domenica 18 marzo 2012

Trame da esportazione - 26 settembre 2010

Visto che questa domenica sono a Brussels, quale miglior modo per “tramare” che parlare di libri italiani? E quale miglior modo, essendo nella patria di Maigret, che mettere insieme tre libri più o meno gialli? Un autore considerato quasi un classico, che anche qui da FNAC ha un libro tradotto. L’ottima Grazia, indecisa tra musica e scrittura. Ed il buon pisano, che finisce sempre per farmi sorridere (e poi, come resistere ad un personaggio di matematico-barista?).
Una trilogia lieve, che siamo all’estero e si viaggia di bagaglio leggero.
Gianrico Carofiglio “Le perfezioni provvisorie” Sellerio euro 14
[in: 20/01/2010 – out: 28/04/2010]
Gradevole anche se il giallo è prevedibile (non scontato). Soprattutto per i meccanismi “reali”: niente super-investigatori, o gente che fa qualche super-sforzo. Magistrati normali, poliziotti normali, drammi normali. Il buon avvocato Guerrieri lo ritroviamo qui, un po’ invecchiato (gli anni passano per tutti), senza più neanche la buona Margherita che l’ha lasciato per trasferirsi in America. E lui si ritrova a svolgere i fili della propria vita, un po’ tristanzuolamente, tra il nuovo studio luccicante e le solite pratiche di routine. Finché gli capita e decide di intestardirsi nelle carte relative alla scomparsa di Manuela. Non ci sono elementi nuovi, i carabinieri vogliono chiudere il dossier. Solo i genitori si intestardiscono a cercare qualcosa. E lui ci si mette, più come scartabellatore di scritte che come investigatore alla Perry Mason. Qualcosa trova, segue dei fili che prova a tirare cercando di non romperli, e passo dopo passo, ricostruisce la vicenda che fa da filo conduttore alla storia. Ma è solo un filo, perché il resto è pieno di ricordi e di divagazioni, come quando si inserivano dei mini-racconti nel fiume della vicenda principale (alla Potocki, se il paragone non risulta troppo blasfemo). Così mi rimangono vividi il taxista che legge libri (una figura epica), le serate giovanili con Tancredi, le bevute e le chiacchierate con l’ex-prostituta Nadia (che speriamo non scompaia che mi sta simpatica), il girovagare nel gay-bar, le scazzottate con Mr. Sacco (che non è una persona, ma il suo sacco d’allenamento, che ascolta muto e attento i suoi pindarici ricordi), i tormenti sul rapportarsi a donne con venti anni meno di lui (e che fare, provarci? Fare la figura dello scemo che vede sfuggire la sua età? Quanto mi fa arrabbiare qui, visto che confessa di avere solo… 46 anni). Ecco tutta questa parte mi ha fatto meglio compagnia della storia in sé, e forse era anche questo il suo intento? Forse la storia era solo un pretesto per alcune riflessioni che, a lui come a me, vengono in mente, man mano che i giorni passano? Certo, quella frase sui libri (che sotto riporto) mi ha costretto a fermarmi ed a pensarmi per un po’. In fondo anch’io ero dispiaciuto dei bambini che morivano di fame, cercando di fare fioretti perché tutti stessero bene. E queste sono cose che poi ti lasciano il segno. Non potrai mai far finta che non esistano ed appena si può, via a donchisciottare il mondo. Bravo Gianrico.
“Paul Valéry: il modo migliore per realizzare i propri sogni è svegliarsi” (14)
“Io ho voglia di condividere quello che leggo. Quando ripeto una frase che ho letto, o un concetto, o una poesia, mi sembra un po’ di esserne l’autore” (15)
“Talvolta pensavo che mi sarebbe piaciuto incontrare una persona che mi piacesse come mi erano piaciute loro … Il pensiero mi metteva un po’ di tristezza … [ma mi dicevo] che non potevo lamentarmi. Avevo il lavoro, lo sport, qualche viaggio da solo, qualche uscita, ogni tanto, con amici cortesi e distanti. E poi i libri, naturalmente. Mancava qualcosa, certo. Ma io ero uno che da piccolo restava molto impressionato, quando gli dicevano di pensare ai bambini dell’Africa che muoiono di fame” (48)
“Chi legge troppi libri, speso fa cose di cui non c’è bisogno” (75)
“A volte mi viene da piangere … a pensare che il ricordo delle donne che ho amato non mi fa soffrire. Al massimo mi dà una vaga tristezza, fiacca e remota “ (77)
“Tanti anni prima mi riusciva molto facile ripetere a memoria le parole dei film, delle canzoni, dei libri, delle poesie. Poi avevo cominciato a trovarlo sempre più difficile. Niente come assistere allo sgretolamento di un’abilità che davi per scontata riesce a evocare con più forza l’idea inquietante del tempo che passa.” (233)
“L’ultima volta con… Margherita… era stato tre anni prima. Eravamo andati a Berlino … Berlino mi era piaciuta pazzamente e avevo pensato che, se non fosse esistito l’inverno, avrei volentieri vissuto in quella città” (254)
“Come cazzo parli? La prossima volta che esci con una ragazza le chiedi se è propensa a prendere in considerazione la prospettiva di instaurare una relazione implicante anche saltuari intrattenimenti sessuali?” (262)
“Adorno diceva che la forma più alta di moralità è non sentirsi mai a casa, nemmeno a casa propria. Sono d’accordo. Non bisogna mai sentirsi troppo a proprio agio. Bisogna sempre essere un po’ fuori posto” (333)
Grazia Verasani “Di tutti e di nessuno” Kowalski euro 15 (in realtà, scontato 10,50 euro)
[in: 16/04/2010 – out: 15/05/2010]
Nuovo episodio della detective per inerzia Giorgia Cantini. Devo dire meglio dei precedenti, tutto sommato. Infatti, la storia si snoda tra due rivi paralleli: la storia di Barbara, l’adolescente che si estranea dal suo mondo, e la morte della Ragazza dei Rospi, un ex-prostituta frequentata in gioventù da tutta la compagnia di Giorgia (i maschi, che, in quanto adolescenti e bruttini, erano appunto detti i Rospi). Sempre in un và e vieni piacevole in questa Bologna che sempre più si ripresenta nei romanzi che leggo (ed è una piacevole presenza). Giorgia poi riesce anche a mettere fine a quella sua un po’ assurda storia con il giovane Nicola (che era comparsa nella precedente puntata, ma si sentiva avere poco respiro). E questa volta i personaggi escono bene a delinearsi, sia i vecchi amici che mano a mano rispuntano fuori in un gioco un po’ di specchi, con quella frase che ho ripreso sui ricordi che mi ha fatto riflettere su quanto poi nei ricordi gioca la componente della ricostruzione a posteriori, per cui li imbellettiamo, ne tiriamo fuori il meglio, scordandoci un poco i motivi per cui magari al momento ci avevano fatto star male. Un po’ come le storie delle persone che si ritrovano via Internet, che si magari fa un po’ piacere sapere che fine si è fatto. Ma poi ci si domanda, se ci siamo persi di vista forse qualche ragione c’è. E torniamo allo scritto. Non sono male anche gli abbozzi della vicenda privata della ragazza Barbara, soprattutto per il modo in cui nasce, le domande che la madre, sindacalista da sempre, si pone su questa figlia che verso i 18 anni sembra non avere nessun interesse nella vita, e pochi o nulli punti di riferimento. Come pensa l’autrice (ed io con lei) magari quei punti non si vedono, e sono difficili da tirare fuori. Ma un ambiente familiare lascia sempre uno strato che sedimenta. Forse non uscirà così come i genitori vogliono (anzi quasi sempre è così); tuttavia vivere in un ambiente in cui l’onestà, tanto per fare un esempio, è un valore realmente sentito, farà uscire qualcosa (prima o poi). Ripeto, bisognerà fare attenzione che quello che esce non è quasi mai come ce lo aspettiamo. Insomma, molta carne sul fuoco. E poche bruciature. Nel senso che i nodi vengono al pettine ed il pettine li scioglie. Facendo comparire anche un nuovo personaggio che promette di essere un ironico contraltare delle paturnie cantiniane. La quasi - parente Genzianella (detta Gen, e con una sorella di nome Iris!!). Che poi alla fine fa il suo dovere di segretaria di agenzia. Ed ora aspettiamo altre prove, mentre perché no si prova anche a sentire la sua musica (in questi giorni di maggio la Verasani presenta a Roma un suo progetto composto da un racconto ed un CD del suo complesso).
“[nelle cose d’amore] ho imparato che ci vuole più fegato che cuore … per buttarsi a pesce in una nuova storia, anche se un giorno finirà come le altre, perché il bello deve ancora venire” (59)
 “Io lo appesantivo e lui mi alleggeriva. Ognuno tirava la fune dalla propria parte. Come si fa a cambiare quando ci hai messo una vita per essere così?” (106)
“Ripenso alla liceale impegnata che sono stata, a quel libro di Marx di cui avevo sottolineato la frase: ‘Il ruolo sociale della donna è il primo termometro per misurare il progresso della società”, e mi chiedo se il mondo è un luogo dove si passa la vita ad azzerare e a ricominciare, visto che niente, nessuna piccola o grande conquista, sembra al riparo da assurdi passi indietro” (125)
“[mia madre ha un fidanzato] è un separato in casa, dice che resta lì per i figli, ma secondo me è una scusa. È che vuole distrarsi un po’, magari con mia madre, e intanto pensa alla vecchiaia. Una moglie può sempre tornare comoda, quando ci si sente soli o arrivano i primi acciacchi… Ci si sposa per questo, no?” (137)
“molti ricordi del mio passato sono inesatti o solo vagamente verosimili” (235)
“C’è una strofa di Rusholme Ruffians degli Smiths che fa così: ‘E sebbene cammini tutto solo verso casa, la mia fede nell’amore è ancora intatta…’” (237)
Marco Malvaldi “Il gioco delle tre carte” Sellerio euro 12
[in: 21/03/2010 out: 28/05/2010]
Ritrovo con piacere il BarLume, il matematico-barista Massimo e la combriccola degli anziani. Nonché le pinete vicino al mare in Toscana. Il primo (letto sulla soglia della mobilità) era forse con qualche invenzione in più, qui si sente il ripetersi di alcune “gag”. Ma nel complesso è ancora e tuttora valido. Soprattutto perché ci sono punti in cui (ed è un merito che gli va pienamente ascritto) riesce ad inanellare frasi e situazioni che, lo confesso, mi facevano ridere mentre le leggevo. E non è da tutti. La storia finto - gialla (tra l’altro si parla di un congresso pieno di giapponesi, quindi siamo in tema) è un po’ gracile, ed il meccanismo di risoluzione è forse legato un po’ troppo all’ambiente universitario dove vive il buon pisano. Anche se cerca in tutti i modi di rendere semplice il tutto, anche per i cosiddetti profani. Ma quello che rimane, e sono i suoi punti migliori, sono le macchiette. Le descrizioni di persone e situazioni che in poche righe le fanno uscire dalla pagina, e si siedono lì vicino a te. E spesso, se non ridi, almeno ti riscaldano il cuore di allegria. Il poliziotto veneto finto ossequioso, e quello patito dei computer. Il motociclista indisciplinato. La congerie di assessori che per semplificare la vita dell’agglomerato urbano (così ora si chiamano le cittadine) inventa rotatorie e piste ciclabili alla Ionesco. Il congressista olandese di alto profilo tecnico e di poca cerimonia. E tutta la serie di “arzilli vecchietti” che popolano la fauna del BarLume. Financo la Tiziana, barista ad ore. In mezzo a tutti, sempre con il suo basso profilo, Massimo e le sue paturnie, e le sue idee, e le sue manie. Nonché l’acume nel risolvere rebus, non dico complicati, ma almeno contorti. Certo qualcosa rimane in sospensione (come il buon congressista giapponese, che compare nelle prime pagine e poi si eclissa per più di metà libro…). Quando si mette molta carne al fuoco, qualche bruciatura qua e là può scappare. Ed allora, tralasciando la ricerca della soluzione della morte del luminare per un inciampo nel tappeto (ma non sarà quella la causa), rimane il quadro in movimento di una cittadina (mica sono un assessore, io) della provincia toscana, vicina al mare e con la sua bella pineta. Con la sua gente schietta. E con quel senso diffuso di amicizia benevola, di cui per primo ne sperimentai l’alto tasso locale, e qualche buona tirata (anche non troppo estesa, se no stanca) contro alcuni macroscopici guasti del (mal-)vivere odierno. Forse non sarà questa la risata che potrà seppellire qualcuno, ma io sono uscito dal libro più gioviale di quando vi sono entrato.
“Uno degli aspetti più fastidiosi dell’essere umano è la ridicola convinzione che non siamo responsabili delle conseguenze delle nostre azioni, come testimonia l’infantile disinvoltura con cui troppo spesso attribuiamo alla volontà del Fato il disastroso esito delle nostre cazzate” (87)
“La dote fondamentale per fare il matematico è l’umiltà. L’umiltà di riconoscere quando non hai capito una cosa, e di non tentare di prenderti in giro. Se non hai capito una cosa, o non ne sei convinto, non puoi prenderla per buona. Se fai così, ti farai solo del male. Devi essere assolutamente sincero con te stesso. Bene, io per quanto riguardava la matematica ho sempre tentato di essere sincero con me stesso. E la conclusione che ho raggiunto non poteva che essere la seguente: non ero abbastanza bravo. Non ero adeguato per quel lavoro. Era al di là delle mie forze. Se avessi continuato, avrei perso del tempo e mi sarei preso in giro da solo.” (169)
Avendone accennato quasi tre anni fa, vi lascio aggiornare direttamente dall’autore: “Sono nato a Pisa il 27 gennaio 1974, e ho sempre vissuto a Pisa, a parte una breve parentesi in Olanda. Sono sposato, non ho figli (per ora) ma ho due gatti. Sono un tipo eclettico, e so fare male parecchie cose: dopo la laurea in chimica, e contemporanei studi di conservatorio, ho provato a fare il cantante lirico. Poiché il pubblico non era d'accordo, ho abbandonato presto e mi sono rimesso a fare il chimico. Nel frattempo, ho provato anche a fare lo scrittore, e lì per fortuna sembra andare meglio.”
In questa domenica estera non può che andare il pensiero a chi sta partendo per quasi un mese verso un ospedale keniota. Grazie amico mio per quello che stai facendo.
Il resto è questa pioggia belga che bagna senza rallegrare, e questo ennesimo congresso (ma sarà forse tra gli ultimi). Al ritorno!

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