sabato 11 febbraio 2012

L’Italia vista da fuori - 25 aprile 2010

Dato il carattere maggioritariamente leggero, non mi imbarco certo in un dibattito sulle cose italiane, forse un po’ al di là delle mie analisi deboli attuali. Invece mi sono imbattuto in un autore tedesco che scrive in tedesco, ma ambiente le sue storie, tendenzialmente gialle, in Italia, ed in particolare a Trieste. Città che conosco poco, e che aspetto di leggere prima o poi nelle righe di Covacich. Ma torniamo a Veit Heinichen ed al suo commissario Proteo Laurenti. Le storie sono dignitose (e così la sua scrittura), ma ogni tanto ci si imbatte in qualche tirata sui guasti italici che fa meditare. Certo, lì ho letto in ordine sparso, ed un po’ si perde quando si sa già come è andata a finire nella puntata precedente (solito vizio italiano di tradurre casualmente, tanto che aspetto ancora Sellerio e le due ultime fatiche di Sjoberg e Whaloo…).
Anni fa lessi la seconda inchiesta, ma ora si torna alle origini.
Veit Heinichen “A ciascuno la sua morte” E/O euro 9,50 (in realtà, scontato 8 euro)
La prima indagine di Proteo Laurenti, il commissario triestino nato dalla penna tedesca. Se ne lesse (si, molti anni fa, ricordo ancora con piacere lo scivolare tra le pagine di “Morte sul Carso”) e se ne rileggerà. Dato che è la prima indagine di Laurenti, forse è un po’ datata e scontata, anche se mette il dito sulle piaghe che negli ultimi dieci - quindici anni affliggono l’Adriatico. Di fondo (e non poteva essere altro) la malavita slava, dai ladroni ucraini ai prosseneti russi (quelli che hanno prima conquistato Rimini e poi Forte dei Marmi), violenta, assassina, senza i codici d’onore dei vecchi malavitosi nostrani. Il tutto intrecciato con la sinecura degli aiuti umanitari, nello specifico per la Turchia, il cui traffico, accenno di sfuggito, veniva convogliato a Trieste per poi prima di arrivare in Turchia, fermarsi in Puglia, scambiare vettovagliamenti vari con gli aiuti lì depositati per il Kosovo destinati a marcire, e poi re-instradati, con un guadagno netto e notevole, non solo dei “russi” ma anche e soprattutto di quelli che usano la testa (la Sacra Corona pugliese). Il tutto intrecciato con la storia della famiglia de Konigfsberg, dove venti anni prima il marito (pare) uccida la signora e si accaparri i soldi, va a vivere con la segretaria Eva e con il figlio della prima moglie, poi lascia Eva, si mette con l’ucraina Tatjana, e finalmente trova la morte in mare (anche se si capisce presto chi e come e perché lo fa fuori). In tutto ciò si muove il buon Proteo, con questo nome difficile, da animale carsico, con alle spalle l’incasinata famiglia (soprattutto l’irrequieta moglie e la figlia che inopinatamente si candida al concorso di Miss Trieste). Laurenti si muove lì nel suo ambiente, in quella Trieste dove vive da 20 anni, e dove l’ambiente “mala” lo conosce (ed in un certo senso lo rispetta, con il rispetto dovuto agli uomini onesti). Anche perché di onesti, in questa storia, pochi ce ne sono, da contare sulle dita di una mano. Infine, spenderei qualche parola sull’autore, o meglio sulle sue scelte. Perché il buon Heinichen scrive le sue storie in tedesco, anche se da anni risiede in quel di Trieste. Devo dire che tuttavia questo mix riesce particolarmente bene (non so se anche merito del traduttore), ma a me salta agli occhi il (poco) che conosco della città giuliana, e mi ritorna, mi fa camminare vicino al porto piegato dalla bora, e mangiare con gusto un piattone di bollito. Vediamo il prossimo, Veit (evitando la battuta ‘goliardica’ eh Veit – che si leggerebbe in italiota, eh vai…).
Veit Heinichen “Morte in lista d’attesa” E/O euro 9
Finalmente s’è fatto un po’ d’ordine nelle storie di Proteo Laurenti. Dopo aver letto la precedente per seconda, ho scoperto che era la prima pubblicata. Questa, finalmente, è realmente la terza. Come al solito, Heinichen mette molta carne al fuoco. Non penso che però il suo commissario possa essere la versione nordica di Montalbano. Mi pare più la versione sudista del commissario Wallander. Tuttavia è interessante che al centro di tutto ci sia comunque un fatto, un morto, qualcosa da seguire. Qui poi siamo nel pieno di problemi attuali e dolorosi: il traffico di organi, la tratta dei clandestini che vengono fatti arrivare in cliniche europee per trapianti vari, e lì… succede di tutto (può succedere di tutto). Come ai due fratelli rumeni che (uno sulle tracce dell’altro) arrivano alla bella clinica di Triste specializzata in chirurgia estetica (ufficialmente) ed in trapianti “selvaggi” (meno ufficialmente e più lucrosamente). Ci sono alcune costanti di Heinichen: oltre alla famiglia Laurenti (ma i figli crescono ed un po’ si disgrega), la bella procuratrice croata cui Proteo non sa (o non vuole) resistere, la segretaria (un po’ gelosa un po’ hippy), il patologo Galvano (ormai in pensione, ma sempre tra le scatole) ed il cattivo Drakjic che dalla prima inchiesta il nostro Commissario tenta di incastrare, arrestare o altro. In più c’è la strana figura del giornalista-scrittore che sta seguendo la sua inchiesta sulle cliniche dell’orrore, che sta seguendo le sue personali vendette per la morte della moglie, e che farà fortuna vendendo e facendo pubblicare tutto da Repubblica (ma sarà tutta fortuna?). Una figura che (in alcuni tratti) sembra adombrare lo stesso Heinichen che cerca sempre di dare un taglio di denuncia alle sue inchieste, sia nello specifico (cliniche – clandestini – lato nero) sia nel politico (con toccate più o meno pesanti al Silvio nazionale ed all’altalenarsi della politica triestina tra un Illy che viene ed un Illy che va). Come detto, c’è forse troppa carne al fuoco (ma la materia lo meritava). Inoltre la scrittura che usa con quel suo andare e venire tra tempo e storie, rischia a volte di confondere un po’. Certo mi piace l’idea di questo scrittore tedesco che si innamora di Trieste tanto da farne teatro delle sue storie e di trasferircisi anche a vivere. E suona strano leggere in Italiano una storia ambientata in Italia, ma scritta in tedesco. Nel complesso, una più che degna sufficienza. Ma da leggere con più ordine che così, andando su e giù tra le storie si perdono i fili (o a volte se ne conoscono prima i fini).
Veit Heinichen “Le lunghe ombre della morte” E/O s.p. (Regalato a Mamma per Natale 09)
Qualche pippone di troppo, ma non è male. E questo, finalmente, è in sequenza, cioè dopo aver letto i primi tre in ordine casuale, questo è realmente il quarto “episodio”. L’affastellarsi della trama ormai sembra una costante del modo di scrivere del teutonico triestino. C’è la storia dell’australiana figlia di emigrati che torna a vedere la sua terra, le storie dei ricatti basati su strane collezioni di armi, la storia di Irina la muta costretta a fare l’accattona, il triste incupirsi del buon vecchio dottor Galvano, patologo pensionato, la storia d’amore ormai sfilacciata del commissario con la procuratrice croata, la ricerca perenne di incastrare la sua nemesi da parte del commissario, quel Drakjic che sempre gli sfugge, l’arrivo di una nuova forza fresca nella squadra del commissario, la nanerottola esperta d’arti marziali, l’incupirsi del forse onesto ma represso dalla madre e innamorato dell’australiana. Financo la morte (di venti e più anni prima) di uno strano commerciante di armi. Tanti fiumi più o meno paralleli, che salgono e scendono tra le doline carsiche, fino ad incontrarsi in un grande lago (o forse sarebbe meglio dire nel mare, visto che siamo a Trieste) e lì trovare la loro catarsi. Il morto (perché un morto c’è, se non che giallo sarebbe) è poi morto di una morte stupida. Ma chi ne ha preterintenzionalmente provocato la morte sarà tuttavia trovato. Ma la punizione non toccherà il cattivo ed i suoi accoliti, che ancora sfuggono, andando su e giù tra Trieste, Slovenia e Croazia. Forse si salverà la mite Irina, almeno lo spero. E spero che rimarrà anche in seguito Barbara la nanerottola, chissà perché ma mi sta simpatica. La parte meno scorrevole (anche se ci sta bene qualche bella tirata sociale) è quando se la prende con le ottusità sia della gestione comunale che della gestione dello spazio triestino come palcoscenico politico. Nella sostanza sono d’accordo, nel merito a volte risultano digressioni un po’ lunghe. Ma attacchiamoci ai fili di ferro che la bora soffia forte e cerchiamone ancora di storie ben scritte.
“sapeva che c’erano cose che non gli avrebbe rivelato neppure a letto. Ma accettarlo era un altro paio di maniche” (332)
Finiamo comunque consigliando a chi sa di tedesco (e qualcuno c’è tra i miei affezionati lettori) di leggerne in originale. Questo mi porta ad un’altra domanda, che rivolgo invece a chi sa di editori: come si fa a sapere se le traduzioni arrivano dagli originali o da altre traduzioni (ricordo orribili traduzioni dall’inglese di bellissimi libri arabi di Mahfuz). Settimana di costruzione questa, dove si spera di consolidare i più di 4 chili persi, di stabilizzare i viaggi, ed anche di fare gli auguri all’amica Roby che spero li leggerà al ritorno dal Marocco.

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