venerdì 1 maggio 2015

Finno-americana - 01 maggio 2015

Una puntata eterogenea, principalmente dedicata da autori americani (di tutta l’America, dal Nord al Sud), con un’interessante diversione verso un autore finlandese a me caro (grazie Emilio). Si comincia dal Nord, dal Premio Pulitzer del 2001 Michael Chabon con un lungo libo che vi curerà dalla smania di voler essere un supereroe. Si scende poi nel Cile di Bolaño (un autore da me molto amato), qui nella sua peggior prova di scrittura. Traversate le Ande, andiamo a trovare l’argentino Soriano con un bel libro dedicato a coloro che non vedono l’ora di festeggiare il loro centenario.  Finiamo con la Finlandia di Paasilinna, con un ottima lepre per curare le crisi della mezza età.
Michael Chabon “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay” BUR euro 12
[A: 04/01/2014 – I: 17/09/2014 – T: 24/09/2014] - &&& e ¾
[tit. or.: The Amazing Adventures of Kavalier & Clay; ling. or.: inglese; pagine: 821; anno 2000]
Un libro interessante, che potrebbe anche aspirare a qualche cosa in più, tra valutazioni e segnalazioni, ma che soffre di qualche pecca poco sanabile. Prima di tutto, la lunghezza che seguire per 800 pagine le straordinarie, fantastiche avventure dei due cugini è impresa non da poco. E secondo, mi domando con che criterio e con quali motivazioni questo libro sia stato premiato con il Pulitzer nel 2001. E terzo, ma in un certo qual modo collegato al primo, Chabon mette molta carne al fuoco, riempiendo il romanzo di molti spunti a loro volta degni di trattazione propria. Non parlo comunque degli “intarsi” (così li definisco io) in cui le storie pensate dai nostri irrompono e si mescolano sulla scena. Il libro, visto nella sua globalità, e nello spirito del premio ricevuto, è una saga del modo di vivere americano, ed un omaggio ad un settore produttivo, quello dei “comics” che proprio dell’americanità è stato un campione ed un esempio. Ho di proposito usato il termine americano, piuttosto che il nostro “fumetti”, che induce una visione riduttiva del fenomeno e della diffusione che l’utilizzo del disegno e della scrittura combinati hanno avuto in America, ed hanno poi diffuso in tutto il mondo. Certo, potremmo dire che un po’ ovunque, in Italia come in Giappone o soprattutto in Francia, hanno avuto vita propria ed un loro percorso anche differente. Qui Chabon, prende lo spunto nel narrare la vita di due cugini dediti appunto ai fumetti, per parlarci, con capacità, di uno spaccato americano che potremmo individuare dal ’39 al ’54. Quindi anni di fuoco, per quella che venne etichettata come “L’età d’oro dei supereroi”. Che nasce nel ’38 con l’irruzione sulla scena di Superman e finisce con le tristi audizioni della commissione McCarthy per le attività anti-americane. La storia è seguita attraverso le vicende di due cugini: Sam Clay e Joe Kavalier. Il primo vive da anni in America, diciamo vivacchia, barcamenandosi tra piccoli lavoretti e idee grandiose. Joe invece sta a Praga. Qui seguiamo tutta la prima storia: Joe è ebreo, c’è l’invasione della Cecoslovacchia, tutte le repressioni che iniziano verso gli ebrei, Joe che ha il mito di Houdini, ha un maestro che gli insegna vita e prestigitazione, tenta di emigrare legalmente, ed inutilmente, poi fugge dentro una finta bara che dovrebbe contenere il mitico “Golem” di Praga. E questa del Golem è tutta una storia a sé, che percorre inizio e fine del romanzo, forse funzionale per il ricongiungimento con le radici ebraiche e con i miti del Vecchio Mondo, ma che a me personalmente ha lasciato decisamente freddino. Joe arriva alla fine a New York, e Sam scopre le sue doti sia di mago che di disegnatore. Sam invece ha una testa piena di storie, e Chabon ce ne racconta brani, ogni volta immergendoci in situazioni di avventure, di intrecci ed altro. I due allora tentano (e con successo) di proporre le loro idee ad un editore di giornali popolari. Nasce così “L’Escapista”, un supereroe che, sfruttando le sue doti alla Houdini, comincia a lottare contro le forze del male. Qui c’è la parte migliore del libro, dedicata alla vita bohèmienne in minore dei grafici degli anni Quaranta. Lì a disegnare, a ripassare a china, a proporre ed a vendere e con successo le loro storie. La vita dei due cugini scorre così in parallelo, con Sam che, pur non accettandola fino in fondo, scopre la sua omosessualità. E Joe che fa di tutto per aiutare i parenti in patria, per farli emigrare, prendendo a pugni tutti i tedeschi che vivono a New York. Non è facile seguire tutte le vicende che si intersecano a questo punto. I fatti salienti, mentre prosegue la vicenda della scrittura dei comics, sono l’incontro di Joe con Rosa, ed il loro amore, il tentativo, abortito, di Sam di vivere la sua sessualità, la ricerca di far espatriare il fratello di Joe, su di una nave che i tedeschi affondano, la crisi di Joe che decide di arruolarsi e combattere, non dando più sue notizie per anni, la nascita del figlio di Rosa e Joe (ma Joe non lo sa), la vita di Joe nelle basi polari, la sua guerra privata, il matrimonio di facciata tra Sam e Rosa, il piccolo Tommy che cresce. Nella parte finale, assistiamo alla crisi del mondo dei fumetti nel dopoguerra, al tentativo di reinventarli, alla vita quotidiana di Rosa, Sam e Tommy, al ritorno sulla scena, dopo dieci anni, di Joe. Ed alle agnizioni finali. Nonché alla chiusura di alcune riviste perché “contrarie allo spirito americano”. C’è tutto il tempo per vedere come cresce Tom, come si riavvicinano Tom e Joe, prima, e poi Joe e Rosa, e come Sam fa delle scelte, e via discorrendo per tutte le lunghe pagine del romanzo. Quello che esce fuori è un inno d’amore verso i “comics”, al quale, per la mia storia personale di lettore non posso che associarmi alla grandissima, uno spaccato sulla vita degli ebrei americani, dai rapporti tra loro a quelli con i genitori (e mi viene sempre in mente la mamma ebrea dei film di Woody Allen), la nascita dei sogni americani (se sai fare, sfonderai nella vita, la villetta a schiera dei benestanti, i neri che non sono ancora non dico integrati ma neanche considerati). Insomma un libro complesso nella sua struttura, gradevole e stimolante nelle sue idee, leggermente prolisso per una riuscita vincente su tutta la linea. Seppur letto con fatica nelle notti settembrine, prendetelo anche voi in considerazione, magari per un’estate sotto l’ombrellone. Piccola notazione per le traduttrici: se si parla dei Dodgers di Brooklyn stiamo parlando di football non di calcio!!
“Di solito evitavano di porsi domande come: È normale comportarsi come facciamo noi? Oppure: Che senso hanno le nostre vite?” (727)
Roberto Bolaño “Anversa” Sellerio euro 9
[A: 01/07/2014 – I: 23/10/2014 – T: 25/10/2014] - &   
[tit. or.: Amberes; ling. or.: spagnolo; pagine: 131; anno 2002]
Prefazione necessaria ed immancabile: sono un ammiratore di Bolaño, ne ho letto molto (ovviamente non tutto, che gli ultimi libri pubblicati sono onerosi in pagine e costi), quindi sono un tramatore sicuramente di parte. Motivo per cui il libricino solitario che campeggia su questa prova dell’autore cileno è più che significativo. È un libro che ho preso primo perché di Bolaño e secondo perché inserito in una delle mie liste di acquisto in quanto suggerito dal numero 150 del supplemento di libri di Repubblica. Ed è un libro che decisamente non mi è piaciuto. È anche un libro particolare, perché è il primo scritto dall’autore nel 1980, quando, esule ventisettenne, si aggirava per la Spagna post-franchista. Ed è stato l’ultimo pubblicato in vita, nel 2002, poco prima dell’improvvisa scomparsa di Bolaño. Sono infatti d’accordo con una frase scritta dall’autore in una sorta di prefazione, dove dice che, se lo avesse portato ad un editore appena scritto, nessuno lo avrebbe pubblicato. Poi, dopo venti anni di libri con un discreto successo di pubblico ed uno, ottimo, di critica, non si poteva rifiutarne l’uscita. Infatti, è una sorta di big bang dell’universo dello scrittore, dove compaiono in nuce molti degli elementi che ne andranno caratterizzando la scrittura. Ma è anche frammentario con questi suoi 56 capitoli senza una strutturazione interna che li leghi coerentemente. Ci sono figure che compaiono ripetitivamente, ma soprattutto ci sono quegli elementi che saranno marchi della sua opera successiva (crimini e campeggi, poeti e vagabondi, sesso e amore, disadattati e poliziotti corrotti). Secondo una nota dell’autore, la maggior parte del testo venne composto mentre l’autore lavorava come guardiano notturno presso il camping ”Estrella de Mar” a Castelldefels. I 56 capitoli vagano come detto (e vagano nel contenuto e nella scrittura) tra elementi disparati. C’è un poliziotto che si perde tra Castelldefels e Barcellona, una giovane dai capelli rossi che si perde in un campeggio, un paio di ambigui omicidi, un gobbo vagabondo che vive in una foresta, la proiezione di un film nella stessa foresta, scene sadomasochistiche che improvvisamente appaiono ed altrettanto di colpo spariscono, ed altre stranitudini. E non solo i personaggi vagano e variano, anche il narratore a volte è lo stesso Bolaño, altre si mescola e si perde. Altro elemento caratteristico è il titolo che viene dato ad ogni capitolo, che riprende una parola o una frase del testo. Vediamo di dare allora un elemento di analisi, come ci viene suggerito dalla postfazione del traduttore e curatore italiano Angelo Morino (postfazione senza la quale sarebbe scomparso anche quel misero libricino di commento). Il titolo del libro, viene dal capitolo 49 (intitolato appunto “Anversa”) e che presenta una serie di frasi sconnesse come se fossimo ad un bar e sentissimo tante conversazioni concomitanti, di cui una è dedicata alla città olandese che riporta: “Ad Anversa un uomo è morto perché la sua automobile è stata schiacciata da un camion di porci”. Una frase assolutamente non legata a null’altro, nel capitolo e nel libro (appunto come si diceva l’opera frammentaria), ma coerente con la visione complessiva che Bolaño ha del mondo e della scrittura, se è vero che nel penultimo libro pubblicato (quello appena prima di questo), dal titolo “Una novella proletaria”, mette in epigrafe la seguente frase di Antonin Artaud: “Chiunque si occupa di letteratura è un porco”. Capite bene con questo interlacciamento quanto complicato non solo sia leggere il testo, ma andare oltre le parole e legarle tra loro. I suoi successi maggiori, come “I detective selvaggi” o “2066” sono venti o trenta volte più lunghi di queste pagine. Ma lì la lettura vola leggera, qui bisogna avanzare a passo di lumaca, ogni volta fermandosi e schivando le parole, laddove le frasi sfrecciano sopra la tua testa come proiettili. Ripeto, non sono pentito di averlo comperato e letto, sono convinto che comprerò altro dell’autore che mi incuriosisce anche con questa scrittura contorta, anche con questa illeggibilità. Per questo, nel mio commento pubblicato online, di stelle ne ho date cinque, perché amanti di libri ed esternatori lo comprino e portino il loro contributo all’attuale vita dei due figli dello scrittore. Per me, per il grado di lettura, il commento è quello che ho riportato in alto.
“Pascal: Quando considero la breve durata della mia vita, assorbita dall'eternità che la precede e da quella che la segue, il piccolo spazio che occupo e che vedo, inabissato nell'infinita immensità degli spazi che io ignoro e mi ignorano, sono terrorizzato e stupito di vedermi qui piuttosto che lì, perché non vi è alcun motivo di essere qui e non là, ora e non in un tempo diverso.” (15)
Osvaldo Soriano “Un’ombra ben presto sarai” Einaudi euro 11,50
[A: 12/03/2014 – I: 09/11/2014 – T: 12/11/2014] - &&&&   
[tit. or.: Una sombra ya pronto serás; ling. or.: spagnolo; pagine: 230; anno 1990]
Una sorta di Jack Keruac in salsa argentina. Si poteva chiamare “En la ruta”, ma senza gli eccessi nordamericani. Riprendo ancora una volta in mano Soriano, dopo il lontano “Triste, solitario y final”, ed ancora una volta ritrovo i motivi per cui mi piacciono gli argentini più di altri scrittori sudamericani. C’è quella tristezza di fondo che non guasta (che serve a mitigare i facili entusiasmi), c’è un sano realismo (contrapposto a quelle figure immaginifiche che tanto vanno di moda nel periplo brasil-messicano). Insomma, pur dove c’è fantasia, io intravedo in controluce la realtà del mondo. Fu così con Borges (e con i suoi epigoni alla Bioy-Casares) ed è così con Soriano (ed aspetto di leggere i suoi scritti sul calcio per avere un panorama completo, che con il primo libro si era nel cinema e qui nella letteratura). Per questo, inoltre, ritengo questo libro anche un libro intrinsecamente argentino, un libro che è strettamente legato al tango e al truco. Il secondo (più brevemente) è un gioco di carte di cui sono malati i porteñi, che poco conosco, ma che è legato anche a scommesse su quello che si può vincere e sulle quantità della vincita. E non solo, poiché una parte del libro è dedicata all’ipotesi di un tentativo di truffa che mettono in piedi il protagonista con il sodale Coluccini proprio con il gioco del “truco”. Ma c’è anche una specie di balletto ideale, dove si usano le parole del “truco”, solo per sottolineare dei momenti del romanzo. Ci sono diversi “envido” (inviti, nel truco, per aumentare la posta) e ci sono alcuni “falta” (dove ci si tira indietro). Probabilmente un esperto di “truco” potrebbe decifrarlo meglio. Il primo è strettamente legato al titolo ed all’andamento della storia. Perché la storia è triste come un tango (dove c’è sempre qualcuno che si lascia, a volte per riprendersi ma anche no), e come un tango si avvolge su se stessa. Come una specie di libro circolare, che inizia con il protagonista che scende da un treno in un imprecisato punto dell’Argentina, e che finisce, dopo balli e peripezie, con il nostro che si mette seduto in una stazione che forse non esiste più, ad aspettare un treno che forse non passerà mai. Ed è un tango già nel titolo, legato ad uno dei tre tanghi più famosi al mondo “Caminito”. Talmente bello e famoso, che mi sono sentito in dovere di aggiungere un’appendice a questa trama, solo per parlare di “Caminito”. Un tango dove si parla di una stradina (caminito) e per tutto il libro (come detto all’inizio) siamo “en la ruta”. Un tango dove qualcuno si è lasciato e qualcuno, presto, si metterà in viaggio verso altrove. Nel libro non si parla di un amore in senso stretto (anche se la scena di sesso nella Citroen che va alla deriva nel corso d’acqua è da antologia), ma certo di un amore filiale, che il nostro ha lasciato in Europa una figlia, con cui comunica tramite assurdi fermo-posta nel mezzo del nulla. Il protagonista, poi, è sempre in viaggio. Perché lascia l’Europa da tecnico informatico per tornare in patria, ora che sono stati cacciati i militari, ora che (forse) si potrebbe respirare un’aria nuova, un nuovo modo di essere “todos juntos”, e non sempre in lotta. L’illusione è breve, ed allora si fugge da Baires, così come suggerisce anche il Caminito, ci si avvia nella pampa. Benché qualcuno parli di Commedia, dantesizzando il nostro Osvaldo, i vari Virgili che incontra sono comunque degli esempi classici e puntuali di mondi e di situazioni. C’è Lem che cerca la fortuna da avventuriero, convincendo il nostro che c’è la possibilità di sbancare un casinò, che vince e perde somme ingenti, ma che, lasciato da affetti momentanei, perso dentro la sua Jaguar, prenderà subito la via del caminito (e leggete l’allegato per aver più chiarezza). C’è Nadia, la cartomante che inventa le storie, ma che le azzecca ad ogni richiedente, e si allontana dai posti con la sua Citroen stravecchia e piena di alimenti con i quali i rustici la pagano, che solidarizza con il nostro, a cui da (a lui ed anche a Lem) dritte per i loro futuri. Indovinate chi li segue e chi no! C’è Coluccini, l’improbabile imbonitore, l’uomo che ha venduto il suo circo, che ha lasciato andare moglie e figli con un altro che avrà senz’altro miglior fortuna, il funambolo dei fili dai quali casca sempre alla fine, quello che organizza truffe, ma che finisce truffato, deriso e solo. Ma lui è il clown, quello triste dalla faccia allegra, quello che poi, alla fine, risorge da tutte le cadute. E se ne andrà, sulla sua Gordini, lasciando il nostro solo, alla fine, in quella stazione del treno che non passerà mai. Faccio un inciso “colto” come son io: Coluccini chiama il nostro con il soprannome di Zàrate, che è anche la città di un grande pilota automobilistico argentino, Onofre Agustín Marimón, che correva in formula 1 nei primi anni ’50, quando una delle macchine di punta, anche se non sorretta da una grande casa, era appunto la Gordini. Tornando allo scrittore, anche qui c’è la grande metafora di tutti noi, sconfitti dalla vita, ma irriducibili nell’andare avanti. Anche noi siamo come il protagonista. In fondo, non cerchiamo facili vie d’uscita come Lem, né cerchiamo di imbrogliare come Coluccini. No, noi si cerca di andare avanti, rimanendo sempre fedeli a noi stessi, forse sconfitti, ma mai, ripeto, mai, con dei rimpianti per aver negato il nostro essere, per esserci piegati alle altrui volontà, per aver vissuto una vita denaturata. Non tutto Soriano è bello, non tutto avvince, ma ne ho gradito la lettura, spinto dalle dottoresse libropeute, per leggere questo libro consigliato a chi raggiunge le soglie del secolo.
“Non sapevo dove stessi andando ma almeno volevo capire il senso del mio viaggio.” (3)
“C’è un momento per ritirarsi prima che lo spettacolo diventi grottesco… Quando uno è sulla pista lo capisce. Magari il pubblico applaude come impazzito ma uno, se è un vero artista, lo sa.” (204)
Arto Paasilinna “L’anno della lepre” Iperborea euro 13 (in realtà, scontato a 9,75 euro)
[A: 05/06/2014– I: 13/11/2014 – T: 15/11/2014] - &&&&  
[tit. or.: Jäniksen vuosi; ling. or.: finlandese; pagine: 200; anno 1975]
Se non avessi letto “Piccoli suicidi tra amici” (ancora grazie, Emilio) non avrei avuto una così alta ed intensa partecipazione a questo libro (uno dei primi) del grande scrittore finlandese. Durante un viaggio in macchina con un suo collega Vatanen investe un leprotto; l'animale benché ferito ad una zampa posteriore riesce a scappare ed a nascondersi tra l'erba di un piccolo campo poco distante dalla strada. Vatanen scende dall'auto e trovata la lepre, ormai immobile per la frattura all'arto, la prende in braccio. E da quel momento, come toccato dalla magia della natura, Vatanen si lascia andare, abbandona la moglie, il lavoro e il caos della civiltà per iniziare un lungo viaggio all'interno della natura più incontaminata, sicuramente molto familiare all'autore, il quale prima di affermarsi come scrittore faceva il guardaboschi. E come per i “suicidi”, il bello ed il buono del romanzo sono nei mille incontri, nei mille piccoli bozzetti di personaggi, talvolta buoni, talvolta meno, e pur tuttavia emblematici del modo di vivere finlandese.  Non a caso, Arto, qui e nei suoi migliori libri, è l’ideatore di quel filone di letteratura che andrà sotto il nome di “umorismo ecologico”. Per tutto il romanzo, seguiamo Vatanen e la sua lepre partire da Heinola, e continuare il loro viaggio visitando Mikkeli, Kuopio, Nurmes Sonkajärvi, Kuhmo, Posio, Rovaniemi e Sodankylä (e che poesie rievocano questi nomi ignoti). Sconfinerà anche in Unione Sovietica, per alcune avventure estranianti, per poi completare il cerchio tornando a Helsinki. Cercando di prendersi cura della sua lepre, inoltre, Vatanen impara a poco a poco a comunicare con la natura. Il suo incontro con la natura si riflette anche in alcuni episodi: una lotta contro un grande incendio nei boschi, l’assistenza al parto di una vacca, farsi assumere come boscaiolo, lottare per salvare il suo pasto assalito da un corvo vorace. La sarabanda di incontri tra folli e casuali raggiunge i suoi punti magistrali con le discussioni con l’ex Commissario Hannikainen, convinto che nel 1968 il presidente simbolo della Finlandia, Urho Kekkonen sia stato sostituito da un sosia. E poi il parroco Laamanen di Sonkajärvi, che distrugge la sua Chiesa a colpi di fucile per cacciare il leprotto di Vatanen. E Kurko un suo collega boscaiolo, un po’ bracconiere, un po’ imbroglione, che vende illegalmente rottami di materiale militare abbandonato dai tedeschi in ritirata durante la Guerra della Lapponia. O Kaartinen, l’esaltato dei boschi, che riprende le credenze delle antiche religioni arboricole finlandesi e cerca di sacrificare il povero leprotto. Dopo un episodio in cui mette in ridicolo le forze armate finlandesi, e punteggiato dall'attacco di un orso, Vatanen si sveglia in compagnia della giovane Leila, con la quale, da ubriaco, si era fidanzato. Ma non è un incontro sterile, che anche Leila è orientata ecologicamente. E dopo una caccia all’orso, che lo porta a sconfinare ed essere arrestato oltre cortina, al suo ritorno nelle patrie galere, lui, la lepre e Leila, fuggono e fanno perdere le loro tracce. Uno dei momenti “alti” dell’eco-umorismo di Paasilinna si ha a pagina 187, dove le autorità finlandesi fanno l’elenco dei reati da lui commessi, in pratica quasi un riassunto del libro. E noi vediamo come le autorità, la burocrazia e l’insipienza possano travisare i fatti, presentarli sotto luci improbabili. Insomma, in una specie di sommario il nostro scrittore decritta il libro, e ce ne fa meglio apprezzare i pregi. Certo, è un libro datato (scritto nel 1975, nel pieno del terzo ed ultimo mandato presidenziale di Kekkonen), ed è anche un libro molto finlandese (con quel luteranesimo dei paesi scandinavi, per cui non si beve durante la settimana, ma ci si ubriaca il venerdì, per poi essere riaccompagnati a casa da un tassista). A me dispiace averlo scoperto tardi, ma ritengo che possa valere uno sforzo di lettura. Ed anche uno sforzo di viaggio, che Helsinki e la Finlandia presentano comunque interessanti lati da scoprire. Vi lascio quindi alle peripezie di Vatanen, (riportando in allegato il farsesco “riassunto”) con la sua “lepre bianca” (questo sarebbe il nome italiano del “Lepus timidus”) e la sua ecologia ante-litteram (e se il mio amico Ciccio non lo ha letto, gliene consiglio vivamente un ripasso).
Puntata anche “speciale” in quanto non domenicale, benché festiva (buon primo maggio a tutti). Ed in quanto prima uscita maggiolina, con l’elenco dei libri letti in febbraio. Dieci ottimi libri, in generale. A parte il non gradito Bellow (e ci si tornerà), ma con quattro libri da non perdere: delle due autrici Barbara Comyns e Elizabeth Taylor e dei due autori Chaim Potok e Alain De Botton (ed anche su questi torneremo presto).

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Barbara Comyns
I miei anni a rincorrere il vento
BUR
10
4
2
Madhumita Mukherjee
The other side of the table
Fingerprint
3
2
3
Paul Torday
Pesca al salmone nello Yemen
LIT
9,90
3
4
Banana Yoshimoto
Andromeda Heights
Feltrinelli
11
3
5
Banana Yoshimoto
Il dolore, le ombre, la magia
Feltrinelli
s.p.
3
6
Elizabeth Taylor
Angel
Beat
9
4
7
Saul Bellow
Il re della pioggia
Mondadori
9,50
1
8
Chaim Potok
Il mio nome è Asher Lev
Garzanti
13
4
9
Alain De Botton
Come Proust può cambiarvi la vita
Guanda
10
4
10
Arturo Pérez-Reverte
Capitano Alatriste
Il Saggiatore
s.p.
2

Stranamente (o forse no), dopo il lungo viaggio andino, ci si sente ancora legati a quel Sudamerica tutto sommato che a me non dispiace. Ma ora, si viaggerà poco in questo maggio forse meglio dedicato all’Italia. A tutti, arrivi grande
un bacio
Giovanni

Allegato 1 - CAMINITO
Caminito que el tiempo ha borrado,
que junt
os un día nos viste pasar,
he venido por última vez,
he venido a contarte mi mal. 

Caminito que entonces estabas
bordado de trébol y juncos en flor,
una sombra ya pronto serás,
una sombra lo mismo que yo.
 
Desde que se fue
triste vivo yo,
caminito amigo,
yo también me voy.
 
Desde que se fue
nunca más volvió.
Seguiré sus pasos...
Caminito, adiós. 

Caminito que todas las tardes
feliz recorría cantando mi amor,
no le digas, si vuelve a pasar,
que mi llanto tu suelo regó.
 
Caminito cubierto de cardos,
la mano del tiempo tu huella borró...
Yo a tu lado quisiera caer
y que el tiempo nos mate a los dos.
Stradina che il tempo ha cancellato,
che insieme un giorno ci hai visto passare,
sono venuto per l'ultima volta,
sono venuto a raccontarti il mio dolore... 

Stradina, che allora eri
costeggiata di trifoglio e di giunchiglie in fiore,
un'ombra ben presto sarai,
un'ombra come me...

Da quando se ne è andata,
triste io vivo;
stradina amica,
anch'io me ne vado... 

Da quando se ne è andata,
non è tornata più;
seguirò i suoi passi...
Stradina, addio!...

Stradina, che tutte le sere
percorrevo felice cantando il mio amore,
non dirle, se torna a passare,
che il mio pianto la tua terra ha bagnato. 

Stradina ricoperta di cardi,
la mano del tempo la tua orma ha cancellato;
al tua fianco io vorrei cadere
e che il tempo ci uccida tutti e due.

Allegato 2 - RIASSUNTO IMMAGINARIO DELL’ANNO DELLA LEPRE
Le accuse dei “ridicoli” sovietici che ci fanno scoprire il “viaggio” di Vatanen.

Vatanen è stato accusato 1) di adulterio, 2) di aver ingannato le autorità per non aver segnalato un cambiamento di indirizzo, quando in estate aveva 3) abbandonato la casa coniugale. 4) È stato quindi accusato di vagabondaggio. 5) Vatanen aveva tenuto un paio di giorni un animale selvatico in suo possesso, senza autorizzazione. In Nilsiä (6) Vatanen aveva illegalmente pescato con la fiocina insieme ad un tal Hannikainen senza licenze di pesca; 7) nel corso di un incendio boschivo, aveva violato la legge consumando bevande alcoliche distillate illegalmente, 8) Inoltre, durante lo stesso incendio, Vatanen aveva trascurato le sue mansioni per ventiquattro ore per consumare alcool con un uomo di nome Salosensaari; 9) a Kuhmo, Vatanen aveva profanato un defunto; 10) nel villaggio di Meltaus, Vatanen è stato coinvolto nel trafugamento e nella vendita illegale di un bottino di guerra tedesco; 11) a Posio, Vatanen aveva torturato un animale 12) al Ruscello-del-Cacchio aveva malmenato un maestro di sci di nome Kaartinen; inoltre 13) Vatanen aveva omesso di informare le autorità in tempo per la presenza di un orso nella zona delle Gole-Ansimanti, a Sompio; 14) ha preso parte ad una illecita caccia all'orso, senza il porto d’armi: 15) aveva partecipato, senza invito formale a una cena organizzata dal Ministero degli Affari Esteri; 16) aveva fatto curare la sua lepre in un istituto di ricerca pubblico a Helsinki senza pagare le tasse corrispondenti; aveva inoltre (17) malmenato nel bagno di un ristorante di Helsinki il Segretario della Federazione Giovanile del Partito Conservatore; 18) aveva guidato una bicicletta in stato di ebbrezza, sulla strada per Kerava; 19) si è fidanzato, essendo ancora sposato, con una tale Leila Heikkinen; Vatanen era ancora (20) recidivo avendo di nuovo cacciato un orso senza il porto d’armi; e 21) nel corso della caccia, aveva oltrepassato il confine tra la Finlandia e l'Unione Sovietica, senza passaporto e senza visti; era allora colpevole dei fatti che aveva confessato (22) alle autorità sovietiche.

Nessun commento:

Posta un commento