Anti-premessa: l’arrivo di nuovi
amici e l’amore per i libri di Schmitt, fanno diventare un po’ lungo questo
intervento, ma ne vale la pena.
Riprendiamo l’appuntamento usuale
con gli amanti dei libri, e come ogni volta, al ritorno da un bel viaggio,
aumenta la potenziale pattuglia dei lettori. Do quindi il benvenuto ai nuovi
arrivati, sperando che anche loro si divertano a queste scritture. E come
benvenuto ripropongo le linee direttrici di questi interventi.
Innanzi tutto, chi si stufa di
ricevere le mie note, basta una mail e viene tolto dalla lista. Se poi cambia
idea, un’altra mail è si è di nuovo dentro questi messaggi che, con cadenza più
o meno settimanale, invio ai miei amici. Se poi la lettura vi stimola,
scambiamoci le impressioni. E se avete libri da segnalarmi, mandatemi un cenno.
Poi la struttura: nell’oggetto della mail il gioco di parole che anni fa mi ha
spinto a questa fatica. Ogni mail di norma contiene la critica a tre libri che,
nel mio sentire, hanno delle comunanze, che cerco di spiegare nelle
introduzioni. Poi i libri, con titoli, costi, motivi, data di acquisto e di
fine lettura. Il mio commento al libro, con tutti i giudizi personali che ne ho
ricavato alla lettura. Comprese, se del caso, delle frasi che mi sono rimaste
impresse. Qualche nota biografica, se serve. E qualche commento finale.
Inoltre, ogni primo invio del mese, riporto l’elenco dei libri letti un paio di
mesi prima, con aggiunta di uno smile, per indicarne il mio gradimento (da 5,
bellissimo, ad 1, non mi è piaciuto).
Fatta questa debita premessa,
veniamo ai libri. Facilmente uniti, dall’essere scritti dallo stesso autore,
questo Èric-Emmanuel Schmitt di cui avevo sentito parlare come sceneggiatore,
ma che mi è capitato tra le mani con uno scritto teatrale comprato perché pensavo
fosse un romanzo. E … me ne sono innamorato. Così da leggere altro, e, visto
che, nonostante lo strano nome, è francese, a cercarne anche in lingua nelle
mie periodiche visite a Bruxelles. Così parliamo del teatro, di un libro sul
rispetto degli altri che mi ha commosso, e del testo derivato da un pezzo
teatrale che poi è diventato il bellissimo film con Omar Sharif. E scusate
ancora se ne parlo tanto, ma a me piace. Tanto che lunghe sono anche le
citazioni.
Èric-Emmanuel Schmitt “Piccoli crimini coniugali” E/O euro 7,50 (in
realtà, scontato euro 4,87)
[in: 24/07/2009 – out: 30/01/2010]
Un paio di piccole sorprese in
questo piccolo libro: primo, è un testo teatrale, non me lo aspettavo ed erano
anni che non leggevo testi di teatro moderni; secondo, è un piccolo gioiellino,
certo con alti e bassi (ma che non ce l’ha), ma di sicuro con alcune idee
interessanti, abbastanza ben sviluppate, anche se, forse, con qualche cedimento
finale. L’ossatura del testo è in realtà semplice: una coppia, lui ha sofferto
di un’amnesia per motivi che all’inizio non sappiamo, tornano a casa, cercando
di capire chi sono reciprocamente. A poco a poco molte verità vengono a galla,
molti tentativi di essere diversi da come si è, di costruirsi un’immagine
migliore di sé, di sfruttare il vuoto per far nascere un pieno. Per poi alla
fine accorgersi che, in ogni caso, è meglio essere quello che siamo, con tutti
i pro e i contro del nostro essere. Suscita delle riflessioni non banali sulla
coppia e sullo stare insieme (è vero che la quotidianità uccide il
sentimento?), sull’amore, sulla gelosia (c’è sempre? C’è uno stare insieme
basato sul rispetto e la lealtà?), sul sé percepito dall’altro (chi sono io per
te? E viceversa). Ripeto, forse ad un certo punto imbocca un sentiero pericoloso
dove è facile scivolare, dove si poteva cascare in banali lamentele. E forse ha
preso idee a destre e a manca da testi più o meno storici (ma in fondo, sembra
sempre che si parli delle stesse cose, quando si parla d’amore). Ma mi è
piaciuto questo rimasticare e poi riproporre in modo altro. Quindi piacevole,
discutibile, e pieno di citazioni da riportare (anche se a voler essere giusti,
sarebbe da riportare per intero). Quest’inciso mi fa quindi concludere:
leggetelo e, se potete, mettetelo in scena, e se capita, andate a vederlo.
Comunque, parliamone.
“Non sopporti che ti metta a posto la scrivania, e chiami il caos in
cui ammassi le tue carte ‘ordine di archiviazione storica’. Affermi che una
libreria senza polvere è una libreria da sala d'attesa. … Non cambi mai le
lampadine fulminate con la scusa che per qualche giorno bisogna portare il
lutto della luce. In compenso, dopo quindici anni di studi e vicinanza
coniugale sono arrivata alla conclusione che le tue molteplici teorie possono
essere raccolte sotto un'unica, fondamentale tesi: non fare un accidente in
casa!” (10)
“Ecco, appunto, il mondo non è popolato solo di donne della mia età. A
vent'anni ci si può permettere di ignorare gli anni che passano; dai quaranta
in poi, l'illusione crolla; una donna si rende conto dell'età che ha nel
momento in cui scopre che esistono donne più giovani di lei.” (25)
“L'umorismo permette di dire la verità” (28)
“LISA: Ti ho molto amato, Gilles. Molto. GILLES: L'hai detto come se
dicessi: ‘Ho molto sofferto, Gilles, molto’. LISA: Forse. Non so amare senza
soffrire.” (29)
“Una coppia non è la realtà. E prima di tutto un sogno che si fa
insieme, no?” (56)
“Abbiamo dei problemi, questo è chiaro. Ciò nonostante, mi sono reso
conto che in fondo tu ami me per quello che sono.” (58)
“Le parole non hanno lo stesso significato per te e per me” (62)
“LISA: Che tipo di uomo è lei? GILLES: Il suo tipo? LISA: Decisamente
si. Ogni frase mi provoca un brivido lungo la schiena, mi sento il cervello
intorpidito, ho tutti i sintomi di un malessere che si chiama attrazione
irresistibile. GILLES: Mi dispiace, non ho rimedi. LISA: Ma è lei il rimedio.”
(67)
“Non si può eludere il proprio destino. Tu sei il mio destino. Noi non
ci apparterremo mai fisicamente, ma ci apparteniamo mentalmente. Tu ti sei
immerso nei miei abissi più profondi, io nei tuoi, siamo schiavi l'uno
dell'altra. Anche se non nella carne, sei il mio uomo nei miei ricordi, nei
miei sogni, nelle mie speranze. E questo che mi lega a te. Possiamo anche
separarci, ma non potremo mai lasciarci. Tutti questi giorni in cui tu non
c'eri, eri assente da qui, assente da te stesso, io continuavo a rivolgerti i
miei pensieri, a farti partecipe dei miei umori. Sai cosa vuol dire amare un
uomo con amore? Vuol dire amarlo malgrado te stessa, malgrado lui, contro tutto
e tutti. Vuol dire amarlo in un modo che non dipende più da nessuno. Amo i tuoi
desideri e amo anche le tue avversioni, amo il male che mi fai, un male che non
mi da dolore, che passa subito, un male che non lascia tracce. Amare vuol dire
avere quella resistenza che ti permette di passare attraverso tutti gli stati
con la stessa intensità, dalla sofferenza alla gioia. … [anche se tu te ne
andassi] continuerei ad amarti” (82)
“Mi sa che preferisci le storie che si riescono a gestire: forse non
sopporti l'abbandono. … che le cose ti sfuggano di mano. Che le situazioni
siano troppo forti. Che i sentimenti siano troppo grandi per te. Se si vuole
essere sicuri di tutto, bisogna accontentarsi di storie corte. Di legami
delimitati chiaramente, riconoscibili, con un inizio, un mezzo, una fine e un
percorso segnato da tappe ben precise: il primo sorriso, il primo scoppio di
risa, la prima notte, il primo litigio, la prima riconciliazione, la prima
seccatura, il primo malinteso, le prime vacanze andate male, la prima
separazione, la seconda, la terza e poi la separazione vera. Dopo si
ricomincia. Uguale, ma con qualcun altro. Viene definita una vita piena di
avventure, ma in realtà più che avventurosa è una vita in serie. Non è sensato
amare sempre, amare a lungo, è follia pura. La cosa più ragionevole è amare
finché è gradevole. Si chiama razionalismo amoroso: amarsi finché durano le
nostre illusioni; appena crollano, lasciarsi. E appena abbiamo a che fare con
persone reali, non più con immagini della fantasia, separarsi. … è contro natura amare per sempre, amare a
lungo. … Per fare in modo che duri bisogna accettare l'incertezza, bisogna
avanzare in acque pericolose, avventurarsi là dove si precede solo con la
fiducia, riposarsi galleggiando su onde contraddittorie, certe volte di dubbio,
certe volte di fatica, certe volte di serenità,
ma mantenendo sempre la rotta.” (95)
“GILLES: C'e qualcuno nella tua vita? LISA: In questo momento ci sei
tu.” (107)
Èric-Emmanuel Schmitt “Il bambino di Noè”
BUR euro 5 (in realtà, scontato a 1 euro)
[in: 07/02/2010 – out: 08/04/2010]
Con
buona pace degli ammiccatori alle tragedie (leggasi l’inutile “Bambino a righe”
di Boyne), un breve apologo, ma coinvolgente, denso e che mi fa sempre di più
ammirare questo fino a poco tempo fa ignoto a me autore francese. La storia di
una crescita, di un bambino ebreo nella Bruxelles del 1943, il passaggio dalla
vita protetta e familiare alle incognite dell’invasione e alla minaccia della
deportazione. Fino a che Joseph ed altri vengono accolti sotto l’ala protettiva
di un prete, padre Pons (en passant, un più volte reiterato gioco di parole tra
“père Pons” e “pierre ponce” che vuol dire pietra pomice). E qui nel
seminariato un po’ ci si scorda del di fuori, ed un po’ si cresce. Il bel
rapporto con Rudy, l’altro ebreo che nessuno vuole. La figura della farmacista
mangiapreti ma che cerca sempre e comunque di salvare i ragazzi. Ed il rapporto
con questo strano prete, con quella sua cappella misteriosa cui si rintana
tutte le notti, e che stimola la curiosità del piccolo. Che riuscirà a fare
breccia, ed a capire cosa stia facendo lì il prete. Una collezione! Ma di cosa?
Di tutte le reliquie ebraiche che riesce a trovare, perché se mai dovesse
vincere il cattivo, ci sarebbe modo di non perdere traccia di quello che
cercano di far sparire. E lì, nella cappella, il prete ed il bambino accumulano
e discutono. Uno insegna l’ebraico all’altro. Uno cerca di togliere gli orpelli
a tutte le religioni. Lì in quella cappella, Joseph diventa appunto il bambino
di questo strano Noè. Il libro è breve, ma ci sono immagini che toccano ad ogni
pagina, con una densità altrove non vista. L’immagine di Rudy quando ritrova la
madre rimarrà per molto tempo nelle corde della memoria. Ed anche la
chiacchierata tra Joseph e Rudy, tanti anni dopo, sulla collina dei giusti,
quando vanno a posare la pietra sulla tomba di Padre Pons (che ha continuato a
fare collezioni, anche dopo la guerra, per gli indiani d’America, gli aborigeni
australiani e via decimando). Con quell’ultima bella immagine che non vi svelo,
ma che poi voltando gli occhi a sinistra, rivedo nella bianca città, lasciando
alle spalle lo Yad Vashem. Insomma, mi è piaciuto (s’era capito, eh?).
“- Tu vorresti sapere quale delle due religione è vera. Ma nessuna
delle due lo è! Una religione non è né vera né falsa, propone un modo di
vivere. – Allora perché dovrei rispettare le religioni, se non sono vere? – Se
hai in testa di rispettare solo la verità, temo che non avrai granché da
rispettare. Due più due uguale quattro, ecco quale sarà l’unico oggetto del tuo
rispetto. Tolto questo te la dovrai vedere con elementi incerti: sentimenti,
norme, valori, scelte, tutte costruzioni fragili e vaghe. Niente di matematico.
Il rispetto non va tributato a ciò che è certificato, ma a ciò che viene
proposto” (67-68)
Èric-Emmanuel Schmitt « Monsieur Ibrahim et les Fleurs du Coran »
Magnard euro 5
[in: 07/05/2010 – out: 12/07/2010]
E
nato un amore! Mi piace come scrive. Ed anche se avevo già visto il film, ho
letto con piacere il racconto di Momo. E mi sono immerso con piacere in questo
testo molteplice. Plurimo perché nasce come monologo teatrale (e sarebbe stato
bello vederlo recitare da Bruno Abraham-Kremer ad Avignone), perché trasformato
in racconto viene a sua volta trasformato in film (ed è una delle rare volte
che non mi hanno deluso né l’uno né l’altro), perché, infine, l’ho letto
integrale ma nel contesto della sua trasformazione in libro di testo per le
scuole. Questa è stata la chicca finale: pieno di note ben fatte, di spunti di
riflessione (sul testo e sul contesto), di rimandi ad altri testi per
approfondimenti. Un modo di concepire la scuola come non mi era dato di vedere
da anni. Ma detto tutto il bene del contorno rimane, e tanto, il bello del
racconto stesso. La storia di questo Wilhelm Meister in sedicesimo, che in
poche pagine ci presenta la sua vita, dalla presa di coscienza
pre-adolescenziale alla quasi maturità fino ad adombrare possibili epigoni
della storia futura, quella dopo la parola fine. E tutto, come spesso accade in
Schmitt, inserito nel contesto di lotte e possibili sopravvivenze. Qui, come
nelle sue prove mature, c’è di nuovo la religione ed i suoi aspetti di rispetto
verso l’altro. La placida calma esteriore di Monsieur Ibrahim (che non potremmo
mai dissociare dall’immortale faccia di Omar Sharif) porta a riflettere sul
bisogno di rispetto verso l’altro, che ha tutte le ragioni di essere come è,
così come io ho le mie di essere come sono. Ed in questa Parigi primi anni
sessanta Momo ci accompagna nella sua crescita, nel suo rapporto difficile
(impossibile?) con quello strano padre ebreo che non crede in Dio, e nella
facilità del rapporto con il padre che sceglie, un mussulmano che rivendica di
non essere arabo ma di usare il Corano come libro di vita. Quanti piccoli
consigli, che scavano canyon, vengono dal placido mediorientale. Primo fra
tutti, quello di sorridere. E la felicità di Momo nello scoprire che sorridendo
si può affrontare meglio anche le peggiori avversità. Inciso: terribile la
scena di quando si sforza di sorridere al padre e questi lo guarda stupito, lo
fa avvicinare e poi gli dice che ha i denti un po’ storti!! La storia è breve
nel suo svolgimento (anche se temporalmente durerà anni), Momo ragazzo solo,
abbandonato dalla madre, vive con un padre che non sa vivere, e solo attraverso
il rapporto con il bottegaio arabo riuscirà a scoprire le bellezze della vita,
delle donne, degli altri. Ma soprattutto la bellezza di essere “coscienti”,
cioè di sapere quello che si fa e perché lo si fa. E di accettare di farlo.
Anche la scrittura (che avevo già imparato a conoscere negli altri testi
schmittiani) continua a piacermi. Con quella capacità (teatrale) di suscitare
un’immagine con due battute. Di descrivere mondi in due righe. Il viaggio dei
due attraverso l’Europa dura giorni e giorni, ma viene reso in 2 pagine. E poi
quando serve di dilatarlo e di scavarlo per pagine e pagine: come l’incontro
con la madre, cinque minuti estesi per dieci pagine. Insomma, si è capito che
mi è piaciuto, e che ora aspetto di leggere altre prove del cinquantenne
francese. E (mi ripeto) leggetelo, ne vale la pena.
“- C’est fou, Monsieur Ibrahim, comme les
vitrines de riches sont pauvres… - C’est ça, le luxe, Momo, rien dans la
vitrine, rien dans le magasin, tout dans le prix » (28) [- è pazzesco,
Monsieur Ibrahim, come le vetrine dei [negozi] ricchi siano così povere… -
Questo è il lusso, Momo : niente nella vetrina, niente nel negozio, tutto
nel prezzo]
« Lorsqu’on
veut apprendre quelque chose, on ne prend pas un livre. On parle avec
quelqu’un » (37) [Quando si vuole imparare qualcosa, non si prende un
libro. Si parla con qualcuno]
« Ce que tu donnes, Momo, c’est à toi
pour toujours ; ce que tu gardes, c’est perdu à jamais » (38) [Ciò
che regali, Momo, è tuo per sempre ; ciò che conservi, è perduto per
sempre]
« - Vous m’avez pas répondu … - Momo,
pas de réponse, c’est une réponse » (38) [- Non mi hai risposto … - Momo,
nessuna risposta è una risposta]
« Lorsque
tu veux savoir si tu es dans un endroit riche ou pauvre, tu regardes les
poubelles. Si tu vois ni ordures ni poubelles, c’est très riche. Si tu vois des
poubelles et pas d’ordures, c’est riche. Si tu vois des ordures à côté des
poubelles, c’est ni riche ni pauvre : c’est touristique. Si tu vois les
ordures dans les poubelles, c’est pauvre. Et si les gens habitent dans les
ordures, c’est très très pauvre » (54) [Se vuoi sapere se sei in un posto
ricco o povero, guarda la
spazzatura. Se non vedi né spazzatura né bidoni è molto
ricco. Se vedi i bidoni ma non la spazzatura, è ricco. Se vedi la spazzatura
accanto ai bidoni, non è né ricco né povero: è turistico. Se vedi la spazzatura
nei bidoni è povero. E se le persone abitano nella spazzatura, è molto, molto
povero]
« Il me faisait entrer dans les
monuments religieux avec un bandeau sur les yeux pour que je divine la religion
à l’odeur… - Ici ça sent le cierge, c’est catholique. … - Là, ça sent l’encens,
c’est orthodoxe. … - Et là ça sent les pieds, c’est musulman » (56) [Mi
faceva entrare nei luoghi religiosi con gli occhi bendati per farmi indovinare
la religione dall’odore… - Puzza di cera, è cattolico… - Qui, puzza di incenso,
è ortodosso…. – E qui puzza di piedi, è mussulmano]
Èric-Emmanuel Schmitt purtroppo è
un ariete, ma possiamo perdonarlo; è tra gli autori teatrali più rappresentati
in Europa, e su Wikipedia se ne legge meglio che qui.
Essendo la prima trama del mese
riporto l’elenco dei libri letti in giugno, mese con un andamento di lettura
nella media. E con almeno la metà dei libri letti di buon gradimento.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Corrado Augias
|
L’ultima primavera
|
Mondadori
|
9
|
2
|
2
|
W. Somerset Maugham
|
La lettera
|
Adelphi
|
5,50
|
4
|
3
|
Luis Leante
|
La luna rossa
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
4
|
4
|
Andrea Camilleri
|
Il corso delle cose
|
Sellerio
|
8
|
4
|
5
|
Luisa Adorno
|
Le dorate stanze
|
Sellerio
|
8
|
3
|
6
|
Paolo Sorrentino
|
Hanno tutti ragione
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
2
|
7
|
Arnaldur Indriðason
|
Sotto la città
|
TEA
|
8,60
|
4
|
8
|
Andrea Vitali
|
La signorina Tecla Manzi
|
SuperPocket
|
5,90
|
3
|
9
|
Lucia Etxebarria
|
Beatriz e i corpi celesti
|
TEA
|
8,60
|
2
|
10
|
Davide
Cammarone
|
Questo è un uomo
|
Sellerio
|
10
|
4
|
11
|
Andrea Camilleri Carlo
Lucarelli
|
Acqua in bocca
|
Minimum fax
|
10
|
3
|
12
|
Roberto Saviano
|
Gomorra
|
Mondadori
|
10
|
5
|
13
|
Valentina Brunettin
|
I cani vanno avanti
|
Alet
|
10
|
3
|
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