venerdì 10 febbraio 2012

Si impara sempre - 18 aprile 2010

Sì, si impara sempre. Dai classici che scandiscono parole che suonano alle nostre corde e ci rimandano i pensieri. Dalle situazioni complicate, dove si devono prendere decisioni. Dagli amici, che proprio perché amici non solo chiedono, ma a cui si chiede. E sappiamo tutti che imparare a chiedere è una delle cose più difficili.
Ma veniamo alle cose che insegnano questi classici, due degli anni cinquanta, due francesi,  ma non sempre gli stessi due. Alcune foto che sebbene sbiadite ai bordi sono di un’attualità che mi ha fatto venire i brividi.
Cominciamo con un classicissimo che mi ha riportato alle letture della mia giovinezza, quando gli preferivo il buon vecchio Asimov.
Ray Bradbury “Fahrenheit 451” Mondadori s.p. (regalo)
Un classico, ma ci sono alcuni punti in cui è dice cose che anche dette oggi fanno paura. Risente i suoi quasi sessanta anni, ma sono contento di averlo in un certo senso riletto ora, carico d’anni e di esperienze. La storia è ormai un eponimo e sembra quasi banale riportarla, ma ha delle pieghe interessanti. In un imprecisato futuro, l’informazione giornalistica viene bandita (e uno), le case diventano dei grandi televisori (e due), dove chi è benestante si permette di avere un salotto con quattro pareti tutto schermo, diventando parte integrante degli spettacoli televisivi (interagendo anche con essi). I libri, che potrebbero far riflettere la gente su quanto di guasto sta avvenendo vengono prima considerati pericolosi (e tre), poi a loro volta proibiti, ed infine viene istituito un corpo speciale dedito al loro incenerimento (ed a quello delle persone che li leggono). È da paura quanto tutto ciò suoni attuale! Il fuochista Guy Montag, non si sa come e perché, inizia a riflettere su questo stato di cose, trova il coraggio di ribellarsi, e prospetta un futuro dove… si tornerà alla lettura. Guy dovendo scegliere tra bruciare libri e bruciare il suo capo, sceglie di dar fuoco a quest’ultimo e poi fugge per unirsi ai ribelli. Il tutto con una guerra che sembra esserci ma che (avendo tolto l’accesso all’informazione) nessuna sa di sicuro. Se invece di guerra con armi, ci mettiamo la crisi economica sembra di leggere la cronaca dei gironi nostri. Dobbiamo trovare il coraggio delle piccole azioni, della ribellione allo strapotere televisivo che annienta le voci fuori dal coro. Bisognerebbe prendere tutta la parte centrale del libro che spiega il passaggio dai libri al monopolio televisivo e farne un monumento. Alla fine si arriva veramente stremati. E lì che andremo a finire? DICIAMO DI NO!!!
“Guy voi avete davanti un vigliacco. Io vedevo la piega che stavano sempre più prendendo le cose, ma molto tempo fa; ma non ho detto nulla; sono uno degli innocenti che avrebbero potuto parlare chiaro e tondo quando nessuno era disposto a da rette al ‘colpevole’ ma non ho aperto bocca, diventando così colpevole a mia volta.” (96)
“i libri sono odiati e temuti … perché rivelano .. la vita. La gente comoda vuole solo facce di luna piena, … inespressive. Viviamo un tempo in cui i fiori tentano di vivere sui fiori invece di nutrirsi di buona pioggia” (98)
Mi aveva incuriosito il film perché c’è la per me bellissima Michelle, ma poi non l’ho visto ed ho preferito leggerne.
Colette “Chéri” Newton Compton euro 6 (in realtà, scontato 3,90 euro)
Il classico degli Anni Venti. Donna con amante giovane e tutto il resto, che ora, novanta anni dopo, sembra normale e forse trito, ma che scandalo allora! La prima cosa che leggo della scrittrice francese (e forse ne prenderò qualcosa in lingua per sentirne l’accento veritiero). Della scrittrice scandalo, che fa anche l’attrice, che si sposa più volte, ma che ha anche una lunga relazione con la marchesa di… Qui ricostruisce bene quel tipo di mondo mondano delle signorine che si fanno mantenere da uomini un po’ attempati, ma anche che riuscendo a mettere da parte piccoli o grandi patrimoni, poi decidono di concedersi una carne più fresca. Questa par essere la vera storia di Lea, che, ora ricca, si tiene per sette anni come amante il bel “Chéri”, caro. Verrebbe di pensarlo in traduzione con un italiano “Tesoro”, che può sostituire il nome della persona cara/amata, diventando nome e lasciandosi dietro l’aggettivo. E tutti sanno quanto questo mi sia difficile, io che penso alla persona amata con il suo vero nome, senza orpelli, perché è lei che amo, non il tesoro, o altro. Bene si segue (e si comprende) tutta la parabola: l’amante per non dare scandalo deve sposarsi, Lea per non dare scandalo sparisce per un po’, “Tesoro” quando torna Lea non riesce a starne lontano (ma è vero amore, o capriccio?), e Lea capisce che sta invecchiando e che, in fondo, si è innamorato del “Tesoro” cui, bene o male, ha fatto da Pigmalione. Qui escono fuori anche le righe migliori, quelle dell’invecchiare e dell’interrogarsi su questo passo, cui tutto (inconsciamente) aspiriamo per (grazie Rosa) non morire giovani. Alla fine, tuttavia, rimane così, sul limitare tra il bello ed il sublime, senza decisamente volgere la vela verso il fronte del capolavoro. Mi viene bene anche un pensiero al contrario (che rimanda ad alcune pagine del Petalo Cremisi): e nel viceversa, che sembra essere più usuale, riusciamo a penetrare i pensieri dell’uomo che invecchia e si contorna di giovin fanciulle? Ricordo, in chiusa, i due estremi: la Lolita di Nabokov, e quel bellissimo film di molti anni fa “Harold e Maude” (ve lo ricordate?).
“non m’importa nulla di non essere stato il tuo primo amante. Avrei desiderato… se fossi stato l’ultimo” (51)
“ci siamo lasciati con eleganza, da buoni amici. Non poteva continuare tutta la vita. … ti confesso … che se non fosse stato per l’età…” (87)
“Non annoiate gli amici quando siete nei guai, condividete con loro la vostra felicità.” (108)
“alla mia età non si tiene un amante per sette anni. … Una relazione che dura sette anni equivale a seguire il proprio marito … [all’estero] … e quando si torna nessuno ti riconosce” (116)
E per finire un mito delle mie corde segrete, cantante in uno dei primi LP che mi comprai.
Boris Vian “La schiuma dei giorni” Marcos Y Marcos s.p. (regalo)
Troppo di testa. Non ha la serietà del Disertore o la spensieratezza di Fammi Male Johnny. Pieno di invenzioni, giochi di parole (tradotti benissimo ma a volte intraducibili). E come tutte le cose di testa, a volte rischia di stancare. Si può stancare anche di un idolo come Vian, benché prefato da Fossati e postfato da Pennac. Il libro è un fuoco di fila di invenzioni, sulla scia un po’ dei dadaisti degli anni Venti, cercando da un lato di tirar fuori il paradosso della vita, dall’altro (cadendo in pieno nel tormento esistenzialista) sostenendo a spada tratta la bruttezza ed inutilità del vivere odierno. La prima parte poi è quanto mai solare, c’è un cuoco che inventa e reinventa piatti favolosi sulla scia di ricettari ottocenteschi. E c’è il protagonista che si circonda di invenzioni favolose, come quella di un piano che suonando mescola gli ingredienti alcolici (il “pianocktail” in originale) e produce alla fine del pezzo una bevanda non solo favolosa ma adatta allo spirito della sonata (e qui non mancano i rilanci all’esperienza jazz di Vian). E come detto giuochi di parole, come quella sul protagonista Colin che mangia merluzzo (traslandosi dalle nostre parti con quel diminutivo paesano di Cola e dei suoi collegamenti pescatori e di quelli che si tuffano nel mare). Fino all’apice dei grandi innamoramenti: Colin e Chloé, Chick e Alise, Nicolas e Isis. Poi si va giù per la china dell’imbarbarimento. Chloé si ammala e nessuno riesce a trovare soluzioni al suo male. Chick diventa sempre più maniaco del suo idolo (Jean-Sol Partre, vi dice qualcosa?) fino a cercare i suoi vestiti smessi dai più improbabili antiquari. Solo Nicolas sembra “salvarsi” dalla barbarie, ma solo perché si tira fuori dalla mischia e se ne va altrove. Dove non sarà felice come prima, ma forse sarà. E via distruggendo, pezzo dopo pezzo, il bel castello della nostra vita, con tocchi di una cattiveria bellissima, come il suicidio del topo che chiede al gatto di tagliarli la testa! Ma sì, certo, grande opera, forse capolavoro nel suo genere. Ma anche, no perché Vian sarebbe il primo a rivoltarsi di questo incensamento. Lui appunto che era l’epigono e l’esaltatore dell’effimero e del momento, ma con la sagacia che ogni momento, se ben vissuto, porta sapienza e quindi, alla fine gioia. Come con gli altri suoi libri, a volte di una brutalità sessuale ma che serviva a far saltare in aria sepolcri imbiancati. Come il suo disertore che rifiuta di andare alla guerra. Come la ragazza che cerca l’amore forte, ma quando lo trova si spaventa. Come le sue serate pazze, nelle cantine parigine dando fiato alla tromba (fisicamente) e sfiancandosi di alcool e sigarette. Fino all’infarto che lo prende a soli 39 anni, durante la prima del film tratto dal suo “Sputerò sulle vostre tombe”. Infarto che gli prese appunto vedendo il film fatto dagli americani e sussultando dalla prima all’’ultima battuta. “Non avete capito niente” e se ne andò, dal cinema e dalla vita. Amo e amerò sempre Vian, anche dopo questo libro. Ma non per questo libro.
“L’amore … vale la pena di essere vissuto solo perché è amore, sebbene, anch’esso, come tutto, sia perituro (postfazione di Pennac)” (263)
Boris Vian nasce poco prima del citato Ray, nel lontano 10 marzo 1920, ma, come narrato, muore d’infarto a soli 39 anni. Mi ha fatto amare il jazz francese, le canzoni di parole e ne potrei parlare per ore, ma la mia penna è breve-
Forse non si andrà a Brussels, causa malefici vulcani islandici, ma sarà comunque una settimana da ricordare. E mentre si chiude il pezzo (così come nei giornali di una volta), l’arrivo di tristi notizie costringe a riaprire le rotative, ribadire l’ispirazione del titolo  ed inviare anche da qui un abbraccio alla nostra dolente amica Maria.

Nessun commento:

Posta un commento