skin Trade”) e due racconti (“Gli inseguitori” – “The Followers” e “Una storia” – “A Story”) tutti del 1953. I racconti li tralascio, che non mi hanno lasciato riflessi. L’abbozzo è fortemente visionario, nello stile Thomas, dove l’autore colpisce forte descrivendo la fuga di casa di un giovane per andare a fare, forse, il giornalista a Londra. Ma prima distrugge tutta una serie di emblemi casalinghi (pelouche, lavori a maglia, conti del padre) iconoclasticamente. Ma quello che più mi colpisce è poi quel suo farsi trascinare da quasi tutto quello che gli succede intorno una volta arrivato nella capitale. Sempre, fin dalla prima bevuta, con una bottiglia che gli si incastra nel dito indice. Un’immagine di una bellezza straniante, ironica e emblematica. Il corpo centrale, o meglio inziale, è invece questa carrellata attraverso dieci racconti della vita di un giovane gallese, nato in una cittadina piccola ma ben individuata nei suoi connotati lavorativi e sociali. Tipo la sua Swansea. Sono dieci bozzetti, in cui rinveniamo il filo rosso della presenza di un io narrante, che in ogni episodio è un po’ più grande. Ne vediamo i primi passi coscienti accompagnando il padre con un carretto, facendo visita al nonno che, sentendosi anziano, vuole andare al cimitero con i suoi piedi. Poi passeggiando con la governante ed assistendo agli approcci amorosi delle bambinaie. Cresce, va in gita, vede ragazze, e soprattutto incontra gente. Gente che beve, gente che non sa perché si è sposata, gente allo sbando. Fino ad un giovane di redazione, alle prese con i “giornalisti” di firma, con situazioni strambe, come la veglia funebre organizzata da una vecchia prostituta per la figlia morta di parto, ma che serve solo a raccogliere i soldi della colletta, ed andarseli a bere, che la figlia non è affatto morta. Fino all’incontro forse decisivo per la sua virilità con la bella Lou, ma che, tra alcool e sogno non pare finisca in gloria come si aspettava. Perché c’è sempre birra a fiumi che scorre per tutte le pagine. Ma c’è, in ogni riga, in ogni immagine, la fantasia sbrigliata di Thomas, che scrive, pensa, fa sogni ad occhi aperti, confonde realtà e volontà. Certo non deve essere stata facile la traduzione. Certo è gradevole il tono ed il modo. Purtroppo non mi coinvolge lo spirito come dovrebbe. La testa è presente, segue, annuisce. Collega, che molto è anche gioco di Thomas che fa la parodia del grande Joyce nel suo “Ritratto dell’artista da giovane”, usando però non il romanzo ma lo stile da racconto, che lo stesso Joyce aveva usato in “Gente di Dublino”. Quasi a voler creare un’epopea gallese da contrapporre a quella irlandese di Joyce. Ma se la testa è soddisfatta, il risultato complessivo, tenuto conto anche degli ultimi tre scritti poco coinvolgenti, rimane, anche se di poco, sotto la mia sufficienza. 
“Com’è bella questa sua attesa di me, benché ella non sappia di attendermi, e io non possa dirglielo.” (127)
Alexander McCall Smith “Le affascinanti manie degli altri” TEA euro 10 (in realtà, scontato a 5 euro)
[A: 01/12/2015– I: 29/12/2016 – T: 31/12/2016] - &&& e ½   
[tit. or.: The Charming Quirks of Others; ling. or.: inglese; pagine: 259; anno 2010]
È stato bello riprendere in mano dopo più di due anni un libro di McCall Smith. Un autore che scrive in modo semplice, che non scrive libri “imperdibili”, ma solo (e non è poco) libri gradevoli. Che hanno due pregi: ti fanno immergere nell’atmosfera sempre piacevole di Edimburgo e pongono domande e quesiti comportamentali interessanti. L’autore, ricordo, si diletta in alcune scritture seriali, quella più famosa su di una detective nello Zimbabwe, sua terra natale, quella del condominio di Scotland Street, e questa dedicata a Isabel Dalhousie, di professione filosofa. Questa è in effetti la serie che seguo con maggior interesse, proprio per quelle questione di etica che l’impareggiabile Isabel riesce a sollevare in ogni avventura. Sempre per completezza, è bene riprendere, dopo questi due anni, un minimo dell’insieme dei personaggi della serie, almeno quelli principali. C’è appunto Isabel, filosofa e direttrice della “Rivista di Etica Applicata”, che misura ogni suo atteggiamento e comportamento alla luce appunto di una morale costituita dal complesso delle regole etiche che, tutti, dovremmo seguire. Ora è da tempo fidanzata (e probabilmente avviata al matrimonio) con Jamie, più giovane di lei (e questo le crea ogni tanto dei dubbi), suonatore di fagotto, ex-fidanzato della nipote di Isabel, ed ora genitore con Isabel del piccolo Charlie. C’è quindi Cat, la nipote, che spesso si accompagna con fidanzati improbabili o poco graditi alla zia, e che gestisce una semplice ma fruttifera gastronomia in città. I meccanismi dei romanzi sono spesso analoghi, dove c’è Isabel cui viene richiesto qualcosa (un parere, un’investigazione o simili ricerche) cui lei, per la sua ferrea etica non riesce mai a tirarsi indietro (ed anche perché secondo me è anche un po’ curiosa). Svolgendo le sue ricerche si imbatte in genere in problemi etici che affronta, disamina, discute con sé stessa, con i suoi cari e con il lettore (in modo trasversale, ovvio). Per poi risolverli, o portarli alla loro fine naturale, mentre la vita nella città di Edimburgo scorre piacevole (e spesso freschina come sa chi ci ha soggiornato anche in periodi supposti caldi). Qui Isabel viene coinvolta nella risoluzione di un problema relativo alla nomina di un professore in una prestigiosa scuola locale. Ci sono tre candidati possibili, ma la moglie del rettore l’avverte dell’esistenza di una lettera anonima che fa sospettare uno dei candidati non essere all’altezza. Per scoprire i pettegolezzi nascosti, Isabel si avvale di conoscenze e gossip vari. Un professore, appassionato di montagna, potrebbe avere lasciato morire qualcuno durante una scalata. Un secondo è al momento il nuovo fidanzato della nipote, cosa che impedisce un giudizio sereno. Il terzo non sembra avere titoli sufficienti. Il tutto poi nasce dalla volontà dell’attuale occupante la cattedra di trasferirsi in Nuova Zelanda. Il dilemma di Isabel è che viene a sapere delle cose sui candidati da elementi a loro vicini. Allora, si può utilizzare una confidenza in amicizia per risolvere un caso di coscienza? Cos’è più importante, usare l’informazione e perdere l’amico o non usarla e rinunciare alla ricerca? Fortunatamente Isabel non demorde e non si tira indietro. Non usa nessuna delle fonti “in bilico”, e decide, e questo mi sembra corretto, di vedere il famoso professore profugo e capire di più su di lui. Dove capisce anche che la lettera anonima è scritta con inchiostro verde, e apprende che il rettore è daltonico, e non si meraviglia che il possibile emigrante è belloccio, piacente, e con moglie moscettina. Fortunatamente, ancora, qualcuno cui non può dire di no chiede al professore di restare, e tutto decade. Isabel può continuare la sua vita, risolvendo anche altri due problemi collaterali. L’acquisto di un quadro cui teneva, ed il possibile adulterio di Jamie con una suonatrice dell’orchestra. Adulterio inesistente, sia perché Jamie è veramente innamorato, sia perché la violoncellista è leggermente mitomane. Ripeto quanto all’inizio. Lettura facile, scorrevole, che rilassa la testa, che ci fa tornare piacevolmente in Scozia, tra whisky torbati (che si tornerà ad assaggiare prima o poi), birre chiare o scure, thè di tutti i tipi, e scones come se piovesse. Mentre ci rilassiamo con tutto questo ben di Dio, proviamo anche a rispondere al quesito di Alexander: dov’è il confine tra “mania” e “colpa”?
“Non era certa di capire come le persone potessero diventare indifferenti agli ex.” (82)
“Finché le persone ci ricordavano, allora la morte non era completa. Solo se non c’era più nessuno a ricordarci la morte era definitiva.” (120)
“Gli amici veri … devono correre il rischio di dire certe cose.” (145)
“C’era gente che attraeva gli altri a sé flirtando, fingendosi disponibile anche quando non lo era.” (156)
Al solito sapete che la prima trama è dedicata anche al menzionarvi libri letti. Questa volta siamo a gennaio, mese molto piatto con un discreto numero di letture sufficienti (i 2/3 per l’esattezza), ma senza nessun acuto.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Arnaldur Indridason
Sfida cruciale
TEA
10
3
2
Gulio Leoni
Il testamento del papa
TEA
10
2
3
David Grossman
Qualcuno con cui correre
Mondadori
s.p.
3
4
Jussi Adler-Olsen
La donna in gabbia
Corriere della Sera Svezia
7,90
3
5
Julie Powell
Julie & Julia
Corriere della Sera Cucina
7,90
2
6
Anna Grue
Nessuno conosce il mio nome
Corriere della Sera Svezia
7,90
3
7
Herbert Adams
La stessa sera alla stessa ora
Corriere della Sera Gialli
6,90
3
8
Sergio Rossi
Un lampo nell’ombra
Repubblica Noir Junior
6,90
3
9
Arnaldur Indridason
Le notti di Reykjavik
TEA
11
2
10
Liza Marklund
Happy Nation
Marsilio
14
2
11
Zadie Smith
Cambiare idea
Minimum Fax
s.p.
3
12
Clive Cussler & Grant Blackwood
Il regno dell’oro
TEA
9,90
3

Si avvicina la Pasqua a grandi passi, mentre non si avvicinano viaggi, anche se Israele sembra cominciare ad avere basi più solide. Allora, e con piacere, sfrutto questi gironi e queste settimane per vedere e rivedere amici in modo meno frettoloso del solito. Magari cercando di portare avanti alcuni elementi costitutivi della mia dimora che lasciano a desiderare. 

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