lunedì 26 marzo 2012

Onesti italiani - 14 novembre 2010

Questa settimana torniamo prepotentemente in Italia, con autori non belli, ma che sanno usare la penna (o quant’altro usano per scrivere). Insomma, degli onesti italiani. Una discreta nuova puntata dell’affresco degli anni trenta nella provincia Lombarda. Un thriller da rivedere tra Milano e la Valle d’Aosta. Un affresco di vita cittadina e dei percorsi d’amore. Buone prove. Insomma, un panorama che mi piace, nonostante i suoi alti e bassi.
Cominciamo con il medico lombardo e la saga di Bellano.
Andrea Vitali “La signorina Tecla Manzi” SuperPocket euro 5,90
[in: 16/04/2010 – out: 18/06/2010]
Un altro episodio della saga di Bellano. A suo modo, gradevole. Vitali scrive in modo scorrevole e, bene o male, le sue storie non perdono i fili. Ne getta tanti sulla graticola della trama, ma tutti trovano il loro nodo finale. E quando non lo trovano del tutto ci aspettiamo di trovarne traccia in altre storie, precedenti o seguenti. Anche qui siamo sempre a Bellano, ma questa volta la lente si sposta, a dispetto del titolo, sui carabinieri. Soprattutto sul brigadiere sardo e l’appuntato siculo che non trovano di meglio che darsi battaglia di temperamento in queste terre del Nord. E la battaglia si srotola lungo tutta quella serie di mini-episodi che fanno la vita di un luogo (verrebbe da dire che Vitali opera un po’ come un regista di reality che tiene sotto la sua lente tutto quello che accade). Abbiamo così il finto guaritore che sembra paragoni vermi a Mussolini, scatenando le inchieste della polizia. Abbiamo la scomparsa di un “sacro volto di Gesù” che scatena le ansie religiose della signorina Tecla. Abbiamo una tomba aperta dove dovrebbe essere sepolto il Perego, grande usuraio del paese da non molto deceduto, e che invece contiene le spoglie di una donna. Abbiamo l’amore (forse) del brigadiere Efisio per la bella Osmide (e devo riconoscere la passione con cui Vitali risuscita nomi ormai desueti). Abbiamo lo strano suicidio del banchiere e la morte violenta del capomastro. Ed abbiamo quei numeri giocati a lotto e che mai sono usciti e che forse nascondono altri misteri (vediamo se ne trovate almeno uno). Quella sestina 13 – 17 – 11 – 9 – 4 – 5. Il tutto condito con il solito stile asciutto e scarno, che fa si che i capitoli si srotolino in poche pagine, se non in poche righe. Per dare un bel ritmo al raccontare. Questa poi è un po’ la cifra dello stile di Vitali. Poche righe, subito nel centro del problema. Poi ci si torna. Poi si sospende a mezzo una riflessione e si riprende pochi capitoli più in là. Emerge sempre (e questo è il lato migliore) quella Italia minuta, fatta di rancori e di amicizie, di vendette lasciate sopire per anni, di denuncie alle autorità per le piccole angherie della vita, delle piccole soperchierie che l’autorità perpetra per mantenere la propria stessa autorità. In fondo è un “desolante” quadro di un’Italia che era ma che purtroppo molto spesso ancora è. Alla fine tutti i misteri si svelano, si è gettato un occhio sulle lunghe storie di vita di Ercole Perego, di Tecla Manzi, di Efisio Mannu, e via tirando nomi e fatti. Alla fine non arrivano segnali forti, e noterete che non mi sono rimaste frasi nella penna. Ma un piccolo senso di quiete in un oceano di tempeste. Una piacevole lettura, cullato dalla vista di un mare calmo e di un caldo sole toscano.
Passiamo alla signora del gruppo ed al solito noir della settimana.
Elisabetta Bucciarelli “Io ti perdono” Kowalski euro 14 (in realtà, scontato 10,80 euro)
[in: 13/04/2010 – out: 17/07/2010]
Io invece non ti perdono tanto. Non perché sia brutto, anzi ha anche delle parti interessanti. Ma ci sono due elementi che mi hanno “freddato”: la pedofilia (o la violenza sui bambini, in genere), ed alcuni modi di scrivere, quasi passando dal soggettivo all’onnisciente (che rendono alcune parti del libro pesanti). È in fondo un libro pieno di possibilità, ma che a volte non riescono ad emergere, rimanendo invischiate in troppi pensieri ed in momenti di scrittura che a me non piacciono (quel tipo di scrittura che dice e non dice, che ti vuol far sapere che io, autore, so scrivere e so di cosa parlo, ma non ho voglia di dirti tutto e ti lascio un po’ sospeso; ma questa sospensione a volte e solo incapacità di portare il narrato alle sue conseguenze). Quindi si intrecciano storie in questa Milano dei giorni nostri, con ampie puntate nella frescura della verde Valle d’Aosta, lì dove scompaiono bimbi, o quanto meno subiscono violenze. Che alla fine sembrano meno gravi di quanto potevano essere ma sempre traumatiche sono (e c’è qualche eco di Cogne, in tutto ciò?). E poi la ricerca dello sfruttatore delle prostitute, che porta a ritrovamenti di corpi quasi da Cold Case. Il vecchio rockettaro ed il suo Bob Dylan d’amore. Per finire con la vicenda privata della protagonista, difficile fin dal nome con quel suo Maria Dolores che secondo me è un po’ pesante. Con la sua storia privata (chi è? da dove viene? Perché è stata radiata dall’albo degli psicologi?) e le sue storie attuali d’amore combattute tra un sentimento intenso ma ordinato ed una passione che sarebbe fuori le righe e devastante. Così saltabeccando tra i vari rivoli della storia, tornando come un pendolo verso il corso principale ed a quella domanda di fondo: solo Dio può perdonare il peccato, l’uomo, al più, può perdonare il peccatore, a poco a poco gli affluenti si seccano, o trovano il loro sbocco, ed anche il grande fiume troverà il suo mare. Diciamo anche di un bel colpo di reni nelle pagine finali, ma che non riscattano le altre 250. Soprattutto perché, ai miei occhi, molte fini si rivelano affrettate. Sì, certo, capiamo come va a finire (a volte intuiamo) ma due parole in più si potevano spendere. Certo, bisogna sempre trovare quel famoso equilibrio tra il dire, il dire poco ed il dire molto, tre capi del problema che sono senza soluzione. O meglio la soluzione l’abbiamo noi lettori: quando non ci annoiamo, quando seguiamo l’autore nei suoi giri, allora si è arrivati a quel dire giusto, che non è né poco né tanto. Qui a volte si dice troppo (ed in modo contorto) ed a volte si dice poco. Insomma una prova interessante di spunti, mal riuscita come esito finale. Vedremo nel futuro.
“Il sesso non è la stessa cosa di un pensiero fisso che non ti abbandona per tutto ilo giorno. Il desiderio dei corpi si esaurisce, lentamente magari. Quello delle anime no.” (89)
Finiamo con il campano che mi fece arrabbiare con le sue idee su canzoni e racconti (non perché brutte, ma perché me le ruba).
Diego De Silva “La donna di scorta” Einaudi euro 9,50 (in realtà, scontato 7,60 euro)
[in: 23/04/2010 – out: 26/07/2010]
De Silva sa usare le parole, ed anche in questo libro (che poi è il suo primo pubblicato a 37 anni) narra, dice, svolge la storia, ed in un certo qual modo non ti lascia dalla prima all’ultima pagina. Anche la materia è ben scelta, in fondo  parliamo sempre e comunque d’amore, in tutte le forme, in tutti i risvolti. Allora cosa non mi convince? Non riesco a focalizzarlo fino in fondo. Vediamo un po’ la storia: Livio è sposato con Laura ed hanno una bella figlia di sette anni; un giorno per caso incontra Dorina e se ne innamora perdutamente. Livio non sa decidere tra i due sentimenti. E Dorina nulla gli chiede, non vuole prendere il posto della moglie, riconosce di essere viva solo perché viene amata. E questa mancanza di richieste è ciò che manda in tilt il sistema di vita di Livio, che si trova ad affrontare un sistema di valori che non è suo, che non sa riconoscere e verso cui non sa come comportarsi. Forse dovrebbe capire chi è, dentro, internamente. Ma è un percorso che non riesce a fare. Ecco, questo è uno degli elementi defocalizzanti. Perché esternamente è possibile che si sia confusi, che si navighi a vista, ma in qualche strato interno c’è una consapevolezza, una visione di quello che stiamo facendo. Forse inconfessata, ma c’è. E quando tutto si srotola, a quell’io profondo bisogna tornare. Magari si continueranno a fare stupidaggini, ma stupidaggini consapevoli. Qui, sembra che Livio si lasci trasportare dalle onde, a volte felice, a volte depresso, quasi senza motivo, trascinando gli altri nei suoi alti e bassi, facendo loro del bene o del male, sempre inconsapevolmente, inavvertitamente. Non dico che si è sempre presenti, duri e puri, ma quando si arriva a dei nodi, bisogni prendere una decisione, fosse anche quella di lasciare che i nodi siano annodati. Ma sono sempre decisioni coscienti. Il fatto di non riuscire ad entrare in questo modo di agire dei personaggi mi ha da un lato fatto leggere il libro di corsa, per vedere se riuscivano a prendere coscienza, a dire qualcosa a sé stessi, dall’altra mi ha escluso dal libro, che non riesco a trovare ragione in questo modo di ragionare. E poi mi dico sempre (come in uno degli ultimi libri letti) l’autore si spalma sulla sua opera, e tira fuori in ogni caso sé stesso, anche nei personaggi che sembrano a lui distanti o da cui prende le distanze. Ma se questo è il mondo del buon De Silva, io lo leggo, ma non lo capisco. Non perché non capisca che ci si possa innamorare, che si possa buttare a mare tutto e ricominciare, o buttare il nuovo per restare fedeli ad un vecchio che non è male, anzi forse è migliore. Che groviglio! Che matassa inestricabile! Ma devo comunque ringraziare De Silva per aver sollevato una botola di problemi, in modo diverso dal mio, quindi con modalità che voglio vedere, discutere, capire. Al solito, ho la mia verità, ma non ritengo sia l’unica, né che sia LA VERITÀ. Insomma, caro Diego, questo tuo primo libro di dieci anni fa, con alti e bassi, si fa ancora leggere. E la tua scrittura, nonostante tutto, non mi dispiace. E quel che ho letto prima di ciò che hai scritto dopo, rimane comunque interessante. Un’onesta prova.  
“A che serve sapere tutto dell’altro? Guarda che nessuno è un gran che, una volta che lo conosci” (45)
Siamo già a metà Novembre, e Natale si avvicina a grandi falcate. E non abbiamo ancora deciso dove andare. E non abbiamo deciso cosa fare il 1° di Dicembre (che c’entra direte voi? Io lo so e ve lo dirò poi). Come diceva Battiato nel primo “Fleurs” siamo riusciti ad invecchiare senza diventare grandi. Comunque e sempre una buona settimana a tutti, a chi si trascina e a chi ricomincia a correre.

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