mercoledì 15 febbraio 2012

L’Africa sub-sahariana - 23 maggio 2010

Anche questa settimana si parla di posti lontani, prendendo spunto da tre libri ambientati, seppur con diverso intento, nella fascia sahariana o sub-sahariana. Si passa dal Darfur degli ultimi anni, al Mali dei primi cinquanta anni del secolo scorso per finire ancora più indietro, con l’Etiopia degli ultimi anni del secolo XIX. C’è anche una notazione in più, che mi sono accorto essermi utile. Riportare quando il libro è entrato nella mia biblioteca e quando ne è uscito. A volte, infatti, passano mesi e mesi tra un avvenimento e l’altro. Ed a volte è utile sapere che le mie trame vengono redatte appena termino il libro stesso. Poi sedimentano e vengono fuori con i loro tempi.
Torniamo allora alla triade odierna, cominciando con questo libro di travagliate vicende di lettura.
Lorenzo Angeloni “In Darfur” Emergency s.p. (regalo di Roberta e Carlo)
[in:  25/12/08 - out: 24/11/09]
Anche questo (come alcuni libri che mi stavano lì a guardare e che non andavano né su né giù) ha aspettato quasi un anno per essere letto. Forse anche con lui dovevo trovare la giusta distanza. Che cosa ne posso dire? Ci sono molti piani di lettura e molti di commento, nonché qualcosa che rimane lì, un po’ per storto. Certo quest’ultima è un po’ la mia mania, ma ho trovato troppi errori di testo (battiture, spazi ed altro) che mi storcono quando leggo un libro (ripeto sono fissato). Venendo ai piani di lettura, c’è la storia del Giorgio eroe del romanzo (in senso aulico latino, cioè interprete principale delle azioni che si svolgono) e della stella dei suoi legami vitali: la famiglia, il lavoro alle nazioni Unite, la bella Nubiana e, soprattutto, il Darfur ed i suoi drammi. Queste quattro punte però non sono omogenee, cioè ci sono belle pagine sparse qua e là sui vari punti salienti, ed alcune tirate un po’ lunghe che un editor migliore di me avrebbe trovato il modo di rendere più funzionali. La tirata sui rapporti interpersonali con la moglie mi sembra tutta di testa, ideologica, messa lì perché “ci si deve credere” (ma i figli? Va tutto bene, ma, ripeto, e i figli?). Così come di testa sono alcune tirate sulla situazione locale in Darfur. Di pancia (o forse di cuore) viene fuori Heyam, ed è un bel modo di venire fuori, così come alcuni bozzetti (non macchiette, vi prego). Per esempio Nefi. O il mio eponimo Yahia. Queste sono belle righe. Quando si sente il vento degli spazi, il sudore di chi soffre, la povertà, il tentativo di prendere coscienza, mettersi in mezzo. Ed alla fine, forse, rimettere tutto in gioco per gli altri (ecco che ritorna Sofri ed il suo prossimo). Molto su di tono (un po’ compiaciuto, un po’ volutamente denigrato) è l’ambito Nazioni Unite, e, in particolare, personaggi delle Nazioni Unite. Infatti, tutti ben sappiamo che là si annidano i problemi, non tanto (anche) nelle istituzioni, ma soprattutto negli uomini e nelle donne che li rappresentano. Lì dove la gloria personale prende il sopravvento sulla necessità di essere di servizio verso qualcosa. Quindi, si va bene, buttiamoli a mare. Loro e la Lega Africana, la Lega Araba e via e via. Ma cerchiamo di capire anche dove finisce l’uomo e dove comincia la forza disumana del potere. Tutto ciò senza ancora aver dato spazio al problema. A quel Darfur che, come tante cose africane, ha radici ben più fonde e nascoste di quelli che vediamo da qui. E d’altra parte noi vediamo quelle che i portavoce delle istituzioni ci narrano, e quindi, per forza di cose, distorte e poche chiare. Non so se ci sia un modo di uscire dalla crisi del Darfur, come da tutte le altre (troppe) crisi in giro per questo  nostro ormai piccolo mondo. Ho letto quello che ne dice Lorenzo, è interessante, convince, ma, purtroppo, non basta. Quello che si dovrebbe poter fare è entrare in tutte le teste, e quella banalità kantiana che ho ritrovato in Bauman: “Kant osservò che il pianeta che abitiamo è una sfera:… poiché tutti noi abitiamo e ci muoviamo sulla superficie di tale sfera, … siamo destinati per sempre a restare in reciproca compagnia” e sarebbe bene se riuscissimo a starci bene insieme. Alla fine, devo dire che ho fatto fatica a leggere il libro. Proprio per queste sue discontinuità, questi salti di piano e di linguaggio. Il sentimento finale è positivo, ma poteva essere meglio.
“un detto Tuareg dice … che Dio ha inventato il deserto affinché gli uomini possano trovarvi la loro anima” (133)
Dal Darfur passiamo verso l’Atlantico, nel lotto dei libri acquistati in preparazione del viaggio invernale.
Amadou Hampâté Bâ “Il Saggio di Bandiagara” Neri Pozza euro 14
[in:  20/11/09 - out: 26/02/10]
Sono contento di averlo letto solo ora a due mesi dal viaggio, perché non mi sarebbe stato utile prima, anzi in un certo senso mi avrebbe mal disposto. Perché in effetti, non mi è piaciuto. Certo, interessante la prima parte sulla vita di Tierno Bokar, il saggio di Bandiagara. Ma la seconda parte sugli insegnamenti e sulla sua parola è molto altalenante. E l’ultima parte anche un po’ pallosa e incomprensibile (almeno così schematica). Hampâté Bâ è stato un interessante scrittore (almeno a quanto ho letto su di lui), ma qui ha voluto tributare un omaggio (doveroso) a questo strano personaggio di Bandiagara. Allora, tutta la prima parte, che ne fa la biografia, è sicuramente interessante, ed illumina anche sull’andamento storico-religioso di questo pezzo d’Africa, almeno per gli ultimi 200 anni. Imperi che nascono e spariscono, alleanze politiche e religiose. Fermenti di ogni genere. In mezzo a tutte le tempeste, l’andamento, in un certo senso pacifico, di questo saggio, che ha dedicato la vita allo studio ed all’insegnamento religioso. Riuscendo a spargere belle perle di saggezza e di saper viver, soprattutto perché decide di vulgare i difficili passi del Corano, parlando la lingua locale, rivolgendosi ai discepoli in dialetto, in modo da farli entrare nello spirito delle cose che diceva. E cercando sempre di esemplificare ed aggiornare il suo dettame alla realtà che i maliani vivono quotidianamente. Riuscendo quindi a spandere un seme di rispetto verso l’altro (cerco sempre di evitare il termine tolleranza che non mi piace) in un mondo che di rispetto ne ha veramente poco. E non a caso, sarà proprio l’intolleranza (e qui ci vuole) che ne travolgerà l’ultimo periodo della vita, coinvolgendolo in diatribe solo apparentemente “futili”, ma che, di fatto, sempre lotte di potere nascondevano. Poi però quando si passa allo specifico il discorso si va sfilacciando. Ma se ancora regge quando riporta il modo di spiegare le dottrine, gli esempi e l’umanità profonda di Tierno (uomo che in un mondo islamico che si andava radicalizzando, ha sempre sostenuto che Dio ama tutti, fedeli ed infedeli, suscitando non poco scalpore), diventa involuto e poco leggibile quando passa a spiegare le vie esoteriche del misticismo sufi. Certo le persone addentro alle problematiche islamiche apprezzeranno le modalità divulgative usate per far passare i messaggi coranici, anche sull’andamento e sul comportamento quotidiano. Ma tutti i passaggi, soprattutto quello sulla lunga disputa se recitare il rosario coranico undici o dodici volte, devo dire che lascia molto a desiderare. Mi aspettavo qualcosa di più agile ed agevole, come fa intravedere la prima parte. Forse era voluto per la difficoltà di esplicitare un pensiero ed una modalità di vita complessa. Ma alla fine, se dovessi dare un consiglio direi leggetevi la prima metà del libro, e poi lasciatelo da una parte. Come dice Pennac, se poi anche questa si farà leggere, bene, ma non forzatevi. Finisco soltanto riandando alla Bandiagara vista pochi mesi fa, ed al pensiero di come dovesse essere ancora più “aliena” nel tempo di Tierno (che cito a mente visse tra il 1885 ed il 1940). Ma ci si tornerà ancora in quella terra…
 “L’errore non annulla il valore dello sforzo compiuto (proverbio peul)” (7)
“chi conosce sé stesso (la propria anima) conosce il proprio Signore (parola di Maometto)” (32)
“i griot costituiscono una casta particolare fatta di menestrelli, poeti e musicanti, ma anche di genealogisti che sanno cantare le epopee degli antenati di antiche famiglie…. [sono] maestri della parola” (108)
“la tolleranza è un principio fondamentale… tanto [la confraternita] punisce con l’esclusione … chiunque, in preda alla collera, per tre giorni si rifiuti di parlare ad un’altra persona” (123)
“pur consigliando la tolleranza e la pazienza, egli non trascurava di condannare gli abusi dei capi che mancavano al loro dovere… Perché la gravità degli errori commessi da un capo … è proporzionale alla superficie del suo paese. Le conseguenze di tali errori vanno moltiplicate per la densità del territorio governato…, moltiplicate di nuovo per il peso dell’errore … e amplificato dalla credulità delle folle” (171)
“Un pezzo di legno ha un bel galleggiare sull’acqua, ma non diventa caimano (proverbio maliano)” (178)
Ed infine facciamo un salto verso l’oceano indiano, con uno scrittore molto presente nelle mie letture.
Carlo Lucarelli “L’ottava vibrazione” Noir Repubblica euro 7,90
[in:  07/07/09 - out: 01/03/10]
La mia passione per Lucarelli è indubitata, mentre il mio odio verso i “falsi” curatori monta sempre più. Come fare a classificare “noir” questo libro? Ci vuole una fantasia sfrenata. Forse perché c’è un omicidio (o più di uno) rimasto impunito? Suvvia, ci vuole ben altro… La storia era stata anticipata (come ambientazione) da quel Corto di Carta di cui parlai nel Novembre 2008. Siamo alla fine dell’800, in quella che doveva essere una colonia italica presa e mangiata dai nostri eserciti conquistatori. E lì, nell’Abissinia di crispiana memoria, mentre le forze dell’esercito si avviano (divise e mal organizzate) alla grande disfatta della battaglia di Adua, nei possedimenti controllati dagli italiani, si intrecciano storie di vita. Il grande latifondista pre-industriale che vede nel nuovo mondo possibilità di colture a basso costo, ed intanto dilapida il patrimonio. La moglie che viene apposta dall’Italia per cercare in tutti i modi di frenare questa catastrofe. L’impiegato nonostante tutto a suo agio nel calore africano, dove si coltiva la bella amante nerissima, ed intanto ordisce piccoli imbrogli tanto per far arrotondare le entrate ai suoi principali (storie viste e riviste, eh?). Il sergente che si è rifatto la famiglia con una bellezza locale. Il carabiniere che viene dall’Italia sulle tracce di un possibile stupratore di bambini che tutte le tracce indicano nel marchese giovane e di bella famiglia, nonché comandante di uno dei plotoni maggiori dell’esercito. Ecco tante storie, che si intrecciano, che a fatica procedono. E come l’esercito andrà verso il massacro, tutte le cose peggiori accadranno a (quasi) tutti i personaggi. Il latifondista, il carabiniere e tanti altri troveranno, chi in un modo chi nell’altro, una brutta fine. L’impiegato, dopo una breve storia d’amore con la moglie del latifondista, tornerà alla sua bella. Infondo, solo il sergente sembra aver fortuna. E meritata. Tornerà dalla sua negretta, cui vuole veramente bene. Ed il maggiore, come nelle migliori cronache, incapace e portatore verso la sconfitta, poiché sarà l’unico a sopravvivere, vedrà crescere il suo potere e la sua carriera militare. Anche qui Lucarelli ci dice che non c’è speranza. Che tutto va male e che andrà tutto sempre peggio. Perché non c’è nessuno che si opponga, che si ribelli. Dopo tutto, cento anni dopo, chi, come Ilaria Alpi, si ribella poi viene comunque uccisa. E non se ne esce. Ma, e lo avrete capito dalla descrizione, non è un giallo. Non c’è polizia (o carabinieri) che indagano. E soprattutto, non è un noir. Cioè, spacciare per dark lady la mogliettina italiana è un salto di fantasia degno di miglior romanzo. Ed allora perché continuiamo a prendere in giro i lettori? Sempre per lo stesso motivo: bisogna far soldi, e, come dice Bauman, al cacciatore non importa quello che succede dopo. Dopo una strage, il cacciatore cerca altri lidi per trovare la selvaggina. Siamo noi, selvaggina, che dobbiamo ribellarci. Così come non fecero gli emigrati in Abissinia. Insomma, letto, piaciucchiato, ma da Lucarelli mi aspetto di meglio.
Finiti i giri promozionali in Spagna, si avvicina l’estate e ci si comincia a domandare cosa ci porterà. Per ora stiamo ancora aspettando. Vedremo le prossime settimane.

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