domenica 2 marzo 2025

Einaudi (più o meno) - 02 marzo 2025

Una settimana dedicata ad alcuni autori dell’enorme scuderia Einaudi, più uno. Buoni, nel complesso, i due libri di Cristina Cassar Scalia incentrati sul vicequestore Vanina Guarrasi (buoni anche per chi ha visto la serie in tv). Discreto, ma mi aspettavo di meglio, l’ultimo (forse) episodio del commissario Ricciardi uscito dall’esimia penna di Maurizio de Giovanni. In tono minore, sia il secondo romanzo di Davide Longo dedicato al duo Bramard – Arcadipane, sia la scrittura in coppia di Novelli e Zarini con il primo episodio dell’investigatore Astengo.

Altri giorni e mesi di compleanni, ma soprattutto, altre settimane di riposo mentale.

Cristina Cassar Scalia “La logica della lampara” Einaudi euro 13

[A: 06/08/2020 – I: 01/09/2024 – T: 03/09/2024] &&& e ½   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 375; anno: 2019]

VG02

Secondo episodio dedicato al vicequestore Vanina Guarrasi prodotto dalla bella penna siciliana di Cristina Cassar Scalia. Come certo sapranno i più, già altri episodi sono stati pubblicati dalle edizioni Einaudi, e molti sono già diventati prede televisive, nell’interessante adattamento che vede come protagonista la bravissima Giusy Buscemi, nonché alcune scelte di sceneggiatura che forse divergono un po’ dall’originale. Per questo, e per quanto possibile, nelle trame e nelle analisi cercherò di dimenticare il resto per concentrarmi sul testo.

Intanto, come tutti i procedural thriller, continua anche in questa seconda tornata l’approfondimento dei vari componenti della squadra. A cominciare da Vanina, sempre burbera, ovvio, ma che capiamo essersi allontanata da Palermo poiché, innamorata del magistrato antimafia Paolo, non riesce a convivere con il senso quotidiano del pericolo che lo circonda. Anche perché ha sempre presente in mente, la morte, per mano di mafia, di suo padre poliziotto.

Si palesano meglio i comprimari. Spanò e la memoria storica del commissariato, Marta la bresciana che finalmente capiamo essersi trasferita in Sicilia per amore, i due agenti Nunnari e Lo Faro, forse ancora un po’ troppo “macchiette” ma si vede che vanno consolidandosi, il commissario capo Tito Macchia, superiore dal volto umano. Ma soprattutto il dottor Watson in pensione, l’ex-commissario Biagio Patanè, che con le sue domande e con le risposte alle domande di Vanina, fa in modo di indirizzare le indagini verso le giuste dimensioni.

Nel contorno para-poliziesco fanno ancora le loro comparse Adriano, il medico legale nonché marito di Luca, e Giulia, l’amica di Vanina, che cerca di convertire Luca all’eterosessualità. Inoltre compare un personaggio nuovo e simpatico, il dottor Manfredi, che sarà motore della vicenda, e comincerà una frequentazione interessante ma forse senza sbocchi con Vanina.

L’avvio della storia è dato da Manfredi che, pescando a lampare con l’amico Sante, vede due uomini buttare a mare una pesante valigia. E da una telefonata che avverte Vannina di un omicidio di una giovane donna. Vanina parte in quarta, ma non si trovano donne morte, e la valigia, ripescata, presenta certo tracce strane, ma non contiene nessun corpo.

Bella quindi l’idea di iniziare un noir sopra una morte senza che sia stato trovato il cadavere. Comunque le tracce lasciate in giro, puntano sul giovane avvocato Lorenza Iannino, che in effetti e scomparsa. Lorenza era diventata il braccio destro di un grande avvocato e faccendiere Elvio Ussaro, che Vanina, grande amante del cinema italiano in bianco e nero, descrive come “la bruttissima copia di Remo Girone nei panni di Tano Cariddi in La Piovra”.

È facile capire che Lorenza era entrata nell’orbita di Ussaro per alcuni motivi privati, che non svelo, e che ora, diventata suo braccio destro, ha in mano molti elementi per incriminare l’avvocato, deve solo trovare il modo di attuare la vendetta schivando le difese di Ussaro che spesso e volentieri era già stato accusato ed assolto. Ma come dirà un suo complice, l’unico modo di colpire una tal roccaforte è accusarlo di un crimine che non ha commesso.

Nasce così tutto il castello del racconto, la corte di Ussaro, con i giovani avvocati al contorno, i mafiosi, le prove che escono fuori della corruzione, la presenza del fratello e della nuora di Lorenza, corsi a Catania per aiutare le indagini, la morte per infarto del fratello dopo una telefonata misteriosa, nonché il ritrovamento del corpo di Lorenza, stuprata, ma morta per uno shock anafilattico da intolleranza di aspirina.

Una bella costruzione di noir, dove ad un certo punto si spiega anche il rebus del titolo, quando si spiega le modalità della pesca con la lampara, con la logica del suo funzionamento. Che la lampara, come dice il nome stesso, è una lampada che si porta sul barchino da pesca. Si accende la luce, non si fa rumore, si sta fermi il più possibile e nel frattempo si armano le reti. Prima o poi anche i pesci meglio nascosti vengono a galla. Ragionate e capite i collegamenti con il romanzo.

Che al solito a me piace, oltre quando c’è un buon impianto giallo, per la descrizione delle città e degli ambienti in cui ci si muove. E qui Catania ne esce benissimo, come i suoi dintorni, in particolare le pendici dell’Etna. Inoltre, ma questo è uno specifico di Vanina, il nostro vicequestore è una buona forchetta. Ed allora via con ravioli alla ricotta, arancini, siciliane fritte (cioè per chi non lo sapesse i calzoni fritti ripieni tipici di Catania), cipolline, cannoli, granite e iris (altro dolce siculo: gnocco fritto ripieno di ricotta). Cioè, ho letto il libro e sono anche ingrassato di almeno mezzo chilo.

Infine, come avevo già notato nel primo libro, anche le ultime pagine alla Victor Hugo, ci invitano a leggere il successivo lavoro. Cosa che, prima o poi, succederà.

“Tu cosa pensi sia giusto … ? Perché questo comanda, nella vita: quello di cui hai bisogno tu per guardarti allo specchio e sapere che non hai nulla da rimproverarti. Che stai facendo tutto quello che puoi perché la tua vita sia il più possibile simile a come la vorresti. Precisa identica … non potrà essere mai. E la maggior parte delle volte non dipenderà da te.” (278)

Cristina Cassar Scalia “La salita dei saponari” Einaudi euro 12

[A: 22/05/2021 – I: 19/11/2024 – T: 21/11/2024] &&&

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 306; anno: 2020]

VG03

Dopo solo due mesi dall’ultima lettura (un record per i miei standard) eccoci al terzo episodio delle avventure di Vanina Guarrasi, vicequestore della Omicidi di Catania. Come avevo scritto sopra, ne abbiamo visto la produzione televisiva, con l’ottima interpretazione di Giusy Buscemi. Questo potrebbe portare qualche “minus” al testo, cosa che invece non succede. Che non sempre testo e fiction procedono di pari passo e spesso, vista l’età, mi dimentico la tv. Non certo i libri.

Come ormai consolidato, le storie seriali si muovono sempre su diversi piani. C’è il noir che viene portato avanti nel corso del libro, dalla sua nascita alla sua conclusione, e ci sono le storie dei personaggi ricorrenti, che si arricchiscono di piccoli o grando episodi durante la trama.

Allora, iniziamo da questi attori non protagonisti. Ricordo che nella squadra di Vanina ci sono il suo secondo, Spanò, la poliziotta venuta dal nord, Marta, i tre tuttofare, Fragapane buono per tutte le occasioni, Nunnari, l’informatico, e Lo Faro, il giovane problematico. In questo episodio Fragapane e Nunnari fanno da supporto alle indagini, senza particolare enfasi. Lo Faro continua a fare errori su errori, cosa che credo prima o poi lo metterà in difficoltà. Marta, trasferitasi per amore del capo, Tito Macchia, finalmente esce dal suo guscio e palesa la sua relazione. Spanò invece è invischiato, malamente, nel tentativo di riconquistare l’ex-moglie, facendo passi falsi che lo pongono in situazioni poco simpatiche. Vedremo come ne uscirà.

Poi, c’è il supporto esterno dell’ex-commissario Patané, pronto a dare il suo aiuto come memoria storica della questura catanese, ruolo che gli servirà per portare un granello di aiuto alla comprensione finale della vicenda.

Ci sono gli esterni alla squadra, ovvio. Il medico Manfredi (che a me sta simpatico) cuoco e biker, che spera di conquistare Vanina, ma per ora si accontenta del ruolo di buon amico. Ci sono gli amici gay, Adriano e Luca, che attraversano un periodo di crisi. E c’è Giuli, l’avvocato che spera sempre di “traviare” Luca, ma che riesce solo a combinare un guaio, che non vi dico, e che speriamo si risolva nel prossimo episodio.

Infine c’è la nostra Vanina, con tutto il dolore accomunato dalla perdita del padre, il rancore verso chi lo ha barbaramente ucciso, ma soprattutto con l’amore verso il procuratore Malfitano. Da cui però si stacca, avendo paura che Paolo rimanga anche lui ucciso (infatti, gira sotto una ferrea scorta). Ci sono momenti di presa e di abbondono fra i due, ed aleggia nell’aria la possibilità (vedremo anche questa in futuro) che Paolo chieda il trasferimento a Catania.

La storia in sé ruota intorno alla morte per colpi di pistola di Esteban Torres, un emigrato cubano prima dei tempi di Fidel, che ha fatto fortuna in America, che ha poi sposato un’italiana per la cittadinanza, che vive in Svizzera, ma che ha una relazione duratura anche con una bella siciliana, l’avvenente Roberta “Bubi” Gerace. La situazione si complica assai quando si scopre che anche Bubi è morta, in un hotel di Taormina dove aspettava la raggiungesse Esteban.

I nostri indagano, ma trovano grosse difficoltà a tenere traccia della complessa vita di Esteban. Che di sicuro ha anche collusioni con la mafia catanese, ma che ha anche un buon ritiro sulle pendici dell’Etna, in località Trecastagni, con una casa inerpicata su di un pendio scosceso, chiamato dal volgo “Salita dei Saponari” (quella del titolo, ovvio).

Comunque, qualcosa viene fuori faticosamente. Innanzi tutto, la disinvoltura sessuale di Bubi, che, pur rimanendo fedele a Esteban nei due mesi all’anno che passano insieme, nel restante tempo si dedica ad ingaggiare gigolò per il suo piacere personale. Peccato che uno degli ultimi si chiami Alejandro Torres, e sia nipote di Esteban, figlio del gemello Juan morto tanti anni prima in America. Peccato anche che, per via di colpi di fortuna, il giovane Torres capisca che Esteban ha dei misteri che non vuole svelare. Peccato che sempre lui decida di venire in Italia per affrontare lo zio.

È abbastanza facile, e lo si intuisce già dalle battute iniziali, che Bubi sia morta per un incidente, che, ovvio, è stato provocato da Alejandro. Ma anche se tutti gli indizi portano a coinvolgere il giovane anche nella morte di Esteban, c’è qualcosa che ronza nella mente di Vanina e che le fa dubitare di una soluzione così semplicistica.

Come detto, sarà un ricordo di Patanè che porterà a collegare lontani fili, seguendo i quali l’attuale delitto prende colori diversi da quelli aspettati, e porterà Vanina alla soluzione del caso. Tutto bene (o quasi) anche se (come da classici feuilleton francesi dell’Ottocento) l’ultima pagina apre un cassetto nuovo che prelude allo svolgersi del prossimo episodio.

Detto quindi che il noir è abbastanza prevedibile, rimane di positivo la bella scrittura di Cristina, i dissidi tra palermitani e catanesi, le descrizioni di Catania e dintorni, le memorabili mangiate, sia nella trattoria di Nino che a casa della nostra, ma con i piatti preparati dalla vicina Bettina, le colazioni di Vanina al bar. Insomma tanti bei punti di contorno che ne fanno un libro leggero e gradevole da leggere. Motivo del mio gradimento, anche nella speranza che il futuro ci riservi qualche cosa in più.

Davide Longo “Le bestie giovani” Einaudi euro 15

[A: 05/09/2021 – I: 07/12/2024 – T: 08/12/2024] && e ½   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 404; anno: 2018]

Siamo alla lettura del secondo episodio delle indagini del commissario Vincenzo Arcadipane e dell’ex-commissario Corso Bramard, pensate e scritte da Davide Longo, l’ultima che uscì con Feltrinelli prima che, spinto da Baricco e dalla docenza alla Scuola Holden, passasse armi e bagagli con Einaudi.

Purtroppo, seppur con alcuni spunti narrativi, questo episodio è anche molto dipendente dalle avventure descritte nel primo libro. Se non sapessimo già le storie di Bramard, Arcadipane e Isa Mancini, qualcosa sfuggirebbe dal contesto. Certo, Longo prova a buttare qua e là informazioni e rimandi. Ma per gustare meglio il testo dovremmo sapere che Corso è l’ex-capo di Arcadipane, andato in pensione anticipata dopo che un killer gli ha ucciso madre e figlia (da seguire nella prima puntata), che ora vive sulle colline piemontesi con la rumena Elena ed i figli di lei (storia accennata nel primo libro). Dovremmo sapere che Isa, maga dei computer, è stata parcheggiata in ufficio avendo fatta un casino in una indagine con sparatoria annessa, che è entrata in polizia perché poliziotto era anche il padre Elia, ucciso, lei piccola, con un colpo di pistola di Spagna, a Portbou.

Solo di Arcadipane veniamo a sapere di più, che in questo libro, a parte le indagini e la parte “da scoprire”, seguiamo molto della sua vicenda privata. Magari umanamente interessante, ma che poco apporta al testo. È un poliziotto che invecchia male, scontento del suo lavoro, con due figli adolescenti con i quali non si sa rapportare. Soprattutto, non riesce ad avere un buon rapporto con la moglie, anche se i due sembrano volersi bene. È che a Vincenzo fallisce il membro virile, e lui, invece di trovare soluzioni con la moglie, cerca aiuto in una terapeuta di una stranezza estrema. Certo, la terapeuta trova canali per smuovere il nostro, che forse troverà la strada per tornare ad avere “una lucentezza nella vita”. Un messaggio da ultime pagine che rimandano ai possibili successivi episodi.

Comunque, venendo alle vicende da indagare, tutto inizia dal commissario Arcadipane, chiamato ad un sopralluogo in una zona di scavi dove viene ritrovato prima un corpo, poi un altro, e poi altri dieci. Il nostro subodora qualcosa ma le indagini gli vengono tolte che si blinda il tutto come eccidio dei tempi di guerra. Il nostro dubita, e (quanto mai fortunatamente) con il femore del primo corpo indicante una frattura con placca di sicuro posteriore alla guerra, e con un bottone con la scritta “rifle”, di certo relativa agli anni Settanta, comincia un’indagine parallela. Ovviamente aiutato da Isa che vuole tornare operativa.

Ovvio anche che coinvolga Corso, per condividere i suoi dubbi. E da qui parte, ricongiungendosi con alcuni brani sparsi su e giù nel testo, una ricostruzione storica che vede coinvolto Corso in prima persona, quando era un giovane poliziotto e fu coinvolto in una vicenda che inizia poliziesca e finisce politica. Che Corso inizia la sua carriera negli anni Settanta, anni di grandi passioni politiche, e ripercorrendo vicende reali note e un po’ stravolte, indaga nell’incendio di una sede del MSI, dove, per errore, muore una persona.

C’erano cinque persone coinvolte nell’attentato. Luciano, l’operaio, passa nelle BR e viene condannato all’ergastolo per due omicidi. Edoardo ripara qualche anno in Francia, poi fa il pentito, si laurea ed ora è professore universitario. Nicole, studentessa universitaria che prepara una tesi su Walter Benjamin, e Stefano il suo ragazzo-non ragazzo. E l’organizzatore del tutto, di cui si sa solo il nome di battaglia, Neocle.

Con quella scrittura che ritengo poco utile al lettore attento, quella che segue onde temporali senza far capire il quando ed il dove, che mescola capitoli odierni e passati, vediamo dipanarsi la matassa, vediamo Neocle coinvolgere Stefano e Nicole in un addestramento paramilitare per lotta armata, vediamo Neocle che si innamora di Nicole, vediamo Neocle che in realtà è un infiltrato e lì fa arrestare tutti, vediamo i servizi segreti che li uccidono tutti, meno Nicole che Neocle fa fuggire. Neocle, storicamente, dovrebbe essere il padre di Temistocle il grande ateniese. Avrà un senso? A meno che non ci si riferisca al medico greco dell’antichità, che sosteneva la presenza di due interiora nelle rane, una vitale ed una mortale. Quasi un doppiogioco.

Tutta una serie di avvenimenti che adombrano, in via di finzione letteraria, quello che potrebbe essere (è) successo in quegli anni. Precipitando poi verso un finale troppo veloce e troppo scontato. Di cui vi ho dato molti indizi da risolvere incrociandoli. O leggendo il libro.

Ci sono molti rimandi nel testo, e molte piccole cose che non mi hanno convinto. Dalla mia frequentazione dei gialli scandinavi noto una somiglianza con Erlandur ed il suo mentore di Indridason (anche se Erlandur è molto meglio di Vincenzo). Non mi ha convinto la trama complessiva, che vuole dire e sottintendere molto, ma non colpisce a fondo come vorrebbe. Né infine mi riesce a convincere il lancio di Baricco, che ne fa una risposta piemontese a Camilleri. Mi sembra azzardato ed un po’ fuori centro. Quello che c’è, e su questo concordo, è un gusto piemontese dei luoghi, sia di Torino, con i luoghi noti, Porta Palazzo, il Po, Barriera di Milano, la Gran Madre, ed altri angoli meno frequentati, sia delle colline piemontesi dove si è ritirato Corso.

Ho in mente di leggere il terzo libro per decidere se proseguire negli altri episodi, anche se sono un po’ dubbioso.

“Giovanni è un bel nome.” (29) [non posso che essere d’accordo!]

Maurizio De Giovanni “Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi” Einaudi s.p. (regalo di Natale della sig.ra Laura)

[A: 25/12/2024 – I: 27/12/2024 – T: 28/12/2024] &&&   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 253; anno: 2024]

Maurizio De Giovanni in più di un’intervista sostiene di aver esaurito la vena di scrittura che lo ha portato a scrivere, in questi anni, quindici episodi delle vicende del commissario Ricciardi. Ovviamente crediamo alle sue parole, anche se la costruzione e lo svolgimento di questo nuovo episodio ce ne fanno dubitare fortemente.

È vero che riesce a chiudere, ed anche abbastanza bene, una parentesi che si era aperta con il primo volume (“Il senso del dolore” di quasi venti anni fa), ma tante altre vicende rimangono qui in sospeso. Certo, potrebbe anche avere un senso lasciare al lettore di proseguire a suo piacimento la prosecuzione della vita dei personaggi principali, ma può avere anche un altro e non banale aggancio a future scritture. Magari non immediate, ma possibili.

Intanto, con la storia siamo arrivati all’estate del 1940, ed i nostri personaggi non possono prescindere da quanto sta succedendo in Italia e nel mondo. Non solo il fascismo permea la vita italiana, ma anche l’Italia entra in guerra, con tutti i guasti che sappiamo ne seguiranno. Noi seguiamo i nostri personaggi, quasi con una scrittura che porta avanti in parallelo tante piccole e grandi storie. Quello che manca è l’aggancio con il giallo che, seppur sempre affievolitosi, aveva comunque caratterizzato tutte le avventure dei nostri.

Il commissario Ricciardi, con l’intento di proteggere la figlia Marta nonché i suoceri, dal lontano ma presente legame ebraico, decide di dimettersi dalla polizia e trasferirsi nella sua tenuta cilentana di Malomonte. Ovvio anche con l’angelo della casa Nelide. Il dottor Modo rimane nella Napoli in fermento, così come il brigadiere Maione. Napoli in cui si muove anche la contessa Bianca e che vede il ritorno (volver…) di Livia dopo il volontario esilio argentino.

È un canto corale quello che ci propone il nostro amico scrittore. Un canto vero e proprio quello di Livia che, con il tango “Volver” di Carlos Gardel nella testa, decide di tornare a Napoli, di cercare l’uomo di cui è innamorata, pur non ricambiata, finendo sospesa in una non conclusa partenza verso il Sud. Inciso: se cercate il testo del tango, può essere una guida di lettura ai comportamenti di Livia.

Nelle scene ambientate a Napoli seguiamo Modo e le sue frequentazioni con tiepidi o accaniti antifascisti, descritti senza particolare partecipazione dello scrittore. Si favoleggia un attentato, si attivano Maione e Bianca per cavare dagli impicci l’incauto Modo, il quale, alla fine, non troverà meglio che dirigersi anche lui verso Malomonte.

Lì seguiamo la parte più sostanziosa del libro. Detto di Nelide che con piglio militare gestisce la casa e le terre del conte, e che deve risolversi se cedere o meno alla corte insistente del buon ortolano, su Ricciardi e la figlia si appuntano le migliori pagine del libro. In particolare, su Marta che non pare abbia il “dono” del padre nel sentire i morti, ma anche lei sente, ma solo i vivi, in particolare quelli che non parlano. Era così nel precedente libro con l’amichetto muto. Ed è così con zi’ Filumena, parente di Nelide, e muta dalla nascita. Saranno le parole della vecchia che apriranno uno spiraglio nella storia che attanaglia Ricciardi, dove, con acume insospettato per i suoi sei anni, sarà Marta ad indirizzarlo verso la soluzione del mistero.

Il mistero è quello che il nostro commissario si porta appresso dal primo libro. Quando, a sei anni nel 1906, nella vigna avita, incontra il cadavere di un villico e ne sente le ultime parole. Da qui capisce la sua peculiarità, compresa dalla madre e che condividerà solo con Enrica, la moglie morta. Ma le parole del morto continuano a tornare nella sua mente, anche perché, sembra, il mistero non si è risolto.

Il morto era senza particolare mestieri, solo bellino ed alla ricerca di compagnie femminili. Si dice che l’emigrato Rocco, pensando che insidiasse la moglie, lo abbia ucciso. Ma perché nella vigna dei Malomonte? Perché se, si dice anche, non ci fosse nulla di adulterino? Rocco, comunque, massacra di botte la moglie Annina, uccide o forse no il contadino, poi fugge all’estero dove, pare, morirà anni dopo. Tra ricerche di Ricciardi, interrogatori velati della gente del posto, nonché i ricordi muti di zi’ Filumena, ricostruiamo, noi ed il commissario, i fatti come dovrebbero essere avvenuti. Trovando riscontri, possibili incroci, relazioni adulterine e tanto altro.

Ricciardi, alla fine, sembra pacificato, anche se anche qui si potrebbero aprire nuove strade.

Ci sono parti superflue nel corso del testo (quella con testimonianze varie mi è sembrata inutile) e c’è un po’ di stanchezza nella scrittura. De Giovanni si salva solo perché, nel tempo, i suoi personaggi sono diventati solidi, quasi abituati a camminare da soli. Lui batte sempre sui soliti tasti (amore, bontà, solidarietà, rispetto) e noi risuoniamo a questi battiti. Ma, al fine, ci si aspetta un po’ di più. Speriamo anche noi di volver verso un episodio migliore.

Andrea Novelli & Gianpaolo Zarini “Acque torbide per l'investigatore Astengo” Corriere Gazzetta 57 euro 7,99

[A: 03/07/2024 – I: 03/02/2025 – T: 05/02/2025] && e ½     

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 164; anno: 2012]

Del duo Andrea Novelli & Gianpaolo Zarini avevo letto una quindicina di anni fa un poco esaltante libro, uscito nei Gialli Mondadori (“Per esclusione”). Ora torno con la lettura del primo episodio dedicato all’investigatore Astengo (primo che altri ne sono seguiti). Libro anch’esso datato, ma d’altronde, purtroppo, il duo si è dovuto sciogliere cinque anni fa, a causa della morte di Zarini.

Non ho quindi molte riprove della scrittura della coppia, ma in questo volume ritrovo alcuni caratteri generali che ne rendono la lettura quanto meno interessante. Innanzi tutto, come esempio non banale né episodico di una rivisitazione all’italiana dell’hard boiled americano. Il protagonista, l’investigatore Astengo, è un lontano nipote dei Marlowe e dei Sam Spade, magari risciacquato un po’ di volte nel fluido emanato dai film con Humphrey Bogart.

Astengo è un lupo solitario, schivo, disilluso, ironico, cocciuto, cinico ed egoista, nonché fortemente attratto dalle belle donne, specialmente se bionde e fatali. Un’attrazione che lo ha portato ad uscire dalla polizia per qualche storia non andata troppo a buon fine. Come i bravi “occhi privati americani”, fuma in maniera compulsiva ed ha una dieta alimentare fallimentare (sempre a mangiar fuori, in genere carboidrati ed altri cibi ad alto tasso colesterolico, tanto che supponiamo abbia una cucina vuota e sappia con difficoltà cuocersi anche delle uova al tegame).

L’altro protagonista introdotto dalla coppia di Savona è la città di Genova, a partire dalla sede investigativa di Astengo, il bellissimo seppur fatiscente palazzo Doria-Danovaro, sito in piazza San Matteo, dove l’unico elemento di bellezza è, ovviamente, una sventola di segretaria, Dalia, con cui ebbe una storia, e che ora concupisce solo con lo sguardo (per ragioni che poco entrano con la storia stessa). Una segretaria efficiente che un po’ ricorda Della Street (la mitica segretaria di Perry Mason), un po’ rievoca elementi hard boiled della recente storia poliziesca americana (la Dalia nera di James Ellroy). E partendo proprio dal palazzo, risalendo la Salita San Matteo, e perdendosi per i carrugi, che Genova esce viva dalle pagine del libro. Viva e ferita, che sono le acque che la lambiscono quelle intorbidite dai veleni, fisici e psicologici, della narrazione.

Come tutti i classici hard boiled, tutto comincia da un’indagine che sembra di routine: una donna chiede ad Astengo di trovare le prove del tradimento del marito, Luca Tessori, assessore regionale all’ambiente. Un compito facile che Astengo assolve in poche battute, ma che porta a dei risvolti inaspettati. Un giornale pubblica le foto compromettenti ricavate dal nostro, che contestualmente scopre come la donna che lo ha ingaggiato non è la moglie di Tessori.

Si apre quindi uno scenario alternativo, dove la vera moglie dell’assessore ingaggia il nostro per trovare quale sia il bandolo della matassa. Anche perché, poco dopo i fatti, proprio Tessori viene trovato ucciso. E non sembra difficile comprendere come il lavoro del morto entri a gamba tesa nelle indagini. L’assessore all’ambiente cercava prove di inquinamenti o era in combutta con gli inquinanti per occultarle.

Indagando, e barcamenandosi tra le varie donne che incontra lungo le indagini, Astengo non può che andare a sbattere sulla consolidata speculazione edilizia delle nostre terre, sugli intrecci degli interessi tra la politica e la criminalità, sullo sfondo dell’inquinamento di una delle più belle coste al mondo. Escono fuori fabbriche inquinanti di proprietà di Paolo Dominici ex-marito di Monica, ora moglie (o vedova) di Tessori, con cui aveva generato Marianna, quella che sembrava l’amante di Luca ma ne era solo la figliastra.

Il finale è scoppiettante, come ci si aspetta dal genere, ma anche spiazzante, laddove succedono cose che in fondo non ci si aspettava. Anche se, al solito, i finali di queste storie italiane sono spesso troppo veloci. Come veloce è la scrittura in prima persona di tutto il libro, fatta di frasi brevi, dove, ad un pensiero espresso, segue sempre un punto ed un a capo. Quasi si volesse far correre lo scritto anche oltre l’azione.

Un esperimento interessante, di buona se non eccelsa riuscita, cui so essere usciti altri episodi (che non so se leggerò). Alla fine, scopro anche che Astengo di nome fa Michele.

Prima trama di marzo, quindi largo alle menzioni dei diciotto libri letti nell’ultimo mese del 2024. Dove brillano lo storico romanzo ad incastro di Julio Cortázar, l’interessante libro-poesia di Anne Carson e la bella e complicata enciclica di papa Francesco su amore umano e divino. Occupa invece il fondo della scala uno dei libri di montagna, di Paola Cosolo Marangon, uno dei tanti con cui non sono entrato in sintonia.

 

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Francisco González Ledesma

Storia di un dio da marciapiede

Corriere

8,90

2

2

Francesco

Dilexit Nos

Libreria Editrice Vaticana

2,90

4

3

Julio Cortázar

Il gioco del mondo Rayuela

Repubblica Latinoamericana

9,90

4

4

Davide Longo

Le bestie giovani

Einaudi

15

2

5

Paola Cosolo Marangon

La donna che rincorreva le nuvole

Repubblica Montagna

9,90

1

6

Anne Carson

La bellezza del marito

La Tartaruga

18

4

7

Maurizio Blini

La ragazza di Lucento

Corriere Gazzetta

7,99

2

8

Haruki Murakami

Uomini senza donne

Corriere

8,90

3,5

9

Benjamin Labatut

Quando abbiamo smesso di capire il mondo

Adelphi

18

3

10

Valerio Varesi

La paura nell’anima

Repubblica Noir

8,90

1,5

11

Junko Takase

Le delizie della signorina Ashikawa

Repubblica Giappone

8,90

2

12

Valerio Varesi

Gli invisibili

Repubblica Brivido Noir

8,90

2

13

Fernanda Melchor

Stagione di uragani

Bompiani

17

2

14

Dolores Redondo

Offerta alla tormenta

TEA

13

2

15

Georges Simenon

Una Francia sconosciuta

Adelphi

16

3

16

Maurizio De Giovanni

Volver

Einaudi

s.p.

3

17

Per Olov Enquist

Il libro di Blanche e Marie

Iperborea

17

3

18

Dashiell Hammett

La chiave di vetro

Mondadori

12

3,5

 

Dagli autori italiani, passiamo a ricordare alcune frasi tratte da gialli stranieri. Anche se le prime vengono da un autore poliedrico che ho amato in alcuni suoi libri, anche se non in tutti. Riporto quindi due frasi di Luis Sepúlveda tratte da “Un nome da torero”, dove la prima è un memento sempre attuale:

“Perdere è una questione di metodo [poi ripreso due anni dopo dall’amico Gamboa per il suo libro]” (20)

“Quando … [sei partito] … non avevi nemmeno un capello bianco, e ora ti ritrovi con la testa di due colori, come se una parte fosse un negativo malamente conservato di quello che eri, e l’altra una copia ancora peggiore di quello che sei” (106)

Finisco con una fugace immagine di Raymond Chandler da “Il grande sonno” dove pennella il ritratto che ben si addice a molti politici del nostro tempo:

“Un uomo grasso, di mezza età, con un paio di occhi color cielo che si ingegnavano a far passare una mancanza d’espressione per un’aria amichevole.” (107)

Facendo quindi i doverosi omaggi al mio amico marzolino, mi accingo ad iniziare questo mese con tanti pensieri poco positivi in mente. Guerre che non finiscono, la malattia ancora irrisolta di una grande persona, in fondo ci resta solo l’ottimismo gramsciano, sperando sia sufficiente. Di certo è la base dei miei pensieri verso amici e lettori, accomunati da un grande abbraccio.

Nessun commento:

Posta un commento