Anni fa lessi la seconda
inchiesta, ma ora si torna alle origini.
Veit Heinichen “A ciascuno la
sua morte” E/O euro 9,50 (in realtà, scontato 8 euro)
La prima indagine di Proteo Laurenti, il commissario triestino nato
dalla penna tedesca. Se ne lesse (si, molti anni fa, ricordo ancora con piacere
lo scivolare tra le pagine di “Morte sul Carso”) e se ne rileggerà. Dato che è
la prima indagine di Laurenti, forse è un po’ datata e scontata, anche se mette
il dito sulle piaghe che negli ultimi dieci - quindici anni affliggono
l’Adriatico. Di fondo (e non poteva essere altro) la malavita slava, dai
ladroni ucraini ai prosseneti russi (quelli che hanno prima conquistato Rimini
e poi Forte dei Marmi), violenta, assassina, senza i codici d’onore dei vecchi
malavitosi nostrani. Il tutto intrecciato con la sinecura degli aiuti
umanitari, nello specifico per la Turchia, il cui traffico, accenno di
sfuggito, veniva convogliato a Trieste per poi prima di arrivare in Turchia,
fermarsi in Puglia, scambiare vettovagliamenti vari con gli aiuti lì depositati
per il Kosovo destinati a marcire, e poi re-instradati, con un guadagno netto e
notevole, non solo dei “russi” ma anche e soprattutto di quelli che usano la
testa (la Sacra Corona
pugliese). Il tutto intrecciato con la storia della famiglia de Konigfsberg,
dove venti anni prima il marito (pare) uccida la signora e si accaparri i
soldi, va a vivere con la
segretaria Eva e con il figlio della prima moglie, poi lascia
Eva, si mette con l’ucraina Tatjana, e finalmente trova la morte in mare (anche
se si capisce presto chi e come e perché lo fa fuori). In tutto ciò si muove il
buon Proteo, con questo nome difficile, da animale carsico, con alle spalle
l’incasinata famiglia (soprattutto l’irrequieta moglie e la figlia che
inopinatamente si candida al concorso di Miss Trieste). Laurenti si muove lì
nel suo ambiente, in quella Trieste dove vive da 20 anni, e dove l’ambiente
“mala” lo conosce (ed in un certo senso lo rispetta, con il rispetto dovuto
agli uomini onesti). Anche perché di onesti, in questa storia, pochi ce ne
sono, da contare sulle dita di una mano. Infine, spenderei qualche parola
sull’autore, o meglio sulle sue scelte. Perché il buon Heinichen scrive le sue
storie in tedesco, anche se da anni risiede in quel di Trieste. Devo dire che
tuttavia questo mix riesce particolarmente bene (non so se anche merito del
traduttore), ma a me salta agli occhi il (poco) che conosco della città
giuliana, e mi ritorna, mi fa camminare vicino al porto piegato dalla bora, e
mangiare con gusto un piattone di bollito. Vediamo il prossimo, Veit (evitando
la battuta ‘goliardica’ eh Veit – che si leggerebbe in italiota, eh vai…).
Veit Heinichen “Morte in lista d’attesa” E/O euro 9
Finalmente s’è fatto un po’
d’ordine nelle storie di Proteo Laurenti. Dopo aver letto la precedente per
seconda, ho scoperto che era la prima pubblicata. Questa, finalmente, è
realmente la terza. Come al solito, Heinichen mette molta carne al fuoco. Non
penso che però il suo commissario possa essere la versione nordica di
Montalbano. Mi pare più la versione sudista del commissario Wallander. Tuttavia
è interessante che al centro di tutto ci sia comunque un fatto, un morto,
qualcosa da seguire. Qui poi siamo nel pieno di problemi attuali e dolorosi: il
traffico di organi, la tratta dei clandestini che vengono fatti arrivare in
cliniche europee per trapianti vari, e lì… succede di tutto (può succedere di
tutto). Come ai due fratelli rumeni che (uno sulle tracce dell’altro) arrivano
alla bella clinica di Triste specializzata in chirurgia estetica
(ufficialmente) ed in trapianti “selvaggi” (meno ufficialmente e più
lucrosamente). Ci sono alcune costanti di Heinichen: oltre alla famiglia
Laurenti (ma i figli crescono ed un po’ si disgrega), la bella procuratrice
croata cui Proteo non sa (o non vuole) resistere, la segretaria (un po’ gelosa
un po’ hippy), il patologo Galvano (ormai in pensione, ma sempre tra le
scatole) ed il cattivo Drakjic che dalla prima inchiesta il nostro Commissario
tenta di incastrare, arrestare o altro. In più c’è la strana figura del
giornalista-scrittore che sta seguendo la sua inchiesta sulle cliniche
dell’orrore, che sta seguendo le sue personali vendette per la morte della
moglie, e che farà fortuna vendendo e facendo pubblicare tutto da Repubblica
(ma sarà tutta fortuna?). Una figura che (in alcuni tratti) sembra adombrare lo
stesso Heinichen che cerca sempre di dare un taglio di denuncia alle sue
inchieste, sia nello specifico (cliniche – clandestini – lato nero) sia nel
politico (con toccate più o meno pesanti al Silvio nazionale ed all’altalenarsi
della politica triestina tra un Illy che viene ed un Illy che va). Come detto,
c’è forse troppa carne al fuoco (ma la materia lo meritava). Inoltre la scrittura
che usa con quel suo andare e venire tra tempo e storie, rischia a volte di
confondere un po’. Certo mi piace l’idea di questo scrittore tedesco che si
innamora di Trieste tanto da farne teatro delle sue storie e di trasferircisi
anche a vivere. E suona strano leggere in Italiano una storia ambientata in
Italia, ma scritta in tedesco. Nel complesso, una più che degna sufficienza. Ma
da leggere con più ordine che così, andando su e giù tra le storie si perdono i
fili (o a volte se ne conoscono prima i fini).
Veit Heinichen “Le lunghe ombre della morte” E/O s.p. (Regalato a Mamma
per Natale 09)
Qualche pippone di troppo, ma non
è male. E questo, finalmente, è in sequenza, cioè dopo aver letto i primi tre
in ordine casuale, questo è realmente il quarto “episodio”. L’affastellarsi
della trama ormai sembra una costante del modo di scrivere del teutonico
triestino. C’è la storia dell’australiana figlia di emigrati che torna a vedere
la sua terra, le storie dei ricatti basati su strane collezioni di armi, la
storia di Irina la muta costretta a fare l’accattona, il triste incupirsi del
buon vecchio dottor Galvano, patologo pensionato, la storia d’amore ormai
sfilacciata del commissario con la procuratrice croata, la ricerca perenne di
incastrare la sua nemesi da parte del commissario, quel Drakjic che sempre gli
sfugge, l’arrivo di una nuova forza fresca nella squadra del commissario, la
nanerottola esperta d’arti marziali, l’incupirsi del forse onesto ma represso
dalla madre e innamorato dell’australiana. Financo la morte (di venti e più
anni prima) di uno strano commerciante di armi. Tanti fiumi più o meno
paralleli, che salgono e scendono tra le doline carsiche, fino ad incontrarsi
in un grande lago (o forse sarebbe meglio dire nel mare, visto che siamo a Trieste)
e lì trovare la loro catarsi. Il morto (perché un morto c’è, se non che giallo
sarebbe) è poi morto di una morte stupida. Ma chi ne ha preterintenzionalmente
provocato la morte sarà tuttavia trovato. Ma la punizione non toccherà il
cattivo ed i suoi accoliti, che ancora sfuggono, andando su e giù tra Trieste,
Slovenia e Croazia. Forse si salverà la mite Irina, almeno lo spero. E spero
che rimarrà anche in seguito Barbara la nanerottola, chissà perché ma mi sta
simpatica. La parte meno scorrevole (anche se ci sta bene qualche bella tirata
sociale) è quando se la prende con le ottusità sia della gestione comunale che
della gestione dello spazio triestino come palcoscenico politico. Nella
sostanza sono d’accordo, nel merito a volte risultano digressioni un po’
lunghe. Ma attacchiamoci ai fili di ferro che la bora soffia forte e
cerchiamone ancora di storie ben scritte.
“sapeva che c’erano cose che non gli avrebbe rivelato neppure a letto.
Ma accettarlo era un altro paio di maniche” (332)
Finiamo comunque consigliando a
chi sa di tedesco (e qualcuno c’è tra i miei affezionati lettori) di leggerne
in originale. Questo mi porta ad un’altra domanda, che rivolgo invece a chi sa
di editori: come si fa a sapere se le traduzioni arrivano dagli originali o da
altre traduzioni (ricordo orribili traduzioni dall’inglese di bellissimi libri
arabi di Mahfuz). Settimana di costruzione questa, dove si spera di consolidare
i più di 4 chili persi, di stabilizzare i viaggi, ed anche di fare gli auguri
all’amica Roby che spero li leggerà al ritorno dal Marocco.
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