Luisa Adorno “Tutti qui con me” Sellerio euro 10 (in realtà, scontato 8
euro)
[in: 18/10/2008 - out: 19/09/2009]
Un libro che mi piacerebbe
potesse scrivere Rosa. La buona scrittrice, di cui penso che leggerò altro
perché il suo stile mi è piaciuto, in vecchiaia manda in giro un po’ di
cartoline per evocare, ricordare, tenere sul filo della penna, momenti vissuti,
con tutti quelli (o almeno con molti) che hanno fatto dei tratti di strada
insieme a lei. Rimangono in ombra il marito e la figlia, ma escono in piena
luce amici, amiche ed anche momenti della lunga vita della quasi novantenne
autrice. Si va indietro nel tempo, al dopoguerra, al primo impatto con la
Sicilia, e poi agli anni iniziali di insegnamento via via fino all'oggi. È
lungo la strada che la Adorno percorre compaiono volti più noti e meno noti:
Anna Banti, direttrice della rivista "Paragone" insieme al marito
Roberto Longhi; Carlo Muscetta, l'insigne italianista; Luciano Dondoli,
filosofo crociano; Rosario Assunto, professore di estetica; Niccolò Gallo,
filologo e critico; Guglielmo Petroni, poeta e scrittore. Su tutto e tutti
svettano i paesaggi della Adorno, i suoi "luoghi dell'anima", Pisa, e
la Toscana, Roma, ma soprattutto la Sicilia e Catania. E sempre con una grazia
nel porgere, nel dire, nel fare. Con la capacità di evocare tutte queste
presenze che hanno fatto in modo che una persona sia la persona che è adesso.
Ognuno di noi si porta dentro questi pezzetti, con sé, ed è bello avere la
capacità di riuscire a tirarli fuori, a tributarne omaggi ed a riceverne.
Quello che siamo ora è il cumulo di quanto ci è avvenuto. E noi siamo, anche,
tutto questo.
“non si invecchia a gradini, s’invecchia a pianerottoli” (125)
“eravamo ancora giovani e non lo sapevamo” (166)
Luisa Adorno “L’ultima provincia” Sellerio euro 8 (in realtà, scontato
4 euro)
[in: 04/10/2009 – out: 26/12/2009]
Il primo libro di Mila.
Scorrevole, tipico della sua scrittura che altrove ho imparato a conoscere,
qualche sorriso. Storia (autobiografica) del passaggio dalla giovinezza ribelle
e segnata da Guerra e Resistenza, ad un dopoguerra dove, sposandosi, entra in
contatto con un mondo “alieno”: una prefettura italiana degli anni ’50, con
tutto il suo corredo di burocrazia e personaggi eponimi. Sciascia, nella sua
introduzione, lo paragona a certe pagine di Brancati. Io ne riporto il detto,
non avendone le capacità di commentare. Io ho gradito, quelle descrizioni di
case che da contadine pian piano si fanno borghesi. Quei personaggi in bilico
tra dovere e clientela. L’immensa Prefettessa, con tutto il suo bagaglio di
silenzi, di piccoli cani, di paure e di trasalimenti. La storia in sé non c’è,
per raccontarla si dovrebbe trovare quell’artificio di un vecchio Calvino che
per riportare la storia ne ripercorre analiticamente tutti i passi, facendone
un sunto più lungo dell’originale. Quindi non starò a tediarvi con 100 e più
pagine. Leggetelo, perché merita. Leggetelo anche se fu scritto nei primi anni
’60. Ma quello scriversi a ridosso delle cose narrate, ci consente di
apprezzarne la vivezza senza essere né offuscate né imbellite dal ricordo.
Ripenso a dei passi. Alla fatica di essere accettata in un ambiente diverso. Al
dispiacere di vedere l’amato soffocato dall’ambiente familiare. Ma con la
capacità (per bravura e per amore) di uscirne. E bene. I piccoli drammi
quotidiani, dai pranzi d’occasione alle serate fredde. Fino ad accompagnare il
suocero nel suo calvario tra dovere e piacere, ed alla sua liberazione verso
l’agognata pensione e la casetta di campagna. Con alcune chicche descrittive
(le partenze, gli incontri canicolari, gli sguardi del cane, ma soprattutto
quello dell’ammalato che riporto per la sua aderenza a molti miei vissuti).
Ripeto quindi e vi lascio con un leggetelo, merita.
“Alla prima strinata di freddo Cosimo si ammalò. Una qualunque
influenza che non gli impedì di giacere, fermo come un morto, le coperte tirate
dalla punta dei piedi all’orlo del naso uncinato dal solco degli occhiali.
‘Perché non leggi? Perché non fai qualcosa?’, gli dicevo. Mi rispondeva un
gemito di riprovazione appena soffocato dalle coltri. Questa che io credetti
una sua stranezza, è invece il comportamento comune degli Adorno ammalati.
Niente si deve fare per distrarsi dal male, niente per ingannarlo, e non per un
bisogno di ascesi, ma nella ferma convinzione che a stare fermi, la bocca e le
braccia coperte, a non ‘sventoliarsi’, il male se ne vada prima. Un Adorno
ammalato non parla, geme, di preferenza dopo aver controllato sul termometro un
minimo rialzo di febbre. Non ha bisogno di leggere, ‘… aio che pensare!’.
Rifiuta infastidito, la sua mente essendo continuamente occupata a cogliere un
dolore, un rantolo, una fitta, e a rispondere, dentro di sé a quell’ ‘unne lo
pigliasti?’ con cui lo martella chi lo assiste.” (148-149)
Luisa Adorno “Le dorate stanze” Sellerio
euro 8
[in: 25/04/2010 – out: 10/06/2010]
Ed
ora, con molta più velocità dei precedenti, s’è letto anche un altro libro di
Mila, che fa un po’ da contraltare al precedente, narrandone intersezioni,
sequenze e conseguenze. È comunque un suo libro minore, meno riuscito del
precedente, anche perché imbastisce tre tempi di una lunga storia, che poi non
è che la sua vicenda di vita. Ma che risultano di diverso peso. Bella,
coinvolgente, la prima, con questo strano rapporto di amicizia, che prosegue
sul filo degli anni. Che nasce sui banchi di scuola, matura all’ombra della
seconda guerra mondiale, poi si sfilaccia. Ma questo riannodare, forse per
qualche dolore che non viene detto, per pudore, i fili della vita delle tre
amiche, Luisa, Ninni e Valeria, ha dei momenti che mi ci facevano perdere. Le
grandi pensate bambinesche quando tutto è (sembra essere) a portata di mano.
L’intrecciarsi di vite, amori, fatti anche piccoli (una gita in bicicletta che
mi ricorda le passeggiate giovanili in riva al Salinello). E poi le decisioni,
la guerra, fosca, che permea tutto. E si ritrovano momenti che nel precedente
erano anche ben trattati (quel ritornare a Pisa a vedere le macerie della
propria casa) e se ne apprezzano le nuove angolature. Quel dilatare sui banchi
di scuola i discorsi di Mussolini fino a farli diventare temi in classe. Ecco, è
un momento, una frase che fa salire agli occhi, meglio di mille saggi, il clima
di un’Italia dove la maggior parte di noi non c’era, ma che sembra ritornare
con prepotente alterigia. E questo sottile sorriso che alleggia nel filo dei
ricordi, è un balsamo per i cuori malati di ricordi. Com’è piacevole sentirli
riaffiorare e poterli maneggiare. Con cura, perché ben sappiamo dalla lezione
degli antropologi francesi e degli psicologi in genere, che poi non sono quelli
i ricordi, quelli sono la parte di ricordi che ci piace ricordare, anche
trasfigurata, ma immancabilmente diverse dal momento in cui si è vissuto quel
momento. Ne mancava allora quanto meno la consapevolezza. E forse questa
mancanza rendeva (rende) più accettabili anche momenti di scarsa felicità. Poi
gli altri due tempi in cui si vede, si narra il rapporto di Mila con la seconda
moglie del padre, per capirne i motivi segreti, di questa donna del Sud, che
non riesce ad uscire dal suo bozzolo (un po’ di sano taglio comunista sullo
sfruttamento delle donne è bene che sia presente). Ma la vicenda rimane un po’
lì, senza graffiare più di tanto. Più che altro serve per collegare fili altri.
Come la morte del padre, o la presenza di questo fratello di venti anni più
giovane. Come serve a poco, la vicenda svizzera di questo intermezzo un po’
pre-Erasmus di tre mesi a studiare in Svizzera durante l’Università. Si abbozza
alla figura di questa Agathe che odia il suo nome e che ebbe una grossa colpa
in gioventù. Ma tutto questo, unito alla presenza un po’ inutile del buon Hans
che vorrebbe sposarla, sembra più un esercizio di stile che un utile momento di
scrittura. Questi sono incisi, rimane, bello e forte, il primo tempo, con
quell’immagine di lei che declama in greco sulla battigia della marina toscana
a me cara le lamentazioni di Eschilo per la sconfitta di Salamina. Ha fatto
piacere leggerlo. Ma bastano le prime 100 pagine, poi si può tornare al primo
libro di cui ho parlato, il primo che ho letto, anche se è l’ultimo che ha
scritto, e di cui rimane nel cuore il calore dell’amicizia.
“Ma che amicizia era mai la nostra se le cose importanti le dicevamo
dopo averle decise o quando erano già accadute?” (59)
“se saremo insieme anche la vecchiaia sarà salva” (109)
“Je ne vous comprend pas … si j’aimais un homme, je ferais tout, tout
ce qu’il veut” (231) [Non ti capisco … se amassi un uomo farei tutto, tutto
quello che lui vuole]
Per il resto, a parte il caldo,
un pensiero a mio padre (di cui oggi ricorreva il compleanno) ed alle prossime
giornate di fitto lavoro. Poi, speriamo, dopo il 25, un po’ di sano riposo.
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