Cominciamo dal più dolente, che
mi riporta ad un viaggio sempre pensato ma non ancora attuato in Armenia.
Osip Mandel’stam “Viaggio in Armenia”
Adelphi euro 10 (in affido da Chiara)
Libro
strano e complicato. Incomprensibile senza un lungo sguardo sull’autore e il
suo mondo (e la sua morte durante le purghe staliniane). Le frasi di una prosa
che suonano come una poesia (vedi il sotto citato siero del silenzio)
accompagnano le note di questo viaggiatore per disperazione, per allontanarsi
da un mondo che lo sta distruggendo strato a strato. Poeta costretto dal regime
di Stalin a lasciare la sua poesia in quanto non celebrava i fasti del regime
(mi suona qualcosa), riesce a farsi sponsorizzare un viaggio in Armenia. E lì,
tra dure montagne e spazi che si perdono nell’occhio, la sua penna ricomincia a
trovare la voglia di scrivere. La voglia di capire questa lingua antica, quasi
una radice per le lingue future (non è l’aramaico ma poco di manca), senza praticamente
vocali. La visita al museo con impressionisti e francesi, da cui traggo la
lunga citazione, bellissima, su come si devono guardare i quadri, per entrare
in comunione con loro. E poi lo sguardo verso Darwin ed i naturalisti. E
quell’altra frase che riporto e che lascio alla meditazione di Rosa. Sono brevi
schizzi, bozzetti, illuminati dal raccordo finale di una splendida
ricostruzione di Serena Vitale sulla genesi del libro e sulla morte
dell’autore, sparito nel 1938 durante la deportazione in Siberia. Un classico,
che mi fa tornare la voglia di riorganizzare quel viaggio in Armenia, che,
abortito tre anni fa, ha portato a tante altre cose. Forse sarebbe ora di
andarci.
“A tutti … consiglierei il seguente modo di guardare i quadri: non
entrare mai, assolutamente, come in una cappella. Non andare in visibilio, non
restare di stucco, impalati, non incollarsi alle tele... Diritti, con andatura
da passeggio, come per un viale! Fendete le grandi ondate termiche dello spazio
della pittura a olio. Tranquillamente, senza infervorarvi … immergete l'occhio
nell'ambiente materiale per lui nuovo, e ricordate che l'occhio è un animale
nobile ma testardo. Stare davanti a un quadro a cui la vostra temperatura
corporea non si è ancora acclimatata, per cui il vostro cristallino non ha
ancora trovato l'unica degna forma di adeguamento, è lo stesso che starsene per
strada, coperti da una pelliccia, e cantare serenate sotto finestre dai doppi
vetri. Quando questo equilibrio sarà stato raggiunto - ma solo allora - date inizio
alla seconda fase del restauro del quadro, al suo lavaggio, alla rimozione
della sua crosta decrepita, del barbaro strato esterno e recente che unisce il
quadro, come ogni altro oggetto, alla solare e condensata realtà. Con le sue
finissime reazioni acide, l'occhio - organo munito di una sua acustica, organo
che accresce il valore dell'immagine e aumenta le proprie conquiste
moltiplicandole per le offese sensoriali, cui dà sempre un'importanza esagerata
- solleva il quadro fino al proprio livello, giacché la pittura è un fatto di
secrezione interiore molto più che di appercezione, e cioè di percezione
esterna. Il materiale della pittura è organizzato come una lotteria dal premio
assicurato, e in questo è la sua differenza rispetto alla natura. Ma le probabilità
del premio sono inversamente proporzionali alla sua realizzabilità. E solo
adesso comincia la terza e ultima fase di penetrazione del quadro - il
confronto oculare con il suo progetto. E l'occhio-viaggiatore presenta le sue
credenziali all'ambasciata della coscienza.
Allora tra spettatore e quadro si stabilisce un gelido patto, qualcosa
come un segreto diplomatico.” (50-51)
“Dal cielo sono cadute tre mele: la prima è per chi ha raccontato, la
seconda per chi è stato ad ascoltare, la terza per chi ha capito. Così si
concludono la maggioranza delle favole armene” (66)
“il sorriso di un’anziana
contadina armena ha un’inesprimibile bellezza: è pieno di nobiltà, di sofferta
dignità, e del particolare, solenne fascino della donna maritata” (70)
“Scendeva una quiete lattiginosa. Si andava coagulando il siero del
silenzio” (70)
“L’artista è per sua natura un medico… Ma se non medica nessuno, a chi
e a che cosa serve?” (94)
“I migliori scrittori dell’antichità erano geografi. Chi non aveva il
coraggio di viaggiare non aveva il coraggio di scrivere” (101)
Pochi anni dopo, l’inglese Byron
si avventurava nelle regioni limitrofe, facendo un grande giro che da Venezia
prima o poi lo porta in India.
Robert Byron “La via per l’Oxiana” Adelphi
s.p. (regalo di Rosanna)
Bello.
Da leggere e meditare. Dopo averlo letto si capisce meglio anche Chatwin (o
meglio si capisce quanto Bruce debba a Robert). Paesaggi, e poi persone, e poi
situazioni. Storia alta e bassa mescolata insieme, e porta lì, se la vuoi
cogliere. Quando si capisce che dietro c’è anche molto di più. Certo Byron non
è un giornalista, e si sente che lui va più alla ricerca del bello, del
monumento, della costruzione, dell’archeologia. Ma è anche capace di prendere
spunto da un sasso e narrarti la storia di come quel sasso sia giunto a noi, e
perché. Quello che manca un po’ è il lato femminile: possibile che in tanti
mesi in giro per quella parte di mondo che comincia in Turchia e finisce alle
porte dell’India, non si sia incontrata una figura femminile? Capisco
eventualmente il riserbo per le cose personali, non ultimo un po’ di gayismo
del buon Robert, ma ... l’uomo non è di legno! Comunque accettiamo Byron per
quello che è, e lo seguiamo in questo viaggio sul filo dell’archeologia, che
nasce a Venezia, e poi si snoda (e già a sentirne i nomi viene voglia di
seguirne le tracce), a Cipro, e poi Gerusalemme, Damasco, Beirut, e poi di
nuovo Damasco fino a Baghdad. Da qui si entra in quel mondo persiano ed afghano,
che da un lato lo porta a Teheran (dove ci sono pagine magistrali sul carattere
non arabo di questo popolo di antiche origini, e culla della prima religione
monoteista nota, quei famosi zoroastriani ora quasi scomparsi) e poi con fatica
e dopo molte peripezie a Herat. Certo arriverà anche a Kabul, ma è qui a Herat
che ci fa riconoscere le mille meraviglie che potrebbero celarsi in questi
luoghi, crogiolo di arrivo di culture diverse e antagoniste, non ultima quella,
per me ancora misteriosa, dei mongoli di Gengis e di Timur di Samarcanda. Per
poi uscire da questa regione per la strada percorsa dai Moghul che
colonizzarono l’India, approdando (parola poco appropriata per un valico di
montagna) a Pashwar (nell’odierno Pakistan). Ed in mezzo tutte quelle storie,
sia delle civiltà che passavano per i luoghi, sia del mondo attuale, con tutto
lo stuolo di autentici personaggi, dai diplomatici stranieri in missione, agli
avventurieri in giro alla ricerca di fortune, ai burocrati locali legati a riti
sociali ed a comportamenti che meriterebbero libri a sé. Insomma, una scoperta
piacevolissima, un volo per una regione di cui conosco i margini e che mi
attira sempre di più. Un grazie di cuore all’arabina che lo ha scovato per
Natale.
“[sono al Lido di Venezia:] in una giornata di calma, deve essere la
peggiore località balneare d’Europa” (25)
“il viaggiatore di un tempo era la persona che andava in cerca della
conoscenza, e a cui gli indigeni erano fieri di mostrare e raccontare le cose
interessanti del posto. In Europa [il turista] ... fa parte del paesaggio e
nove volte su dieci ha pochi denari da spendere … Da queste parti, il turista è
ancora un’anomalia. Se uno viene in Siria da Londra per affari, deve essere
ricco. Se uno poi ci viene senza motivi d’affari, deve essere ricchissimo.
Nessuno si cura se la località vi piace, o se non la potete soffrire e perché.
Siete semplicemente un turista, … una variante parassitica della specie umana,
che esiste per essere munta, come una mucca da latte o un albero della gomma”
(56)
“[mia madre] a cui consegno questo diario, ora che è finito; quello che
ho visto, è lei che mi ha insegnato a vederlo, e mi dirà se sono stato
all’altezza” (389)
Ed infine il grande reporter
polacco, di cui recupero uno dei primi scritti sulla caduta dello Scià e l’ascesa
di Khomeini.
Ryszard Kapuściński “Shah-in-shah”
Feltrinelli euro 7,50 (in realtà, scontato 3,75 euro)
Sarà pure al centro di polemiche
varie post-mortem, ma è sempre un piacere leggerne, quando ti porta per mano
nella storia persiana di cent’anni. Nel 1980, Ryszard Kapuściński inviato in
Iran dell'agenzia di stampa polacca, chiuso in una stanza d'albergo, grazie
all'ausilio di foto, articoli di giornali e ripercorrendo quanto ha visto e
sentito negli anni di soggiorno in questo stato, traccia la storia politica,
ideologica e culturale di questo stato a partire da Mohammad Reza Pahlavi,
l'ultimo Scià fino a Khomeini. L'ascesa e la caduta dello Scià, le sue scelte,
il potere economico raggiunto, il ruolo della SAVAK (la polizia segreta ed
onnipotente), dominano la narrazione mentre l'avvento di Khomeini la chiude. La
riflessione a volte spazia andando oltre agli avvenimenti politici,
concentrandosi sulle dinamiche delle popolazioni che si trovano in condizioni
di incertezza oppure che soggiacciono a dittature, sul ruolo degli
intellettuali e sul peso della religione. E con degli accenni che fanno
risuonare timbri attuali in me. A parte tutto, la tecnica per cui appunto ci
porta nella sua squallida stanza d’albergo, e rovistando sui reperti di quegli
anni di lotta, tira fuori foto e scritti, e su quelli parla e tesse racconti la
trovo un modo non solo molto bello, ma coinvolgente di narrare. Inoltre, una
serie di sue riflessioni mi fanno vibrare corde unisone, così che oltre a
seguire lo scrivere, mi immergo nel sentire, e trovo che parli e dica e mi
racconti cose da riflettere. Due alla fine i messaggi che mi arrivano: una foto
dinamica del mondo persiano, che mi era rimasto avvolto sempre nel mistero
(mondo arabo che non lo è, da confrontare con quanto scriveva cinquanta anni
prima Byron) e la dinamica dell’ascesa e della caduta di un potente che fonda
la sua potenza sul proprio nulla. Ma su quel nulla costruisce decenni di
sofferenza per il proprio popolo. Difficile addentrarsi nei meandri
descrittivi, per questo abbondo di citazioni. Consiglio assolutamente.
“Non potendo emigrare nello spazio, il popolo intraprende una
migrazione nel tempo e fa ritorno a un passato che, paragonato ai dolori e ai
pericoli della realtà circostante, gli appare come un paradiso perduto. Trova
rifugio in usanze antiche: tanto antiche, quindi tanto sacre, che il potere non
osa combatterle” (citazione)
“l’Iran diventa l’asilo dei vari oppositori
dell’impero mussulmano confluiti qui da ogni parte del mondo per trovare
rifugio, incoraggiamento e sostegno presso gli sciiti … che insegnano i
principi basilari della sopravvivenza. Per esempio, la dissimulazione: davanti
ad un avversario più forte, uno sciita può fingere di accettare la religione
dominante per salvare la propria vita…Oppure la tecnica di disorientare
l’avversario, che, in caso di pericolo, permette allo sciita di fingersi tonto
e sconfessare quel che ha detto un attimo prima.” (100)
“Riuscite ad immaginare un capo di stato
europeo il quale racconti che andando a cavallo è caduto in un precipizio e che
sarebbe morto se un santo non avesse allungato la mano per trattenerlo? Quando
ne parla lo scià in un suo libro gli iraniani non fanno una piega [e quando
lo scrivere Berlusconi, che fanno gli italiani?]” (101)
“È sempre il potere a provocare la rivoluzione. Non certo di proposito.
Tuttavia il suo stile di vita e di governo finisce per diventare una vera
provocazione. Questo si verifica quando tra i personaggi dell’élite si instaura il senso dell’impunità
e la convinzione di poter fare tutto, di potersi permettere tutto. Questa è
un’illusione, ma poggia su un fondamento razionale. Per un po’ sembra in
effetti come se i potenti possano fare ciò che vogliono. Scandalo dopo
scandalo, illegalità dopo illegalità, tutto rimane impunito. Il popolo rimanere
in silenzio. Hanno paura e non si sentono sicuri delle proprie forze. Allo
stesso tempo, tiene un resoconto dettagliato dei torti subiti: tirerà le somme
nel momento debito. La scelta di questo famoso momento è il più grande enigma della
storia.” (139)
“se
tutto sommato, la vita consiste nel risolvere i problemi, il progresso risiede
nel risolverli con abilità e generale soddisfazione” (169)
“un altro portato della rivoluzione iraniana ha trovato conferma in
tempi recenti anche in Europa: la consapevolezza di come non sia possibile
democratizzare uno stato multietnico” (186)
“Anche se si può distruggere un uomo, distruggendolo lui non cessa di
esistere. Al contrario, se posso esprimermi in questo modo, egli comincia a
esistere di più. Questi sono paradossi che un tiranno non riesce ad affrontare.
La falce taglia, e allo stesso tempo l'erba comincia a ricrescere. Tagli di
nuovo e l'erba cresce più veloce che mai. Una legge di natura molto
confortante” (citazione)
Come dicevo, è stata una bella
settimana dove ho potuto sfoggiare la mia padronanza linguistica, ed un po’ di
auto-incensamento ogni tanto ci vuole. Ora si rientra nei ranghi, perché
bisogna anche tirare avanti le carrette. Ho comunque davanti tante settimane da
festeggiare, amici che si sposano (l’anno scorso era un anno di nascita, ora di
matrimoni …), bimbi che festeggiano. E forse avremo anche noi qualcosa da
festeggiare, governo piacendo.
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