Qiu Xiaolong “Quando il rosso è nero”
SuperPocket euro 5,60 (in realtà, scontato a 2 euro con Feltrinelli +)
[in: 08/11/2008 – out: 15/11/2009]
C’è
qualcosa ma non mi è piaciuto poi tanto (quasi una sorta di rifiuto, un anno
tra l’acquisto e la lettura, 9 mesi ancora per la tramatura). Vediamo cosa c’è.
Sicuramente un ritratto di come si sta evolvendo la Cina negli anni, di quella
Shangai che il mio ricordo colloca lì sull’ansa di un fiume o vicino ad
un’acqua tra mare e fiume, d’aria più pulita dell’allora puzzolente Pechino.
Qiu ci fa immergere in pieno in questo mondo contraddittorio, questo del
post-comunismo e delle ultime dottrine dei dirigenti di fine millennio (“tutti
si devono arricchire, ma qualcuno lo farà prima di altri” !!!). Inoltre, il
mondo uscito dalla Rivoluzione Culturale, di tutti quelle vittime innocenti
anche se sono uscite vive, ma con che peso. Ma è una visione parziale, certo
molto lontana sia dal risvolto comico-amaro della sarta di Balzac sia dalla
precisa disamina (anche se parziale) dei Cigni Selvatici. Qui si tocca, e si
fugge. Questa poi la cifra vera, perché Qiu sono venti anni che vive negli
Stati Uniti, e parla del suo paese con dovizia, ma con il distacco di chi se
n’è andato (ed, in effetti, scrive in inglese). Si fugge e si imbastisce una
storia poliziesca, che poi è veramente solo il pretesto per fare mini-foto
della Cina d’oggi. Certo la morte della reduce dalla Rivoluzione Culturale,
scrittrice dissidente ed emarginata, poteva far precipitare il tutto in un
giallo di Stato, che viene solo sfiorato, con accenni (tanto si vive a Saint
Louis) sui possibili connubi e incastri tra politica, potere e mafia cinese.
Interessante la figura del poliziotto colto che scrive poesie, il “suo”
ispettore Chao, anche se chi fa il lavoro sporco è il buon Yu, che va di qua e
di là, e porta prove ed elimina possibili vie morte. La soluzione riduce tutto ad
una dimensione altra, ma forse ci sta pure. Certo, per noi occidentali tutte
quelle menate sulla poesia lasciano il tempo dello scritto. Sono elementi che
sfuggono, legati all’essere cinese ed orientale. Io mi ci perdo e perdo la
matassa. D’altra parte già a volte mi è ostica la poesia occidentale, figurarsi
quella eterea che vien dalla Muraglia. Detto ciò ripeto i miei assunti, nel
bene e nel male, parlare del proprio paese quando se ne va lontano è un
esercizio giusto, ma lascia l’amaro in bocca (pensiamo a Husseini). D’altra
parte parlare del proprio (brutto) paese restandoci a volte è impossibile,
sempre è difficile (vero Kadaré?). Rimango nel dubbio se leggere altro del buon
Qiu.
“solo quando uno è nei guai scopre le persone che tengono veramente a lui”
(280)
Anne Holt “Non deve accadere” Einaudi s.p.
(regalato a Mamma)
[in: 25/12/2009 – out: 21/03/2010]
In effetti, anche questo lascia
un po’ di amaro in bocca (e mamma che lo ha letto prima di me lo aveva colto),
anche se il suo svolgimento non scontato è da ammirare. Certo la norvegese sa
ben costruire nuove tipologie di gialli, ma risulta un po’ involuta in tutta la
trama di contorno, come se i personaggi faticassero ad uscire dalla penna. Non
è certo convenzionale questo giallo costruito su di una scrittrice di gialli
che ha tanto ben studiato il modo di scrivere che riesce ad immedesimarsi nella
parte cattiva sapendo già quali sono i tranelli cui non deve cadere. Sul fronte
della legge, vediamo andare avanti la storia tra il poliziotto di peso (anche
fisico) e l’esperta di psicologia criminale. Ora si sono anche sposati ed hanno
una nuova figlia. Anche interessante il lato privato, con gli andamenti estrosi
della prima figlia non autistica, ma di certo stramba. E lo stress della
neo-mamma alle prese con le paure che suscitano i figli piccoli quando sono
indifesi e si sa che basta un niente per passare dal sereno al dramma. Il
tutto, in una Norvegia che non conosco ma che sembra ripercorrere nei fili
della mente il mio stereotipo scandinavo (belle persone, grandi enti, ma tanti
isolamenti). Vedo potentemente uscire il mio amico Kjell dalla massa dello scandinavismo
ben descritto. Detto ciò, perché lascia alla fine un po’ storto? Beh, non è
consolatorio, si ribadisce che non sempre i cattivi vengono puniti e che i
buoni si macerano per non esservi riusciti. Viene fuori potentemente il ricordo
di quel bellissimo giallo di Dürrenmatt, con il poliziotto che convinto di una
certa trama e che non riesce a dimostrare, si dimette e continua per tutta la
vita a cercare il bandolo della matassa. Quindi, detto che un po’ i norvegesi
vengono così, gli altri che pullulano il romanzone (sono sempre più di 400
pagine…) non riescono ad imporsi all’attenzione. Il politico, la star
televisiva, il critico rompipalle. Ma rimangono lì, quasi ad aver esaurito il
meglio nella costruzione della trama ingegnosa. Rileggere Agatha Christie per
saper uscire dalle secche. Ma prima o poi si andrà a Capo Nord! Intanto, prima
di finire una tiratina d’orecchie al correttore delle bozze: a pag. 104 si
parla di un certo Gjord, che per tutto il resto del libro (prima e dopo) è
chiamato Fjord.
“Perché le madri sono così? … Diventerò uguale? Diventerò impossibile,
testarda e provocatoria e capace di leggere sul volto delle mie figlie? … Mi
trasforma nuovamente in bambina. E io, almeno di tanto in tanto, sento
l’esigenza di non avere responsabilità, né domande. Non voglio diventare come
lei. Ho bisogno di lei.” (308)
Veit Heinichen “Danza macabra” E/O euro 9 (sconto
15%)
[in: 07/05/2010 – out: 19/05/2010]
Meglio dell’ultima prova del
tedesco-triestino, anche se più che giallo è atmosfera. E si lascia qualcosa in
sospeso, quasi a voler prefigurare altre puntate. Prima di tutto, una domanda
perché la Barbara del romanzo precedente qui diventa Pina? Misteri dell’autore
o del traduttore? Come in tutte le storie del commissario Laurenti, qui si
intrecciano molti ruscelli, anche se il fiume principale è quello che lo muove
dal primo romanzo: i fratelli Drakič e le loro malefatte. Questa volta la loro
bramosia di ricchezza li spinge nel business del riciclo delle scorie. Non
radioattive, ma le deiezioni prodotte dalla quotidianità del mondo occidentale
(a ‘monnezza!). Ed il lucroso business che le fa scomparire verso i paesi
slavi. Poi c’è la fine (ed era ora) della troppo prolungata storia con la
procuratrice croata. Ormai come storia aveva il fiato corto. C’è sempre il buon
vecchio Galvano, brontolone e testardo, ma sempre utile per non perdersi in
ragionamenti e passare ai fatti. C’è appunto la Pina, che entra prepotentemente
in scena, con le sue alzate di capo ma anche con le sue trovate di ingegno. E
c’è sempre questo mondo di confine che lì in questa Trieste vista con occhi
tedeschi, ben si presenta con tutti i guasti che la folta (e senza controllo)
immigrazione dai paesi dell’ex - Jugoslavia ci presenta quasi quotidianamente.
Come dice anche Laurenti, non è che tutti gli slavi sono delinquenti, ma molti
delinquenti sono slavi. Ed infine non manca (anche se in misura minore del
passato) qualche bella tirata anti-governativa ed i guasti (non solo di
immagine) che questo modo di condurre la vita pubblica ha portato e porta.
Nonostante tutta la loro ingegnosità, questa volta i fratelli Drakič non
riusciranno a mettere a profitto il colpo che li toglierebbe da tutte le loro
ambasce; e non credo di essere lontano dalla verità pensando che non se ne
sentirà parlare più. In fondo, hanno fatto da controcanto per cinque romanzi.
Mi sembra giunto il momento di cambiare musica. Quello che spero continui a non
cambiare è l’odore del mare che sale per le strade di Trieste, si aggira per le
osmizze (andate a rileggere Covacich per un approfondimento) e porta un sapore
di buono. Buono come le speranze che, prima o poi, le cose vadano per il loro
verso, portando a tutti la serenità.
Poiché siamo nelle secche
seriali, andiamo a reiterare le nostre estati, chi ritornando ai mari italici,
chi a quelli croati, chi in giro per il Mediterraneo, e chi un po’ più in là.
Io, poco seriale e molto incosciente, continuo a cercare di organizzare questa
estate invernale dall’altra parte del mondo, e non si riesce a prendere
contatti stabili con il Mozambico (!).
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