sabato 24 marzo 2012

Italianica… - 01 novembre 2010

Come avevo promesso prima dell’estate, per smaltire il molto arretrato, consegno alla rete una trama anche al dì di festa. Certo, oggi abbiamo la sfortunata coincidenza che la festa viene di lunedì. Inoltre è anche la prima trama del mese, quindi vi beccate una lettura multipla. Infine, prima di addentrarmi nella narrazione, nel tempo ho ricevuto a volte da voi segnalazioni, che ho preso e tenuto per me. Ora mi sembra giusto invece invertire questa tendenza, anche per dare più spazio (a chi ne vuole), e visto che ho ricevuto una doppia segnalazione dal buon Roberto, mi accingo a condividerla: Paolo Rumiz “La cotogna di Istanbul” (autore che conosco ma non ancora leggo) e Jacopo Granci “I dannati del carbone – Viaggio in un Maghreb sconosciuto” (autore che non conosco ma di cui ho letto il blog che segnalo anch’esso http://rumoridalmediterraneo.blogspot.com).
Veniamo alla trama pura e dura, dove troviamo autori ormai a noi ben noti: l’ultimo elemento della trilogia di Sperelli di Corrado Augias, il pastiche combinatorio tra Montalbano e Grazia Negri della coppia Camilleri - Lucarelli ed il primo libro a suo tempo pubblicato dal magistrato De Cataldo.
Cominciamo subito con Augias, dove trattai i primi due libri della trilogia romana uno nel lontano 16 novembre 2008 ed il secondo il 21 marzo di quest’anno.
Corrado Augias “L’ultima primavera” Mondadori euro 9 (in realtà, scontato 7,20 euro)
[in: 23/04/2010 – out: 03/06/2010]
E con questo si è finalmente arrivati alla fine delle vicende dell’ormai ex-commissario Giovanni Sperelli. Si potrà quindi tornare a leggere qualcosa di Augias che sia più interessante e coinvolgente. Questo, come i due precedenti episodi, brilla ancora un po’ per la ricostruzione storica e sempre meno per la trama “giallognola”. Anzi, qui il giallo proprio scompare per far posto al nero più nero. Se nel primo episodio si stava per sbarcare in Libia, e nel secondo si stava per entrare in guerra, qui siamo ormai nel 1921, e l’Italia del dopoguerra si arrabatta tra la fine di Giolitti e l’avvento sempre più violento del fascismo. Ed allora il buon ricostruttore Augias cerca di spiegare alcuni meccanismi minimi di questo avvento, attraverso minute trame sordide di soldi ed armi che vanno e vengono, con il buon contorno della Bella Società che viste crollare alcune certezze, non ne trova di nuove. Ed in questo meccanismo si inseriscono tutti i possibili fermenti: l’eco della Russia e della sua rivoluzione, il decadentismo d’annunziano, l’estetismo futurista, il “generone” romano, il malaffare. Qui ci vorrebbe il mio caro amico Luciano per separare il grano dal loglio. Io mi accontento di osservare lo scritto e rimarcare che la trama è debole. Che si cerca di colpire alto, ma la mira è poca. Ed il buon Giovanni, certo con la sua ostinazione tira molto avanti, scopre altarini. Ma non ci si avvicina di un passo al nocciolo della questione. Rimane il solito camminare nella Roma degli anni Venti, di cui rimarco il piacere. Con una punta di eccellenza, quando si va per Prati (il quartiere) e si gira intorno a Piazza dei Quiriti, di morettiana memoria. Detto questo, rimane poco altro, se non sottolineare ancora (come nelle prime prove) la mancanza di capacità di Giovanni a rapportarsi con le donne. Non ha mai capito Paolina (e certo qui non farà molti passi avanti) e non riesce a trovare il modo di capire Isabella, che invece sembra aver capito molto, ma è donna ed in quel contesto storico, difficilmente si riesce ad uscire da convenzioni ben radicate. Forse mandando molto all’aria, ma non sono questi i personaggi capaci di farlo. Infine, sottolineo ancora ed ancora il mio rancore verso gli estensori delle quarte di copertina, dove, come in questo caso, danno una chiave di lettura che non compare realmente prima di pagina 310! E leggere le prime 300 pagine con quelle parole in mente falsa di molto tutta la costruzione che Augias tenta di fare. Se lo leggete, cercate di non guardare queste righe, e dedicatevi al romanzo in sé. Forse non sarà molto più bello, ma sicuramente consente di seguire le trame spionistiche con un po’ più di partecipazione ed apprensione.
“Da quell’esperienza, tutto sommato, aveva ricavato un solo vantaggio: la scoperta che costringersi a soggiacere a un sistema di regole inflessibili era in fondo un buon surrogato delle virtù virili che temeva di non avere.” (22)
 “La Storia, pensò Giovanni, non è mai, per chi la vive, quella totalità armoniosa che si legge sui libri. Si presenta invece come dispersione e discontinuità, una maglia squarciata da strappi e vuoti incolmabili. Bisogna essere giovani e molto spregiudicati per cercare di dominarla.” (33)
“Erano passati quasi cinquant’anni di una vita di cui … non era particolarmente orgoglioso. A volte considerava la circostanza con stupore perché in fondo mezzo secolo, quando lo si legge sui libri, sembra un periodo lunghissimo gremito di giorni significativi, durante i quali accadono un’infinità di cose e intere civiltà fanno in tempo a scomparire o ad affacciarsi alla periferia della storia. Come avevano fatto tutti quegli anni a trascorrere così in fretta?” (93)
“è strano quando uno trova qualcosa che ha sempre cercato non se ne rende mai conto, lì per lì” (213)
Il secondo libro nasce da un gioco (ben spiegato nella postfazione e di cui critico alcuni passi nella trama) cui vanno incontro due dei miei giallisti preferiti.
Andrea Camilleri & Carlo Lucarelli “Acqua in bocca” Minimum fax euro 10
[in: 25/06/2010 – out: 26/06/2010]
L’idea è carina, la resa un po’ sottotono. Ma ciò non scalfisce il mio amore per i due “giallisti”. Un libro cotto e mangiato, comprato per far piacere alla mamma a corto di libri, immerso nella roulette delle mie settimanali letture, e subito uscito sulla prima ruota. Dicevo, carina l’idea, quella di trovare le modalità di far incontrare, investigare, affrontare un crimine, ai due personaggi centrali delle narrative di Camilleri e Lucarelli. Da una parte l’ispettore Grazia Negro che si trova in casa (cioè a Bologna) uno strano morto ammazzato, soffocato da un sacchetto di plastica contenente pesciolini rossi. Dall’altra il commissario Salvo Montalbano, che Grazia tira dentro la storia perché questo strano morto è originario di Vigata. La storia si dipana scorrevole e veloce, piena di giusti colpi di scena e di complicazioni improvvise, coinvolgendo (ma con lievità) i vari comprimari dei due autori. E vediamo quindi scorrere sul palcoscenico della trama il cieco Simone e l’imbranato Catarella, l’ispettore Coliandro e la bella Livia, la collega Balboni ed il collega Augello. Finché tutto assume il suo senso e ci sia avvia ad una conclusione, sempre nel loro stile per cui un po’ si puniscono i cattivi, ma difficile è (sarà) arrivare al vero fondo dei problemi sollevati. Interessante ed integrante è poi il modo che, sotto la spinta da deus ex machina del direttore di minimum fax, si è trovato per far scrivere i due autori a quattro mani. Difficile, per le loro tipologie di vita, metterli sei mesi in una stanza a cogitare insieme, si è trovato la via dei rapporti, delle lettere e dei biglietti, che i protagonisti si inviano nel corso delle indagini, frammisti a cannoli e tortellini. Così i due autori hanno continuato le loro storie di scrittura, ed in quattro anni di scambi lenti e faticosi hanno messo in piedi questo racconto. Facendo poi in modo, ad ogni passaggio di trovare una situazione che mettesse l’altro in difficoltà, come in una lunga partita a scacchi, che però alla fine finisce giustamente in parità. Detto questo, e detto tutto il bene che se ne poteva dire, non mi è piaciuto moltissimo. Perché la modalità scelta, ed il fatto che nessuno dei due prende la penna in prima persona, lascia quel ricco mondo di cui sono pieni i loro libri a margine, intonso, quasi senza scalfitture. Non viene fuori il sound emiliano, il sapore della sua musica, e neanche il sound siculo, con quella parlata dl quotidiano che rende le storie di Camilleri irrepetibilmente sue e vere proprio perché metà delle parole danno problemi linguistici. Ecco queste mancanze fanno si che si legga, ma non appassioni. Che si possa giudicare una divertente operazione di testa, ma che lascia freddo il cuore e la pancia. Ed invece è quella che bisogna colpire. Quando un romanzo, uno scritto, si sente nella pancia, allora ha colpito nel segno. Ci sono gli scritti di testa, che fanno piacere perché stimolano i due neuroni a me rimasti. Ci sono gli scritti di cuore, che scaldano il muscolo ferito da tante battaglie. E poi ci sono quelli che colpiscono tutto, e prendono la pancia con forti pugni e forti mangiari per farti sentire vivo. Non sono solo quelli negativi, perché un bel manicaretto può rendere più allegro il nostro momento di vita. Niente pancia qui. Ma (come ho già detto altrove) gli voglio tanto bene che continuerò sempre a leggerne.
Camilleri, nel tempo, è diventato il leader della mia biblioteca privata, con ben 32 titoli e Lucarelli è poco distante (ma a parte un paio, ho quasi tutto il pubblicato). Motivo per cui mi sembra dolente citarne ancora.
Finiamo con il magistrato tarantino, di cui cominciai a parlare già nel dicembre del 2006, agli albori delle trame.
Giancarlo De Cataldo “Nero come il cuore” Einaudi euro 12 (in realtà, scontato 9,60 euro)
[in:23/04/2010 – out: 03/07/2010]
Parziale riscrittura del primo romanzo scritto per i gialli Mondadori nell’89. Ed un po’ si sente. Soprattutto se non si presta attenzione a quelle righe di quarta che ne spiegano un po’ la nascita. Altrimenti sembra un romanzo un po’ rifritto, con dei temi che più crudamente avrebbe sviluppato Veit Heinichen per Trieste. Ma qui siamo a Roma (patria d’elezione delle epiche di De Cataldo) alle prese con l’avvocato dei neri (di pelle) e degli emarginati Valentino Bruio. Che, come dirà un personaggio ad un certo punto, ha il grande difetto di essere un puro. E come tutti i puri, arriverà alla verità, ma, forse, né ai colpevoli né alla loro punizione. Letto nella sua prospettiva storica, quindi, ha una serie di spunti interessanti. Pensando all’anno della prima scrittura (1989) troviamo la descrizione di una Roma in via di “extra-comunitarizzazione” ma ancora vivibile. Troviamo la gente di colore che ancora si sente “comunità” per essere sfuggita ai tanti orrori degli anni ’80 africani. Passeggiamo per la stazione Termini (quasi) senza avere troppa angoscia. E la solidarietà tra l’avocato ed il sudafricano Rod (con i suoi alti e bassi) è ben degna di un’amicizia di lunga durata. Ma quando si entra nel mondo del benessere si sente lo stacco. Nel mondo dai doppi cognomi l’avvocato è fuori posto. Ed anche De Cataldo non si muove a proprio agio. Lì tra finanzieri filibustieri, chirurgo plastici più adatti alla forchetta che al bisturi, la storia ha i suoi nodi, nel senso che si viene a scoprire il perché delle due morti che costellano il romanzo. Ma anche i suoi punti irrisolti. Il voler descrivere ma dove l’empatia è nulla, la descrizione latita. Si vediamo il vecchio Angelo, la focosa Giovanna, il piccolo Nicky. Ma non se ne trae il senso del vivere quotidiano. E che dire del dottor Poggi il cui unico dio sembra essere (è) il denaro? Potenza dei nomi. Ci si inzeppa anche l’ucraino ex-armata rossa, ed abbiamo un quadro completo della mistura dei sapori del romanzo. Non se ne potrà uscire che con l’amaro in bocca, che tanto i “buoni” latitano sempre. Al massimo sono ottimisti come il commissario, che per la sua dirittura comunque sarà premiato con un trasferimento al Nord! E la parte finale, intrecci di soldi e cliniche è debolina, anche se riscritta in occasione di questa ripubblicazione. Infatti, il romanzo risulta registrato nel 2002 (ma, come detto, è un falso). Insomma, De Cataldo ha un bello scrivere, e delle tematiche che ricorrono (sia nell’empatia verso lo straniero che ritroveremo ne “Il padre e lo straniero” sia nella comprensione dei meccanismi criminali di basso livello, che ritroveremo molto meglio espressi in “Romanzo criminale”). Sufficienza piena per una lettura in questo caldo luglio romano.
“la vita avrebbe deciso per me e non sarebbe stato un gran danno. Avevo sentito dire, una volta, che gli indecisi sopravvivono grazie ai capricci del caso” (41)
“ricorda che … non esiste al mondo la donna che fa per te. Tu sei un Attila dei sentimenti “ (60)
Veniamo ora all’elenco delle letture, che riferendosi al mese di agosto, non può che essere breve e conciso (in Sudafrica non si è avuto molto tempo da dedicare ai libri), anche se il livello è superiore alla media.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Pieter Aspe
Le Carrè de la vengeance
Le livre de Poche
7,30
4
2
Franco Arminio
Nevica e ho le prove
Laterza
9,50
2
3
Evelyn Waugh
Quando viaggiare era un piacere
Adelphi
11
4
4
Amos Oz
Scene dalla vita di un villaggio
Feltrinelli
s.p.
3
5
Maj Sjowall & Per Wahloo
L’uomo sul tetto
Sellerio
13
3
6
Arturo Perez-Reverte
La pelle del tamburo
Net
7,80
3
Solo ieri ho scritto, e molti ancor non hanno letto. Allora poco aggiungo cercando l’inversione tra aggettivo e nome. Comunque sempre un …

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