Cominciamo allora da quello più
antico (di lettura) e che meno mi è piaciuto.
Niccolò Ammaniti “Come Dio comanda” Noir
Repubblica euro 7,90
Primo
titolo (ed anche qui è passato quasi un anno) della serie Noir di Repubblica
2009. Ritengo sia un libro che vada letto, ma non mi è piaciuto, né come altri
di Ammaniti, né come altri vincitori del Premio Strega. L’impianto è il noir
come nel migliore “Io non ho paura”. Sbandati, emarginati, rottami della vita e
bimbi, forse adolescenti, che crescono, nonostante tutto il letame che hanno
intorno. Nessun personaggio positivo, nessun ammiccamento. Tristezza e mal di
vivere nella pianura emiliana. Un po’ di critica sociale (perché tanti
emarginati? Le fabbriche chiudono e la gente si arrangia). Un po’ di tentativi
di dare corpo a delle ombre. La storia della morte della piccola Lucia e del
non saper risorgere dal male da parte del padre. Perché le donne sì, invece? Ed
i silenzi. Mai che si affrontino a viso aperto i problemi. Allora tutto si
ingarbuglia. Si pensa Tizio agisca così perché Caio, mentre Caio pensa che
Tizio. E via ammatassando. Una veloce, anche se non breve fotografia. Uno
spaccato dell’Italia che si vuole senza speranza. Con la costante ricerca del
momento più doloroso. Se qualcosa deve andare male, lo va nel modo peggiore. Un
po’ di Mazzantini alla paprika. Quello che poi meno mi è piaciuto è la discesa
agli inferi di Quattro Formaggi (chiamato così per la sua passione della pizza
omonima) che scivola via verso i suoi istanti di follia, forse senza ragione,
certo senza speranza. In fondo, poi (a parte il Cristiano che non può fare
troppo il cattivo data l’età) è papà Rino che, nella sua abiezione, mostra gli
unici momenti di umanità. Finito poi così a bere e sopravvivere, perché non c’è
speranza in questo mondo senza lavoro. Uffa…
Per
fortuna a Novembre, tra altri e bassi, mi deliziò questo romanzo.
Giorgio Scerbanenco “Traditori di tutti”
Noir Repubblica euro 7,90
Un
classico Scerby. Magistrale. Amaro. Non molto “giallo”, ma molto nero. E
soprattutto pieno, permeato del grande Duca Lamberti e dei suoi tormenti. Già
lo incontrammo quando, mossa da pietas medica, decise la dolce morte per la sua
ormai troppo anziana e sofferente paziente. E nel tormento dell’espiazione
carceraria. Nel timido aprirsi a colei che, per salvarlo, venne a sua volta
sfigurata nel corpo come lui nell’anima. Qui siamo al secondo passo, quello che
lo porterà a tutti gli effetti a fare il terzo e definitivo: da medico a
poliziotto. In una notte di nebbia, sull’orlo dei Navigli una ragazza spinge
una macchina con due ubriachi ad affondare nelle acque oscure. Lì dove pochi
mesi prima un’altra ne affonda. Lì dove poco dopo una terza viene sventagliata
di mitra e gli occupanti uccisi. Il Duca si muove con cautela in questa Milano
nera, cerca appigli, trova riscontri. E pagina dopo pagina si delinea una
vicenda tipica del sottobosco milanese, con le radici che affondano nell’ultima
guerra, e che si dipanano per vent’anni, tra piccoli e grandi tradimenti. Tra
truffe, prostituzioni e droga. Non si è ancora invasi dalla cattiveria che
viene dall’Est, si è ancora dei cattivi autoctoni. Ma quanto cattivi! Certo il
colpo finale viene dall’esterno, la chiave che mette tutti i puntini sulle i,
ma il teorema Lamberti era già sul tavolo con tutti i cattivi al loro posto. E
con i buoni che poi così buoni non sono mai (citazione al contrario). Un noir
dove, come dal titolo, non ti puoi fidare di nessuno, perché ognuno tradisce
qualche d’un altro. Grazie Scerby della bella foto di una Milano anni Sessanta,
con quelle vie, quegli odori, quella prossimità con la campagna che ormai sono
spariti. Affonda con le tue lame nella cattiveria d’un tempo, e ci ricorda che
quella, la cattiveria, può mutare di pelle, ma ancora non è scomparsa. Ed
allora, alla prossima Duca!
Finiamo con l’onesto artigiano
della penna.
Corrado Augias “Il fazzoletto azzurro” Noir
Repubblica euro 7,90
Tutt’altro
che noir, ma gradevole, per una lunga giornata passata sul letto di dolore
(dopo aver terminato di vagare tra le dune maliane). Infatti, Augias mi ha
riportato a Roma. Ad una Roma del 1915, con le parti centrali già formate ed
omologhe alle attuali (Piazza Venezia, via della Mercede ed altri), ma con
dintorni e contorni diversi (e la campagna che inizia tra Piazza del Popolo e
Ponte Milvio). Certo, quando il protagonista Giovanni si ritira sulla sua casa,
in un attico a Borgo Angelico, il mio cuore sussulta di ricordi e mestizie.
Quattro anni passati in quell’oasi, forse unica da me cercata, scelta, messa in
piedi. Gli anni in cui mi allontanavo dalla casa avita, entravo nel mondo del
lavoro, e cercavo la mia prima famiglia. Poi altro si è fatto, e senza
rimpianti. Solo la casa a Borgo ogni tanto rimanda qualche fitta al petto. Ma
torniamo al libro, che invece, come detto, pur mettendo tanta carne al fuoco, è
quanto di più lontano si possa pensare da un noir. Riprende, passati anche qui
quattro anni, i protagonisti del primo libro. Ed imbastisce una storia di
piccoli omicidi senza importanza, negli ambienti cupi dello spionaggio
pre-1915, quello più alla Mata Hari che allo James Bond. Servizi segreti che
tramano per tirare l’Italia dentro o fuori la guerra. Francesi e tedeschi che
usano il suolo romano per scaramucciare sul futuro della nazione italiota. Con
Giolitti e Salandra che si battagliano dentro e fuori il Parlamento. In tutto
questo ritorna il buon Giovanni, con il disincanto di chi, non potendo aderire
completamente al servizio di uno Stato che va alla deriva, cerca comunque di
“metterci delle pezze”, magari da esterno. Coinvolgendo ancora una volta il
buon commissario Marchisio, segugio di Stato, teneramente coccolato
dall’Ersilia in quel suo star lontano dall’amata Torino (e dall’amata moglie).
E coinvolgendo il suo amore inespresso, la bellissima Paolina, cui mai riesce a
dire parole di tenerezza (mi ricorda qualcuno…). Per soprassalto, ci si mettono
anche i Russi, con la loro anarchia rivoluzionaria che sta correndo verso il
’17. Lo scioglimento è un po’ banale (l’inchiostro simpatico una trovata
ingenuotta), anche se, come nei più classici scioglimenti, non tutti i cattivi
avranno le loro punizioni. Anzi, forse solo quelli cattivelli. Gli stronzi
matricolati riescono sempre a trovare una via di fuga. Finendo così, per me,
con quelle immagini della Stazione Termini invasa da terni e passeggeri che
tanto mi rimanda comunque alla memoria. Un libro di passaggio, non molto di
più. Una menzione finale al sillogismo sofista che riporto sotto. Una chicca
nel mare delle parole.
“Giovanni si considerava un uomo del tutto normale, non fosse stato per
il fatto di sentire a volte che una seconda vita viveva dentro di lui, non
altrimenti avvertita che nell’improvviso desiderio di essere altrove” (87)
“- Che cosa vuoi sapere da me questa volta? – Non da te, ma di te
voglio sapere – Che cosa? – Quello che fai – Ma questo allora l’hai già visto –
Vorrei sapere anche quello che non si vede” (112)
“C’era stato un tempo in cui … aveva pensato che Giovanni fosse il
compagno ideale per un viaggio lungo la movimentata corrente della vita” (113)
“Non ci si dovrebbe permettere di esprimere giudizi se non si sono
passati i quarant’anni, prima si è troppo impazienti, troppo crudeli e anche
troppo ignoranti” (190)
“Il presente è il lato più doloroso dell’esistenza, ma ha il vantaggio
di passare in fretta” (191)
“Fate conto che manchi un minuto a mezzogiorno e che qualcuno vi chieda
che ore sono. Se rispondete ‘Sono le dodici precise’, dite il falso. Se invece
affermate ‘è un’ora compresa tra le undici del mattino e l’una del pomeriggio’
dite una cosa vera. Eppure l’asserzione falsa è più vicina alla verità di
quella vera, oltre ad essere certamente più utile per capire che ore sono
veramente. … Non sempre le cose false sono anche sbagliate. Meglio ancora, non
sempre le cose vere sono utili” (227)
“Sono un uomo che ha dietro di sé solo equivoci madornali e dovrei
vergognarmi” (250)
La Pasqua si avvicina a grandi
passi, per ora affrontiamo in apnea una settimana musicale. Troppo ho detto
nelle trame, poco riporto ancora. Anche perché scottato dalle troppe patate del
Belgio che sulla bilancia avranno di sicuro effetto.
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