domenica 19 febbraio 2012

La morale minima di Adorno - 13 giugno 2010

Niente paura, non mi sono dedicato alla scrittura pur interessante del grande filosofo tedesco, ma a quella, minima appunto, ma densa, della scrittrice italiana Luisa Adorno. Ormai avviata verso i novanta, e non particolarmente prolifica, mi è capitata tra le mani l’anno scorso. Mi è piaciuta, ed ho deciso di approfondirla un po’ prima di parlarne. Ho quindi letto prima il suo ultimo libro, poi i primi due. Tagli diversi. Diverse rese. Ma in tutte il suo modo di presentare fatti e sensazioni, e questo me l’ha reso piacevole leggerlo. E perché no, ricco anche di spunti di riflessione, sull’amicizia, sui rapporti con i genitori, sullo stare. Insomma letture di buon livello, di quelle che adoro, cioè dove lo scorrere è semplice, ma ci si trova sempre qualcosa, che semplice non è.
Luisa Adorno “Tutti qui con me” Sellerio euro 10 (in realtà, scontato 8 euro)
[in: 18/10/2008 - out: 19/09/2009]
Un libro che mi piacerebbe potesse scrivere Rosa. La buona scrittrice, di cui penso che leggerò altro perché il suo stile mi è piaciuto, in vecchiaia manda in giro un po’ di cartoline per evocare, ricordare, tenere sul filo della penna, momenti vissuti, con tutti quelli (o almeno con molti) che hanno fatto dei tratti di strada insieme a lei. Rimangono in ombra il marito e la figlia, ma escono in piena luce amici, amiche ed anche momenti della lunga vita della quasi novantenne autrice. Si va indietro nel tempo, al dopoguerra, al primo impatto con la Sicilia, e poi agli anni iniziali di insegnamento via via fino all'oggi. È lungo la strada che la Adorno percorre compaiono volti più noti e meno noti: Anna Banti, direttrice della rivista "Paragone" insieme al marito Roberto Longhi; Carlo Muscetta, l'insigne italianista; Luciano Dondoli, filosofo crociano; Rosario Assunto, professore di estetica; Niccolò Gallo, filologo e critico; Guglielmo Petroni, poeta e scrittore. Su tutto e tutti svettano i paesaggi della Adorno, i suoi "luoghi dell'anima", Pisa, e la Toscana, Roma, ma soprattutto la Sicilia e Catania. E sempre con una grazia nel porgere, nel dire, nel fare. Con la capacità di evocare tutte queste presenze che hanno fatto in modo che una persona sia la persona che è adesso. Ognuno di noi si porta dentro questi pezzetti, con sé, ed è bello avere la capacità di riuscire a tirarli fuori, a tributarne omaggi ed a riceverne. Quello che siamo ora è il cumulo di quanto ci è avvenuto. E noi siamo, anche, tutto questo.
“non si invecchia a gradini, s’invecchia a pianerottoli” (125)
“eravamo ancora giovani e non lo sapevamo” (166)
Luisa Adorno “L’ultima provincia” Sellerio euro 8 (in realtà, scontato 4 euro)
[in: 04/10/2009 – out: 26/12/2009]
Il primo libro di Mila. Scorrevole, tipico della sua scrittura che altrove ho imparato a conoscere, qualche sorriso. Storia (autobiografica) del passaggio dalla giovinezza ribelle e segnata da Guerra e Resistenza, ad un dopoguerra dove, sposandosi, entra in contatto con un mondo “alieno”: una prefettura italiana degli anni ’50, con tutto il suo corredo di burocrazia e personaggi eponimi. Sciascia, nella sua introduzione, lo paragona a certe pagine di Brancati. Io ne riporto il detto, non avendone le capacità di commentare. Io ho gradito, quelle descrizioni di case che da contadine pian piano si fanno borghesi. Quei personaggi in bilico tra dovere e clientela. L’immensa Prefettessa, con tutto il suo bagaglio di silenzi, di piccoli cani, di paure e di trasalimenti. La storia in sé non c’è, per raccontarla si dovrebbe trovare quell’artificio di un vecchio Calvino che per riportare la storia ne ripercorre analiticamente tutti i passi, facendone un sunto più lungo dell’originale. Quindi non starò a tediarvi con 100 e più pagine. Leggetelo, perché merita. Leggetelo anche se fu scritto nei primi anni ’60. Ma quello scriversi a ridosso delle cose narrate, ci consente di apprezzarne la vivezza senza essere né offuscate né imbellite dal ricordo. Ripenso a dei passi. Alla fatica di essere accettata in un ambiente diverso. Al dispiacere di vedere l’amato soffocato dall’ambiente familiare. Ma con la capacità (per bravura e per amore) di uscirne. E bene. I piccoli drammi quotidiani, dai pranzi d’occasione alle serate fredde. Fino ad accompagnare il suocero nel suo calvario tra dovere e piacere, ed alla sua liberazione verso l’agognata pensione e la casetta di campagna. Con alcune chicche descrittive (le partenze, gli incontri canicolari, gli sguardi del cane, ma soprattutto quello dell’ammalato che riporto per la sua aderenza a molti miei vissuti). Ripeto quindi e vi lascio con un leggetelo, merita.
“Alla prima strinata di freddo Cosimo si ammalò. Una qualunque influenza che non gli impedì di giacere, fermo come un morto, le coperte tirate dalla punta dei piedi all’orlo del naso uncinato dal solco degli occhiali. ‘Perché non leggi? Perché non fai qualcosa?’, gli dicevo. Mi rispondeva un gemito di riprovazione appena soffocato dalle coltri. Questa che io credetti una sua stranezza, è invece il comportamento comune degli Adorno ammalati. Niente si deve fare per distrarsi dal male, niente per ingannarlo, e non per un bisogno di ascesi, ma nella ferma convinzione che a stare fermi, la bocca e le braccia coperte, a non ‘sventoliarsi’, il male se ne vada prima. Un Adorno ammalato non parla, geme, di preferenza dopo aver controllato sul termometro un minimo rialzo di febbre. Non ha bisogno di leggere, ‘… aio che pensare!’. Rifiuta infastidito, la sua mente essendo continuamente occupata a cogliere un dolore, un rantolo, una fitta, e a rispondere, dentro di sé a quell’ ‘unne lo pigliasti?’ con cui lo martella chi lo assiste.” (148-149)
Luisa Adorno “Le dorate stanze” Sellerio euro 8
[in: 25/04/2010 – out: 10/06/2010]
Ed ora, con molta più velocità dei precedenti, s’è letto anche un altro libro di Mila, che fa un po’ da contraltare al precedente, narrandone intersezioni, sequenze e conseguenze. È comunque un suo libro minore, meno riuscito del precedente, anche perché imbastisce tre tempi di una lunga storia, che poi non è che la sua vicenda di vita. Ma che risultano di diverso peso. Bella, coinvolgente, la prima, con questo strano rapporto di amicizia, che prosegue sul filo degli anni. Che nasce sui banchi di scuola, matura all’ombra della seconda guerra mondiale, poi si sfilaccia. Ma questo riannodare, forse per qualche dolore che non viene detto, per pudore, i fili della vita delle tre amiche, Luisa, Ninni e Valeria, ha dei momenti che mi ci facevano perdere. Le grandi pensate bambinesche quando tutto è (sembra essere) a portata di mano. L’intrecciarsi di vite, amori, fatti anche piccoli (una gita in bicicletta che mi ricorda le passeggiate giovanili in riva al Salinello). E poi le decisioni, la guerra, fosca, che permea tutto. E si ritrovano momenti che nel precedente erano anche ben trattati (quel ritornare a Pisa a vedere le macerie della propria casa) e se ne apprezzano le nuove angolature. Quel dilatare sui banchi di scuola i discorsi di Mussolini fino a farli diventare temi in classe. Ecco, è un momento, una frase che fa salire agli occhi, meglio di mille saggi, il clima di un’Italia dove la maggior parte di noi non c’era, ma che sembra ritornare con prepotente alterigia. E questo sottile sorriso che alleggia nel filo dei ricordi, è un balsamo per i cuori malati di ricordi. Com’è piacevole sentirli riaffiorare e poterli maneggiare. Con cura, perché ben sappiamo dalla lezione degli antropologi francesi e degli psicologi in genere, che poi non sono quelli i ricordi, quelli sono la parte di ricordi che ci piace ricordare, anche trasfigurata, ma immancabilmente diverse dal momento in cui si è vissuto quel momento. Ne mancava allora quanto meno la consapevolezza. E forse questa mancanza rendeva (rende) più accettabili anche momenti di scarsa felicità. Poi gli altri due tempi in cui si vede, si narra il rapporto di Mila con la seconda moglie del padre, per capirne i motivi segreti, di questa donna del Sud, che non riesce ad uscire dal suo bozzolo (un po’ di sano taglio comunista sullo sfruttamento delle donne è bene che sia presente). Ma la vicenda rimane un po’ lì, senza graffiare più di tanto. Più che altro serve per collegare fili altri. Come la morte del padre, o la presenza di questo fratello di venti anni più giovane. Come serve a poco, la vicenda svizzera di questo intermezzo un po’ pre-Erasmus di tre mesi a studiare in Svizzera durante l’Università. Si abbozza alla figura di questa Agathe che odia il suo nome e che ebbe una grossa colpa in gioventù. Ma tutto questo, unito alla presenza un po’ inutile del buon Hans che vorrebbe sposarla, sembra più un esercizio di stile che un utile momento di scrittura. Questi sono incisi, rimane, bello e forte, il primo tempo, con quell’immagine di lei che declama in greco sulla battigia della marina toscana a me cara le lamentazioni di Eschilo per la sconfitta di Salamina. Ha fatto piacere leggerlo. Ma bastano le prime 100 pagine, poi si può tornare al primo libro di cui ho parlato, il primo che ho letto, anche se è l’ultimo che ha scritto, e di cui rimane nel cuore il calore dell’amicizia.
“Ma che amicizia era mai la nostra se le cose importanti le dicevamo dopo averle decise o quando erano già accadute?” (59)
“se saremo insieme anche la vecchiaia sarà salva” (109)
“Je ne vous comprend pas … si j’aimais un homme, je ferais tout, tout ce qu’il veut” (231) [Non ti capisco … se amassi un uomo farei tutto, tutto quello che lui vuole]
Per il resto, a parte il caldo, un pensiero a mio padre (di cui oggi ricorreva il compleanno) ed alle prossime giornate di fitto lavoro. Poi, speriamo, dopo il 25, un po’ di sano riposo.

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