Cominciamo
da uno dei due svedesi, quello più nordico.
Håkan Nesser “Il commissario e il silenzio”
TEA euro 8 (in realtà, scontato 6,80 euro)
[in: 03/04/2010 – out: 21/05/2010]
Dopo
tanti anni ritrovo il commissario Van Veeteren. Sempre piacevole. A volte
prolisso. Ma leggibile. Una decina di anni fa uscivano i suoi primi volumi
tradotti in italiano, uno dei primi autori svedesi che ora hanno rotto l’argine
e sono diventati un po’ troppo di moda. Ora (anche se sempre saltando su e giù
per la sua produzione) ne escono finalmente nuovi anche in economica. Mi torna
quindi a trovare l’ormai “anziano” (ma solo perché ha 55 anni…) commissario,
amante dei libri, della musica, degli scacchi e del buon cinema italiani (bella
la scena al cinema con altri 5 a vedere i fratelli Taviani). Ha un solo
difetto, che ogni tanto me lo allontana. Quando prende dal taschino uno stuzzicadenti
e solo tiene in bocca mentre sta lì a pensare. Perché lui pensa. Difficile
vederlo agire di corsa come nei nostri commissari un po’ latini. Forse non è un
caso che si dica somigliare (anche fisicamente) a Maigret. Sta lì che si
aggira, chiede, si interroga, riflette sulle parole. E mi da anche una bella
immagine del lavoro poliziesco (ma anche più in generale di situazioni di
vita). Come vedere la fine di una partita di scacchi e cercare a poco a poco di
ricostruire tutte le mosse che l’hanno portata fin lì. E quando si arriva
all’apertura, si trova il colpevole. Tornando al testo, certo è al solito pieno
delle grandi paure dei freddi nordici. Ancora una volta ci troviamo a far
fronte alla morte di ragazzine (12-13 anni) che sembra una costante in un lungo
filone scandinavo. Da qui partono, forse la parte meno rodata, riflessioni sul
bene e sul male, sul modo di affrontare la vita e perché no sulla solitudine
dell’anima, che mi sembra un'altra costante di questi bravi autori. Altri si
agitano, e si dannano. Van Veeteren cerca di trovare fili solidi a cui far
abboccare i pesci. In un certo senso si isola nel suo mondo (passando la
maggior parte del tempo a chiedersi se andare o meno in vacanza a Creta, e
penso che qualcuno lo possa aiutare in questa scelta). Ma lascia aperta la
mente, e questa ricettività gli darà modo di scovare il filo giusto. Il giusto
ramo da cui partire per scendere fino alle radici dell’albero. Dal punto di
vista del giallo puro, un po’ ce lo aspettavamo da diverse pagine, ma ben si
chiude il cerchio intorno a chi deve essere punito. Se ne leggerà ancora.
“Perché no?... doveva pur essere una faccenda abbastanza semplice
lavare una verità retroattiva dalla sabbia della menzogna. Ma come mi esprimo
elegantemente oggi… dovrei cominciare a scrivere le mie memorie, un giorno o
l’altro” (18)
“non esistono combinazioni… se la vita è un albero, non deve
necessariamente esserci una così gran differenza se si finisce su un ramo o
sull’altro… per trovare la radice” (301)
Passiamo
quindi al fiammingo.
Pieter Aspe « Le Carrè de la vengeance » Le livre de Poche euro
7,30
[in : 07/03/2010 – out :
03/08/2010]
Avevo
sentito parlare di questo scrittore belga e mi aveva incuriosito, così, una
volta a Bruxelles (strano, eh ?) ho deciso di prenderne una copia, e quale
la mia sorpresa constatando che sì, Aspe è belga, ma non del lato Simenon, ma
del lato “fiammingo”, cioè anche in francese è tradotto (certo, con una
vicinanza di lingua diversa di quando lo si traduce in italiano). E quindi sono
entrato nel mondo di questo strano personaggio, nato poco prima di me (sempre
Ariete, eh…), che ha ormai scritto ben 25 libri della saga del commissario
Pieter Van In. Comunque la fortuna aiuta i temerari, e questo, in effetti, è il
primo volume della serie, quello dove cominciamo a conoscere il commissario,
anzi commissario aggiunto. Un poliziotto quarantenne, un po’ sbracato, che non
trova di meglio che buttar giù Duvel su Duvel con il suo amico Léo. Finché si
trova bene o male coinvolto in una nuova trama, che gli fa dimenticare il
divorzio dalla moglie Sofia, e che (ma solo verso la fine) gli fa pensare di
smettere di fumare (vedremo). Intanto entrano prepotentemente in scena il
brigadiere omosessuale Guido Versavel ed il sostituto procuratore procace
Hannelore Martens. Spero rimarranno nei libri della serie che mi auguro di
leggere (anche se bisogna decidere in quale lingua; no, non credo per il
momento che cercherò di studiare il fiammingo…). Ed entriamo pian pianino nella
bellissima cittadina di Bruges, con la sua aria medioevale, il fiume, le
chiese, il BeginHof ed altre amenità (ricordo di gite vicine e lontane, ma
tutte piacevoli). Facciamo conoscenza con il bel mondo della “bourgeoisie
brugeoise” (intraducibile ma dal bel suono) e con le sue “malefatte”: amori,
tradimenti, vendette, politici corrotti e/o corrompibili, scandali (Italia 2010
o Belgio 1995?). In tutto questo Van In si muove prima con difficoltà, poi, una
volta raggiunta la sua idea (vincente) come un fulmine travolgente. La trama si
svolge piacevolmente, si da un giusto peso ai personaggi, usando un registro a
metà strada tra Simenon e Christie (anche se Aspe deve fare ancora della
strada…). Peccato solo la trovata del quadrato templare, un po’ scontato per
noi lettori appassionati di Eco. Però, che bel ritorno ai gialli “classici”,
quelli che nelle ultime pagine fanno un riassunto intelligente degli
avvenimenti, spiegando al colto e all’inclita le parti oscure, disvelando
eventuali misteri. Insomma, lasciando me lettore soddisfatto della lettura e
della scrittura. Non ci sono grandi frasi da ricordare, soltanto un filo di
birra gelata che ci accompagna per tutto il libro (ricordandomi le grandi
bevute del mio amico Filip). Se ne riparlerà (in qualche modo e in qualche lingua).
E
finiamo con i nostri stranoti svedesi “doc”.
Maj Sjöwall & Per Wahlöö “L’uomo sul
tetto” Sellerio euro 13
[in: 21/02/2010 – out: 25/05/2010]
Ottavo
libro del commissario Beck. Qui si va sul “politico”. Per chi si è perso le
puntate precedenti, ricordo che Sjöwall & Wahlöö erano una coppia svedese
che decise negli anni Sessanta di scrivere dieci romanzi a tesi. Cioè per
dimostrare che la cosiddetta socialdemocrazia svedese non era così “felice”
come veniva dipinta. Per attirare il pubblico decisero anche che il tema di
partenza era qualcosa di attraente: un giallo, che avrebbe attirato il pubblico.
Cominciarono così le avventure del commissario Beck, con i primi romanzi tutti
sul versante poliziesco, poi man mano scivolando su tematiche più sociali e/o
politiche. Da alcuni anni, sulla spinta di una buona recensione di Camilleri,
Sellerio li sta riproponendo. Ora siamo all’ottavo ripubblicato (in realtà è il
settimo della serie) e mancano l’ottavo reale ed il decimo ed ultimo. Come
dicevo si va sempre più sulla critica. Qui si prende spunto dall’omicidio di un
commissario di polizia, all’apparenza normale, che durante il corso
dell’indagine si scopre sempre più nefasto. Razzista, violento e “degno della
fine che fa”. Non c’è un vero e proprio giallo, che ben presto si capisce il
meccanismo della morte e di altre uccisioni. Il tutto con alcuni capitoli
dedicati alle malefatte della polizia svedese verso immigrati ed altri soggetti
che ora chiameremo “extra-comunitari”. Diventando quasi più un saggio
sull’anormale normalità svedese. Interessante, dal punto di vista sociologico.
Un po’ tirato dal punto di vista della scrittura. Come da accordi tra la
coppia, uno dei due scriveva il primo capitolo che poi passava all’altro, e via
alternandosi. Nei primi romanzi, questo creava un crescendo di difficoltà,
ognuno cercando di creare situazioni che rendessero difficile la prosecuzione
all’altro. Ora il meccanismo, troppo dedicato alle tesi da dimostrare, mostra
la corda. Sempre gradevole, invero, e ci si domanda anche quanto sia diversa
non solo la Svezia di 35 anni fa, ma l’Europa tutta. Quanto il rispetto dell’altro
non sia mai entrato nel sentire comune. Una prova degna, ma si sente
l’avvicinarsi della fine del progetto. Aspettiamo le ultime prove.
Sappiamo
tutti che siamo al giro di boa, e come quando si stava su Luna Rossa, bisogna
stringere i denti e tirare avanti, sperando che il vento sia sempre favorevole.
Ma, come dice sempre qualche mio amico, comunque andrà, sarà un successo.
Perché, noi tutti, dentro, siamo sempre i più forti.
Nessun commento:
Posta un commento