domenica 5 febbraio 2012

Ancora in Italia - 14 marzo 2010

Una nuova tornata di scritti italiani, che di sicuro mi hanno preso e di cui ho letto con piacere. Certo, non tutto allo stesso livello, con i soliti alti e bassi. Lì dove per esempio mi aspettavo qualcosa in più dallo scritto della Mastrocola che (a parte i torinesismi) a volte è un po’ esile ed anche qualcosa in più quando (anche di striscio) ci si imbatte in Maigret, che da sempre è un mio nume nel cassetto. E forse qualcosa in meno dai racconti del primo libro, che sempre mi lasciano in bocca qualcosa di irrisolto, ma che, qui, hanno un loro perché.
Incominciamo allora proprio dai racconti.
Paolo Cognetti “Una cosa piccola che sta per esplodere” Minimum Fax euro 10 (in realtà, scontato 8 euro)
Non mi ricordo perché avevo scelto questo giovane autore italiano, ma ora che l’ho letto sono contento di averlo fatto. Certo sono racconti, un genere che a volte mi lascia perplesso. Ma sono scritti bene, anche con cattiveria a volta. In generale, tutti incentrati in qualche modo nel rapporto figli-genitori (e non a caso ai suoi genitori è la dedica finale?), inconsapevolmente inseriti forse in un filone una volta minimalista, di quello che poi lascia qualcosa nell’aria e sembra non avere un inizio ed una fine. Ma ben lo spiega nel racconto da cui la frase del titolo (frase dedicata ad una bimba che seguiamo crescere e che si chiama Mina) che non è detto che un racconto deve avere una fine. Mina ne scrive a frotte sulla figura del padre scomparso con una fantasia bella (racconti nei racconti) e che rimagono anche loro sospesi. Certo l’inizio mi aveva preso lo stomaco (letteralmente) quando si cerca di tracciare momenti di vita in una clinica per ragazze anoressiche. Poi prende quota, con la storia del rapporto tra il figlio ribelle ed un padre non padrone, ma che vorrebbe vedere il figlio in qualche sorta di sistemazione. Con l’angoscia interiore del figlio che, pur ribelle, si accorge che tante cose del padre sono dentro di lui (ed io me ne sono accorto non a trenta ma a cinquanta di anni). In mezzo la storia di Mina, anch’essa dura e crudele, con quell’irrisolto rapporto con il padre che perde tutto al gioco e scompare. Lì dove dovrebbe scomparire il padre del quarto racconto, mentre il bambino prende coscienza di sé e della natura. E nelle pennellate finali, di un ricordo di madre di cui non si sa perché si ricorda (è morta? È fuggita?) ma tocca qua e là le corde di un pensare che in fondo i propri genitori non li conosceremo mai: cosa facevano da giovani? Cosa facevano quando andavano a scuola? I loro rapporti con gli altri quanto sono uguali/diversi dei nostri rapporti con il mondo esterno? Insomma, mi è piaciuto.
“stai vicino a tua madre… sa di non essere stata una brava mamma, ma non si vede quanto le dispiace” (95)
“non è vero che da vecchi si diventa più saggi.. io non mi sento saggio. Ho fatto tanti sbagli e mi sa che ne farò ancora… [ma] lunga o corta, la tua sia una bella partita” (101)
“la maggior parte dei mortali si lamenta per la crudeltà della natura. Siamo al mondo per così poco tempo, e questo tempo a noi concesso trascorre così in fretta, che la vita sembra abbandonarci nel momento stesso in cui comincia (Seneca)” (134)
Da Milano, ci spostiamo a Torino, ben presente nel mio recente passato.
Paola Mastrocola “Che animale sei?” Guanda euro 10 (in realtà, scontato euro 8)
Una favola moderna, delicata, un po’ naif, ma scorrevole (e con qualche frecciatina da tenere presente). La vita è un percorso avventuroso, pieno di scoperte, imprevisti, cambiamenti, perdite e conquiste: raccontarla non è facile. Paola Mastrocola ne narra in questo racconto di formazione che ha per protagonista un’anatra, senza nome e senza famiglia, con mille interrogativi su di sé e sul mondo che la circonda. La piccola “pennuta” si avventura sulle strade della vita spinta da una grande curiosità: sapere che animale sia. Durante il suo viaggio incontra molti personaggi e colleziona preziose esperienze che la aiuteranno a prendere coscienza di se stessa, a comprendere la sua natura, i suoi desideri, le sue paure e le sue aspirazioni. L’universo animale che la circonda, felice metafora di quello reale, è popolato di simpatiche figure in cui non è difficile riconoscere tipi e caratteri umani: ecco dunque i castori che si affannano di lavoro senza pensare ad altro; i pipistrelli che amano indire numerose riunioni e sedersi attorno a un tavolo per discutere e porre domande, senza ascoltare poi le risposte. E ancora, la famiglia adottiva dell’alta società (mamma gru e papà fenicottero rosa) che la introducono in un mondo dove contano soprattutto ricchezza e immagine, il fidanzato farfallone. Accanto ad essi si riconoscono anche amici leali, come George, castoro ribelle che non vuole fare l’ingegnere come i suoi simili ma aspira a diventare un filosofo, oppure Lucio, lucertola muraiola sempre pronta ad offrire il suo appoggio fraterno, e per finire con Lupo solitario, il bel scrittore tenebroso che le farà palpitare il cuore. Certo un po’ ingenua come detto la scrittura, ma si sorride un po’ (e non guasta), si pensa ai nostri amici (non pennuti) e ci si domanda che animali siano. Ed a tutti si augura di trovare un lupo solitario (o un bonobo casalingo).
“si sentì anche molto felice, perché è molto bello quando qualcuno ci dice qualcosa di noi e di come siamo: ci sentiamo subito meglio, come dire, più… definiti, e quindi meno soli!” (23)
“il lupo e l’anatra se ne stavano sbacaliti dallo stupore” (187)
E poi scendiamo un po’ imbarcandoci sul Po (ah ah) e cercando di arrivare verso il suo mare (ah ah ah).
Francesco Recami “Il ragazzo che leggeva Maigret” Sellerio euro 12 (in realtà, scontato 6 euro)
Non eccelso, ma gradevole, per due lunghe giornate in treno su e giù per la penisola. Soprattutto, mi riconcilia con quel correttore di bozze che un po’ d’amaro in bocca mi aveva lasciato. C’è un ragazzo di tredici anni, si chiama Giulio. È un appassionato dei gialli di Simenon: ha letto e riletto tutte le avventure del Quai des Orfèvres e in paese è conosciuto con il soprannome di Maigret proprio a causa di questa passione. Una mattina di nebbia gli pare di scorgere qualcosa, un’ombra… Inizia così un’indagine tutta sua, che è fatta di pedinamenti e osservazioni, una storia confusa di soldi, di cadaveri inesistenti, di paura e di maialini senza coda, ma che conosce anche paura e dubbi perché qualcosa è effettivamente accaduto. Il bello del romanzo, per chi come me un po’ conosce la pipa della Senna, sono quei capitoli scanditi dai titoli dei romanzi del buon poliziotto (che, ricordo ai non conoscitori, di nome faceva Jules). Così partendo dalla Chiusa Numero 1 per arrivare a 2 giorni per Maigret, Giulio fa nascere, percorre e dipana il mistero della tenuta di San Vittore. Anche i personaggi hanno molto di siemenoniano: nascono mesti ma poi se ne rivela la natura, vuoi arrogante, vuoi dolce, vuoi triste. Quasi nulla è quello che è, ma tutto si percorre con facilità e leggerezza. Insomma, come annunciato, gradevole, senza punte di lirismo eccessivo e senza affrontare i grandi temi della vita. A volte si può essere stanchi di domandarci chi siamo, cosa facciamo, come faremo ad essere quello che vorremmo. A volte, il pianoro della tranquillità ci può avvolgere nella sua calda coperta, e, Linus permettendo, forse non si raggiungono le vette della felicità ma certo, dopo, si può stare meglio.
“Quando c’è qualcosa che fa paura non bisogna tenerselo per sé. Bisogna parlarne il più possibile. E molto spesso si rivela una cosa da niente” (37)
Chiudiamo qui, verso una nuova settimana che ci vede riprendere le strade nebbiose (ma speriamo non nevose) dell’Europa del Nord. Ripensando anche ai pasti (ora che ci si sta dietatamente attenti). E dai convivi. E alle persone. Ed a quanto sia diverso vedersi e confrontarsi con gli altri. Una mini riflessione sul fatto che poi, bene o male, si cambia quando da due si passa a tre, o a quattro. Ma è proprio vero? In fondo penso di no, è che siamo sempre noi, ed a volte fingiamo soltanto di non riconoscerci.

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