Come i miei assidui lettori
sanno, all’apparire di un giallo di autore italiano non so resistere. Ci sono passioni
che non si spiegano, anche quando la loro pratica porta dolori. Quindi oggi
siamo sul leggero, sul recupero di alcuni autori italiani letti da qualche mese
e lasciati in un canto a maturare (ed essendo italiani e poco noti, con
difficoltà si trovano note biografiche). Diciamo subito che il primo è sul
versante degli inutili, mentre gli altri due, per diversi aspetti, posso
accettarli.
Alfredo Colitto & Edoardo Rosati “Medicina Oscura” Mondadori euro
4,20
Da cestinare!! Che operazione
insulsa. Unire due romanzetti, poco più che racconti lunghi, con un titolo
accattivante (che richiama alla mente i guasti che può provocare la cattiva
medicina). L’idea sembrava interessante, partire da due racconti ambientati nel
mondo della sanità. Ma entrambi non raggiungono la sufficienza. Il primo, di
Colitto (“Aritmia fatale”) tratta di un medico che per dimostrare la propria
innocenza si improvvisa investigatore, che scopre una scia di morti a monte
dell’assassinio della sua amica Mara, e che sbroglierà la matassa, ma che non
troverà mai tutti i fili. Il secondo, di Rosati (“L’ultima vertigine”), è
peggio: contorto, prolisso, poco appassionante. Narra una vicenda poco
probabile che con la letteratura poliziesca centra poco. Il passaggio dalla
vita alla morte, la scoperta di un nuovo farmaco diabolico che…ma non voglio
anticipare nulla. Spesso si ha la sensazione che l’autore non avesse abbastanza
argomenti per portare a termine una trama già di per se né originale ne
coinvolgente. Insomma, insufficienza su tutta la linea.
Romano De Marco “Ferro e fuoco” Mondadori
euro 3,90
Poliziesco,
italo - hard boiled, ma con garbo. Semplice tuttavia costruito con raziocinio.
Un buon passatempo. Di certo molto prevedibile (non direi scontato), tanto che
dalla seconda pagina si capisce il 90% dei possibili sviluppi. Ma poi si
sviluppa come un bel noir, con alcuni personaggi azzeccati, sia Rinaldo che
Lucia ad esempio. Ed una trama che alla fine scioglie i nodi gettati
all’inizio, sia al presente che al passato (forse qualcosa rimane sospeso sulla
yakuza giapponese, ma ci sarà modo di tornare, credo). Come dicevo la storia si
svolge lineare, ripercorrendo, sul filo un po’ più aristocratico, la vicenda
della Banda della Magliana. Qui non siamo legati alla politica, né al potere.
Solo malavita, droga e tante, tante armi. Le forze dell’ordine allo sbando
richiamano in servizio il capitano Rinaldo Ferro, al centro di strani episodi
quattro - cinque anni prima e per questo allontanato dalla polizia. Ferro è
cresciuto in Giappone, e lì ha imparato l’arte di combattere. Sarà questo misto
tra irruenza occidentale, e meditazione orientale, che lo porta a dipanare la
matassa (certo con qualche colpo di fortuna che coinvolge la sua nuova
assistente Laura, verso cui forse nascerà qualcosa). Movimentato nella seconda
parte, riesce a risolversi senza lasciare la bocca amara. Non è tutto bel
metallo lucente e pregiato, ma un buon artigiano riesce a rendere gradevoli
anche gioielli di vetro. Aspetto le prove successive, anche se De Marco lo
metto tra i mondadoriani positivi (certo meglio di quell’orrenda vicenda di
medicina di cui ho parlato sopra).
Paolo Grugni “Let it be” Mondadori euro
4,20
Diciamo
che come giallo è di media statura (si risolve presto). Ma intrigante è tutta
la almanacchica conoscenza dei Beatles (vero caro architetto?). Il romanzo è,
come molti gialli italiani, uscito prima nei percorsi sotterranei del mondo dei
tentativi di essere scrittori, fatto di piccole case editrici (tipo la Alacran)
e di connessioni in Internet. Poi ad un certo punto qualche grande casa ne
trova interesse, ed esce nel grande giro dei Mondadori, Feltrinelli & co.
Nella fattispecie, il romanzo è un po’ hard boiled alla Chandler, con un numero
troppo elevato di cadaveri in sole 200 pagine. Anche se sul filo della scanzonatura,
come se non ci si prendesse troppo sul serio. Tutta la prima serie di morti,
che porteranno all’arresto del Frantumaossa (il soprannome del serial killer,
una delle così più giuste dello scrittore, questa di indovinare il nome omen)
sembrano lì per dirci: “ma che grande cavolata stai leggendo, non vedi che ci
arrivi anche da solo…”. Poi la vicenda di Tommaso Matera, il semiologo che
dovrebbe leggere ed interpretare gli indizi per fare il profilo del serial
killer, si intorbidisce, lui si stanca, demotivato, si rifugia in Brianza
(belle le descrizioni dei paesaggi tristi), cerca di farsi una vita minimale.
Ma anche lì la morte vuole il suo prezzo. E l’Esattore comincia a mietere
vittime. È un diverso nome del primo serial killer? È un eponimo? È un altro? Come
direbbe il nostro Battisti (contrapponiamolo un po’ al quartetto di Liverpool)
lo scopriremo solo vivendo. La cosa che mi ha storto (per cui poi il giudizio è
altalenante) è che mi fa morire tutti i personaggi che mi stanno simpatici, o
di cui mi ero affezionato. No, caro autore non si fa così, che poi il lettore
ci rimane male. Oppure è un lettore tanto distaccato che non gliene po’ frega
de meno, ma allora perché scrivi per lui? Veniamo in finale alla parte forte
del romanzo, la conoscenza quasi totale del mondo dei Beatles, che, all’interno
del romanzo ha un suo peso per lo svolgimento e lo scioglimento del mistero.
Devo dire che è la parte che più mi è piaciuta, sollecitando il mio coté
intelletual-musicale. Certo, mi ha deluso un po’ leggere nelle interviste in
giro che ha fatto rivedere il tutto al Beatles Fan Club italiano. Avrei
preferito più fiducia nei propri mezzi (caro Grugni non ti devi giustificare, o
sei un fan o un appassionato, nell’uno o nell’altro caso, ai lettori è
sufficiente che tutta ce la metta tutta). Certo parlo io che di fiducia….
E visto che sempre i miei assidui
lettori sono “avidi” di suggerimenti, anche negativi, vado in chiusura a citare
due film che ho visto questa settimana: AVATAR, che è veramente americano fino
all’osso (ben fatto, con un utilizzo magistrale di computer graphic, ma che di
storia e messaggi è di una carenza totale; sì un po’ di ecologismo di maniera,
ma tanto per lisciare qualcuno che neanche rispetta i protocolli di Kyoto, e
con 40 minuti semi-finali di battaglia da dimenticare, fortuna che almeno hai
una parvenza di lieto fine) e GENITORI & FIGLI. Quest’ultimo ha sicuramente
più frecce al suo arco, anche se non affondano mai, e ce ne vorrebbe perché ben
sappiamo quanto sia difficile il tema del titolo. Una bella prova della
quindicenne protagonista. Una prova da dimenticare (ma ce n’era bisogno?) di
Facchinetti, che non sa proprio recitare. Gli attori “di nome” sono un po’
sottotono e di maniera. Insomma, continuo a preferire il fratello Sandro.
In chiusura finale, anticipando
il pensiero (ma non gli auguri) ai miei almeno tre lettori che spengono qualche
candelina in settimana, mi avvio anche io ad un’altra successione di giornate
impegnative, con la ripresa domani (dopo il riposo forzato) anche della
ginnastica…
Nessun commento:
Posta un commento