Dopo due settimane mono-autorali,
questa volta mi dedico ad una collana, la tanto, da me vituperata, NOIR di
Repubblica. Non perché di per sé i romanzi pubblicati siano brutti, anzi,
comodo averne qualcuno che avevo perso in veste più economica. Ma perché sono
tutti molto lontani dal noir. Possono essere gialli, forse thriller (ma poco),
ci possono essere morti ammazzati. Ma niente (e questi ultimi tre ne sono un
esempio lampante) di color nero, se non la copertina uniforme della collana
stessa (quasi a ribadire il concetto di letteratura di genere, che da noi si
chiama giallo in onore alle copertine Mondadori, ed in Francia Noir, per le
edizioni Fleuve Noir). Quindi tre romanzi, onesti e leggibili. Ma non, mai,
assolutamente noir.
Valerio Varesi “La casa del comandante”
Noir Repubblica euro 7,90
[in: 08/09/2009 – out: 12/02/2010]
Il
primo libro che leggo della saga del commissario Soneri e delle nebbie del Po.
Probabilmente i primi sono più avvincenti. Questo ha interesse, ma non è un
noir, tutt’al più un giallo d’atmosfera. Si sta nella bassa, in riva al grande
fiume ed è lui che, con i suoi alti e bassi, regola la vita della campagna, e
delle città. Direi con i suoi umori, che vengono da lontano, perché lì più
d’ogni dove si è rimasti un po’ partigiani, e vibrano ancora le passioni.
Quelle politiche, senz’altro; ma ora anche quelle sociali, perché ci sono tanti
che arrivano da ogni dove (dal sud del mondo in pochi, dall’est in tanti e
tutti un po’ cattivi). E ci sono quelle personali. Il tutto condito con (la
mancanza di) soldi e dover tirare a campare. Quindi contrabbandi e tanti.
Sigarette ed altro che vanno e vengono. Ma soprattutto armi. Per fare la
rivoluzione? Boh! Molti sono i personaggi che vengono dalle prime storie e qui
li ritroviamo, e chi come me non li ha ancora visti li trova a volte un po’
sfumati. Forse il commissario ne esce più a tutto tondo (ed ormai
nell’immaginario con la faccia di Luca Barbareschi). Ed anche la sua donna. E
poi grandi mangiate a bordo fiume, e bevute (con quell’odore di Fortana che si
spande per i campi), e tante chiacchiere sul bene, sul dovere, sull’onore,
sulla fedeltà. Alla fine la soluzione è un po’ moscia, anche se in linea con la
costruzione globale del romanzo. Forse si dovrà leggere altro per dare un
giudizio più completo. Per ora lo trovo scorrevole, anche se a volte cercando di
fare del piccolo cabotaggio, ci si trova al centro del fiume, sbattendo un po’
sulla riva destra ed un po’ su quella sinistra. Diciamo va bene, anche se
potrebbe andare meglio.
“nella vita ci vuole anche un po’ d’incoscienza. Con la saggezza tiri
solo a campare. Senza l’incoscienza non combini una sega” (18)
“siamo tutti animali volubili e niente è serio come sembra” (72)
“Aveva sempre la pretesa di soddisfare il ventaglio di emozioni di lei,
ma sapeva che quella pretesa era assurda con una come Angela e nessun uomo era
mai al riparo dal desiderio di novità di una donna” (79)
“non stiamo parlando di geometria ma di sentimenti. La ragione c’entra
poco. C’è una parte oscura di noi del tutto contraddittoria che fa a pugni con
la logica” (217)
“Tu hai degli uomini che ti girano intorno … Avrebbe voluto che lei gli
dicesse che non era vero: l’avrebbe fatto star bene. ‘Ce ne sono sempre stati,
certo, ma per adesso ci sei tu e basta’ rispose … e lui si sentì di nuovo
incerto e confuso” (218)
Loriano Macchiavelli “Sarti Antonio. Di
nero si muore” Noir Repubblica euro 7,90
[in: 01/09/2009 – out: 29/03/2010]
Ancora
un noir che non è un nero. E soprattutto un libro su Sarti Antonio
assolutamente costruito, inventato per vendere qualcosa. 4-5 racconti, slegati
che una mente perversa cerca di collegare con fili logici che non si legano. Ed
un ultimo racconto, che sarà pure inedito, ma sembra soltanto una rimembranza
senile di uno scrittore stanco. Ci sarebbe da prendere per le orecchie i due
curatori, Massimo Carloni e Roberto Pirani e chiedere loro chi glielo ha fatto
fare. Un’operazione inutile, che nulla aggiunge alla fama del nostro poliziotto
o alla bravura del buon Loriano. Anzi rischia, in un malaccorto ma intenso
conoscitore, di suscitare ire funeste. Ad una raccolta di racconti si chiede di
avere uno spirito organizzativo unitario: lo stile dell’autore, alcune
tematiche, la definizione di un mondo. Quando poi nell’introduzione si
spacciano momenti di scrittura slegati come possibili brani di una biografia
immaginaria del mondo del nostro Sarti Antonio, ci si aspetta di certo
qualcos’altro. Dopo tutte le belle premesse, ecco che si snocciolano alcune
avventure del bravo poliziotto bolognese, ma di corto respiro, dove il lato
poliziesco non dico sia poco, ma come nelle migliori analisi urinarie, al
massimo tracce. Certo, compaiano l’ottimo Rosas, la sua amante biondina, il
mite Cantoni, ma non basta a sollevare il tutto. Compare anche l’alter ego,
quello scrittore narrante che nelle normali azioni Sartiane ha un ruolo di
cronista ma anche di stempero della tensione, quando c’è, e di elemento
normalizzatore. Qui, addirittura, diventa quasi un protagonista, interviene,
fa, dice, ed agisce. Fino a quell’ultimo racconto, spacciato “con la benevola
partecipazione di”, e che è una rielaborazione di alcuni capitoli di un libro
del nostro. Ma proprio in quanto capitoli di un libro, non hanno alcun senso
compiuto, così, slegati dal contesto narrativo. Se in “Sgumbéi” Macchiavelli
cerca di interpretare insoluti misteri bolognesi a ritroso fin nell’Ottocento,
qui rimangono momenti isolati, ed oserei dire, inutilmente onirici. Chi ama o
almeno chi vuole bene al disincantato poliziotto, alla sua colite, ma
soprattutto al suo amore per il caffè, che gli fa marcare con una croce di
ostracismo quei bar che ne servono di brodazze imbevibili, terrà questo libro
come memento e complemento dell’opera completa. Non ne sarò certo arricchito.
Né tanto meno (e questo è un altro grande difetto) incuriosito di modo che se
ne vada a cercare altri. Peccato. Poteva essere un giallo invece è una cyclette
(scusa Troisi). Mi accorgo che non ho tramato nessun pezzo di questa raccolta.
Ma non ne merita.
“Noi siamo condannati ad essere quello che siamo … è così, non possiamo
farci nulla. Ma non diteglielo, non lo sopporterebbe” (17)
Giancarlo De Cataldo “Onora il padre.
Quarto comandamento” Noir Repubblica euro 7,90
[in: 21/07/2009 – out: 02/04/2010]
Ultima
lettura della serie Noir di Repubblica. Finita e senza troppi rimpianti (anche
questo è tutto fuorché un nero, anzi è proprio un giallaccio tra l’altro
pubblicato in prima istanza proprio nei Gialli Mondadori e sotto pseudonimo).
Un libro decente, che si lascia leggere, soprattutto con quella ambientazione
di rimembranze riminesi. L’Hotel Excelsior, il Grand Hotel, le spiagge
felliniane, Riccione e Gabicce a Mare. Manca solo il caffè Pascucci e il Mucho
Macho e siamo al completo. Si sente che è un libro un po’ buttato giù “in
fretta” quasi fosse più una prova per qualche sceneggiatura televisiva che per
un riflessivo romanzo. Ma nella sua esilità, si legge comunque piacevolmente.
L’indagine del bravo ispettore Marco Colonna, orfano di padre ignoto, che per
la sua specializzazione presso l’FBI come esperto in serial killer viene
catapultato nella natia Rimini che aveva lasciato a pochi mesi, fuggendo a
Milano con la madre. Indaga sulla morte della facoltosa Federica, e subito
scopre le tracce di un possibile serial killer. Contro le pressioni del pur
ottimo vicequestore Prosperi si butta a capofitto alla ricerca di questo strano
assassino, che non violenta le vittime (tutte donne), che brucia bastoncini di
incenso e che mentre le tortura ascolta il cd Silence dei Flying Objects
(inventata ma molto reale). Coinvolgendo il personale della stazione di polizia
di Rimini (soprattutto la bella Anna, come tutte le riminesi doc). Alla ricerca
del mostro si sovrappone ben presto anche quella del padre che lo ha
abbandonato. Ma il giallo, ben presto si risolve, e la tensione al bene dei
buoni rimane (non come il di poco successivo commissario Scialoja di Romanzo
Criminale). Come rimane la descrizione di questa Rimini fuori stagione, dove ti
allontani un po’ dal lungomare e trovi il mondo arcaico della provincia
italiana. Di Piazza Cavour con i suoi bar, ma anche delle colonie estive di
eredità mussoliniana. Ripeto, si lascia leggere, tanto che l’ho divorato in un
paio di giorni, ma che non lascia molto su cui pensare. Una sola notazione
marginale, a pagina 138, non avrei messo (o avrei annotato) la storiella che
racconta un ispettore per mettere in ridicolo il questore, che è ripresa tale e
quale dal monologo di quindici anni prima di Troisi intitolato “Il pazzo”,
quando il grande comico spiega perché ha sodomizzato padre, madre e figlia,
sotto la spinta dell’ossessivo padre che lo spingeva a farsi una famiglia!
“Alberghi, stazioni, aeroporti … luoghi di passaggio, insomma: fosse
dipeso da lui, vi avrebbe consumata tutta la vita in un’interrotta sospensione
del tempo” (17)
Tutto in pensiero alla
chiusura dei lavori aperti ed al pensiero dei viaggi da chiudere.
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