sabato 4 febbraio 2012

Luoghi italiani. - 07 marzo 2010

Fisici e mentali. Riprendo tre autori che scrivono per la sempre benemerita collana ControTempo di Laterza, che, pur annoverando alti e bassi (come tutti del resto), ha per me un livello di qualità che si mantiene costante. Inoltre ritrovo la scrittura del da me sempre ben voluto Francesco Piccolo, del quale (mi scuso in anticipo) ripropongo alcuni lunghi brani. Dove, soprattutto quello sui Pooh è di mio sicuro gradimento, e spero anche vostro.
Allora iniziamo con il magistrato in attesa di leggere il suo ultimo libro (già nei miei scaffali, prima o poi arriverà anche la lettura).
Gianrico Carofiglio “Né qui né altrove” Laterza euro 10
Un altro bel viaggio in città. Carofiglio scrive bene, anche se in genere preferisco i suoi gialli, e ricordo che non mi piacque e parlai male del suo “Il passato è una terra straniera”. Qui invece riesce, sempre sul filo della memoria, a tirar fuori cose di sé (in fondo uno scrittore non scrive sempre la propria autobiografia se parla dei suoi luoghi?) e soprattutto di una città che tanto è andata mutando negli anni, come Bari. Saranno due - tre anni che non ci torno, ma mi ritrovo, nell’evoluzione del panorama barese da quella città ostica allo straniero che mi accolse una ventina d’anni fa alla città moderna ma forse più anonima che ho visto per ultima. Continuo a trovare gradevole, come detto, questa collana che costringe scrittori a parlare della propria terra: città, paese, luogo. Se ne esce sempre con una visione interessante, così come qui se ne esce da un lato con l’idea dell’evoluzione della città dai grigi anni 70, all’invasione albanese degli anni 90 all’attuale spazio, un po’ impoverito, ma con elementi che fanno si che Carofiglio lì rimanga (uno su tutti, l’odore della vera focaccia barese). Anche l’uso dei tre personaggi è emblematico per la rappresentazione di una città che è sempre vissuta sull’orlo di un baratro, tra bene e male, tra città vecchia e città nuova, tra quartiere Libertà e quartiere Marat. Lo scrittore, coscienza critica, ma certamente non indenne da debolezze, e che tuttavia rimane; l’architetto che scegli di cavalcare l’onda, di successo in berluschismo, ma con le grosse angosce private; il fuoriuscito che ora vive in America, e che dà il pretesto di rivisitare la città, che fa finta di essere contento delle scelte americane, ma che dovrà cedere al ricordo davanti ad una focaccia con la mortadella. Insomma, scorrevole, mi è piaciuto e mi fa continuare a dire: bene, si proceda con questo filone, forse con alti e bassi, ma sempre sopra la sufficienza (almeno per ora).
“non avendo le idee chiare su me stesso… nella vita sociale interpretavo personaggi, diversi a seconda delle circostanze confusamente ispirati a film e libri” (12)
“viene qualcuno dall’estero e inevitabilmente si finisce a parlare del fatto che, incredibile, gli italiani (addirittura i meridionali) rispettano il divieto di fumare. Ogni volta che sento questo discorso mi viene voglia di dare una testata al responsabile. Più o meno come quando sento dire che il clima sta cambiando, che non ci sono più le stagioni intermedie, che i giovani d’oggi non hanno interessi, noi eravamo diversi” (63)
“diceva che sei incapace di assumerti delle responsabilità… e che sei un mentitore professionista… di quelli che si convincono di mentire per una ragione etica… e invece mentono per il proprio interesse “ (128)
Veniamo ai piccoli gioielli del Piccolo casertano.
Francesco Piccolo “L’Italia spensierata” Laterza s.p. (regalo di Alessandra)
Continuo a dirmi che Piccolo mi piace come scrive, l’ironia che ci mette, soprattutto quando parla di “sociologia”. Come in Allegro occidentale, qui ritorna a vagare, per idee piuttosto che per luoghi. E i quattro che visita sono luoghi, pezzi d’Italia, ma anche occasioni per riflettere: la partecipazione come spettatore a Domenica In, il film di Natale al cinema, gli Autogrill, la visita con i bambini a Mirabilandia. Wow! Tutti luoghi e attività che uno dice non avrebbe affrontato mai. E poi si accorge, se cerca di essere onesto con sé stesso fino in fondo, che un pezzetto del sé profondo è in tutte quelle cose. Perché sembra di sentirsi un po’ stupidi, e finalmente si può rispondere, si sono un po’ stupido. E questa consapevolezza, non può che far uscire un sé un po’ più vero. Non uno snob che storce sempre il naso e tira dritto per la sua strada, ma una persona, come noi, o meglio come me, che ogni tanto canticchia anche una canzone dei Pooh e ci riflette sopra (o come una canzone di Morandi, uno dei miei cavalli di battaglia, quando il buon Gianni nazionale si auto convince che non è il fatto che lei stia al caldo sotto le coperte e lui nella strada al freddo che lo disturba, ma che lontano dai suoi sogni l’amore sta morendo). Ecco, la tiratona sui Pooh è di un travolgente riso che la riporto per intero. Chissà se prima o poi (sotto la spinta di quelle altre tirate di Da Silva) non si riesca a tirarne fuori qualcosa di buono. Comunque mi piace e se ne leggerà ancora.
“la Rai ha una caratteristica molto romana riguardo a qualsiasi richiesta, che nel campo lavorativo romano corrisponde non soltanto alle richieste gratuite come in questo caso, ma anche a quelle fatturabili e pagabili come per qualsiasi artigiano, commerciante eccetera. Cioè, alla prima richiesta di un posto da spettatore a Domenica In, di un elettricista per montare delle luci, di un meccanico per un problema alla moto, di un esperto per il cambio del telefonino, di un ascensorista per un preventivo di ascensore, di un tassista per essere condotti in un luogo nemmeno troppo lontano, la prima reazione è sempre fortemente scoraggiante; di solito ci si sente rispondere immediatamente: non si può fare; si vede l'ascensorista o il tassista o l'elettricista che scuotono la testa e dicono che non si può fare, oppure, quando va bene, che è molto difficile (e comunque tendono a scuotere la testa). Poi, se si riesce a superare quest'ostacolo innalzato repentinamente, si può anche procedere con normalità, ma la soglia psicologica di quest'ostacolo è alta, molto alta, abbastanza alta da costituire appunto una soglia psicologica nella quale il primo consiglio che cerca di darti chi risponde è: lascia perdere. E, ripeto, anche quando è occasione di guadagno facile e immediato. E come se a Roma ci fosse una sorta di training continuo in cui la popolazione lavorativa ti chiede in modo filosofico - mistico - agonistico di fare qualsiasi cosa solo se davvero la vuoi fare, se ne sei fortemente convinto, se senti di doverla fare e di non potervi assolutamente rinunciare. Ti chiede, insomma: davvero è necessario mettere delle lampade nuove al soffitto? Davvero la tua moto non può andare avanti cosi? Davvero c'è bisogno di un telefonino nuovo? Davvero non puoi salire le scale che ti farebbe anche bene? Davvero è cosi urgente raggiungere una strada secondaria del quartiere Prati? E davvero nella tua vita è importante andare come spettatore a  Domenica in??” (12-13)
“La prima canzone che cantano i Pooh … è Tanta voglia di lei, la loro canzone più famosa e che ognuno di noi canta a memoria … mentre il Pooh canta la storia di quest'uomo a cui dispiace di svegliare lei e che forse un uomo non sarà, ma a un tratto sa che deve lasciarla e tra un minuto se ne andrà (la sveglia apposta per comunicarle che deve lasciare e che tra un minuto se ne sarà già andato). La cantiamo tutti in coro, come se fosse una splendida canzone d'amore e nell'immaginario è sempre passata così, ma, in effetti, quest'uomo (che forse non è un vero uomo, dice, ma forse invece è proprio il classico uomo) si scopa una e poi poco dopo, a un tratto, sente il senso di colpa, a un tratto, e non può fare a meno di confessarle che adesso ha tanta voglia di un'altra, che poi è la sua vera donna. Quella che si è appena scopato non dice una parola, tanto che uno sulle prime pensa che stia dormendo, e invece sta mordendo le lenzuola in silenzio e lui sa che non perdonerà. Ma non può farci niente: si è reso conto all'improvviso che il suo posto non è qua, è là, e nella mente c'è tanta, tanta voglia di lei. Ora, nessuno può avere nulla in contrario sul fatto che lui senta che il suo posto è là e non è qua. È legittimo. Però, secondo me, una cosa del genere si dovrebbe sentire prima di scopare, non appena dopo. Il senso di colpa - perché questa è una canzone sul senso di colpa, non sull'amore - o gli viene prima, oppure se lo può pure trattenere un po'. No, invece accade esattamente il contrario: prima non dice niente, anzi non avrà probabilmente neanche detto di avere qualcuno che lo aspetta, per carità, e se ha detto qualcosa saranno state parole gentili, seducenti e romantiche. Poi, d'un tratto, dopo, subito dopo, d'un tratto, sa che deve lasciarla e sa che il suo posto è da un'altra parte. Lo sa con certezza assoluta. E non solo. Ma deve pure andare via subito, perché il suo amore si potrebbe svegliare e chi la scalderà, che non è una cosa molto carina da dire a qualcuno con cui hai appena - appena! - scopato. Ma non può farci nulla: nella sua mente c'è tanta, tanta voglia di lei. E quel «tanta, tanta» ripetuto due volte è davvero cinico. Poi la seconda strofa è tutta dedicata alla tenerezza del suo amore (quello vero) che si gira dormendo nel letto e cerca il suo uomo che non c'è. Però la strana amica di una sera si sente uno schifo e la donna amata è stata tradita, e se apre gli occhi lo scoprirà. Noi contribuiamo alla sua esperienza cantando a squarciagola insieme al Pooh, identificandoci con chi, non ho capito - con la ragazza sconosciuta e abbandonata? Con la donna che cerca il suo uomo che non c'è? Con il senso di colpa di lui? Boh.” (52-53)
“Potrei fare un lunghissimo elenco di amici che mi chiamano immediatamente quando gli è successo qualcosa di terribile e poi rispondono a una mia telefonata allarmata, qualche tempo dopo, dicendo distratti: ah, sì, quella cosa lì, no, poi si è risolto tutto... Io mi lamento, loro dicono che ho ragione, ma poi me lo fanno di nuovo. Le persone hanno bisogno di compagnia e condivisione quando stanno male, ma poi i momenti felici vogliono viverseli tutti da soli; mentre tu sei ancora lì che ti struggi per loro, loro si sono dimenticati di avvertirti che poi si è risolto tutto” (172)
nfine un nuovo entrato nel mio panorama letterario, interessante con dei dubbi.
Valerio Magrelli “La vicevita” Laterza euro 9
Non brutto, ma mi aspettavo qualcosa di diverso. Tra l’altro non sono d’accordo con l’incipit che riporto. È vero che si va in terno come transito tra il qui e ora ed il lì e dopo, ma questo transito è pieno di vita. L’avevo addentato pieno di speranza che portasse conforto ai miei viaggi treneschi che da 3-4 anni accompagnano la mia vita. Vuoi per diletto, vuoi per dovere, è un po’ di tempo che questo mezzo di locomozione è entrato a far parte della mia vita, e non come vice. Perché io sfrutto quel tempo per fare, per leggere, per pensare, momenti che altrove non riesco a ritagliare da questo tempo che mi sfugge tra le dita. Ed è quindi pur vero che c’è un prima del viaggio (la vita che si svolge qui) ed un dopo del viaggio (l’incontro con…, la riunione con.., la mostra di…, e così via). Ma c’è anche il durante che altrettanto mi aiuta a sopportare questa strana vita. Sfrutto questi momenti per ripetermi alla Stevenson che viaggio per andare non per arrivare. Un po’ questo mi aspettavo. Il buon Magrelli invece mi rifornisce di poesie in prosa, paginette volanti su stati d’animo e situazioni. Su piccoli e grandi incidenti ferroviari (purtroppo è capitato anche a me di stare fermo per ore nella notte perché qualcuno si era buttato sotto le rotaie…). Si fanno un po’ di squarci sulla vita (delirantemente comico il trasloco in treno da Roma a Parigi), sui rapporti con gli altri, sul passaggio dallo scompartimento all’open space, sui tristi ristoranti, su treni mitici come l’Orient-express, su treni-bestiame dei pendolari, sui vagoni blindati. Ma ecco, è più poesia che racconto organico. Sensazioni più che discorsi. Avrei preferito esser preso per mano, condotto al mio posto e poi a parlare di questo e di quello per le due - tre ore del viaggio. Non scrive male, ma lascia un po’ sospeso. Sufficiente senz’altro, ma più per benevolenza che per meriti propri.
“La nostra vita pullula di ... attività strumentali e vicarie, nel corso delle quali, più che vivere, aspettiamo di vivere… sono i momenti in cui facciamo da veicolo a noi stessi. È ciò che chiamerei: la vicevita” (3)
“il vecchio Tupolev … mi portò a Tbilisi: non avevo mai visto un aereo dove i passeggeri salivano a bordo con le galline in gabbia, fra panini e bottiglie… era una specie di jet agrario, una via di mezzo fra la corriera, l’aia e l’osteria [vero papà??]” (39)
“Quanti amanti, quanti amici, non sprofondano nell’anonimato, allontanandosi dalla nostra orbita come navi spaziali in avaria?” (58)
“Le tragedie, come i quadri, vogliono la giusta distanza” (71)
Come da tradizione la prima trama del mese riporta l’elenco dei libri letti due mesi prima, quindi in dicembre (non tantissimi data la partenza natalizia).

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
1
Marco Aime
Timbuctu
Bollati Boringhieri
10
2
Gerald Durrell
La mia famiglia e altri animali
Adelphi
9
3
Giuseppe Pederiali
Camilla e il grande fratello
Garzanti
9
4
Giorgio Scerbanenco
Le principesse di Acapulco
Garzanti
6,20
5
Colette
Chéri
Newton Compton
6
6
Renata Di Martino
La bambola cinese
Avagliano
9,50
7
David Grossman
A un cerbiatto somiglia il mio amore
Mondadori
s.p.
8
Luisa Adorno
L’ultima provincia
Sellerio
8
9
Giorgio Scerbanenco
Traditori di tutti
Noir Repubblica
7,90
10
Erri De Luca
Il peso della farfalla
Feltrinelli
s.p.

Ed ora, niente auguri alle donne per un giorno specifico, ma per tutti i giorni dell’anno. Inizia anche una settimana di fatica e (speriamo) dimagrimento, in vista della prossima super-piena di impegni, italiani ed esteri.

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