martedì 13 marzo 2012

Serial Yellow - 25 luglio 2010

La settimana scorsa si parlava di libri a Matrioska (prendi uno, leggi tre), questa settimana si torna a parlare di gialli internazionali “seriali”, cioè imperniati su personaggi (in genere l’investigatore) che torna e ci porta di episodio in episodio lungo tutta la sua vita. Qui abbiamo un cinese che vive in America ed il suo ispettore Chen Chao, la norvegese con la coppia Vik e Sjonbo ed il tedesco con l’ispettore triestino Proteo Laurenti. L’altra caratteristica che accomuno i tre autori, è la nascita in pochi anni (tra il 53 ed il 58) cosa che li fa crescere di un palmo sopra altri autori meno collaudati. Ma non mi sono proprio piaciutissimi. Tra l’altro, il fatto che mi siano un po’ andati di traverso (soprattutto i primi due) fa si che ci abbia messo quasi due anni tra il loro ingresso in libreria e la loro liberazione verso le trame). E cominciamo quindi da quello che meno mi ha convinto.
Qiu Xiaolong “Quando il rosso è nero” SuperPocket euro 5,60 (in realtà, scontato a 2 euro con Feltrinelli +)
[in: 08/11/2008 – out: 15/11/2009]
C’è qualcosa ma non mi è piaciuto poi tanto (quasi una sorta di rifiuto, un anno tra l’acquisto e la lettura, 9 mesi ancora per la tramatura). Vediamo cosa c’è. Sicuramente un ritratto di come si sta evolvendo la Cina negli anni, di quella Shangai che il mio ricordo colloca lì sull’ansa di un fiume o vicino ad un’acqua tra mare e fiume, d’aria più pulita dell’allora puzzolente Pechino. Qiu ci fa immergere in pieno in questo mondo contraddittorio, questo del post-comunismo e delle ultime dottrine dei dirigenti di fine millennio (“tutti si devono arricchire, ma qualcuno lo farà prima di altri” !!!). Inoltre, il mondo uscito dalla Rivoluzione Culturale, di tutti quelle vittime innocenti anche se sono uscite vive, ma con che peso. Ma è una visione parziale, certo molto lontana sia dal risvolto comico-amaro della sarta di Balzac sia dalla precisa disamina (anche se parziale) dei Cigni Selvatici. Qui si tocca, e si fugge. Questa poi la cifra vera, perché Qiu sono venti anni che vive negli Stati Uniti, e parla del suo paese con dovizia, ma con il distacco di chi se n’è andato (ed, in effetti, scrive in inglese). Si fugge e si imbastisce una storia poliziesca, che poi è veramente solo il pretesto per fare mini-foto della Cina d’oggi. Certo la morte della reduce dalla Rivoluzione Culturale, scrittrice dissidente ed emarginata, poteva far precipitare il tutto in un giallo di Stato, che viene solo sfiorato, con accenni (tanto si vive a Saint Louis) sui possibili connubi e incastri tra politica, potere e mafia cinese. Interessante la figura del poliziotto colto che scrive poesie, il “suo” ispettore Chao, anche se chi fa il lavoro sporco è il buon Yu, che va di qua e di là, e porta prove ed elimina possibili vie morte. La soluzione riduce tutto ad una dimensione altra, ma forse ci sta pure. Certo, per noi occidentali tutte quelle menate sulla poesia lasciano il tempo dello scritto. Sono elementi che sfuggono, legati all’essere cinese ed orientale. Io mi ci perdo e perdo la matassa. D’altra parte già a volte mi è ostica la poesia occidentale, figurarsi quella eterea che vien dalla Muraglia. Detto ciò ripeto i miei assunti, nel bene e nel male, parlare del proprio paese quando se ne va lontano è un esercizio giusto, ma lascia l’amaro in bocca (pensiamo a Husseini). D’altra parte parlare del proprio (brutto) paese restandoci a volte è impossibile, sempre è difficile (vero Kadaré?). Rimango nel dubbio se leggere altro del buon Qiu.
“solo quando uno è nei guai scopre le persone che tengono veramente a lui” (280)
Anne Holt “Non deve accadere” Einaudi s.p. (regalato a Mamma)
[in: 25/12/2009  – out: 21/03/2010]
In effetti, anche questo lascia un po’ di amaro in bocca (e mamma che lo ha letto prima di me lo aveva colto), anche se il suo svolgimento non scontato è da ammirare. Certo la norvegese sa ben costruire nuove tipologie di gialli, ma risulta un po’ involuta in tutta la trama di contorno, come se i personaggi faticassero ad uscire dalla penna. Non è certo convenzionale questo giallo costruito su di una scrittrice di gialli che ha tanto ben studiato il modo di scrivere che riesce ad immedesimarsi nella parte cattiva sapendo già quali sono i tranelli cui non deve cadere. Sul fronte della legge, vediamo andare avanti la storia tra il poliziotto di peso (anche fisico) e l’esperta di psicologia criminale. Ora si sono anche sposati ed hanno una nuova figlia. Anche interessante il lato privato, con gli andamenti estrosi della prima figlia non autistica, ma di certo stramba. E lo stress della neo-mamma alle prese con le paure che suscitano i figli piccoli quando sono indifesi e si sa che basta un niente per passare dal sereno al dramma. Il tutto, in una Norvegia che non conosco ma che sembra ripercorrere nei fili della mente il mio stereotipo scandinavo (belle persone, grandi enti, ma tanti isolamenti). Vedo potentemente uscire il mio amico Kjell dalla massa dello scandinavismo ben descritto. Detto ciò, perché lascia alla fine un po’ storto? Beh, non è consolatorio, si ribadisce che non sempre i cattivi vengono puniti e che i buoni si macerano per non esservi riusciti. Viene fuori potentemente il ricordo di quel bellissimo giallo di Dürrenmatt, con il poliziotto che convinto di una certa trama e che non riesce a dimostrare, si dimette e continua per tutta la vita a cercare il bandolo della matassa. Quindi, detto che un po’ i norvegesi vengono così, gli altri che pullulano il romanzone (sono sempre più di 400 pagine…) non riescono ad imporsi all’attenzione. Il politico, la star televisiva, il critico rompipalle. Ma rimangono lì, quasi ad aver esaurito il meglio nella costruzione della trama ingegnosa. Rileggere Agatha Christie per saper uscire dalle secche. Ma prima o poi si andrà a Capo Nord! Intanto, prima di finire una tiratina d’orecchie al correttore delle bozze: a pag. 104 si parla di un certo Gjord, che per tutto il resto del libro (prima e dopo) è chiamato Fjord.
“Perché le madri sono così? … Diventerò uguale? Diventerò impossibile, testarda e provocatoria e capace di leggere sul volto delle mie figlie? … Mi trasforma nuovamente in bambina. E io, almeno di tanto in tanto, sento l’esigenza di non avere responsabilità, né domande. Non voglio diventare come lei. Ho bisogno di lei.” (308)
Veit Heinichen “Danza macabra” E/O euro 9 (sconto 15%)
[in: 07/05/2010 – out: 19/05/2010]
Meglio dell’ultima prova del tedesco-triestino, anche se più che giallo è atmosfera. E si lascia qualcosa in sospeso, quasi a voler prefigurare altre puntate. Prima di tutto, una domanda perché la Barbara del romanzo precedente qui diventa Pina? Misteri dell’autore o del traduttore? Come in tutte le storie del commissario Laurenti, qui si intrecciano molti ruscelli, anche se il fiume principale è quello che lo muove dal primo romanzo: i fratelli Drakič e le loro malefatte. Questa volta la loro bramosia di ricchezza li spinge nel business del riciclo delle scorie. Non radioattive, ma le deiezioni prodotte dalla quotidianità del mondo occidentale (a ‘monnezza!). Ed il lucroso business che le fa scomparire verso i paesi slavi. Poi c’è la fine (ed era ora) della troppo prolungata storia con la procuratrice croata. Ormai come storia aveva il fiato corto. C’è sempre il buon vecchio Galvano, brontolone e testardo, ma sempre utile per non perdersi in ragionamenti e passare ai fatti. C’è appunto la Pina, che entra prepotentemente in scena, con le sue alzate di capo ma anche con le sue trovate di ingegno. E c’è sempre questo mondo di confine che lì in questa Trieste vista con occhi tedeschi, ben si presenta con tutti i guasti che la folta (e senza controllo) immigrazione dai paesi dell’ex - Jugoslavia ci presenta quasi quotidianamente. Come dice anche Laurenti, non è che tutti gli slavi sono delinquenti, ma molti delinquenti sono slavi. Ed infine non manca (anche se in misura minore del passato) qualche bella tirata anti-governativa ed i guasti (non solo di immagine) che questo modo di condurre la vita pubblica ha portato e porta. Nonostante tutta la loro ingegnosità, questa volta i fratelli Drakič non riusciranno a mettere a profitto il colpo che li toglierebbe da tutte le loro ambasce; e non credo di essere lontano dalla verità pensando che non se ne sentirà parlare più. In fondo, hanno fatto da controcanto per cinque romanzi. Mi sembra giunto il momento di cambiare musica. Quello che spero continui a non cambiare è l’odore del mare che sale per le strade di Trieste, si aggira per le osmizze (andate a rileggere Covacich per un approfondimento) e porta un sapore di buono. Buono come le speranze che, prima o poi, le cose vadano per il loro verso, portando a tutti la serenità.
Poiché siamo nelle secche seriali, andiamo a reiterare le nostre estati, chi ritornando ai mari italici, chi a quelli croati, chi in giro per il Mediterraneo, e chi un po’ più in là. Io, poco seriale e molto incosciente, continuo a cercare di organizzare questa estate invernale dall’altra parte del mondo, e non si riesce a prendere contatti stabili con il Mozambico (!). 

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