Veniamo alla trama pura e dura,
dove troviamo autori ormai a noi ben noti: l’ultimo elemento della trilogia di
Sperelli di Corrado Augias, il pastiche combinatorio tra Montalbano e Grazia
Negri della coppia Camilleri - Lucarelli ed il primo libro a suo tempo
pubblicato dal magistrato De Cataldo.
Cominciamo subito con Augias,
dove trattai i primi due libri della trilogia romana uno nel lontano 16
novembre 2008 ed il secondo il 21 marzo di quest’anno.
Corrado Augias “L’ultima primavera”
Mondadori euro 9 (in realtà, scontato 7,20 euro)
[in: 23/04/2010 – out: 03/06/2010]
E
con questo si è finalmente arrivati alla fine delle vicende dell’ormai
ex-commissario Giovanni Sperelli. Si potrà quindi tornare a leggere qualcosa di
Augias che sia più interessante e coinvolgente. Questo, come i due precedenti
episodi, brilla ancora un po’ per la ricostruzione storica e sempre meno per la
trama “giallognola”. Anzi, qui il giallo proprio scompare per far posto al nero
più nero. Se nel primo episodio si stava per sbarcare in Libia, e nel secondo
si stava per entrare in guerra, qui siamo ormai nel 1921, e l’Italia del
dopoguerra si arrabatta tra la fine di Giolitti e l’avvento sempre più violento
del fascismo. Ed allora il buon ricostruttore Augias cerca di spiegare alcuni
meccanismi minimi di questo avvento, attraverso minute trame sordide di soldi
ed armi che vanno e vengono, con il buon contorno della Bella Società che viste
crollare alcune certezze, non ne trova di nuove. Ed in questo meccanismo si
inseriscono tutti i possibili fermenti: l’eco della Russia e della sua
rivoluzione, il decadentismo d’annunziano, l’estetismo futurista, il “generone”
romano, il malaffare. Qui ci vorrebbe il mio caro amico Luciano per separare il
grano dal loglio. Io mi accontento di osservare lo scritto e rimarcare che la
trama è debole. Che si cerca di colpire alto, ma la mira è poca. Ed il buon
Giovanni, certo con la sua ostinazione tira molto avanti, scopre altarini. Ma
non ci si avvicina di un passo al nocciolo della questione. Rimane il solito
camminare nella Roma degli anni Venti, di cui rimarco il piacere. Con una punta
di eccellenza, quando si va per Prati (il quartiere) e si gira intorno a Piazza
dei Quiriti, di morettiana memoria. Detto questo, rimane poco altro, se non
sottolineare ancora (come nelle prime prove) la mancanza di capacità di
Giovanni a rapportarsi con le donne. Non ha mai capito Paolina (e certo qui non
farà molti passi avanti) e non riesce a trovare il modo di capire Isabella, che
invece sembra aver capito molto, ma è donna ed in quel contesto storico,
difficilmente si riesce ad uscire da convenzioni ben radicate. Forse mandando
molto all’aria, ma non sono questi i personaggi capaci di farlo. Infine,
sottolineo ancora ed ancora il mio rancore verso gli estensori delle quarte di
copertina, dove, come in questo caso, danno una chiave di lettura che non
compare realmente prima di pagina 310! E leggere le prime 300 pagine con quelle
parole in mente falsa di molto tutta la costruzione che Augias tenta di fare.
Se lo leggete, cercate di non guardare queste righe, e dedicatevi al romanzo in
sé. Forse non sarà molto più bello, ma sicuramente consente di seguire le trame
spionistiche con un po’ più di partecipazione ed apprensione.
“Da quell’esperienza, tutto sommato, aveva
ricavato un solo vantaggio: la scoperta che costringersi a soggiacere a un
sistema di regole inflessibili era in fondo un buon surrogato delle virtù
virili che temeva di non avere.” (22)
“La
Storia, pensò Giovanni, non è mai, per chi la vive, quella totalità armoniosa
che si legge sui libri. Si presenta invece come dispersione e discontinuità,
una maglia squarciata da strappi e vuoti incolmabili. Bisogna essere giovani e
molto spregiudicati per cercare di dominarla.” (33)
“Erano passati quasi cinquant’anni di una
vita di cui … non era particolarmente orgoglioso. A volte considerava la
circostanza con stupore perché in fondo mezzo secolo, quando lo si legge sui
libri, sembra un periodo lunghissimo gremito di giorni significativi, durante i
quali accadono un’infinità di cose e intere civiltà fanno in tempo a scomparire
o ad affacciarsi alla periferia della storia. Come avevano fatto tutti quegli
anni a trascorrere così in fretta?” (93)
“è strano quando uno trova qualcosa che ha
sempre cercato non se ne rende mai conto, lì per lì” (213)
Il secondo libro nasce da un
gioco (ben spiegato nella postfazione e di cui critico alcuni passi nella
trama) cui vanno incontro due dei miei giallisti preferiti.
Andrea Camilleri & Carlo Lucarelli
“Acqua in bocca” Minimum fax euro 10
[in: 25/06/2010 – out: 26/06/2010]
L’idea
è carina, la resa un po’ sottotono. Ma ciò non scalfisce il mio amore per i due
“giallisti”. Un libro cotto e mangiato, comprato per far piacere alla mamma a
corto di libri, immerso nella roulette delle mie settimanali letture, e subito
uscito sulla prima ruota. Dicevo, carina l’idea, quella di trovare le modalità
di far incontrare, investigare, affrontare un crimine, ai due personaggi
centrali delle narrative di Camilleri e Lucarelli. Da una parte l’ispettore
Grazia Negro che si trova in casa (cioè a Bologna) uno strano morto ammazzato,
soffocato da un sacchetto di plastica contenente pesciolini rossi. Dall’altra
il commissario Salvo Montalbano, che Grazia tira dentro la storia perché questo
strano morto è originario di Vigata. La storia si dipana scorrevole e veloce,
piena di giusti colpi di scena e di complicazioni improvvise, coinvolgendo (ma
con lievità) i vari comprimari dei due autori. E vediamo quindi scorrere sul
palcoscenico della trama il cieco Simone e l’imbranato Catarella, l’ispettore
Coliandro e la bella Livia, la collega Balboni ed il collega Augello. Finché
tutto assume il suo senso e ci sia avvia ad una conclusione, sempre nel loro
stile per cui un po’ si puniscono i cattivi, ma difficile è (sarà) arrivare al
vero fondo dei problemi sollevati. Interessante ed integrante è poi il modo
che, sotto la spinta da deus ex machina del direttore di minimum fax, si è
trovato per far scrivere i due autori a quattro mani. Difficile, per le loro
tipologie di vita, metterli sei mesi in una stanza a cogitare insieme, si è
trovato la via dei rapporti, delle lettere e dei biglietti, che i protagonisti
si inviano nel corso delle indagini, frammisti a cannoli e tortellini. Così i
due autori hanno continuato le loro storie di scrittura, ed in quattro anni di
scambi lenti e faticosi hanno messo in piedi questo racconto. Facendo poi in
modo, ad ogni passaggio di trovare una situazione che mettesse l’altro in
difficoltà, come in una lunga partita a scacchi, che però alla fine finisce
giustamente in parità. Detto questo, e detto tutto il bene che se ne poteva
dire, non mi è piaciuto moltissimo. Perché la modalità scelta, ed il fatto che
nessuno dei due prende la penna in prima persona, lascia quel ricco mondo di
cui sono pieni i loro libri a margine, intonso, quasi senza scalfitture. Non
viene fuori il sound emiliano, il sapore della sua musica, e neanche il sound
siculo, con quella parlata dl quotidiano che rende le storie di Camilleri
irrepetibilmente sue e vere proprio perché metà delle parole danno problemi
linguistici. Ecco queste mancanze fanno si che si legga, ma non appassioni. Che
si possa giudicare una divertente operazione di testa, ma che lascia freddo il
cuore e la pancia. Ed invece è quella che bisogna colpire. Quando un romanzo,
uno scritto, si sente nella pancia, allora ha colpito nel segno. Ci sono gli
scritti di testa, che fanno piacere perché stimolano i due neuroni a me
rimasti. Ci sono gli scritti di cuore, che scaldano il muscolo ferito da tante
battaglie. E poi ci sono quelli che colpiscono tutto, e prendono la pancia con
forti pugni e forti mangiari per farti sentire vivo. Non sono solo quelli
negativi, perché un bel manicaretto può rendere più allegro il nostro momento
di vita. Niente pancia qui. Ma (come ho già detto altrove) gli voglio tanto
bene che continuerò sempre a leggerne.
Camilleri, nel tempo, è diventato
il leader della mia biblioteca privata, con ben 32 titoli e Lucarelli è poco
distante (ma a parte un paio, ho quasi tutto il pubblicato). Motivo per cui mi
sembra dolente citarne ancora.
Finiamo con il magistrato
tarantino, di cui cominciai a parlare già nel dicembre del 2006, agli albori
delle trame.
Giancarlo De Cataldo “Nero come il cuore”
Einaudi euro 12 (in realtà, scontato 9,60 euro)
[in:23/04/2010 – out: 03/07/2010]
Parziale
riscrittura del primo romanzo scritto per i gialli Mondadori nell’89. Ed un po’
si sente. Soprattutto se non si presta attenzione a quelle righe di quarta che
ne spiegano un po’ la nascita. Altrimenti sembra un romanzo un po’ rifritto,
con dei temi che più crudamente avrebbe sviluppato Veit Heinichen per Trieste.
Ma qui siamo a Roma (patria d’elezione delle epiche di De Cataldo) alle prese
con l’avvocato dei neri (di pelle) e degli emarginati Valentino Bruio. Che,
come dirà un personaggio ad un certo punto, ha il grande difetto di essere un
puro. E come tutti i puri, arriverà alla verità, ma, forse, né ai colpevoli né
alla loro punizione. Letto nella sua prospettiva storica, quindi, ha una serie
di spunti interessanti. Pensando all’anno della prima scrittura (1989) troviamo
la descrizione di una Roma in via di “extra-comunitarizzazione” ma ancora
vivibile. Troviamo la gente di colore che ancora si sente “comunità” per essere
sfuggita ai tanti orrori degli anni ’80 africani. Passeggiamo per la stazione
Termini (quasi) senza avere troppa angoscia. E la solidarietà tra l’avocato ed
il sudafricano Rod (con i suoi alti e bassi) è ben degna di un’amicizia di
lunga durata. Ma quando si entra nel mondo del benessere si sente lo stacco.
Nel mondo dai doppi cognomi l’avvocato è fuori posto. Ed anche De Cataldo non
si muove a proprio agio. Lì tra finanzieri filibustieri, chirurgo plastici più
adatti alla forchetta che al bisturi, la storia ha i suoi nodi, nel senso che
si viene a scoprire il perché delle due morti che costellano il romanzo. Ma
anche i suoi punti irrisolti. Il voler descrivere ma dove l’empatia è nulla, la
descrizione latita. Si vediamo il vecchio Angelo, la focosa Giovanna, il
piccolo Nicky. Ma non se ne trae il senso del vivere quotidiano. E che dire del
dottor Poggi il cui unico dio sembra essere (è) il denaro? Potenza dei nomi. Ci
si inzeppa anche l’ucraino ex-armata rossa, ed abbiamo un quadro completo della
mistura dei sapori del romanzo. Non se ne potrà uscire che con l’amaro in
bocca, che tanto i “buoni” latitano sempre. Al massimo sono ottimisti come il
commissario, che per la sua dirittura comunque sarà premiato con un
trasferimento al Nord! E la parte finale, intrecci di soldi e cliniche è
debolina, anche se riscritta in occasione di questa ripubblicazione. Infatti,
il romanzo risulta registrato nel 2002 (ma, come detto, è un falso). Insomma,
De Cataldo ha un bello scrivere, e delle tematiche che ricorrono (sia nell’empatia
verso lo straniero che ritroveremo ne “Il padre e lo straniero” sia nella
comprensione dei meccanismi criminali di basso livello, che ritroveremo molto
meglio espressi in “Romanzo criminale”). Sufficienza piena per una lettura in
questo caldo luglio romano.
“la vita avrebbe deciso per me e non sarebbe
stato un gran danno. Avevo sentito dire, una volta, che gli indecisi
sopravvivono grazie ai capricci del caso” (41)
“ricorda che … non esiste al mondo la donna
che fa per te. Tu sei un Attila dei sentimenti “ (60)
Veniamo ora all’elenco delle
letture, che riferendosi al mese di agosto, non può che essere breve e conciso
(in Sudafrica non si è avuto molto tempo da dedicare ai libri), anche se il
livello è superiore alla media.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Pieter Aspe
|
Le Carrè de la vengeance
|
Le livre de Poche
|
7,30
|
4
|
2
|
Franco Arminio
|
Nevica e ho le prove
|
Laterza
|
9,50
|
2
|
3
|
Evelyn Waugh
|
Quando viaggiare era un piacere
|
Adelphi
|
11
|
4
|
4
|
Amos Oz
|
Scene dalla vita di un
villaggio
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
3
|
5
|
Maj Sjowall & Per Wahloo
|
L’uomo sul tetto
|
Sellerio
|
13
|
3
|
6
|
Arturo Perez-Reverte
|
La pelle del tamburo
|
Net
|
7,80
|
3
|
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