giovedì 15 marzo 2012

Schmittiana - 05 settembre 2010

Anti-premessa: l’arrivo di nuovi amici e l’amore per i libri di Schmitt, fanno diventare un po’ lungo questo intervento, ma ne vale la pena.
Riprendiamo l’appuntamento usuale con gli amanti dei libri, e come ogni volta, al ritorno da un bel viaggio, aumenta la potenziale pattuglia dei lettori. Do quindi il benvenuto ai nuovi arrivati, sperando che anche loro si divertano a queste scritture. E come benvenuto ripropongo le linee direttrici di questi interventi.
Innanzi tutto, chi si stufa di ricevere le mie note, basta una mail e viene tolto dalla lista. Se poi cambia idea, un’altra mail è si è di nuovo dentro questi messaggi che, con cadenza più o meno settimanale, invio ai miei amici. Se poi la lettura vi stimola, scambiamoci le impressioni. E se avete libri da segnalarmi, mandatemi un cenno. Poi la struttura: nell’oggetto della mail il gioco di parole che anni fa mi ha spinto a questa fatica. Ogni mail di norma contiene la critica a tre libri che, nel mio sentire, hanno delle comunanze, che cerco di spiegare nelle introduzioni. Poi i libri, con titoli, costi, motivi, data di acquisto e di fine lettura. Il mio commento al libro, con tutti i giudizi personali che ne ho ricavato alla lettura. Comprese, se del caso, delle frasi che mi sono rimaste impresse. Qualche nota biografica, se serve. E qualche commento finale. Inoltre, ogni primo invio del mese, riporto l’elenco dei libri letti un paio di mesi prima, con aggiunta di uno smile, per indicarne il mio gradimento (da 5, bellissimo, ad 1, non mi è piaciuto).
Fatta questa debita premessa, veniamo ai libri. Facilmente uniti, dall’essere scritti dallo stesso autore, questo Èric-Emmanuel Schmitt di cui avevo sentito parlare come sceneggiatore, ma che mi è capitato tra le mani con uno scritto teatrale comprato perché pensavo fosse un romanzo. E … me ne sono innamorato. Così da leggere altro, e, visto che, nonostante lo strano nome, è francese, a cercarne anche in lingua nelle mie periodiche visite a Bruxelles. Così parliamo del teatro, di un libro sul rispetto degli altri che mi ha commosso, e del testo derivato da un pezzo teatrale che poi è diventato il bellissimo film con Omar Sharif. E scusate ancora se ne parlo tanto, ma a me piace. Tanto che lunghe sono anche le citazioni.
Èric-Emmanuel Schmitt “Piccoli crimini coniugali” E/O euro 7,50 (in realtà, scontato euro 4,87)
[in: 24/07/2009 – out: 30/01/2010]
Un paio di piccole sorprese in questo piccolo libro: primo, è un testo teatrale, non me lo aspettavo ed erano anni che non leggevo testi di teatro moderni; secondo, è un piccolo gioiellino, certo con alti e bassi (ma che non ce l’ha), ma di sicuro con alcune idee interessanti, abbastanza ben sviluppate, anche se, forse, con qualche cedimento finale. L’ossatura del testo è in realtà semplice: una coppia, lui ha sofferto di un’amnesia per motivi che all’inizio non sappiamo, tornano a casa, cercando di capire chi sono reciprocamente. A poco a poco molte verità vengono a galla, molti tentativi di essere diversi da come si è, di costruirsi un’immagine migliore di sé, di sfruttare il vuoto per far nascere un pieno. Per poi alla fine accorgersi che, in ogni caso, è meglio essere quello che siamo, con tutti i pro e i contro del nostro essere. Suscita delle riflessioni non banali sulla coppia e sullo stare insieme (è vero che la quotidianità uccide il sentimento?), sull’amore, sulla gelosia (c’è sempre? C’è uno stare insieme basato sul rispetto e la lealtà?), sul sé percepito dall’altro (chi sono io per te? E viceversa). Ripeto, forse ad un certo punto imbocca un sentiero pericoloso dove è facile scivolare, dove si poteva cascare in banali lamentele. E forse ha preso idee a destre e a manca da testi più o meno storici (ma in fondo, sembra sempre che si parli delle stesse cose, quando si parla d’amore). Ma mi è piaciuto questo rimasticare e poi riproporre in modo altro. Quindi piacevole, discutibile, e pieno di citazioni da riportare (anche se a voler essere giusti, sarebbe da riportare per intero). Quest’inciso mi fa quindi concludere: leggetelo e, se potete, mettetelo in scena, e se capita, andate a vederlo. Comunque, parliamone.
“Non sopporti che ti metta a posto la scrivania, e chiami il caos in cui ammassi le tue carte ‘ordine di archiviazione storica’. Affermi che una libreria senza polvere è una libreria da sala d'attesa. … Non cambi mai le lampadine fulminate con la scusa che per qualche giorno bisogna portare il lutto della luce. In compenso, dopo quindici anni di studi e vicinanza coniugale sono arrivata alla conclusione che le tue molteplici teorie possono essere raccolte sotto un'unica, fondamentale tesi: non fare un accidente in casa!” (10)
“Ecco, appunto, il mondo non è popolato solo di donne della mia età. A vent'anni ci si può permettere di ignorare gli anni che passano; dai quaranta in poi, l'illusione crolla; una donna si rende conto dell'età che ha nel momento in cui scopre che esistono donne più giovani di lei.” (25)
“L'umorismo permette di dire la verità” (28)
“LISA: Ti ho molto amato, Gilles. Molto. GILLES: L'hai detto come se dicessi: ‘Ho molto sofferto, Gilles, molto’. LISA: Forse. Non so amare senza soffrire.” (29)
“Una coppia non è la realtà. E prima di tutto un sogno che si fa insieme, no?” (56)
“Abbiamo dei problemi, questo è chiaro. Ciò nonostante, mi sono reso conto che in fondo tu ami me per quello che sono.” (58)
“Le parole non hanno lo stesso significato per te e per me” (62)
“LISA: Che tipo di uomo è lei? GILLES: Il suo tipo? LISA: Decisamente si. Ogni frase mi provoca un brivido lungo la schiena, mi sento il cervello intorpidito, ho tutti i sintomi di un malessere che si chiama attrazione irresistibile. GILLES: Mi dispiace, non ho rimedi. LISA: Ma è lei il rimedio.” (67)
“Non si può eludere il proprio destino. Tu sei il mio destino. Noi non ci apparterremo mai fisicamente, ma ci apparteniamo mentalmente. Tu ti sei immerso nei miei abissi più profondi, io nei tuoi, siamo schiavi l'uno dell'altra. Anche se non nella carne, sei il mio uomo nei miei ricordi, nei miei sogni, nelle mie speranze. E questo che mi lega a te. Possiamo anche separarci, ma non potremo mai lasciarci. Tutti questi giorni in cui tu non c'eri, eri assente da qui, assente da te stesso, io continuavo a rivolgerti i miei pensieri, a farti partecipe dei miei umori. Sai cosa vuol dire amare un uomo con amore? Vuol dire amarlo malgrado te stessa, malgrado lui, contro tutto e tutti. Vuol dire amarlo in un modo che non dipende più da nessuno. Amo i tuoi desideri e amo anche le tue avversioni, amo il male che mi fai, un male che non mi da dolore, che passa subito, un male che non lascia tracce. Amare vuol dire avere quella resistenza che ti permette di passare attraverso tutti gli stati con la stessa intensità, dalla sofferenza alla gioia. … [anche se tu te ne andassi] continuerei ad amarti” (82)
“Mi sa che preferisci le storie che si riescono a gestire: forse non sopporti l'abbandono. … che le cose ti sfuggano di mano. Che le situazioni siano troppo forti. Che i sentimenti siano troppo grandi per te. Se si vuole essere sicuri di tutto, bisogna accontentarsi di storie corte. Di legami delimitati chiaramente, riconoscibili, con un inizio, un mezzo, una fine e un percorso segnato da tappe ben precise: il primo sorriso, il primo scoppio di risa, la prima notte, il primo litigio, la prima riconciliazione, la prima seccatura, il primo malinteso, le prime vacanze andate male, la prima separazione, la seconda, la terza e poi la separazione vera. Dopo si ricomincia. Uguale, ma con qualcun altro. Viene definita una vita piena di avventure, ma in realtà più che avventurosa è una vita in serie. Non è sensato amare sempre, amare a lungo, è follia pura. La cosa più ragionevole è amare finché è gradevole. Si chiama razionalismo amoroso: amarsi finché durano le nostre illusioni; appena crollano, lasciarsi. E appena abbiamo a che fare con persone reali, non più con immagini della fantasia, separarsi. …  è contro natura amare per sempre, amare a lungo. … Per fare in modo che duri bisogna accettare l'incertezza, bisogna avanzare in acque pericolose, avventurarsi là dove si precede solo con la fiducia, riposarsi galleggiando su onde contraddittorie, certe volte di dubbio, certe volte di fatica, certe volte di serenità,  ma mantenendo sempre la rotta.” (95)
“GILLES: C'e qualcuno nella tua vita? LISA: In questo momento ci sei tu.” (107)
Èric-Emmanuel Schmitt “Il bambino di Noè” BUR euro 5 (in realtà, scontato a 1 euro)
[in: 07/02/2010 – out: 08/04/2010]
Con buona pace degli ammiccatori alle tragedie (leggasi l’inutile “Bambino a righe” di Boyne), un breve apologo, ma coinvolgente, denso e che mi fa sempre di più ammirare questo fino a poco tempo fa ignoto a me autore francese. La storia di una crescita, di un bambino ebreo nella Bruxelles del 1943, il passaggio dalla vita protetta e familiare alle incognite dell’invasione e alla minaccia della deportazione. Fino a che Joseph ed altri vengono accolti sotto l’ala protettiva di un prete, padre Pons (en passant, un più volte reiterato gioco di parole tra “père Pons” e “pierre ponce” che vuol dire pietra pomice). E qui nel seminariato un po’ ci si scorda del di fuori, ed un po’ si cresce. Il bel rapporto con Rudy, l’altro ebreo che nessuno vuole. La figura della farmacista mangiapreti ma che cerca sempre e comunque di salvare i ragazzi. Ed il rapporto con questo strano prete, con quella sua cappella misteriosa cui si rintana tutte le notti, e che stimola la curiosità del piccolo. Che riuscirà a fare breccia, ed a capire cosa stia facendo lì il prete. Una collezione! Ma di cosa? Di tutte le reliquie ebraiche che riesce a trovare, perché se mai dovesse vincere il cattivo, ci sarebbe modo di non perdere traccia di quello che cercano di far sparire. E lì, nella cappella, il prete ed il bambino accumulano e discutono. Uno insegna l’ebraico all’altro. Uno cerca di togliere gli orpelli a tutte le religioni. Lì in quella cappella, Joseph diventa appunto il bambino di questo strano Noè. Il libro è breve, ma ci sono immagini che toccano ad ogni pagina, con una densità altrove non vista. L’immagine di Rudy quando ritrova la madre rimarrà per molto tempo nelle corde della memoria. Ed anche la chiacchierata tra Joseph e Rudy, tanti anni dopo, sulla collina dei giusti, quando vanno a posare la pietra sulla tomba di Padre Pons (che ha continuato a fare collezioni, anche dopo la guerra, per gli indiani d’America, gli aborigeni australiani e via decimando). Con quell’ultima bella immagine che non vi svelo, ma che poi voltando gli occhi a sinistra, rivedo nella bianca città, lasciando alle spalle lo Yad Vashem. Insomma, mi è piaciuto (s’era capito, eh?).
“- Tu vorresti sapere quale delle due religione è vera. Ma nessuna delle due lo è! Una religione non è né vera né falsa, propone un modo di vivere. – Allora perché dovrei rispettare le religioni, se non sono vere? – Se hai in testa di rispettare solo la verità, temo che non avrai granché da rispettare. Due più due uguale quattro, ecco quale sarà l’unico oggetto del tuo rispetto. Tolto questo te la dovrai vedere con elementi incerti: sentimenti, norme, valori, scelte, tutte costruzioni fragili e vaghe. Niente di matematico. Il rispetto non va tributato a ciò che è certificato, ma a ciò che viene proposto” (67-68)
Èric-Emmanuel Schmitt « Monsieur Ibrahim et les Fleurs du Coran » Magnard euro 5
[in: 07/05/2010 – out: 12/07/2010]
E nato un amore! Mi piace come scrive. Ed anche se avevo già visto il film, ho letto con piacere il racconto di Momo. E mi sono immerso con piacere in questo testo molteplice. Plurimo perché nasce come monologo teatrale (e sarebbe stato bello vederlo recitare da Bruno Abraham-Kremer ad Avignone), perché trasformato in racconto viene a sua volta trasformato in film (ed è una delle rare volte che non mi hanno deluso né l’uno né l’altro), perché, infine, l’ho letto integrale ma nel contesto della sua trasformazione in libro di testo per le scuole. Questa è stata la chicca finale: pieno di note ben fatte, di spunti di riflessione (sul testo e sul contesto), di rimandi ad altri testi per approfondimenti. Un modo di concepire la scuola come non mi era dato di vedere da anni. Ma detto tutto il bene del contorno rimane, e tanto, il bello del racconto stesso. La storia di questo Wilhelm Meister in sedicesimo, che in poche pagine ci presenta la sua vita, dalla presa di coscienza pre-adolescenziale alla quasi maturità fino ad adombrare possibili epigoni della storia futura, quella dopo la parola fine. E tutto, come spesso accade in Schmitt, inserito nel contesto di lotte e possibili sopravvivenze. Qui, come nelle sue prove mature, c’è di nuovo la religione ed i suoi aspetti di rispetto verso l’altro. La placida calma esteriore di Monsieur Ibrahim (che non potremmo mai dissociare dall’immortale faccia di Omar Sharif) porta a riflettere sul bisogno di rispetto verso l’altro, che ha tutte le ragioni di essere come è, così come io ho le mie di essere come sono. Ed in questa Parigi primi anni sessanta Momo ci accompagna nella sua crescita, nel suo rapporto difficile (impossibile?) con quello strano padre ebreo che non crede in Dio, e nella facilità del rapporto con il padre che sceglie, un mussulmano che rivendica di non essere arabo ma di usare il Corano come libro di vita. Quanti piccoli consigli, che scavano canyon, vengono dal placido mediorientale. Primo fra tutti, quello di sorridere. E la felicità di Momo nello scoprire che sorridendo si può affrontare meglio anche le peggiori avversità. Inciso: terribile la scena di quando si sforza di sorridere al padre e questi lo guarda stupito, lo fa avvicinare e poi gli dice che ha i denti un po’ storti!! La storia è breve nel suo svolgimento (anche se temporalmente durerà anni), Momo ragazzo solo, abbandonato dalla madre, vive con un padre che non sa vivere, e solo attraverso il rapporto con il bottegaio arabo riuscirà a scoprire le bellezze della vita, delle donne, degli altri. Ma soprattutto la bellezza di essere “coscienti”, cioè di sapere quello che si fa e perché lo si fa. E di accettare di farlo. Anche la scrittura (che avevo già imparato a conoscere negli altri testi schmittiani) continua a piacermi. Con quella capacità (teatrale) di suscitare un’immagine con due battute. Di descrivere mondi in due righe. Il viaggio dei due attraverso l’Europa dura giorni e giorni, ma viene reso in 2 pagine. E poi quando serve di dilatarlo e di scavarlo per pagine e pagine: come l’incontro con la madre, cinque minuti estesi per dieci pagine. Insomma, si è capito che mi è piaciuto, e che ora aspetto di leggere altre prove del cinquantenne francese. E (mi ripeto) leggetelo, ne vale la pena.
“- C’est fou, Monsieur Ibrahim, comme les vitrines de riches sont pauvres… - C’est ça, le luxe, Momo, rien dans la vitrine, rien dans le magasin, tout dans le prix » (28) [- è pazzesco, Monsieur Ibrahim, come le vetrine dei [negozi] ricchi siano così povere… - Questo è il lusso, Momo : niente nella vetrina, niente nel negozio, tutto nel prezzo]
« Lorsqu’on veut apprendre quelque chose, on ne prend pas un livre. On parle avec quelqu’un » (37) [Quando si vuole imparare qualcosa, non si prende un libro. Si parla con qualcuno]
« Ce que tu donnes, Momo, c’est à toi pour toujours ; ce que tu gardes, c’est perdu à jamais » (38) [Ciò che regali, Momo, è tuo per sempre ; ciò che conservi, è perduto per sempre]
« - Vous m’avez pas répondu … - Momo, pas de réponse, c’est une réponse » (38) [- Non mi hai risposto … - Momo, nessuna risposta è una risposta]
« Lorsque tu veux savoir si tu es dans un endroit riche ou pauvre, tu regardes les poubelles. Si tu vois ni ordures ni poubelles, c’est très riche. Si tu vois des poubelles et pas d’ordures, c’est riche. Si tu vois des ordures à côté des poubelles, c’est ni riche ni pauvre : c’est touristique. Si tu vois les ordures dans les poubelles, c’est pauvre. Et si les gens habitent dans les ordures, c’est très très pauvre » (54) [Se vuoi sapere se sei in un posto ricco o povero, guarda la spazzatura. Se non vedi né spazzatura né bidoni è molto ricco. Se vedi i bidoni ma non la spazzatura, è ricco. Se vedi la spazzatura accanto ai bidoni, non è né ricco né povero: è turistico. Se vedi la spazzatura nei bidoni è povero. E se le persone abitano nella spazzatura, è molto, molto povero]
« Il me faisait entrer dans les monuments religieux avec un bandeau sur les yeux pour que je divine la religion à l’odeur… - Ici ça sent le cierge, c’est catholique. … - Là, ça sent l’encens, c’est orthodoxe. … - Et là ça sent les pieds, c’est musulman » (56) [Mi faceva entrare nei luoghi religiosi con gli occhi bendati per farmi indovinare la religione dall’odore… - Puzza di cera, è cattolico… - Qui, puzza di incenso, è ortodosso…. – E qui puzza di piedi, è mussulmano]
Èric-Emmanuel Schmitt purtroppo è un ariete, ma possiamo perdonarlo; è tra gli autori teatrali più rappresentati in Europa, e su Wikipedia se ne legge meglio che qui.
Essendo la prima trama del mese riporto l’elenco dei libri letti in giugno, mese con un andamento di lettura nella media. E con almeno la metà dei libri letti di buon gradimento.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Corrado Augias
L’ultima primavera
Mondadori
9
2
2
W. Somerset Maugham
La lettera
Adelphi
5,50
4
3
Luis Leante
La luna rossa
Feltrinelli
s.p.
4
4
Andrea Camilleri
Il corso delle cose
Sellerio
8
4
5
Luisa Adorno
Le dorate stanze
Sellerio
8
3
6
Paolo Sorrentino
Hanno tutti ragione
Feltrinelli
s.p.
2
7
Arnaldur Indriðason
Sotto la città
TEA
8,60
4
8
Andrea Vitali
La signorina Tecla Manzi
SuperPocket
5,90
3
9
Lucia Etxebarria
Beatriz e i corpi celesti
TEA
8,60
2
10
Davide Cammarone
Questo è un uomo
Sellerio
10
4
11
Andrea Camilleri Carlo Lucarelli
Acqua in bocca
Minimum fax
10
3
12
Roberto Saviano
Gomorra
Mondadori
10
5
13
Valentina Brunettin
I cani vanno avanti
Alet
10
3
Per finire, alcune notazioni: pur nell’iniziale dubbio se fosse troppa natura, devo dire che il viaggio australe mi è ben piaciuto, così come i miei degni compagni di viaggio. E mi è piaciuta anche la coda spagnola, su cui si ritornerà. Mi viene in mente il numero pre-estivo della rivista Lettera Internazionale (il 104), tutto dedicato al viaggio, dall’ovvio titolo “Sì, viaggiare”, con interessanti articoli (cito Mankell ed Augè) ed una citazione di Saramgo: “il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono”.

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