Torniamo allora alla triade
odierna, cominciando con questo libro di travagliate vicende di lettura.
Lorenzo Angeloni “In Darfur” Emergency s.p.
(regalo di Roberta e Carlo)
[in:
25/12/08 - out: 24/11/09]
Anche
questo (come alcuni libri che mi stavano lì a guardare e che non andavano né su
né giù) ha aspettato quasi un anno per essere letto. Forse anche con lui dovevo
trovare la giusta distanza. Che cosa ne posso dire? Ci sono molti piani di
lettura e molti di commento, nonché qualcosa che rimane lì, un po’ per storto.
Certo quest’ultima è un po’ la mia mania, ma ho trovato troppi errori di testo
(battiture, spazi ed altro) che mi storcono quando leggo un libro (ripeto sono
fissato). Venendo ai piani di lettura, c’è la storia del Giorgio eroe del
romanzo (in senso aulico latino, cioè interprete principale delle azioni che si
svolgono) e della stella dei suoi legami vitali: la famiglia, il lavoro alle
nazioni Unite, la bella
Nubiana e, soprattutto, il Darfur ed i suoi drammi. Queste
quattro punte però non sono omogenee, cioè ci sono belle pagine sparse qua e là
sui vari punti salienti, ed alcune tirate un po’ lunghe che un editor migliore
di me avrebbe trovato il modo di rendere più funzionali. La tirata sui rapporti
interpersonali con la moglie mi sembra tutta di testa, ideologica, messa lì
perché “ci si deve credere” (ma i figli? Va tutto bene, ma, ripeto, e i
figli?). Così come di testa sono alcune tirate sulla situazione locale in
Darfur. Di pancia (o forse di cuore) viene fuori Heyam, ed è un bel modo di
venire fuori, così come alcuni bozzetti (non macchiette, vi prego). Per esempio
Nefi. O il mio eponimo Yahia. Queste sono belle righe. Quando si sente il vento
degli spazi, il sudore di chi soffre, la povertà, il tentativo di prendere
coscienza, mettersi in mezzo. Ed alla fine, forse, rimettere tutto in gioco per
gli altri (ecco che ritorna Sofri ed il suo prossimo). Molto su di tono (un po’
compiaciuto, un po’ volutamente denigrato) è l’ambito Nazioni Unite, e, in
particolare, personaggi delle Nazioni Unite. Infatti, tutti ben sappiamo che là
si annidano i problemi, non tanto (anche) nelle istituzioni, ma soprattutto
negli uomini e nelle donne che li rappresentano. Lì dove la gloria personale
prende il sopravvento sulla necessità di essere di servizio verso qualcosa.
Quindi, si va bene, buttiamoli a mare. Loro e la Lega Africana , la Lega Araba e via e via.
Ma cerchiamo di capire anche dove finisce l’uomo e dove comincia la forza
disumana del potere. Tutto ciò senza ancora aver dato spazio al problema. A
quel Darfur che, come tante cose africane, ha radici ben più fonde e nascoste
di quelli che vediamo da qui. E d’altra parte noi vediamo quelle che i
portavoce delle istituzioni ci narrano, e quindi, per forza di cose, distorte e
poche chiare. Non so se ci sia un modo di uscire dalla crisi del Darfur, come
da tutte le altre (troppe) crisi in giro per questo nostro ormai piccolo mondo. Ho letto quello
che ne dice Lorenzo, è interessante, convince, ma, purtroppo, non basta. Quello
che si dovrebbe poter fare è entrare in tutte le teste, e quella banalità kantiana
che ho ritrovato in Bauman: “Kant osservò
che il pianeta che abitiamo è una sfera:… poiché tutti noi abitiamo e ci
muoviamo sulla superficie di tale sfera, … siamo destinati per sempre a restare
in reciproca compagnia” e sarebbe bene se riuscissimo a starci bene insieme. Alla fine, devo dire che ho fatto
fatica a leggere il libro. Proprio per queste sue discontinuità, questi salti
di piano e di linguaggio. Il sentimento finale è positivo, ma poteva essere
meglio.
“un detto Tuareg dice … che Dio ha inventato il deserto affinché gli
uomini possano trovarvi la loro anima” (133)
Dal Darfur passiamo verso
l’Atlantico, nel lotto dei libri acquistati in preparazione del viaggio
invernale.
Amadou Hampâté Bâ “Il Saggio di Bandiagara”
Neri Pozza euro 14
[in:
20/11/09 - out: 26/02/10]
Sono
contento di averlo letto solo ora a due mesi dal viaggio, perché non mi sarebbe
stato utile prima, anzi in un certo senso mi avrebbe mal disposto. Perché in
effetti, non mi è piaciuto. Certo, interessante la prima parte sulla vita di
Tierno Bokar, il saggio di Bandiagara. Ma la seconda parte sugli insegnamenti e
sulla sua parola è molto altalenante. E l’ultima parte anche un po’ pallosa e
incomprensibile (almeno così schematica). Hampâté Bâ è stato un interessante
scrittore (almeno a quanto ho letto su di lui), ma qui ha voluto tributare un
omaggio (doveroso) a questo strano personaggio di Bandiagara. Allora, tutta la
prima parte, che ne fa la biografia, è sicuramente interessante, ed illumina
anche sull’andamento storico-religioso di questo pezzo d’Africa, almeno per gli
ultimi 200 anni. Imperi che nascono e spariscono, alleanze politiche e
religiose. Fermenti di ogni genere. In mezzo a tutte le tempeste, l’andamento,
in un certo senso pacifico, di questo saggio, che ha dedicato la vita allo
studio ed all’insegnamento religioso. Riuscendo a spargere belle perle di
saggezza e di saper viver, soprattutto perché decide di vulgare i difficili
passi del Corano, parlando la lingua locale, rivolgendosi ai discepoli in
dialetto, in modo da farli entrare nello spirito delle cose che diceva. E
cercando sempre di esemplificare ed aggiornare il suo dettame alla realtà che i
maliani vivono quotidianamente. Riuscendo quindi a spandere un seme di rispetto
verso l’altro (cerco sempre di evitare il termine tolleranza che non mi piace)
in un mondo che di rispetto ne ha veramente poco. E non a caso, sarà proprio
l’intolleranza (e qui ci vuole) che ne travolgerà l’ultimo periodo della vita,
coinvolgendolo in diatribe solo apparentemente “futili”, ma che, di fatto,
sempre lotte di potere nascondevano. Poi però quando si passa allo specifico il
discorso si va sfilacciando. Ma se ancora regge quando riporta il modo di
spiegare le dottrine, gli esempi e l’umanità profonda di Tierno (uomo che in un
mondo islamico che si andava radicalizzando, ha sempre sostenuto che Dio ama
tutti, fedeli ed infedeli, suscitando non poco scalpore), diventa involuto e
poco leggibile quando passa a spiegare le vie esoteriche del misticismo sufi.
Certo le persone addentro alle problematiche islamiche apprezzeranno le
modalità divulgative usate per far passare i messaggi coranici, anche
sull’andamento e sul comportamento quotidiano. Ma tutti i passaggi, soprattutto
quello sulla lunga disputa se recitare il rosario coranico undici o dodici
volte, devo dire che lascia molto a desiderare. Mi aspettavo qualcosa di più
agile ed agevole, come fa intravedere la prima parte. Forse era voluto per la
difficoltà di esplicitare un pensiero ed una modalità di vita complessa. Ma
alla fine, se dovessi dare un consiglio direi leggetevi la prima metà del
libro, e poi lasciatelo da una parte. Come dice Pennac, se poi anche questa si
farà leggere, bene, ma non forzatevi. Finisco soltanto riandando alla
Bandiagara vista pochi mesi fa, ed al pensiero di come dovesse essere ancora più
“aliena” nel tempo di Tierno (che cito a mente visse tra il 1885 ed il 1940).
Ma ci si tornerà ancora in quella terra…
“L’errore non annulla il valore
dello sforzo compiuto (proverbio peul)” (7)
“chi conosce sé stesso (la propria anima) conosce il proprio Signore
(parola di Maometto)” (32)
“i griot costituiscono una casta particolare fatta di menestrelli,
poeti e musicanti, ma anche di genealogisti che sanno cantare le epopee degli
antenati di antiche famiglie…. [sono] maestri della parola” (108)
“la tolleranza è un principio fondamentale… tanto [la confraternita]
punisce con l’esclusione … chiunque, in preda alla collera, per tre giorni si
rifiuti di parlare ad un’altra persona” (123)
“pur consigliando la tolleranza e la pazienza, egli non trascurava di
condannare gli abusi dei capi che mancavano al loro dovere… Perché la gravità
degli errori commessi da un capo … è proporzionale alla superficie del suo
paese. Le conseguenze di tali errori vanno moltiplicate per la densità del
territorio governato…, moltiplicate di nuovo per il peso dell’errore … e
amplificato dalla credulità delle folle” (171)
“Un pezzo di legno ha un bel galleggiare sull’acqua, ma non diventa
caimano (proverbio maliano)” (178)
Ed infine facciamo un salto verso
l’oceano indiano, con uno scrittore molto presente nelle mie letture.
Carlo Lucarelli “L’ottava vibrazione” Noir
Repubblica euro 7,90
[in:
07/07/09 - out: 01/03/10]
La
mia passione per Lucarelli è indubitata, mentre il mio odio verso i “falsi”
curatori monta sempre più. Come fare a classificare “noir” questo libro? Ci
vuole una fantasia sfrenata. Forse perché c’è un omicidio (o più di uno)
rimasto impunito? Suvvia, ci vuole ben altro… La storia era stata anticipata
(come ambientazione) da quel Corto di Carta di cui parlai nel Novembre 2008.
Siamo alla fine dell’800, in quella che doveva essere una colonia italica presa
e mangiata dai nostri eserciti conquistatori. E lì, nell’Abissinia di crispiana
memoria, mentre le forze dell’esercito si avviano (divise e mal organizzate)
alla grande disfatta della battaglia di Adua, nei possedimenti controllati
dagli italiani, si intrecciano storie di vita. Il grande latifondista
pre-industriale che vede nel nuovo mondo possibilità di colture a basso costo,
ed intanto dilapida il patrimonio. La moglie che viene apposta dall’Italia per
cercare in tutti i modi di frenare questa catastrofe. L’impiegato nonostante
tutto a suo agio nel calore africano, dove si coltiva la bella amante
nerissima, ed intanto ordisce piccoli imbrogli tanto per far arrotondare le
entrate ai suoi principali (storie viste e riviste, eh?). Il sergente che si è
rifatto la famiglia con una bellezza locale. Il carabiniere che viene
dall’Italia sulle tracce di un possibile stupratore di bambini che tutte le
tracce indicano nel marchese giovane e di bella famiglia, nonché comandante di
uno dei plotoni maggiori dell’esercito. Ecco tante storie, che si intrecciano,
che a fatica procedono. E come l’esercito andrà verso il massacro, tutte le
cose peggiori accadranno a (quasi) tutti i personaggi. Il latifondista, il carabiniere
e tanti altri troveranno, chi in un modo chi nell’altro, una brutta fine.
L’impiegato, dopo una breve storia d’amore con la moglie del latifondista,
tornerà alla sua bella. Infondo, solo il sergente sembra aver fortuna. E
meritata. Tornerà dalla sua negretta, cui vuole veramente bene. Ed il maggiore,
come nelle migliori cronache, incapace e portatore verso la sconfitta, poiché
sarà l’unico a sopravvivere, vedrà crescere il suo potere e la sua carriera
militare. Anche qui Lucarelli ci dice che non c’è speranza. Che tutto va male e
che andrà tutto sempre peggio. Perché non c’è nessuno che si opponga, che si
ribelli. Dopo tutto, cento anni dopo, chi, come Ilaria Alpi, si ribella poi
viene comunque uccisa. E non se ne esce. Ma, e lo avrete capito dalla descrizione,
non è un giallo. Non c’è polizia (o carabinieri) che indagano. E soprattutto,
non è un noir. Cioè, spacciare per dark lady la mogliettina italiana è un salto
di fantasia degno di miglior romanzo. Ed allora perché continuiamo a prendere
in giro i lettori? Sempre per lo stesso motivo: bisogna far soldi, e, come dice
Bauman, al cacciatore non importa quello che succede dopo. Dopo una strage, il
cacciatore cerca altri lidi per trovare la selvaggina. Siamo noi, selvaggina,
che dobbiamo ribellarci. Così come non fecero gli emigrati in Abissinia.
Insomma, letto, piaciucchiato, ma da Lucarelli mi aspetto di meglio.
Finiti i giri promozionali in
Spagna, si avvicina l’estate e ci si comincia a domandare cosa ci porterà. Per
ora stiamo ancora aspettando. Vedremo le prossime settimane.
Nessun commento:
Posta un commento