Michel Faber “Il petalo cremisi e il
bianco” Einaudi euro 15 (in realtà, scontato 10,50 euro)
Non
si lascia il lettore sospeso, a meno che non ci sia una valida ragione. E qui
non c’è! Perché già si è faticato a portare a termine le quasi 1000 pagine, e
poi si arriva ad una fine che non è una fine. Certo, l’autore è libero di
gestire al meglio i suoi personaggi, ma qui si lasciano tante ombre, che sembra
quasi voler dire: io so, e non ve lo dico!!! E poi, se si leggono racconti
successivi, si scoprono filoni ed altri pezzi che riannodano le fila. Ma
andiamo con ordine. A leggere le numerose recensioni e a vedere il
considerevole spazio che la stampa gli aveva dedicato, si poteva pensare che il
romanzo di Michel Faber fosse uno dei casi letterari più importanti degli
ultimi anni e che il suo autore sarebbe diventato uno dei massimi talenti di
recente scoperta. Ma “Il petalo cremisi e il bianco” non è assolutamente il
capolavoro che ci volevano far credere, né è di così appassionante lettura:
anzi, non sono rari i casi di una scrittura inutilmente insistita e magari anche
un po’ tirata per i capelli. Detto questo, non si può tuttavia negare che si
tratti di un libro interessante, da vari punti di vista, e che la storia e
l’ambientazione riescano ad esercitare una certa presa, se ci si lascia affascinare
dalla ricostruzione. Il petalo non è quindi un cattivo libro, ma un libro che
vale la pena di leggere. A partire proprio dall’ambientazione. Londra 1875.
Dall'esile candela della sua stanza nel bordello della terribile Mrs Castaway,
Sugar, una prostituta di diciannove anni, la più desiderata in città, cerca la
via per sottrarsi al fango delle strade. Dai vicoli luridi e malfamati Michel
Faber ci guida, seguendo la scalata di Sugar, fino allo splendore delle classi
alte della società vittoriana, dove violiamo l'intimità di personaggi terribili
e fragili. Come Rackam, il giovane erede di una grande fortuna che diverrà
l'amante di Sugar e da questa forza trarrà prima la sua vittoria e poi la sua
rovina, e sua moglie, l'angelica e infelice Agnes. Con tutto il dipanarsi delle
vicende. L’ascesa e caduta di Rackam, del fratello, la fuga verso l’oblio della
pazzia di Agnes (ma poi sarà così?). E Sugar che resiste imperterrita ai buoni
ed ai cattivi venti. Ma poi non potrà che essere travolta dalla sua stessa
felicità. Nell’epoca vittoriana, una prostituta rimane sempre una prostituta,
ed in un impeto moralista, Rackam distrugge la propria vita, quella di Sugar
nonché della povera figlia sua e di Agnes (ma chi ha voglia di annodare i fili,
poi si legga “Donne in marcia…” un racconto posteriore di Faber che riprende ed
annoda alcuni fili). Certo, a volte sembra che Faber voglia costruire un
best-seller, a scapito della coerenza interna e della sua adesione ai
personaggi. Ma, ripeto, la sua capacità di farci vedere le contraddizioni di un’epoca
di passaggio dal pre al post-industriale è ammirevole. Pur tuttavia alla fine,
non posso dare un giudizio completamente positivo. Troppe le ombre che
rimangono. Troppe le cose che, sospese, lasciano l’amaro in bocca. Provaci
ancora, Michael.
Daniel Kehlmann “Io e Kaminski” Voland euro
14 (in realtà scontato 9,10 euro)
Piaciucchiato.
Il primo libro del buon Kehlmann, in cui si cominciano a travedere quelli che
saranno i temi fondanti dei successivi e più noti romanzi. Quel mescolare
storia e fantasia, o verità e leggenda, quel raccontare di vita inventata come
fosse realtà e viceversa. Qui si parla di un giornalista scarsetto che si
occupa del mondo dell’arte che cerca di intervistare il grande pittore, ora in
declino (tanto che gli viene da chiedersi se non sia meglio farlo morire per farne
uscire la prima biografia postuma…). Si prende in giro il mondo dell’arte con i
suoi facili entusiasmi per delle bufale pazzesche. Ci mancherebbe solo il
periodo “nero” di un artista, per poter esaltare quadri tutti neri che sotto
contengono chissà quali meraviglie… C’è un po’ di suspense sulla vita giovanile
dell’artista. Cosa fece nelle miniere di sale? Perché il suo amore lo lasciò?
Ma soprattutto c’è l’irritazione per questo giornalista dai tempi sbagliati,
dai modi sbagliati, che non si sa rapportare alla sua donna (che, infatti, lo
sta lasciando), che vede in ogni essere femminile un corpo da portare a letto
(e non ci riuscirà mai), e che in ogni consesso pensa di essere al centro
dell’attenzione (sempre a far capire di essere il più bello, il più bravo, il
più intelligente, quasi fossi io stesso a parlare, ma ovviamente io sono
VERAMENTE il più bello, il più bravo, il più intelligente…). Con quella
scentratura che, ben presto (anzi dopo solo 4 o 5 pagine) me lo fa andare di
traverso. Alla fine ovviamente il pittore sarà il più forte di tutti, perché è
veramente egotista, e non lascia spazio alla vita degli altri. Però si zoppica
un po’ nella lettura che non mi ha fatto urlare dalla gioia. Un libro
leggiucchiabile poco di più. Un giudizio altalenante su Kehlmann, che in ogni
sua prova mi piace a tratti ed a tratti mi irrita. Meglio comunque di chi solo
mi irrita…
“se hai intenzione di sedurmi, dovresti
farti la barba e non dovresti indossare un pigiama…” (128)
“ognuno racconta una cosa diversa, la maggior
parte di quello che è accaduto è stata dimenticata e tutti si contraddicono
l’uno con l’altro. Come faccio a scoprire qualcosa? – Forse non dovresti.”
(129)
John Boyne “Il bambino con il pigiama a
righe” BUR euro 10 (in realtà, scontato 6,50 euro)
In
realtà l’ho trovato più furbetto che bello. Non mi ha “divertito” molto, ed in
fondo non mi ha neanche mosso a quella commozione che fin dalle prime righe
cerca di far trovare nel lettore. Certo, l’idea di vedere un momento delicato e
doloroso della storia dell’umanità attraverso gli occhi di un bambino è senza
dubbio interessante. Mettersi completamente dalla sua parte per osservare
quello che ti succede intorno in quei primi sei mesi del 1944 è interessante.
Un bambino di 9 anni certo non capisce, fino in fondo, cosa sia una guerra, cosa
sia un lager, cosa sia un ebreo e che differenza ci sia un ebreo e un tedesco.
Un bambino gioca (dovrebbe giocare), fa l’esploratore del suo mondo noto, della
sua casa, della sua scuola, dei suoi amici. E non capisce la differenza tra
Berlino ed Auschwitz, dove segue il padre che ne assume il comando. Si domanda
soltanto cosa siano quegli strani signori, al di là del filo spinato, che
invece di indossare panni caldi, sono tutto il giorno con addosso un pigiama a
righe. Lontano dal mondo noto, cerca solo qualcosa che glielo ricordi, che
glielo riporti, trovandolo solo nel buffo bambino, quello del pigiama, che,
casualità, è nato il suo stesso giorno. E la favola si dipana intorno a queste
mini-scoperte del mondo, con i soldati troppo “seri”, la mamma un po’
esagitata, la sorella “Caso-Disperato” di 13 anni, la mancanza della nonna che
faceva l’attrice. E nessuno si aspetta che una favola così congeniata possa
avere un lieto fine. Certo non sappiamo quale sia, ma sappiamo (la storia ce lo
insegna) che non c’è (comunque) un lieto fine in quella vicenda. Detto questo,
che potrebbe avere anche un segno positivo, rimane la sensazione che lo
scrittore abbia giocato a fare il furbetto con questi sentimenti. Quanto è
lontana la favola triste di Benigni o quella allegro-amara del “Train de vie”.
Ma quelle erano favole sentite. Questa è costruita. L’autore è irlandese (e
certo avrebbe ben altre tragedie di cui parlare anche in prima persona),
lontano da quel mondo tedesco-polacco in cui ci fa immergere. Vuole solo strappare
lacrime, ed usa questo artificio che, se poi si guarda con occhio fermo, è di
un improbabile da paura. Un figlio di un alto ufficiale tedesco può mai girare
indisturbato ai margini di un lager? Può un ufficiale portarsi appresso la
famiglia, come fosse una gita in campagna, quando va a guidare lo sterminio di
uomini e uomini? Queste ed altre dieci, venti, piccole improbabilità rendono la
favola appunto una favola. Ma non un La Fontaine, neanche un cattivissimo e
triste Dahl. Nulla. Solo un trampolino di lancio, forse per un film altrettanto
strappa-lacrime ed ammicchevole. Lo leggo in questo gennaio che si avvicina al
giorno della memoria, e penso che diverso peso ha lo scritto di Anna Frank. E
qui mi fermo. Leggete altro, se volete tornare a pensare a quegli anni.
Oggi
son le Palme e tutti siam più buoni. Tra sette giorni è Pasqua ed avrem tanti
doni. Per ora il mio è sapere se domani si sfonderà il muro del 9. E poi
aspettare tranquillamente il passare di questi sette giorni. Il vostro tramista
necessita di molto riposo (sarà l’età? Sarà lo stress? Sarà perché…?).
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