Cominciamo
con il medico lombardo e la saga di Bellano.
Andrea Vitali “La signorina Tecla Manzi”
SuperPocket euro 5,90
[in: 16/04/2010 – out: 18/06/2010]
Un
altro episodio della saga di Bellano. A suo modo, gradevole. Vitali scrive in
modo scorrevole e, bene o male, le sue storie non perdono i fili. Ne getta
tanti sulla graticola della trama, ma tutti trovano il loro nodo finale. E
quando non lo trovano del tutto ci aspettiamo di trovarne traccia in altre
storie, precedenti o seguenti. Anche qui siamo sempre a Bellano, ma questa
volta la lente si sposta, a dispetto del titolo, sui carabinieri. Soprattutto
sul brigadiere sardo e l’appuntato siculo che non trovano di meglio che darsi
battaglia di temperamento in queste terre del Nord. E la battaglia si srotola
lungo tutta quella serie di mini-episodi che fanno la vita di un luogo
(verrebbe da dire che Vitali opera un po’ come un regista di reality che tiene
sotto la sua lente tutto quello che accade). Abbiamo così il finto guaritore
che sembra paragoni vermi a Mussolini, scatenando le inchieste della polizia.
Abbiamo la scomparsa di un “sacro volto di Gesù” che scatena le ansie religiose
della signorina Tecla. Abbiamo una tomba aperta dove dovrebbe essere sepolto il
Perego, grande usuraio del paese da non molto deceduto, e che invece contiene
le spoglie di una donna. Abbiamo l’amore (forse) del brigadiere Efisio per la
bella Osmide (e devo riconoscere la passione con cui Vitali risuscita nomi
ormai desueti). Abbiamo lo strano suicidio del banchiere e la morte violenta
del capomastro. Ed abbiamo quei numeri giocati a lotto e che mai sono usciti e
che forse nascondono altri misteri (vediamo se ne trovate almeno uno). Quella
sestina 13 – 17 – 11 – 9 – 4 – 5. Il tutto condito con il solito stile asciutto
e scarno, che fa si che i capitoli si srotolino in poche pagine, se non in
poche righe. Per dare un bel ritmo al raccontare. Questa poi è un po’ la cifra
dello stile di Vitali. Poche righe, subito nel centro del problema. Poi ci si
torna. Poi si sospende a mezzo una riflessione e si riprende pochi capitoli più
in là. Emerge sempre (e questo è il lato migliore) quella Italia minuta, fatta di
rancori e di amicizie, di vendette lasciate sopire per anni, di denuncie alle
autorità per le piccole angherie della vita, delle piccole soperchierie che
l’autorità perpetra per mantenere la propria stessa autorità. In fondo è un
“desolante” quadro di un’Italia che era ma che purtroppo molto spesso ancora è.
Alla fine tutti i misteri si svelano, si è gettato un occhio sulle lunghe
storie di vita di Ercole Perego, di Tecla Manzi, di Efisio Mannu, e via tirando
nomi e fatti. Alla fine non arrivano segnali forti, e noterete che non mi sono
rimaste frasi nella penna. Ma un piccolo senso di quiete in un oceano di
tempeste. Una piacevole lettura, cullato dalla vista di un mare calmo e di un
caldo sole toscano.
Passiamo
alla signora del gruppo ed al solito noir della settimana.
Elisabetta Bucciarelli “Io ti perdono”
Kowalski euro 14 (in realtà, scontato 10,80 euro)
[in: 13/04/2010 – out: 17/07/2010]
Io
invece non ti perdono tanto. Non perché sia brutto, anzi ha anche delle parti
interessanti. Ma ci sono due elementi che mi hanno “freddato”: la pedofilia (o
la violenza sui bambini, in genere), ed alcuni modi di scrivere, quasi passando
dal soggettivo all’onnisciente (che rendono alcune parti del libro pesanti). È
in fondo un libro pieno di possibilità, ma che a volte non riescono ad
emergere, rimanendo invischiate in troppi pensieri ed in momenti di scrittura
che a me non piacciono (quel tipo di scrittura che dice e non dice, che ti vuol
far sapere che io, autore, so scrivere e so di cosa parlo, ma non ho voglia di
dirti tutto e ti lascio un po’ sospeso; ma questa sospensione a volte e solo
incapacità di portare il narrato alle sue conseguenze). Quindi si intrecciano
storie in questa Milano dei giorni nostri, con ampie puntate nella frescura
della verde Valle d’Aosta, lì dove scompaiono bimbi, o quanto meno subiscono
violenze. Che alla fine sembrano meno gravi di quanto potevano essere ma sempre
traumatiche sono (e c’è qualche eco di Cogne, in tutto ciò?). E poi la ricerca
dello sfruttatore delle prostitute, che porta a ritrovamenti di corpi quasi da
Cold Case. Il vecchio rockettaro ed il suo Bob Dylan d’amore. Per finire con la
vicenda privata della protagonista, difficile fin dal nome con quel suo Maria
Dolores che secondo me è un po’ pesante. Con la sua storia privata (chi è? da dove
viene? Perché è stata radiata dall’albo degli psicologi?) e le sue storie
attuali d’amore combattute tra un sentimento intenso ma ordinato ed una
passione che sarebbe fuori le righe e devastante. Così saltabeccando tra i vari
rivoli della storia, tornando come un pendolo verso il corso principale ed a
quella domanda di fondo: solo Dio può perdonare il peccato, l’uomo, al più, può
perdonare il peccatore, a poco a poco gli affluenti si seccano, o trovano il
loro sbocco, ed anche il grande fiume troverà il suo mare. Diciamo anche di un
bel colpo di reni nelle pagine finali, ma che non riscattano le altre 250.
Soprattutto perché, ai miei occhi, molte fini si rivelano affrettate. Sì,
certo, capiamo come va a finire (a volte intuiamo) ma due parole in più si potevano
spendere. Certo, bisogna sempre trovare quel famoso equilibrio tra il dire, il
dire poco ed il dire molto, tre capi del problema che sono senza soluzione. O
meglio la soluzione l’abbiamo noi lettori: quando non ci annoiamo, quando
seguiamo l’autore nei suoi giri, allora si è arrivati a quel dire giusto, che
non è né poco né tanto. Qui a volte si dice troppo (ed in modo contorto) ed a
volte si dice poco. Insomma una prova interessante di spunti, mal riuscita come
esito finale. Vedremo nel futuro.
“Il sesso non è la stessa cosa di un pensiero fisso che non ti
abbandona per tutto ilo giorno. Il desiderio dei corpi si esaurisce, lentamente
magari. Quello delle anime no.” (89)
Finiamo con il campano che mi
fece arrabbiare con le sue idee su canzoni e racconti (non perché brutte, ma
perché me le ruba).
Diego De Silva “La donna di scorta” Einaudi
euro 9,50 (in realtà, scontato 7,60 euro)
[in: 23/04/2010 – out: 26/07/2010]
De
Silva sa usare le parole, ed anche in questo libro (che poi è il suo primo
pubblicato a 37 anni) narra, dice, svolge la storia, ed in un certo qual modo
non ti lascia dalla prima all’ultima pagina. Anche la materia è ben scelta, in
fondo parliamo sempre e comunque
d’amore, in tutte le forme, in tutti i risvolti. Allora cosa non mi convince?
Non riesco a focalizzarlo fino in fondo. Vediamo un po’ la storia: Livio è sposato
con Laura ed hanno una bella figlia di sette anni; un giorno per caso incontra
Dorina e se ne innamora perdutamente. Livio non sa decidere tra i due
sentimenti. E Dorina nulla gli chiede, non vuole prendere il posto della
moglie, riconosce di essere viva solo perché viene amata. E questa mancanza di
richieste è ciò che manda in tilt il sistema di vita di Livio, che si trova ad
affrontare un sistema di valori che non è suo, che non sa riconoscere e verso
cui non sa come comportarsi. Forse dovrebbe capire chi è, dentro, internamente.
Ma è un percorso che non riesce a fare. Ecco, questo è uno degli elementi
defocalizzanti. Perché esternamente è possibile che si sia confusi, che si
navighi a vista, ma in qualche strato interno c’è una consapevolezza, una visione
di quello che stiamo facendo. Forse inconfessata, ma c’è. E quando tutto si
srotola, a quell’io profondo bisogna tornare. Magari si continueranno a fare
stupidaggini, ma stupidaggini consapevoli. Qui, sembra che Livio si lasci
trasportare dalle onde, a volte felice, a volte depresso, quasi senza motivo,
trascinando gli altri nei suoi alti e bassi, facendo loro del bene o del male,
sempre inconsapevolmente, inavvertitamente. Non dico che si è sempre presenti,
duri e puri, ma quando si arriva a dei nodi, bisogni prendere una decisione,
fosse anche quella di lasciare che i nodi siano annodati. Ma sono sempre
decisioni coscienti. Il fatto di non riuscire ad entrare in questo modo di
agire dei personaggi mi ha da un lato fatto leggere il libro di corsa, per
vedere se riuscivano a prendere coscienza, a dire qualcosa a sé stessi,
dall’altra mi ha escluso dal libro, che non riesco a trovare ragione in questo
modo di ragionare. E poi mi dico sempre (come in uno degli ultimi libri letti)
l’autore si spalma sulla sua opera, e tira fuori in ogni caso sé stesso, anche
nei personaggi che sembrano a lui distanti o da cui prende le distanze. Ma se
questo è il mondo del buon De Silva, io lo leggo, ma non lo capisco. Non perché
non capisca che ci si possa innamorare, che si possa buttare a mare tutto e
ricominciare, o buttare il nuovo per restare fedeli ad un vecchio che non è
male, anzi forse è migliore. Che groviglio! Che matassa inestricabile! Ma devo
comunque ringraziare De Silva per aver sollevato una botola di problemi, in
modo diverso dal mio, quindi con modalità che voglio vedere, discutere, capire.
Al solito, ho la mia verità, ma non ritengo sia l’unica, né che sia LA VERITÀ.
Insomma, caro Diego, questo tuo primo libro di dieci anni fa, con alti e bassi,
si fa ancora leggere. E la tua scrittura, nonostante tutto, non mi dispiace. E
quel che ho letto prima di ciò che hai scritto dopo, rimane comunque
interessante. Un’onesta prova.
“A che serve sapere tutto dell’altro? Guarda
che nessuno è un gran che, una volta che lo conosci” (45)
Siamo
già a metà Novembre, e Natale si avvicina a grandi falcate. E non abbiamo
ancora deciso dove andare. E non abbiamo deciso cosa fare il 1° di Dicembre
(che c’entra direte voi? Io lo so e ve lo dirò poi). Come diceva Battiato nel
primo “Fleurs” siamo riusciti ad invecchiare senza diventare grandi. Comunque e
sempre una buona settimana a tutti, a chi si trascina e a chi ricomincia a
correre.
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