martedì 27 marzo 2012

Gialli d’appendice - 21 novembre 2010

Uso questo termine, un po’ improprio, non per parlare di libri di scarsa rilevanza (in genere si usa il termine “d’appendice” per denigrare romanzi scritti in fretta e con poco mordente), ma nel suo termine filologico. D’appendice erano scritti messi come ultime pagine delle riviste di un tempo, e quindi tornavano, periodicamente con la rivista, a deliziare il lettore. Il quale ritrovava i personaggi cui era aduso, e, se ben fatti e scritti, ne gustava il procedere, come si farebbe ora con una telenovela (magari non troppo estesa nel tempo) o come quelle serie di fiction (del tipo di “Friends” che adoravo). Qui, allora, ritroviamo (o troviamo per poi ritrovare) tre commissari, di natura un po’ nordica, ma di bella resa. Qualcuno sta per terminare il suo percorso, qualcuno lo inizia ora. Troviamo allora (ancora per pochi libri) il commissario Beck, ritroviamo (dopo tanto tempo) il commissario Van Veeteren e troviamo (e lo ritroveremo spero presto) il commissario Van In.
Cominciamo da uno dei due svedesi, quello più nordico.
Håkan Nesser “Il commissario e il silenzio” TEA euro 8 (in realtà, scontato 6,80 euro)
[in: 03/04/2010 – out: 21/05/2010]
Dopo tanti anni ritrovo il commissario Van Veeteren. Sempre piacevole. A volte prolisso. Ma leggibile. Una decina di anni fa uscivano i suoi primi volumi tradotti in italiano, uno dei primi autori svedesi che ora hanno rotto l’argine e sono diventati un po’ troppo di moda. Ora (anche se sempre saltando su e giù per la sua produzione) ne escono finalmente nuovi anche in economica. Mi torna quindi a trovare l’ormai “anziano” (ma solo perché ha 55 anni…) commissario, amante dei libri, della musica, degli scacchi e del buon cinema italiani (bella la scena al cinema con altri 5 a vedere i fratelli Taviani). Ha un solo difetto, che ogni tanto me lo allontana. Quando prende dal taschino uno stuzzicadenti e solo tiene in bocca mentre sta lì a pensare. Perché lui pensa. Difficile vederlo agire di corsa come nei nostri commissari un po’ latini. Forse non è un caso che si dica somigliare (anche fisicamente) a Maigret. Sta lì che si aggira, chiede, si interroga, riflette sulle parole. E mi da anche una bella immagine del lavoro poliziesco (ma anche più in generale di situazioni di vita). Come vedere la fine di una partita di scacchi e cercare a poco a poco di ricostruire tutte le mosse che l’hanno portata fin lì. E quando si arriva all’apertura, si trova il colpevole. Tornando al testo, certo è al solito pieno delle grandi paure dei freddi nordici. Ancora una volta ci troviamo a far fronte alla morte di ragazzine (12-13 anni) che sembra una costante in un lungo filone scandinavo. Da qui partono, forse la parte meno rodata, riflessioni sul bene e sul male, sul modo di affrontare la vita e perché no sulla solitudine dell’anima, che mi sembra un'altra costante di questi bravi autori. Altri si agitano, e si dannano. Van Veeteren cerca di trovare fili solidi a cui far abboccare i pesci. In un certo senso si isola nel suo mondo (passando la maggior parte del tempo a chiedersi se andare o meno in vacanza a Creta, e penso che qualcuno lo possa aiutare in questa scelta). Ma lascia aperta la mente, e questa ricettività gli darà modo di scovare il filo giusto. Il giusto ramo da cui partire per scendere fino alle radici dell’albero. Dal punto di vista del giallo puro, un po’ ce lo aspettavamo da diverse pagine, ma ben si chiude il cerchio intorno a chi deve essere punito. Se ne leggerà ancora.
“Perché no?... doveva pur essere una faccenda abbastanza semplice lavare una verità retroattiva dalla sabbia della menzogna. Ma come mi esprimo elegantemente oggi… dovrei cominciare a scrivere le mie memorie, un giorno o l’altro” (18)
“non esistono combinazioni… se la vita è un albero, non deve necessariamente esserci una così gran differenza se si finisce su un ramo o sull’altro… per trovare la radice” (301)
Passiamo quindi al fiammingo.
Pieter Aspe « Le Carrè de la vengeance » Le livre de Poche euro 7,30
[in : 07/03/2010 – out : 03/08/2010]
Avevo sentito parlare di questo scrittore belga e mi aveva incuriosito, così, una volta a Bruxelles (strano, eh ?) ho deciso di prenderne una copia, e quale la mia sorpresa constatando che sì, Aspe è belga, ma non del lato Simenon, ma del lato “fiammingo”, cioè anche in francese è tradotto (certo, con una vicinanza di lingua diversa di quando lo si traduce in italiano). E quindi sono entrato nel mondo di questo strano personaggio, nato poco prima di me (sempre Ariete, eh…), che ha ormai scritto ben 25 libri della saga del commissario Pieter Van In. Comunque la fortuna aiuta i temerari, e questo, in effetti, è il primo volume della serie, quello dove cominciamo a conoscere il commissario, anzi commissario aggiunto. Un poliziotto quarantenne, un po’ sbracato, che non trova di meglio che buttar giù Duvel su Duvel con il suo amico Léo. Finché si trova bene o male coinvolto in una nuova trama, che gli fa dimenticare il divorzio dalla moglie Sofia, e che (ma solo verso la fine) gli fa pensare di smettere di fumare (vedremo). Intanto entrano prepotentemente in scena il brigadiere omosessuale Guido Versavel ed il sostituto procuratore procace Hannelore Martens. Spero rimarranno nei libri della serie che mi auguro di leggere (anche se bisogna decidere in quale lingua; no, non credo per il momento che cercherò di studiare il fiammingo…). Ed entriamo pian pianino nella bellissima cittadina di Bruges, con la sua aria medioevale, il fiume, le chiese, il BeginHof ed altre amenità (ricordo di gite vicine e lontane, ma tutte piacevoli). Facciamo conoscenza con il bel mondo della “bourgeoisie brugeoise” (intraducibile ma dal bel suono) e con le sue “malefatte”: amori, tradimenti, vendette, politici corrotti e/o corrompibili, scandali (Italia 2010 o Belgio 1995?). In tutto questo Van In si muove prima con difficoltà, poi, una volta raggiunta la sua idea (vincente) come un fulmine travolgente. La trama si svolge piacevolmente, si da un giusto peso ai personaggi, usando un registro a metà strada tra Simenon e Christie (anche se Aspe deve fare ancora della strada…). Peccato solo la trovata del quadrato templare, un po’ scontato per noi lettori appassionati di Eco. Però, che bel ritorno ai gialli “classici”, quelli che nelle ultime pagine fanno un riassunto intelligente degli avvenimenti, spiegando al colto e all’inclita le parti oscure, disvelando eventuali misteri. Insomma, lasciando me lettore soddisfatto della lettura e della scrittura. Non ci sono grandi frasi da ricordare, soltanto un filo di birra gelata che ci accompagna per tutto il libro (ricordandomi le grandi bevute del mio amico Filip). Se ne riparlerà (in qualche modo e in qualche lingua).
E finiamo con i nostri stranoti svedesi “doc”.
Maj Sjöwall & Per Wahlöö “L’uomo sul tetto” Sellerio euro 13
[in: 21/02/2010 – out: 25/05/2010]
Ottavo libro del commissario Beck. Qui si va sul “politico”. Per chi si è perso le puntate precedenti, ricordo che Sjöwall & Wahlöö erano una coppia svedese che decise negli anni Sessanta di scrivere dieci romanzi a tesi. Cioè per dimostrare che la cosiddetta socialdemocrazia svedese non era così “felice” come veniva dipinta. Per attirare il pubblico decisero anche che il tema di partenza era qualcosa di attraente: un giallo, che avrebbe attirato il pubblico. Cominciarono così le avventure del commissario Beck, con i primi romanzi tutti sul versante poliziesco, poi man mano scivolando su tematiche più sociali e/o politiche. Da alcuni anni, sulla spinta di una buona recensione di Camilleri, Sellerio li sta riproponendo. Ora siamo all’ottavo ripubblicato (in realtà è il settimo della serie) e mancano l’ottavo reale ed il decimo ed ultimo. Come dicevo si va sempre più sulla critica. Qui si prende spunto dall’omicidio di un commissario di polizia, all’apparenza normale, che durante il corso dell’indagine si scopre sempre più nefasto. Razzista, violento e “degno della fine che fa”. Non c’è un vero e proprio giallo, che ben presto si capisce il meccanismo della morte e di altre uccisioni. Il tutto con alcuni capitoli dedicati alle malefatte della polizia svedese verso immigrati ed altri soggetti che ora chiameremo “extra-comunitari”. Diventando quasi più un saggio sull’anormale normalità svedese. Interessante, dal punto di vista sociologico. Un po’ tirato dal punto di vista della scrittura. Come da accordi tra la coppia, uno dei due scriveva il primo capitolo che poi passava all’altro, e via alternandosi. Nei primi romanzi, questo creava un crescendo di difficoltà, ognuno cercando di creare situazioni che rendessero difficile la prosecuzione all’altro. Ora il meccanismo, troppo dedicato alle tesi da dimostrare, mostra la corda. Sempre gradevole, invero, e ci si domanda anche quanto sia diversa non solo la Svezia di 35 anni fa, ma l’Europa tutta. Quanto il rispetto dell’altro non sia mai entrato nel sentire comune. Una prova degna, ma si sente l’avvicinarsi della fine del progetto. Aspettiamo le ultime prove.
Sappiamo tutti che siamo al giro di boa, e come quando si stava su Luna Rossa, bisogna stringere i denti e tirare avanti, sperando che il vento sia sempre favorevole. Ma, come dice sempre qualche mio amico, comunque andrà, sarà un successo. Perché, noi tutti, dentro, siamo sempre i più forti. 

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