Fisici e mentali. Riprendo tre
autori che scrivono per la sempre benemerita collana ControTempo di Laterza,
che, pur annoverando alti e bassi (come tutti del resto), ha per me un livello
di qualità che si mantiene costante. Inoltre ritrovo la scrittura del da me
sempre ben voluto Francesco Piccolo, del quale (mi scuso in anticipo)
ripropongo alcuni lunghi brani. Dove, soprattutto quello sui Pooh è di mio
sicuro gradimento, e spero anche vostro.
Allora iniziamo con il magistrato
in attesa di leggere il suo ultimo libro (già nei miei scaffali, prima o poi
arriverà anche la lettura).
Gianrico Carofiglio “Né qui né altrove”
Laterza euro 10
Un
altro bel viaggio in città. Carofiglio scrive bene, anche se in genere
preferisco i suoi gialli, e ricordo che non mi piacque e parlai male del suo
“Il passato è una terra straniera”. Qui invece riesce, sempre sul filo della
memoria, a tirar fuori cose di sé (in fondo uno scrittore non scrive sempre la
propria autobiografia se parla dei suoi luoghi?) e soprattutto di una città che
tanto è andata mutando negli anni, come Bari. Saranno due - tre anni che non ci
torno, ma mi ritrovo, nell’evoluzione del panorama barese da quella città
ostica allo straniero che mi accolse una ventina d’anni fa alla città moderna
ma forse più anonima che ho visto per ultima. Continuo a trovare gradevole,
come detto, questa collana che costringe scrittori a parlare della propria
terra: città, paese, luogo. Se ne esce sempre con una visione interessante,
così come qui se ne esce da un lato con l’idea dell’evoluzione della città dai
grigi anni 70, all’invasione albanese degli anni 90 all’attuale spazio, un po’
impoverito, ma con elementi che fanno si che Carofiglio lì rimanga (uno su
tutti, l’odore della vera focaccia barese). Anche l’uso dei tre personaggi è
emblematico per la rappresentazione di una città che è sempre vissuta sull’orlo
di un baratro, tra bene e male, tra città vecchia e città nuova, tra quartiere
Libertà e quartiere Marat. Lo scrittore, coscienza critica, ma certamente non
indenne da debolezze, e che tuttavia rimane; l’architetto che scegli di
cavalcare l’onda, di successo in berluschismo, ma con le grosse angosce
private; il fuoriuscito che ora vive in America, e che dà il pretesto di
rivisitare la città, che fa finta di essere contento delle scelte americane, ma
che dovrà cedere al ricordo davanti ad una focaccia con la mortadella. Insomma,
scorrevole, mi è piaciuto e mi fa continuare a dire: bene, si proceda con
questo filone, forse con alti e bassi, ma sempre sopra la sufficienza (almeno
per ora).
“non avendo le idee chiare su me stesso… nella vita sociale
interpretavo personaggi, diversi a seconda delle circostanze confusamente
ispirati a film e libri” (12)
“viene qualcuno dall’estero e inevitabilmente si finisce a parlare del
fatto che, incredibile, gli italiani (addirittura i meridionali) rispettano il
divieto di fumare. Ogni volta che sento questo discorso mi viene voglia di dare
una testata al responsabile. Più o meno come quando sento dire che il clima sta
cambiando, che non ci sono più le stagioni intermedie, che i giovani d’oggi non
hanno interessi, noi eravamo diversi” (63)
“diceva che sei incapace di assumerti delle responsabilità… e che sei
un mentitore professionista… di quelli che si convincono di mentire per una
ragione etica… e invece mentono per il proprio interesse “ (128)
Veniamo ai piccoli gioielli del
Piccolo casertano.
Francesco Piccolo “L’Italia spensierata”
Laterza s.p. (regalo di Alessandra)
Continuo
a dirmi che Piccolo mi piace come scrive, l’ironia che ci mette, soprattutto
quando parla di “sociologia”. Come in Allegro
occidentale, qui ritorna a vagare, per idee piuttosto che per luoghi. E i
quattro che visita sono luoghi, pezzi d’Italia, ma anche occasioni per
riflettere: la partecipazione come spettatore a Domenica In, il film di Natale
al cinema, gli Autogrill, la visita con i bambini a Mirabilandia. Wow! Tutti
luoghi e attività che uno dice non avrebbe affrontato mai. E poi si accorge, se
cerca di essere onesto con sé stesso fino in fondo, che un pezzetto del sé
profondo è in tutte quelle cose. Perché sembra di sentirsi un po’ stupidi, e
finalmente si può rispondere, si sono un po’ stupido. E questa consapevolezza,
non può che far uscire un sé un po’ più vero. Non uno snob che storce sempre il
naso e tira dritto per la sua strada, ma una persona, come noi, o meglio come
me, che ogni tanto canticchia anche una canzone dei Pooh e ci riflette sopra (o
come una canzone di Morandi, uno dei miei cavalli di battaglia, quando il buon
Gianni nazionale si auto convince che non è il fatto che lei stia al caldo
sotto le coperte e lui nella strada al freddo che lo disturba, ma che lontano
dai suoi sogni l’amore sta morendo). Ecco, la tiratona sui Pooh è di un
travolgente riso che la riporto per intero. Chissà se prima o poi (sotto la
spinta di quelle altre tirate di Da Silva) non si riesca a tirarne fuori
qualcosa di buono. Comunque mi piace e se ne leggerà ancora.
“la Rai ha una caratteristica molto romana riguardo a qualsiasi
richiesta, che nel campo lavorativo romano corrisponde non soltanto alle
richieste gratuite come in questo caso, ma anche a quelle fatturabili e
pagabili come per qualsiasi artigiano, commerciante eccetera. Cioè, alla prima
richiesta di un posto da spettatore a Domenica In, di un elettricista per
montare delle luci, di un meccanico per un problema alla moto, di un esperto
per il cambio del telefonino, di un ascensorista per un preventivo di
ascensore, di un tassista per essere condotti in un luogo nemmeno troppo
lontano, la prima reazione è sempre fortemente scoraggiante; di solito ci si
sente rispondere immediatamente: non si può fare; si vede l'ascensorista o il
tassista o l'elettricista che scuotono la testa e dicono che non si può fare,
oppure, quando va bene, che è molto difficile (e comunque tendono a scuotere la
testa). Poi, se si riesce a superare quest'ostacolo innalzato repentinamente,
si può anche procedere con normalità, ma la soglia psicologica di
quest'ostacolo è alta, molto alta, abbastanza alta da costituire appunto una
soglia psicologica nella quale il primo consiglio che cerca di darti chi risponde
è: lascia perdere. E, ripeto, anche quando è occasione di guadagno facile e
immediato. E come se a Roma ci fosse una sorta di training continuo in cui la
popolazione lavorativa ti chiede in modo filosofico - mistico - agonistico di
fare qualsiasi cosa solo se davvero la vuoi fare, se ne sei fortemente
convinto, se senti di doverla fare e di non potervi assolutamente rinunciare.
Ti chiede, insomma: davvero è necessario mettere delle lampade nuove al
soffitto? Davvero la tua moto non può andare avanti cosi? Davvero c'è bisogno
di un telefonino nuovo? Davvero non puoi salire le scale che ti farebbe anche
bene? Davvero è cosi urgente raggiungere una strada secondaria del quartiere
Prati? E davvero nella tua vita è importante andare come spettatore a Domenica in??” (12-13)
“La prima canzone che cantano i Pooh … è Tanta voglia di lei, la
loro canzone più famosa e che ognuno di noi canta a memoria … mentre il Pooh
canta la storia di quest'uomo a cui dispiace di svegliare lei e che forse un
uomo non sarà, ma a un tratto sa che deve lasciarla e tra un minuto se ne andrà
(la sveglia apposta per comunicarle che deve lasciare e che tra un minuto se ne
sarà già andato). La cantiamo tutti in coro, come se fosse una splendida canzone
d'amore e nell'immaginario è sempre passata così, ma, in effetti, quest'uomo
(che forse non è un vero uomo, dice, ma forse invece è proprio il classico
uomo) si scopa una e poi poco dopo, a un tratto, sente il senso di colpa, a un
tratto, e non può fare a meno di confessarle che adesso ha tanta voglia di
un'altra, che poi è la sua vera donna. Quella che si è appena scopato non dice
una parola, tanto che uno sulle prime pensa che stia dormendo, e invece sta
mordendo le lenzuola in silenzio e lui sa che non perdonerà. Ma non può farci
niente: si è reso conto all'improvviso che il suo posto non è qua, è là, e
nella mente c'è tanta, tanta voglia di lei. Ora, nessuno può avere nulla in
contrario sul fatto che lui senta che il suo posto è là e non è qua. È
legittimo. Però, secondo me, una cosa del genere si dovrebbe sentire prima di
scopare, non appena dopo. Il senso di colpa - perché questa è una canzone sul
senso di colpa, non sull'amore - o gli viene prima, oppure se lo può pure
trattenere un po'. No, invece accade esattamente il contrario: prima non dice
niente, anzi non avrà probabilmente neanche detto di avere qualcuno che lo
aspetta, per carità, e se ha detto qualcosa saranno state parole gentili,
seducenti e romantiche. Poi, d'un tratto, dopo, subito dopo, d'un tratto, sa
che deve lasciarla e sa che il suo posto è da un'altra parte. Lo sa con
certezza assoluta. E non solo. Ma deve pure andare via subito, perché il suo
amore si potrebbe svegliare e chi la scalderà, che non è una cosa molto carina
da dire a qualcuno con cui hai appena - appena! - scopato. Ma non può farci
nulla: nella sua mente c'è tanta, tanta voglia di lei. E quel «tanta, tanta»
ripetuto due volte è davvero cinico. Poi la seconda strofa è tutta dedicata
alla tenerezza del suo amore (quello vero) che si gira dormendo nel letto e cerca
il suo uomo che non c'è. Però la strana amica di una sera si sente uno schifo e
la donna amata è stata tradita, e se apre gli occhi lo scoprirà. Noi
contribuiamo alla sua esperienza cantando a squarciagola insieme al Pooh,
identificandoci con chi, non ho capito - con la ragazza sconosciuta e
abbandonata? Con la donna che cerca il suo uomo che non c'è? Con il senso di
colpa di lui? Boh.” (52-53)
“Potrei fare un lunghissimo elenco di amici che mi chiamano
immediatamente quando gli è successo qualcosa di terribile e poi rispondono a
una mia telefonata allarmata, qualche tempo dopo, dicendo distratti: ah, sì,
quella cosa lì, no, poi si è risolto tutto... Io mi lamento, loro dicono che ho
ragione, ma poi me lo fanno di nuovo. Le persone hanno bisogno di compagnia e
condivisione quando stanno male, ma poi i momenti felici vogliono viverseli
tutti da soli; mentre tu sei ancora lì che ti struggi per loro, loro si sono
dimenticati di avvertirti che poi si è risolto tutto” (172)
nfine un nuovo entrato nel mio
panorama letterario, interessante con dei dubbi.
Valerio Magrelli “La vicevita” Laterza euro
9
Non
brutto, ma mi aspettavo qualcosa di diverso. Tra l’altro non sono d’accordo con
l’incipit che riporto. È vero che si va in terno come transito tra il qui e ora
ed il lì e dopo, ma questo transito è pieno di vita. L’avevo addentato pieno di
speranza che portasse conforto ai miei viaggi treneschi che da 3-4 anni
accompagnano la mia vita. Vuoi per diletto, vuoi per dovere, è un po’ di tempo
che questo mezzo di locomozione è entrato a far parte della mia vita, e non
come vice. Perché io sfrutto quel tempo per fare, per leggere, per pensare,
momenti che altrove non riesco a ritagliare da questo tempo che mi sfugge tra
le dita. Ed è quindi pur vero che c’è un prima del viaggio (la vita che si
svolge qui) ed un dopo del viaggio (l’incontro con…, la riunione con.., la
mostra di…, e così via). Ma c’è anche il durante che altrettanto mi aiuta a
sopportare questa strana vita. Sfrutto questi momenti per ripetermi alla
Stevenson che viaggio per andare non per arrivare. Un po’ questo mi aspettavo.
Il buon Magrelli invece mi rifornisce di poesie in prosa, paginette volanti su
stati d’animo e situazioni. Su piccoli e grandi incidenti ferroviari (purtroppo
è capitato anche a me di stare fermo per ore nella notte perché qualcuno si era
buttato sotto le rotaie…). Si fanno un po’ di squarci sulla vita
(delirantemente comico il trasloco in treno da Roma a Parigi), sui rapporti con
gli altri, sul passaggio dallo scompartimento all’open space, sui tristi
ristoranti, su treni mitici come l’Orient-express, su treni-bestiame dei
pendolari, sui vagoni blindati. Ma ecco, è più poesia che racconto organico.
Sensazioni più che discorsi. Avrei preferito esser preso per mano, condotto al
mio posto e poi a parlare di questo e di quello per le due - tre ore del
viaggio. Non scrive male, ma lascia un po’ sospeso. Sufficiente senz’altro, ma
più per benevolenza che per meriti propri.
“La nostra vita pullula di ... attività strumentali e vicarie, nel
corso delle quali, più che vivere, aspettiamo di vivere… sono i momenti in cui
facciamo da veicolo a noi stessi. È ciò che chiamerei: la vicevita” (3)
“il vecchio Tupolev … mi portò a Tbilisi: non avevo mai visto un aereo
dove i passeggeri salivano a bordo con le galline in gabbia, fra panini e
bottiglie… era una specie di jet agrario, una via di mezzo fra la corriera,
l’aia e l’osteria [vero papà??]” (39)
“Quanti amanti, quanti amici, non sprofondano nell’anonimato,
allontanandosi dalla nostra orbita come navi spaziali in avaria?” (58)
“Le tragedie, come i quadri, vogliono la giusta distanza” (71)
Come da tradizione la prima trama
del mese riporta l’elenco dei libri letti due mesi prima, quindi in dicembre
(non tantissimi data la partenza natalizia).
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
1
|
Marco Aime
|
Timbuctu
|
Bollati Boringhieri
|
10
|
2
|
Gerald Durrell
|
La mia famiglia e altri animali
|
Adelphi
|
9
|
3
|
Giuseppe Pederiali
|
Camilla e il grande fratello
|
Garzanti
|
9
|
4
|
Giorgio Scerbanenco
|
Le principesse di Acapulco
|
Garzanti
|
6,20
|
5
|
Colette
|
Chéri
|
Newton Compton
|
6
|
6
|
Renata Di Martino
|
La bambola cinese
|
Avagliano
|
9,50
|
7
|
David Grossman
|
A un cerbiatto somiglia il mio
amore
|
Mondadori
|
s.p.
|
8
|
Luisa Adorno
|
L’ultima provincia
|
Sellerio
|
8
|
9
|
Giorgio Scerbanenco
|
Traditori di tutti
|
Noir Repubblica
|
7,90
|
10
|
Erri
De Luca
|
Il peso della farfalla
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
Ed ora, niente auguri alle donne
per un giorno specifico, ma per tutti i giorni dell’anno. Inizia anche una
settimana di fatica e (speriamo) dimagrimento, in vista della prossima
super-piena di impegni, italiani ed esteri.
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