mercoledì 1 febbraio 2012

Mondadoriana - 28 febbraio 2010

Come i miei assidui lettori sanno, all’apparire di un giallo di autore italiano non so resistere. Ci sono passioni che non si spiegano, anche quando la loro pratica porta dolori. Quindi oggi siamo sul leggero, sul recupero di alcuni autori italiani letti da qualche mese e lasciati in un canto a maturare (ed essendo italiani e poco noti, con difficoltà si trovano note biografiche). Diciamo subito che il primo è sul versante degli inutili, mentre gli altri due, per diversi aspetti, posso accettarli.
Alfredo Colitto & Edoardo Rosati “Medicina Oscura” Mondadori euro 4,20
Da cestinare!! Che operazione insulsa. Unire due romanzetti, poco più che racconti lunghi, con un titolo accattivante (che richiama alla mente i guasti che può provocare la cattiva medicina). L’idea sembrava interessante, partire da due racconti ambientati nel mondo della sanità. Ma entrambi non raggiungono la sufficienza. Il primo, di Colitto (“Aritmia fatale”) tratta di un medico che per dimostrare la propria innocenza si improvvisa investigatore, che scopre una scia di morti a monte dell’assassinio della sua amica Mara, e che sbroglierà la matassa, ma che non troverà mai tutti i fili. Il secondo, di Rosati (“L’ultima vertigine”), è peggio: contorto, prolisso, poco appassionante. Narra una vicenda poco probabile che con la letteratura poliziesca centra poco. Il passaggio dalla vita alla morte, la scoperta di un nuovo farmaco diabolico che…ma non voglio anticipare nulla. Spesso si ha la sensazione che l’autore non avesse abbastanza argomenti per portare a termine una trama già di per se né originale ne coinvolgente. Insomma, insufficienza su tutta la linea.
Romano De Marco “Ferro e fuoco” Mondadori euro 3,90
Poliziesco, italo - hard boiled, ma con garbo. Semplice tuttavia costruito con raziocinio. Un buon passatempo. Di certo molto prevedibile (non direi scontato), tanto che dalla seconda pagina si capisce il 90% dei possibili sviluppi. Ma poi si sviluppa come un bel noir, con alcuni personaggi azzeccati, sia Rinaldo che Lucia ad esempio. Ed una trama che alla fine scioglie i nodi gettati all’inizio, sia al presente che al passato (forse qualcosa rimane sospeso sulla yakuza giapponese, ma ci sarà modo di tornare, credo). Come dicevo la storia si svolge lineare, ripercorrendo, sul filo un po’ più aristocratico, la vicenda della Banda della Magliana. Qui non siamo legati alla politica, né al potere. Solo malavita, droga e tante, tante armi. Le forze dell’ordine allo sbando richiamano in servizio il capitano Rinaldo Ferro, al centro di strani episodi quattro - cinque anni prima e per questo allontanato dalla polizia. Ferro è cresciuto in Giappone, e lì ha imparato l’arte di combattere. Sarà questo misto tra irruenza occidentale, e meditazione orientale, che lo porta a dipanare la matassa (certo con qualche colpo di fortuna che coinvolge la sua nuova assistente Laura, verso cui forse nascerà qualcosa). Movimentato nella seconda parte, riesce a risolversi senza lasciare la bocca amara. Non è tutto bel metallo lucente e pregiato, ma un buon artigiano riesce a rendere gradevoli anche gioielli di vetro. Aspetto le prove successive, anche se De Marco lo metto tra i mondadoriani positivi (certo meglio di quell’orrenda vicenda di medicina di cui ho parlato sopra).
Paolo Grugni “Let it be” Mondadori euro 4,20
Diciamo che come giallo è di media statura (si risolve presto). Ma intrigante è tutta la almanacchica conoscenza dei Beatles (vero caro architetto?). Il romanzo è, come molti gialli italiani, uscito prima nei percorsi sotterranei del mondo dei tentativi di essere scrittori, fatto di piccole case editrici (tipo la Alacran) e di connessioni in Internet. Poi ad un certo punto qualche grande casa ne trova interesse, ed esce nel grande giro dei Mondadori, Feltrinelli & co. Nella fattispecie, il romanzo è un po’ hard boiled alla Chandler, con un numero troppo elevato di cadaveri in sole 200 pagine. Anche se sul filo della scanzonatura, come se non ci si prendesse troppo sul serio. Tutta la prima serie di morti, che porteranno all’arresto del Frantumaossa (il soprannome del serial killer, una delle così più giuste dello scrittore, questa di indovinare il nome omen) sembrano lì per dirci: “ma che grande cavolata stai leggendo, non vedi che ci arrivi anche da solo…”. Poi la vicenda di Tommaso Matera, il semiologo che dovrebbe leggere ed interpretare gli indizi per fare il profilo del serial killer, si intorbidisce, lui si stanca, demotivato, si rifugia in Brianza (belle le descrizioni dei paesaggi tristi), cerca di farsi una vita minimale. Ma anche lì la morte vuole il suo prezzo. E l’Esattore comincia a mietere vittime. È un diverso nome del primo serial killer? È un eponimo? È un altro? Come direbbe il nostro Battisti (contrapponiamolo un po’ al quartetto di Liverpool) lo scopriremo solo vivendo. La cosa che mi ha storto (per cui poi il giudizio è altalenante) è che mi fa morire tutti i personaggi che mi stanno simpatici, o di cui mi ero affezionato. No, caro autore non si fa così, che poi il lettore ci rimane male. Oppure è un lettore tanto distaccato che non gliene po’ frega de meno, ma allora perché scrivi per lui? Veniamo in finale alla parte forte del romanzo, la conoscenza quasi totale del mondo dei Beatles, che, all’interno del romanzo ha un suo peso per lo svolgimento e lo scioglimento del mistero. Devo dire che è la parte che più mi è piaciuta, sollecitando il mio coté intelletual-musicale. Certo, mi ha deluso un po’ leggere nelle interviste in giro che ha fatto rivedere il tutto al Beatles Fan Club italiano. Avrei preferito più fiducia nei propri mezzi (caro Grugni non ti devi giustificare, o sei un fan o un appassionato, nell’uno o nell’altro caso, ai lettori è sufficiente che tutta ce la metta tutta). Certo parlo io che di fiducia….
E visto che sempre i miei assidui lettori sono “avidi” di suggerimenti, anche negativi, vado in chiusura a citare due film che ho visto questa settimana: AVATAR, che è veramente americano fino all’osso (ben fatto, con un utilizzo magistrale di computer graphic, ma che di storia e messaggi è di una carenza totale; sì un po’ di ecologismo di maniera, ma tanto per lisciare qualcuno che neanche rispetta i protocolli di Kyoto, e con 40 minuti semi-finali di battaglia da dimenticare, fortuna che almeno hai una parvenza di lieto fine) e GENITORI & FIGLI. Quest’ultimo ha sicuramente più frecce al suo arco, anche se non affondano mai, e ce ne vorrebbe perché ben sappiamo quanto sia difficile il tema del titolo. Una bella prova della quindicenne protagonista. Una prova da dimenticare (ma ce n’era bisogno?) di Facchinetti, che non sa proprio recitare. Gli attori “di nome” sono un po’ sottotono e di maniera. Insomma, continuo a preferire il fratello Sandro.
In chiusura finale, anticipando il pensiero (ma non gli auguri) ai miei almeno tre lettori che spengono qualche candelina in settimana, mi avvio anche io ad un’altra successione di giornate impegnative, con la ripresa domani (dopo il riposo forzato) anche della ginnastica…

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