giovedì 9 febbraio 2012

Improvvisazione? Ritorni dal carcere - 11 aprile 2010

Titolo un po’ sibillino che nasce da una serie di accostamenti. Innanzi tutto sto per parlare di tre romanzi giallo-italici di tre autori diversi con tre collocazioni geografiche diverse (Modena, Milano e Napoli). Mentre li accostavo, pensavo da una parte alla diversità di cifra espressiva, tra il detective improvvisato di Scerbanenco e la Di Martino, giallista non professionale. Due improvvisazioni che hanno una loro forza coinvolgente. E pensavo allo specifico del giallo e delle storie che vi si narrano, collegandomi alle mie visite annuali in quel di Rebibbia. Ed anche lì si tratta di improvvisazioni. Ora, ma qual è il vero contrario di improvvisazione? I testi mi dicono “organizzazione”, ma le improvvisazioni mie, e degli scrittori sono tutt’altro che disorganizzate. E per quanto mi organizzi, i ritorni dalle lezioni musicali, non mi lasciano improvvisamente. Anzi, quest’anno mi accompagnano sempre più con il confronto che nasce dall’aver proposto gli stessi testi alle sezioni maschili e femminili, ed alla diversa rispondenza che ho avuto, rispetto allo stesso brano musicale. Merita un ritorno…
Intanto torniamo agli scritti, cominciando dal buon artigiano autore di tante oneste scritture che qui segue nelle avventure della Camilla.
Giuseppe Pederiali “Camilla e il grande fratello” Garzanti euro 9 (in realtà, scontato 5,85 euro)
Terza punta dell’ispettore Camilla Cagliostri (ho lisciato la seconda, rimedierò). Al solito niente di che, se non un buon accompagnamento Roma – Bologna – Roma sotto la neve. Giallo dalla soluzione scontata, ma buone le domande che pone sullo strapotere televisivo e sul potere delle mamme. Comunque ha un buon impianto, dato che ci aggira per un’Emilia di interesse. Dove, all'improvviso, la quieta Modena diventa teatro di una serie di sequestri di persona. Prima scompare un'attrice quarantenne, poi una giovane commessa Coop con ambizioni televisive, un imprenditore, un giovane floricoltore, un'ex modella... Le cose si complicano quando alle redazioni dei giornali viene recapitata una strana videocassetta: in una casa stile Grande Fratello è iniziato un gioco terribile sulla falsariga del famoso spettacolo televisivo. La differenza sta nel fatto che i "nominati" non saranno semplicemente esclusi dal gioco, ma realmente uccisi dagli altri concorrenti. Vista la difficoltà del caso, da Roma vorrebbero che non fosse Camilla Cagliostri a indagare, che nella precedente, non letta, opera, qualche guasto lo aveva prodotto. E dato che la buona Camilla non è un tipo che si lascia mettere i piedi in testa. Ma la sua ostinazione avrà ragione delle critiche, dei veri nemici e dei falsi amici. La scrittura di Pederiali è, al solito, scorrevole, come anche in altre prove che in gioventù lessi più legate alla fantascienza ed al fantasy. Uomo di mestiere, qui tocca alcuni tasti che aprono baratri di domande, ma che nello specifico vengono solo aperti e poi dimenticati. Da un lato, la storia rimanda all’altra sempre in Emilia ambientata, quella più forte emotivamente di Black-Out di Morozzi. Scatenando tuttavia la stessa sottesa domanda: fino a che punto menti più o meno deboli si lasciano condizionare dalla televisione e da quello che lì vi accade? Quanto l’ormai decennale vicenda del grande fratello obnubila menti pur in altro frangente normali? Per il successo, per l’apparire, tutto, tanto si fa. Si subisce. Arrivando a stravolgere non solo la propria vita, ma anche tutta la costruzione di affetti e relazioni che essa comporta. Ai critici ed ai filosofi giro la discussione. Per aprire l’altro punto interrogativo, sull’essere mamma. Perché di lato questo è anche, per me, uno dei fulcri del romanzo. Qui la maternità biologica prende il sopravvento e distrugge la vita di una maternità dei fatti e della vita. Ma è giusto? Dove sono i confini? Personalmente, credo che tutti gli affetti siano validi. Ed abbiano la dignità di esistere. Sta sempre in noi viverli nel modo corretto. E nel non negarne altri che esistono ed hanno anche loro valenza ed importanza. Ahi quante cose possono nascere da un libro non eccelso ma che mette alcuni diti in piaghe aperte.
Poi passiamo, o torniamo, al padre del giallo italico, e ad un’avventura senza il fascinoso Duca.
Giorgio Scerbanenco “Le principesse di Acapulco” Garzanti euro 6,20 (in realtà, scontato 4,03 euro)
Uno Scerby inedito, devo capire se post o pre Duca Lamberti, ma in fondo poco importa. Agile ed anche scorrevole. Non giallissimo, ma la soluzione è migliore di altre possibili, e fa riflettere sulla critica che fin da quarant’anni fa il buon Scerby faceva ad un modo di vivere fatuo e sopra le righe, dove tutto è permesso, perché comanda solo il dio denaro. Ambientato in un Messico improponibile, ruota intorno alla ricerca dell’assassino della principessa Alessandra Rudescenko, avvenuto sull'orlo della sua piscina di Acapulco, all'alba di una notte di festa in cui si è bevuto troppo alcol. Sua madre, la principessa Nicoletta, si è accusata un po' troppo in fretta di una "imprudenza" che potrebbe coprire un delitto, commesso da altri. Ma chi è l'assassino della bella Alessandra? Forse il suo quinto marito, Domingo Urrales, che amava troppo la figliastra? O l'equivoco Heinrich Bergen, cacciatore di dote, fresco vedovo dell'uccisa? O qualcun altro della piccola corte ambigua che sta attorno alla vera principessa, Sofia Rudescenko, che ha conosciuto lo zar e le feste di Pietroburgo? Il giovane Ariberto Sartoris, che ha ricevuto le confidenze di Alessandra in una piovosa notte messicana, colpito dalla voce di questa povera principessa dalla breve vita, vuole sapere la verità. Ed impegnerà tutto se stesso in questa ricerca, fino a dipanare il bandolo. Trovando una soluzione meno scontata di quanto poteva sembrare… come detto, è breve, forse un racconto lungo più che un romanzo. Ma ci sono tutti gli elementi che hanno fatto di Scerbanenco il padre del giallo italiano. Caratteri delineati. Poliziotti ambigui. Persone che dietro ad un’idea vanno avanti, perché le idee sono sempre più forti, della vita e della morte. Come detto, non è un giallone, ma un onesto spaccato di un mondo criticabile e corrotto. Bravo Scerby.
“Non si sa mai perché si fanno le cose” (50)
Finiamo in quella Napoli dei Quartieri Spagnoli, dove “non ci facciamo mancare nulla”, neanche gli scontri con gli extra-comunitari.
Renata Di Martino “La bambola cinese” Avagliano euro 9,50 (in realtà, scontato 6,18 euro)
Molto gradevole e da seguire, anche se per ora non sono segnalate uscite di altre inchieste del buon commissario Criscuolo. Anche qui, come nel primo episodio, gran parte della vicenda è la città che la vive. Siamo di nuovo ai Quartieri Spagnoli, dove due colpi di pistola danno il via a una nuova indagine del commissario e ad una recrudescenza dei suoi disturbi gastrici. La vittima è una turista cinese. Gli elementi su cui lavorare sono esili o inesistenti: testimoni recalcitranti o muti; il marito della vittima che protesta continuamente presso il Console del suo Paese; draghi orripilanti come marchi di fabbrica; ricettatori latin lover; strani ristoranti illuminati da lanterne colorate e così via. La chiave del mistero è una bambola dagli occhi a mandorla... Ed il buon commissario, attorniato dai suoi aiuti e dal demi-monde ladresco ma onesto della Napoli del sottobosco che alla fine farà luce sulla storia. Ma quanta bellezza e voglia di tornare, ad esempio per girare in quel ventre sotterraneo di cui ricordo un’entrata non lontano da San Domenico. E la voglia di mangiare la pizza in strada, gli odori di questa città viva, che pur qui a due passi, se se ne legge sembra lontano nel tempo e nello spazio. Con maestria, la Di Martino tocca anche elementi nuovi (e corde sensibili attuali) come l’integrazione con gli extracomunitari in genere, e soprattutto i rapporti con questi cinesi che invadono il mondo, ma che rimangono sempre chiusi in sé stessi, che ripetono il cliché della loro vita contornandosi di connazionali e vivendo ovunque una vita separata. Si apre un bello spazio di discussione sulle cineserie nel mondo in generale e su cosa vuol dire vivere altrove. Integrarsi perdendo parte della propria natura o rimanere sé stessi ma alieni? Tornando allo specifico, comunque una gradevole lettura, che ci immerge per qualche ora nel ventre mollo di una bella città.
“Aveva scelto uno dei quattro libri che aveva cominciato a leggere e che teneva in sospeso. Diceva spesso che la lettura è un piacere. Se non dovesse procurarne, dipenderebbe dal libro; in quel caso è consigliabile accantonarlo definitivamente. … A che gli diceva: ‘Come fai a leggere un libro se non hai finito l’altro?’ lui rispondeva che è come vedere in televisione due o tre sceneggiati a puntate…” (67-68)
“- Ma parli proprio tu che ti lamenti sempre? – Ma io mi lamento solo con te, per farmi consolare!” (78)
Di Martino é originaria del Molise ma vive a Napoli da quando era adolescente. Ha insegnato per anni e svolto la professione di assistente sociale scegliendo le sedi nei quartieri "popolari" della città. Contemporaneamente inizia la sua carriera di attrice che è la sua grande passione e che la porterà ad abbandonare le altre attività. Comincia a scrivere in un momento difficile della sua carriera (ricordo qualcosa…) coni risultati che abbiamo sotto gli occhi.
Passata la Pasqua, tornati i gitanti dall’Egitto (sembra con buoni risultati), ora ci si volge verso un pensiero estivo. Gli ami verso Avventure sono stati lanciati. Se qualcosa abbocca, vi avverto subito. 

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