martedì 21 febbraio 2012

Il finto noir - 27 giugno 2010

Dopo due settimane mono-autorali, questa volta mi dedico ad una collana, la tanto, da me vituperata, NOIR di Repubblica. Non perché di per sé i romanzi pubblicati siano brutti, anzi, comodo averne qualcuno che avevo perso in veste più economica. Ma perché sono tutti molto lontani dal noir. Possono essere gialli, forse thriller (ma poco), ci possono essere morti ammazzati. Ma niente (e questi ultimi tre ne sono un esempio lampante) di color nero, se non la copertina uniforme della collana stessa (quasi a ribadire il concetto di letteratura di genere, che da noi si chiama giallo in onore alle copertine Mondadori, ed in Francia Noir, per le edizioni Fleuve Noir). Quindi tre romanzi, onesti e leggibili. Ma non, mai, assolutamente noir.
Valerio Varesi “La casa del comandante” Noir Repubblica euro 7,90
[in: 08/09/2009 – out: 12/02/2010]
Il primo libro che leggo della saga del commissario Soneri e delle nebbie del Po. Probabilmente i primi sono più avvincenti. Questo ha interesse, ma non è un noir, tutt’al più un giallo d’atmosfera. Si sta nella bassa, in riva al grande fiume ed è lui che, con i suoi alti e bassi, regola la vita della campagna, e delle città. Direi con i suoi umori, che vengono da lontano, perché lì più d’ogni dove si è rimasti un po’ partigiani, e vibrano ancora le passioni. Quelle politiche, senz’altro; ma ora anche quelle sociali, perché ci sono tanti che arrivano da ogni dove (dal sud del mondo in pochi, dall’est in tanti e tutti un po’ cattivi). E ci sono quelle personali. Il tutto condito con (la mancanza di) soldi e dover tirare a campare. Quindi contrabbandi e tanti. Sigarette ed altro che vanno e vengono. Ma soprattutto armi. Per fare la rivoluzione? Boh! Molti sono i personaggi che vengono dalle prime storie e qui li ritroviamo, e chi come me non li ha ancora visti li trova a volte un po’ sfumati. Forse il commissario ne esce più a tutto tondo (ed ormai nell’immaginario con la faccia di Luca Barbareschi). Ed anche la sua donna. E poi grandi mangiate a bordo fiume, e bevute (con quell’odore di Fortana che si spande per i campi), e tante chiacchiere sul bene, sul dovere, sull’onore, sulla fedeltà. Alla fine la soluzione è un po’ moscia, anche se in linea con la costruzione globale del romanzo. Forse si dovrà leggere altro per dare un giudizio più completo. Per ora lo trovo scorrevole, anche se a volte cercando di fare del piccolo cabotaggio, ci si trova al centro del fiume, sbattendo un po’ sulla riva destra ed un po’ su quella sinistra. Diciamo va bene, anche se potrebbe andare meglio.
“nella vita ci vuole anche un po’ d’incoscienza. Con la saggezza tiri solo a campare. Senza l’incoscienza non combini una sega” (18)
“siamo tutti animali volubili e niente è serio come sembra” (72)
“Aveva sempre la pretesa di soddisfare il ventaglio di emozioni di lei, ma sapeva che quella pretesa era assurda con una come Angela e nessun uomo era mai al riparo dal desiderio di novità di una donna” (79)
“non stiamo parlando di geometria ma di sentimenti. La ragione c’entra poco. C’è una parte oscura di noi del tutto contraddittoria che fa a pugni con la logica” (217)
“Tu hai degli uomini che ti girano intorno … Avrebbe voluto che lei gli dicesse che non era vero: l’avrebbe fatto star bene. ‘Ce ne sono sempre stati, certo, ma per adesso ci sei tu e basta’ rispose … e lui si sentì di nuovo incerto e confuso” (218)
Loriano Macchiavelli “Sarti Antonio. Di nero si muore” Noir Repubblica euro 7,90
[in: 01/09/2009 – out: 29/03/2010]
Ancora un noir che non è un nero. E soprattutto un libro su Sarti Antonio assolutamente costruito, inventato per vendere qualcosa. 4-5 racconti, slegati che una mente perversa cerca di collegare con fili logici che non si legano. Ed un ultimo racconto, che sarà pure inedito, ma sembra soltanto una rimembranza senile di uno scrittore stanco. Ci sarebbe da prendere per le orecchie i due curatori, Massimo Carloni e Roberto Pirani e chiedere loro chi glielo ha fatto fare. Un’operazione inutile, che nulla aggiunge alla fama del nostro poliziotto o alla bravura del buon Loriano. Anzi rischia, in un malaccorto ma intenso conoscitore, di suscitare ire funeste. Ad una raccolta di racconti si chiede di avere uno spirito organizzativo unitario: lo stile dell’autore, alcune tematiche, la definizione di un mondo. Quando poi nell’introduzione si spacciano momenti di scrittura slegati come possibili brani di una biografia immaginaria del mondo del nostro Sarti Antonio, ci si aspetta di certo qualcos’altro. Dopo tutte le belle premesse, ecco che si snocciolano alcune avventure del bravo poliziotto bolognese, ma di corto respiro, dove il lato poliziesco non dico sia poco, ma come nelle migliori analisi urinarie, al massimo tracce. Certo, compaiano l’ottimo Rosas, la sua amante biondina, il mite Cantoni, ma non basta a sollevare il tutto. Compare anche l’alter ego, quello scrittore narrante che nelle normali azioni Sartiane ha un ruolo di cronista ma anche di stempero della tensione, quando c’è, e di elemento normalizzatore. Qui, addirittura, diventa quasi un protagonista, interviene, fa, dice, ed agisce. Fino a quell’ultimo racconto, spacciato “con la benevola partecipazione di”, e che è una rielaborazione di alcuni capitoli di un libro del nostro. Ma proprio in quanto capitoli di un libro, non hanno alcun senso compiuto, così, slegati dal contesto narrativo. Se in “Sgumbéi” Macchiavelli cerca di interpretare insoluti misteri bolognesi a ritroso fin nell’Ottocento, qui rimangono momenti isolati, ed oserei dire, inutilmente onirici. Chi ama o almeno chi vuole bene al disincantato poliziotto, alla sua colite, ma soprattutto al suo amore per il caffè, che gli fa marcare con una croce di ostracismo quei bar che ne servono di brodazze imbevibili, terrà questo libro come memento e complemento dell’opera completa. Non ne sarò certo arricchito. Né tanto meno (e questo è un altro grande difetto) incuriosito di modo che se ne vada a cercare altri. Peccato. Poteva essere un giallo invece è una cyclette (scusa Troisi). Mi accorgo che non ho tramato nessun pezzo di questa raccolta. Ma non ne merita.
“Noi siamo condannati ad essere quello che siamo … è così, non possiamo farci nulla. Ma non diteglielo, non lo sopporterebbe” (17)
Giancarlo De Cataldo “Onora il padre. Quarto comandamento” Noir Repubblica euro 7,90
[in: 21/07/2009 – out: 02/04/2010]
Ultima lettura della serie Noir di Repubblica. Finita e senza troppi rimpianti (anche questo è tutto fuorché un nero, anzi è proprio un giallaccio tra l’altro pubblicato in prima istanza proprio nei Gialli Mondadori e sotto pseudonimo). Un libro decente, che si lascia leggere, soprattutto con quella ambientazione di rimembranze riminesi. L’Hotel Excelsior, il Grand Hotel, le spiagge felliniane, Riccione e Gabicce a Mare. Manca solo il caffè Pascucci e il Mucho Macho e siamo al completo. Si sente che è un libro un po’ buttato giù “in fretta” quasi fosse più una prova per qualche sceneggiatura televisiva che per un riflessivo romanzo. Ma nella sua esilità, si legge comunque piacevolmente. L’indagine del bravo ispettore Marco Colonna, orfano di padre ignoto, che per la sua specializzazione presso l’FBI come esperto in serial killer viene catapultato nella natia Rimini che aveva lasciato a pochi mesi, fuggendo a Milano con la madre. Indaga sulla morte della facoltosa Federica, e subito scopre le tracce di un possibile serial killer. Contro le pressioni del pur ottimo vicequestore Prosperi si butta a capofitto alla ricerca di questo strano assassino, che non violenta le vittime (tutte donne), che brucia bastoncini di incenso e che mentre le tortura ascolta il cd Silence dei Flying Objects (inventata ma molto reale). Coinvolgendo il personale della stazione di polizia di Rimini (soprattutto la bella Anna, come tutte le riminesi doc). Alla ricerca del mostro si sovrappone ben presto anche quella del padre che lo ha abbandonato. Ma il giallo, ben presto si risolve, e la tensione al bene dei buoni rimane (non come il di poco successivo commissario Scialoja di Romanzo Criminale). Come rimane la descrizione di questa Rimini fuori stagione, dove ti allontani un po’ dal lungomare e trovi il mondo arcaico della provincia italiana. Di Piazza Cavour con i suoi bar, ma anche delle colonie estive di eredità mussoliniana. Ripeto, si lascia leggere, tanto che l’ho divorato in un paio di giorni, ma che non lascia molto su cui pensare. Una sola notazione marginale, a pagina 138, non avrei messo (o avrei annotato) la storiella che racconta un ispettore per mettere in ridicolo il questore, che è ripresa tale e quale dal monologo di quindici anni prima di Troisi intitolato “Il pazzo”, quando il grande comico spiega perché ha sodomizzato padre, madre e figlia, sotto la spinta dell’ossessivo padre che lo spingeva a farsi una famiglia!
“Alberghi, stazioni, aeroporti … luoghi di passaggio, insomma: fosse dipeso da lui, vi avrebbe consumata tutta la vita in un’interrotta sospensione del tempo” (17)
Tutto in pensiero alla chiusura dei lavori aperti ed al pensiero dei viaggi da chiudere.

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