Altri giorni e mesi di compleanni, ma
soprattutto, altre settimane di riposo mentale.
Cristina Cassar Scalia “La logica della
lampara” Einaudi euro 13
[A: 06/08/2020
– I: 01/09/2024 – T: 03/09/2024] &&&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 375; anno: 2019]
VG02
Intanto, come tutti i procedural
thriller, continua anche in questa seconda tornata l’approfondimento dei vari
componenti della squadra. A cominciare da Vanina, sempre burbera, ovvio, ma che
capiamo essersi allontanata da Palermo poiché, innamorata del magistrato
antimafia Paolo, non riesce a convivere con il senso quotidiano del pericolo
che lo circonda. Anche perché ha sempre presente in mente, la morte, per mano
di mafia, di suo padre poliziotto.
Si palesano meglio i comprimari.
Spanò e la memoria storica del commissariato, Marta la bresciana che finalmente
capiamo essersi trasferita in Sicilia per amore, i due agenti Nunnari e Lo
Faro, forse ancora un po’ troppo “macchiette” ma si vede che vanno
consolidandosi, il commissario capo Tito Macchia, superiore dal volto umano. Ma
soprattutto il dottor Watson in pensione, l’ex-commissario Biagio Patanè, che
con le sue domande e con le risposte alle domande di Vanina, fa in modo di
indirizzare le indagini verso le giuste dimensioni.
Nel contorno para-poliziesco fanno
ancora le loro comparse Adriano, il medico legale nonché marito di Luca, e
Giulia, l’amica di Vanina, che cerca di convertire Luca all’eterosessualità.
Inoltre compare un personaggio nuovo e simpatico, il dottor Manfredi, che sarà
motore della vicenda, e comincerà una frequentazione interessante ma forse
senza sbocchi con Vanina.
L’avvio della storia è dato da
Manfredi che, pescando a lampare con l’amico Sante, vede due uomini buttare a
mare una pesante valigia. E da una telefonata che avverte Vannina di un
omicidio di una giovane donna. Vanina parte in quarta, ma non si trovano donne
morte, e la valigia, ripescata, presenta certo tracce strane, ma non contiene
nessun corpo.
Bella quindi l’idea di iniziare un
noir sopra una morte senza che sia stato trovato il cadavere. Comunque le
tracce lasciate in giro, puntano sul giovane avvocato Lorenza Iannino, che in
effetti e scomparsa. Lorenza era diventata il braccio destro di un grande
avvocato e faccendiere Elvio Ussaro, che Vanina, grande amante del cinema
italiano in bianco e nero, descrive come “la bruttissima copia di Remo Girone
nei panni di Tano Cariddi in La Piovra”.
È facile capire che Lorenza era
entrata nell’orbita di Ussaro per alcuni motivi privati, che non svelo, e che
ora, diventata suo braccio destro, ha in mano molti elementi per incriminare
l’avvocato, deve solo trovare il modo di attuare la vendetta schivando le
difese di Ussaro che spesso e volentieri era già stato accusato ed assolto. Ma
come dirà un suo complice, l’unico modo di colpire una tal roccaforte è
accusarlo di un crimine che non ha commesso.
Nasce così tutto il castello del
racconto, la corte di Ussaro, con i giovani avvocati al contorno, i mafiosi, le
prove che escono fuori della corruzione, la presenza del fratello e della nuora
di Lorenza, corsi a Catania per aiutare le indagini, la morte per infarto del
fratello dopo una telefonata misteriosa, nonché il ritrovamento del corpo di
Lorenza, stuprata, ma morta per uno shock anafilattico da intolleranza di
aspirina.
Una bella costruzione di noir, dove
ad un certo punto si spiega anche il rebus del titolo, quando si spiega le
modalità della pesca con la lampara, con la logica del suo funzionamento. Che
la lampara, come dice il nome stesso, è una lampada che si porta sul barchino
da pesca. Si accende la luce, non si fa rumore, si sta fermi il più possibile e
nel frattempo si armano le reti. Prima o poi anche i pesci meglio nascosti
vengono a galla. Ragionate e capite i collegamenti con il romanzo.
Che al solito a me piace, oltre
quando c’è un buon impianto giallo, per la descrizione delle città e degli
ambienti in cui ci si muove. E qui Catania ne esce benissimo, come i suoi
dintorni, in particolare le pendici dell’Etna. Inoltre, ma questo è uno specifico
di Vanina, il nostro vicequestore è una buona forchetta. Ed allora via con ravioli
alla ricotta, arancini, siciliane fritte (cioè per chi non lo sapesse i calzoni
fritti ripieni tipici di Catania), cipolline, cannoli, granite e iris (altro
dolce siculo: gnocco fritto ripieno di ricotta). Cioè, ho letto il libro e sono
anche ingrassato di almeno mezzo chilo.
Infine, come avevo già notato nel
primo libro, anche le ultime pagine alla Victor Hugo, ci invitano a leggere il
successivo lavoro. Cosa che, prima o poi, succederà.
“Tu cosa pensi sia giusto … ? Perché
questo comanda, nella vita: quello di cui hai bisogno tu per guardarti allo
specchio e sapere che non hai nulla da rimproverarti. Che stai facendo tutto
quello che puoi perché la tua vita sia il più possibile simile a come la
vorresti. Precisa identica … non potrà essere mai. E la maggior parte delle
volte non dipenderà da te.” (278)
Cristina
Cassar Scalia “La salita dei saponari” Einaudi euro 12
[A: 22/05/2021
– I: 19/11/2024 – T: 21/11/2024] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 306; anno: 2020]
VG03
Dopo
solo due mesi dall’ultima lettura (un record per i miei standard) eccoci al
terzo episodio delle avventure di Vanina Guarrasi, vicequestore della Omicidi
di Catania. Come avevo scritto sopra, ne abbiamo visto la produzione
televisiva, con l’ottima interpretazione di Giusy Buscemi. Questo potrebbe
portare qualche “minus” al testo, cosa che invece non succede. Che non sempre
testo e fiction procedono di pari passo e spesso, vista l’età, mi dimentico la
tv. Non certo i libri.
Come
ormai consolidato, le storie seriali si muovono sempre su diversi piani. C’è il
noir che viene portato avanti nel corso del libro, dalla sua nascita alla sua
conclusione, e ci sono le storie dei personaggi ricorrenti, che si
arricchiscono di piccoli o grando episodi durante la trama.
Allora,
iniziamo da questi attori non protagonisti. Ricordo che nella squadra di Vanina
ci sono il suo secondo, Spanò, la poliziotta venuta dal nord, Marta, i tre
tuttofare, Fragapane buono per tutte le occasioni, Nunnari, l’informatico, e Lo
Faro, il giovane problematico. In questo episodio Fragapane e Nunnari fanno da
supporto alle indagini, senza particolare enfasi. Lo Faro continua a fare
errori su errori, cosa che credo prima o poi lo metterà in difficoltà. Marta,
trasferitasi per amore del capo, Tito Macchia, finalmente esce dal suo guscio e
palesa la sua relazione. Spanò invece è invischiato, malamente, nel tentativo
di riconquistare l’ex-moglie, facendo passi falsi che lo pongono in situazioni
poco simpatiche. Vedremo come ne uscirà.
Poi,
c’è il supporto esterno dell’ex-commissario Patané, pronto a dare il suo aiuto
come memoria storica della questura catanese, ruolo che gli servirà per portare
un granello di aiuto alla comprensione finale della vicenda.
Ci
sono gli esterni alla squadra, ovvio. Il medico Manfredi (che a me sta
simpatico) cuoco e biker, che spera di conquistare Vanina, ma per ora si
accontenta del ruolo di buon amico. Ci sono gli amici gay, Adriano e Luca, che
attraversano un periodo di crisi. E c’è Giuli, l’avvocato che spera sempre di
“traviare” Luca, ma che riesce solo a combinare un guaio, che non vi dico, e
che speriamo si risolva nel prossimo episodio.
Infine
c’è la nostra Vanina, con tutto il dolore accomunato dalla perdita del padre,
il rancore verso chi lo ha barbaramente ucciso, ma soprattutto con l’amore
verso il procuratore Malfitano. Da cui però si stacca, avendo paura che Paolo
rimanga anche lui ucciso (infatti, gira sotto una ferrea scorta). Ci sono
momenti di presa e di abbondono fra i due, ed aleggia nell’aria la possibilità
(vedremo anche questa in futuro) che Paolo chieda il trasferimento a Catania.
La
storia in sé ruota intorno alla morte per colpi di pistola di Esteban Torres,
un emigrato cubano prima dei tempi di Fidel, che ha fatto fortuna in America,
che ha poi sposato un’italiana per la cittadinanza, che vive in Svizzera, ma
che ha una relazione duratura anche con una bella siciliana, l’avvenente
Roberta “Bubi” Gerace. La situazione si complica assai quando si scopre che
anche Bubi è morta, in un hotel di Taormina dove aspettava la raggiungesse
Esteban.
I
nostri indagano, ma trovano grosse difficoltà a tenere traccia della complessa
vita di Esteban. Che di sicuro ha anche collusioni con la mafia catanese, ma
che ha anche un buon ritiro sulle pendici dell’Etna, in località Trecastagni,
con una casa inerpicata su di un pendio scosceso, chiamato dal volgo “Salita
dei Saponari” (quella del titolo, ovvio).
Comunque,
qualcosa viene fuori faticosamente. Innanzi tutto, la disinvoltura sessuale di
Bubi, che, pur rimanendo fedele a Esteban nei due mesi all’anno che passano
insieme, nel restante tempo si dedica ad ingaggiare gigolò per il suo piacere
personale. Peccato che uno degli ultimi si chiami Alejandro Torres, e sia
nipote di Esteban, figlio del gemello Juan morto tanti anni prima in America.
Peccato anche che, per via di colpi di fortuna, il giovane Torres capisca che
Esteban ha dei misteri che non vuole svelare. Peccato che sempre lui decida di
venire in Italia per affrontare lo zio.
È
abbastanza facile, e lo si intuisce già dalle battute iniziali, che Bubi sia
morta per un incidente, che, ovvio, è stato provocato da Alejandro. Ma anche se
tutti gli indizi portano a coinvolgere il giovane anche nella morte di Esteban,
c’è qualcosa che ronza nella mente di Vanina e che le fa dubitare di una
soluzione così semplicistica.
Come
detto, sarà un ricordo di Patanè che porterà a collegare lontani fili, seguendo
i quali l’attuale delitto prende colori diversi da quelli aspettati, e porterà
Vanina alla soluzione del caso. Tutto bene (o quasi) anche se (come da classici
feuilleton francesi dell’Ottocento) l’ultima pagina apre un cassetto nuovo che
prelude allo svolgersi del prossimo episodio.
Detto
quindi che il noir è abbastanza prevedibile, rimane di positivo la bella
scrittura di Cristina, i dissidi tra palermitani e catanesi, le descrizioni di
Catania e dintorni, le memorabili mangiate, sia nella trattoria di Nino che a
casa della nostra, ma con i piatti preparati dalla vicina Bettina, le colazioni
di Vanina al bar. Insomma tanti bei punti di contorno che ne fanno un libro
leggero e gradevole da leggere. Motivo del mio gradimento, anche nella speranza
che il futuro ci riservi qualche cosa in più.
Davide
Longo “Le bestie giovani” Einaudi euro 15
[A: 05/09/2021
– I: 07/12/2024 – T: 08/12/2024] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 404; anno: 2018]
Siamo
alla lettura del secondo episodio delle indagini del commissario Vincenzo
Arcadipane e dell’ex-commissario Corso Bramard, pensate e scritte da Davide
Longo, l’ultima che uscì con Feltrinelli prima che, spinto da Baricco e dalla
docenza alla Scuola Holden, passasse armi e bagagli con Einaudi.
Purtroppo,
seppur con alcuni spunti narrativi, questo episodio è anche molto dipendente
dalle avventure descritte nel primo libro. Se non sapessimo già le storie di
Bramard, Arcadipane e Isa Mancini, qualcosa sfuggirebbe dal contesto. Certo,
Longo prova a buttare qua e là informazioni e rimandi. Ma per gustare meglio il
testo dovremmo sapere che Corso è l’ex-capo di Arcadipane, andato in pensione
anticipata dopo che un killer gli ha ucciso madre e figlia (da seguire nella
prima puntata), che ora vive sulle colline piemontesi con la rumena Elena ed i
figli di lei (storia accennata nel primo libro). Dovremmo sapere che Isa, maga
dei computer, è stata parcheggiata in ufficio avendo fatta un casino in una
indagine con sparatoria annessa, che è entrata in polizia perché poliziotto era
anche il padre Elia, ucciso, lei piccola, con un colpo di pistola di Spagna, a
Portbou.
Solo
di Arcadipane veniamo a sapere di più, che in questo libro, a parte le indagini
e la parte “da scoprire”, seguiamo molto della sua vicenda privata. Magari
umanamente interessante, ma che poco apporta al testo. È un poliziotto che
invecchia male, scontento del suo lavoro, con due figli adolescenti con i quali
non si sa rapportare. Soprattutto, non riesce ad avere un buon rapporto con la
moglie, anche se i due sembrano volersi bene. È che a Vincenzo fallisce il
membro virile, e lui, invece di trovare soluzioni con la moglie, cerca aiuto in
una terapeuta di una stranezza estrema. Certo, la terapeuta trova canali per
smuovere il nostro, che forse troverà la strada per tornare ad avere “una
lucentezza nella vita”. Un messaggio da ultime pagine che rimandano ai
possibili successivi episodi.
Comunque,
venendo alle vicende da indagare, tutto inizia dal commissario Arcadipane,
chiamato ad un sopralluogo in una zona di scavi dove viene ritrovato prima un
corpo, poi un altro, e poi altri dieci. Il nostro subodora qualcosa ma le
indagini gli vengono tolte che si blinda il tutto come eccidio dei tempi di
guerra. Il nostro dubita, e (quanto mai fortunatamente) con il femore del primo
corpo indicante una frattura con placca di sicuro posteriore alla guerra, e con
un bottone con la scritta “rifle”, di certo relativa agli anni Settanta,
comincia un’indagine parallela. Ovviamente aiutato da Isa che vuole tornare
operativa.
Ovvio
anche che coinvolga Corso, per condividere i suoi dubbi. E da qui parte,
ricongiungendosi con alcuni brani sparsi su e giù nel testo, una ricostruzione
storica che vede coinvolto Corso in prima persona, quando era un giovane
poliziotto e fu coinvolto in una vicenda che inizia poliziesca e finisce
politica. Che Corso inizia la sua carriera negli anni Settanta, anni di grandi
passioni politiche, e ripercorrendo vicende reali note e un po’ stravolte,
indaga nell’incendio di una sede del MSI, dove, per errore, muore una persona.
C’erano
cinque persone coinvolte nell’attentato. Luciano, l’operaio, passa nelle BR e
viene condannato all’ergastolo per due omicidi. Edoardo ripara qualche anno in
Francia, poi fa il pentito, si laurea ed ora è professore universitario.
Nicole, studentessa universitaria che prepara una tesi su Walter Benjamin, e
Stefano il suo ragazzo-non ragazzo. E l’organizzatore del tutto, di cui si sa
solo il nome di battaglia, Neocle.
Con
quella scrittura che ritengo poco utile al lettore attento, quella che segue
onde temporali senza far capire il quando ed il dove, che mescola capitoli
odierni e passati, vediamo dipanarsi la matassa, vediamo Neocle coinvolgere
Stefano e Nicole in un addestramento paramilitare per lotta armata, vediamo
Neocle che si innamora di Nicole, vediamo Neocle che in realtà è un infiltrato
e lì fa arrestare tutti, vediamo i servizi segreti che li uccidono tutti, meno
Nicole che Neocle fa fuggire. Neocle, storicamente, dovrebbe essere il padre di
Temistocle il grande ateniese. Avrà un senso? A meno che non ci si riferisca al
medico greco dell’antichità, che sosteneva la presenza di due interiora nelle
rane, una vitale ed una mortale. Quasi un doppiogioco.
Tutta
una serie di avvenimenti che adombrano, in via di finzione letteraria, quello
che potrebbe essere (è) successo in quegli anni. Precipitando poi verso un
finale troppo veloce e troppo scontato. Di cui vi ho dato molti indizi da
risolvere incrociandoli. O leggendo il libro.
Ci
sono molti rimandi nel testo, e molte piccole cose che non mi hanno convinto.
Dalla mia frequentazione dei gialli scandinavi noto una somiglianza con
Erlandur ed il suo mentore di Indridason (anche se Erlandur è molto meglio di
Vincenzo). Non mi ha convinto la trama complessiva, che vuole dire e
sottintendere molto, ma non colpisce a fondo come vorrebbe. Né infine mi riesce
a convincere il lancio di Baricco, che ne fa una risposta piemontese a
Camilleri. Mi sembra azzardato ed un po’ fuori centro. Quello che c’è, e su
questo concordo, è un gusto piemontese dei luoghi, sia di Torino, con i luoghi
noti, Porta Palazzo, il Po, Barriera di Milano, la Gran Madre, ed altri angoli
meno frequentati, sia delle colline piemontesi dove si è ritirato Corso.
Ho
in mente di leggere il terzo libro per decidere se proseguire negli altri
episodi, anche se sono un po’ dubbioso.
“Giovanni
è un bel nome.” (29) [non posso che essere d’accordo!]
Maurizio
De Giovanni “Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi” Einaudi s.p. (regalo
di Natale della sig.ra Laura)
[A: 25/12/2024
– I: 27/12/2024 – T: 28/12/2024] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 253; anno: 2024]
È
vero che riesce a chiudere, ed anche abbastanza bene, una parentesi che si era
aperta con il primo volume (“Il senso del dolore” di quasi venti anni fa), ma
tante altre vicende rimangono qui in sospeso. Certo, potrebbe anche avere un
senso lasciare al lettore di proseguire a suo piacimento la prosecuzione della
vita dei personaggi principali, ma può avere anche un altro e non banale
aggancio a future scritture. Magari non immediate, ma possibili.
Intanto,
con la storia siamo arrivati all’estate del 1940, ed i nostri personaggi non
possono prescindere da quanto sta succedendo in Italia e nel mondo. Non solo il
fascismo permea la vita italiana, ma anche l’Italia entra in guerra, con tutti
i guasti che sappiamo ne seguiranno. Noi seguiamo i nostri personaggi, quasi
con una scrittura che porta avanti in parallelo tante piccole e grandi storie.
Quello che manca è l’aggancio con il giallo che, seppur sempre affievolitosi,
aveva comunque caratterizzato tutte le avventure dei nostri.
Il
commissario Ricciardi, con l’intento di proteggere la figlia Marta nonché i
suoceri, dal lontano ma presente legame ebraico, decide di dimettersi dalla
polizia e trasferirsi nella sua tenuta cilentana di Malomonte. Ovvio anche con
l’angelo della casa Nelide. Il dottor Modo rimane nella Napoli in fermento,
così come il brigadiere Maione. Napoli in cui si muove anche la contessa Bianca
e che vede il ritorno (volver…) di Livia dopo il volontario esilio argentino.
È un
canto corale quello che ci propone il nostro amico scrittore. Un canto vero e
proprio quello di Livia che, con il tango “Volver” di Carlos Gardel nella
testa, decide di tornare a Napoli, di cercare l’uomo di cui è innamorata, pur
non ricambiata, finendo sospesa in una non conclusa partenza verso il Sud.
Inciso: se cercate il testo del tango, può essere una guida di lettura ai
comportamenti di Livia.
Nelle
scene ambientate a Napoli seguiamo Modo e le sue frequentazioni con tiepidi o
accaniti antifascisti, descritti senza particolare partecipazione dello
scrittore. Si favoleggia un attentato, si attivano Maione e Bianca per cavare
dagli impicci l’incauto Modo, il quale, alla fine, non troverà meglio che
dirigersi anche lui verso Malomonte.
Lì
seguiamo la parte più sostanziosa del libro. Detto di Nelide che con piglio
militare gestisce la casa e le terre del conte, e che deve risolversi se cedere
o meno alla corte insistente del buon ortolano, su Ricciardi e la figlia si
appuntano le migliori pagine del libro. In particolare, su Marta che non pare
abbia il “dono” del padre nel sentire i morti, ma anche lei sente, ma solo i
vivi, in particolare quelli che non parlano. Era così nel precedente libro con
l’amichetto muto. Ed è così con zi’ Filumena, parente di Nelide, e muta dalla
nascita. Saranno le parole della vecchia che apriranno uno spiraglio nella
storia che attanaglia Ricciardi, dove, con acume insospettato per i suoi sei
anni, sarà Marta ad indirizzarlo verso la soluzione del mistero.
Il
mistero è quello che il nostro commissario si porta appresso dal primo libro.
Quando, a sei anni nel 1906, nella vigna avita, incontra il cadavere di un
villico e ne sente le ultime parole. Da qui capisce la sua peculiarità,
compresa dalla madre e che condividerà solo con Enrica, la moglie morta. Ma le
parole del morto continuano a tornare nella sua mente, anche perché, sembra, il
mistero non si è risolto.
Il
morto era senza particolare mestieri, solo bellino ed alla ricerca di compagnie
femminili. Si dice che l’emigrato Rocco, pensando che insidiasse la moglie, lo
abbia ucciso. Ma perché nella vigna dei Malomonte? Perché se, si dice anche,
non ci fosse nulla di adulterino? Rocco, comunque, massacra di botte la moglie
Annina, uccide o forse no il contadino, poi fugge all’estero dove, pare, morirà
anni dopo. Tra ricerche di Ricciardi, interrogatori velati della gente del
posto, nonché i ricordi muti di zi’ Filumena, ricostruiamo, noi ed il
commissario, i fatti come dovrebbero essere avvenuti. Trovando riscontri,
possibili incroci, relazioni adulterine e tanto altro.
Ricciardi,
alla fine, sembra pacificato, anche se anche qui si potrebbero aprire nuove
strade.
Ci
sono parti superflue nel corso del testo (quella con testimonianze varie mi è
sembrata inutile) e c’è un po’ di stanchezza nella scrittura. De Giovanni si
salva solo perché, nel tempo, i suoi personaggi sono diventati solidi, quasi
abituati a camminare da soli. Lui batte sempre sui soliti tasti (amore, bontà,
solidarietà, rispetto) e noi risuoniamo a questi battiti. Ma, al fine, ci si
aspetta un po’ di più. Speriamo anche noi di volver verso un episodio migliore.
Andrea
Novelli & Gianpaolo Zarini “Acque torbide per l'investigatore Astengo”
Corriere Gazzetta 57 euro 7,99
[A: 03/07/2024
– I: 03/02/2025 – T: 05/02/2025] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 164; anno: 2012]
Del
duo Andrea Novelli & Gianpaolo Zarini avevo letto una quindicina di anni fa
un poco esaltante libro, uscito nei Gialli Mondadori (“Per esclusione”). Ora
torno con la lettura del primo episodio dedicato all’investigatore Astengo
(primo che altri ne sono seguiti). Libro anch’esso datato, ma d’altronde,
purtroppo, il duo si è dovuto sciogliere cinque anni fa, a causa della morte di
Zarini.
Non
ho quindi molte riprove della scrittura della coppia, ma in questo volume
ritrovo alcuni caratteri generali che ne rendono la lettura quanto meno
interessante. Innanzi tutto, come esempio non banale né episodico di una
rivisitazione all’italiana dell’hard boiled americano. Il protagonista,
l’investigatore Astengo, è un lontano nipote dei Marlowe e dei Sam Spade,
magari risciacquato un po’ di volte nel fluido emanato dai film con Humphrey
Bogart.
Astengo
è un lupo solitario, schivo, disilluso, ironico, cocciuto, cinico ed egoista,
nonché fortemente attratto dalle belle donne, specialmente se bionde e fatali.
Un’attrazione che lo ha portato ad uscire dalla polizia per qualche storia non
andata troppo a buon fine. Come i bravi “occhi privati americani”, fuma in
maniera compulsiva ed ha una dieta alimentare fallimentare (sempre a mangiar
fuori, in genere carboidrati ed altri cibi ad alto tasso colesterolico, tanto
che supponiamo abbia una cucina vuota e sappia con difficoltà cuocersi anche
delle uova al tegame).
L’altro
protagonista introdotto dalla coppia di Savona è la città di Genova, a partire
dalla sede investigativa di Astengo, il bellissimo seppur fatiscente palazzo
Doria-Danovaro, sito in piazza San Matteo, dove l’unico elemento di bellezza è,
ovviamente, una sventola di segretaria, Dalia, con cui ebbe una storia, e che
ora concupisce solo con lo sguardo (per ragioni che poco entrano con la storia
stessa). Una segretaria efficiente che un po’ ricorda Della Street (la mitica
segretaria di Perry Mason), un po’ rievoca elementi hard boiled della recente
storia poliziesca americana (la Dalia nera di James Ellroy). E partendo proprio
dal palazzo, risalendo la Salita San Matteo, e perdendosi per i carrugi, che
Genova esce viva dalle pagine del libro. Viva e ferita, che sono le acque che
la lambiscono quelle intorbidite dai veleni, fisici e psicologici, della
narrazione.
Come
tutti i classici hard boiled, tutto comincia da un’indagine che sembra di
routine: una donna chiede ad Astengo di trovare le prove del tradimento del
marito, Luca Tessori, assessore regionale all’ambiente. Un compito facile che
Astengo assolve in poche battute, ma che porta a dei risvolti inaspettati. Un
giornale pubblica le foto compromettenti ricavate dal nostro, che
contestualmente scopre come la donna che lo ha ingaggiato non è la moglie di
Tessori.
Si
apre quindi uno scenario alternativo, dove la vera moglie dell’assessore
ingaggia il nostro per trovare quale sia il bandolo della matassa. Anche
perché, poco dopo i fatti, proprio Tessori viene trovato ucciso. E non sembra
difficile comprendere come il lavoro del morto entri a gamba tesa nelle
indagini. L’assessore all’ambiente cercava prove di inquinamenti o era in
combutta con gli inquinanti per occultarle.
Indagando,
e barcamenandosi tra le varie donne che incontra lungo le indagini, Astengo non
può che andare a sbattere sulla consolidata speculazione edilizia delle nostre
terre, sugli intrecci degli interessi tra la politica e la criminalità, sullo
sfondo dell’inquinamento di una delle più belle coste al mondo. Escono fuori
fabbriche inquinanti di proprietà di Paolo Dominici ex-marito di Monica, ora
moglie (o vedova) di Tessori, con cui aveva generato Marianna, quella che
sembrava l’amante di Luca ma ne era solo la figliastra.
Il
finale è scoppiettante, come ci si aspetta dal genere, ma anche spiazzante,
laddove succedono cose che in fondo non ci si aspettava. Anche se, al solito, i
finali di queste storie italiane sono spesso troppo veloci. Come veloce è la
scrittura in prima persona di tutto il libro, fatta di frasi brevi, dove, ad un
pensiero espresso, segue sempre un punto ed un a capo. Quasi si volesse far
correre lo scritto anche oltre l’azione.
Un
esperimento interessante, di buona se non eccelsa riuscita, cui so essere
usciti altri episodi (che non so se leggerò). Alla fine, scopro anche che
Astengo di nome fa Michele.
Prima
trama di marzo, quindi largo alle menzioni dei diciotto libri letti nell’ultimo
mese del 2024. Dove brillano lo storico romanzo ad incastro di Julio Cortázar,
l’interessante libro-poesia di Anne Carson e la bella e complicata enciclica di
papa Francesco su amore umano e divino. Occupa invece il fondo della scala uno
dei libri di montagna, di Paola Cosolo Marangon, uno dei tanti con
cui non sono entrato in sintonia.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Francisco González Ledesma |
Storia di un dio da marciapiede |
Corriere |
8,90 |
2 |
2 |
Francesco |
Dilexit Nos |
Libreria Editrice Vaticana |
2,90
|
4 |
3 |
Julio Cortázar |
Il gioco del mondo Rayuela |
Repubblica Latinoamericana |
9,90
|
4 |
4 |
Davide
Longo |
Le
bestie giovani |
Einaudi |
15 |
2 |
5 |
Paola
Cosolo Marangon |
La
donna che rincorreva le nuvole |
Repubblica Montagna |
9,90 |
1 |
6 |
Anne Carson |
La bellezza del marito |
La Tartaruga |
18
|
4 |
7 |
Maurizio Blini |
La ragazza di Lucento |
Corriere Gazzetta |
7,99 |
2 |
8 |
Haruki Murakami |
Uomini senza donne |
Corriere |
8,90 |
3,5 |
9 |
Benjamin Labatut |
Quando abbiamo smesso di capire il
mondo |
Adelphi |
18
|
3 |
10 |
Valerio Varesi |
La paura nell’anima |
Repubblica Noir |
8,90 |
1,5 |
11 |
Junko Takase |
Le delizie della signorina Ashikawa |
Repubblica Giappone |
8,90 |
2 |
12 |
Valerio Varesi |
Gli invisibili |
Repubblica Brivido Noir |
8,90 |
2 |
13 |
Fernanda Melchor |
Stagione di uragani |
Bompiani |
17
|
2 |
14 |
Dolores Redondo |
Offerta alla tormenta |
TEA |
13 |
2 |
15 |
Georges Simenon |
Una Francia sconosciuta |
Adelphi |
16
|
3 |
16 |
Maurizio De Giovanni |
Volver |
Einaudi |
s.p.
|
3 |
17 |
Per Olov Enquist |
Il libro di Blanche e Marie |
Iperborea |
17
|
3 |
18 |
Dashiell Hammett |
La chiave di vetro |
Mondadori |
12
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3,5 |
Dagli
autori italiani, passiamo a ricordare alcune frasi tratte da gialli stranieri.
Anche se le prime vengono da un autore poliedrico che ho amato in alcuni suoi
libri, anche se non in tutti. Riporto quindi due frasi di Luis Sepúlveda tratte da “Un nome da
torero”, dove la prima è un memento
sempre attuale:
“Perdere è una questione di metodo [poi
ripreso due anni dopo dall’amico Gamboa per il suo libro]” (20)
“Quando … [sei partito] … non avevi nemmeno
un capello bianco, e ora ti ritrovi con la testa di due colori, come se una
parte fosse un negativo malamente conservato di quello che eri, e l’altra una
copia ancora peggiore di quello che sei” (106)
Finisco
con una fugace immagine di Raymond
Chandler da “Il grande sonno” dove pennella il ritratto che ben si addice
a molti politici del nostro tempo:
“Un uomo grasso, di mezza età, con un paio di
occhi color cielo che si ingegnavano a far passare una mancanza d’espressione
per un’aria amichevole.” (107)
Facendo quindi i doverosi omaggi al mio amico marzolino, mi accingo ad iniziare questo mese con tanti pensieri poco positivi in mente. Guerre che non finiscono, la malattia ancora irrisolta di una grande persona, in fondo ci resta solo l’ottimismo gramsciano, sperando sia sufficiente. Di certo è la base dei miei pensieri verso amici e lettori, accomunati da un grande abbraccio.
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