martedì 20 marzo 2012

Italia minore - 10 ottobre 2010

Non nel senso di meno importante, ma perché i libri di oggi mi sono piaciuti meno del solito. Tre autori italiani, diciamo degnamente scrittori, anche se principalmente uno è giornalista, uno nasce disegnatore ed uno regista. Che sanno usare la penna indubbiamente, ma che, in queste tre prove mi hanno convinto meno del solito.
Cominciamo con il giornalista di cronaca nera di Repubblica che mi aveva intrigato (anche se on convinto) con il primo libro di una sua saga su emarginati e sul personaggio “out” di Lupo Solitario (anche se a questo preferisco lo stile giornalistico).
Massimo Lugli “L’istinto del Lupo” Newton Compton euro 4,90
[in: 16/04/2010 – out: 02/05/2010]
Migliora, anche se con alti e bassi, rispetto al primo letto un paio di anni fa. Nel frattempo, ho letto qualche sua cronaca sulle pagine di Repubblica, e l’ho trovata piacevole. Quando si sanno mettere le parole una dietro l’altra, anche narrare di scippi e simili diventa un gradevole modo di porgere. Qui poi torniamo sul suo personaggio topico, il famoso Lupo Solitario del primo romanzo. E ne incontriamo bene o male la genesi, passando per tutta l’infanzia ed adolescenza, fino a trovarsi ad essere quel Lupo che ricordiamo del primo libro. In linguaggio cinematografico, sarebbe un “pre-quel”, dove ciò si narrano vicende anteriori. E qui c’è tutto l’anteriore del Lupo. Dell’infanzia con Mamma e Papà, dei primi turbamenti, del nascere della propria identità, della cattiveria scolastica (più dei coetanei, tra l’altro), del cane cui ci si affeziona, delle prime pulsioni sessuali. Fino all’incontro karmico con Tamoa ed il suo mondo, che come un turbine si abbatte su di lui. Certo, solitario era fin da piccolo, con una speciale empatia per gli animali, cui sentiva palpabilmente le sofferenze. Ma è dall’incontro con il vero solitario che esce fuori questo suo disadattarsi ad un mondo di regole e di convenzioni. Tamoa incarna quel filo sottile su cui si cammina (e ritorna in mente “l’equilibrio sopra la follia” del buon Vasco). Basta un pelo per stare qui o lì, a volte casualmente, a volte perché gli avvenimenti accadano e ci si ritrova a fare passo dopo passo scelte di per sé giuste ma nel complesso… non direi sbagliate, perché non è vero, ma difficili. Il buon corso in fuga da sé stesso gli figura quel padre, quel fratello maggiore che non ha avuto, si mette sul suo piano e gli travasa la sua conoscenza e le sue “perle” di vita. Non è un buono, non è e non sarà mai un santo, gli dà gli strumenti per vivere. Certo è un esempio forte, e come tutti i giovani un forte esempio è spesso fonte di immedesimazioni che vanno al di là del ragionamento. E che lo porteranno alle scelte, attuali e future, della propria vita. Torniamo anche qui ad incontrarci con quell’umanità ai margini, che da buon cronista di cronaca Lugli incontra ad ogni piè sospinto nella vita. E ce ne fa apprezzare il lato umano. Non nascondendoci che non sono rose e fiori, non è che tutto quello che fanno i barboni è un esempio di vita. Ma esistono, e Lugli non si tira indietro dal mostrarcelo. Poi c’è anche la vicenda umana, che seguiamo sul filo delle pagine, la ricerca dei cattivi che da qualche parte sono sempre presenti. Non se ne esce con il sorriso sulle labbra, anzi se ne esce con qualche domanda in più. Ma c’è voluto del coraggio a scriverne, ed è piacevole bere anche delle bevande amare. Forse non ci piacciono del tutto, ma se esistono (ed esistono), è bene conoscerle, ed avere un fratello maggiore che te ne parla.  Un appunto finale alla da me sempre non amata Newton Compton: perché lasciare scritto a pagina 292 che beveva Pernot, quando si sa che si beve Pernod (mentre i Normanni bevevan Calvados, come diceva Queneau)?
“Avevo imparato l’unica regola … che si era dimenticato di insegnarmi: un favore non si rifiuta mai, un aiuto non si contraccambia e non si paga. Si accetta” (251)
Passiamo, scendendo nel gradimento, al disegnatore satirico nonché commentatore nonché colonna di Emergency.
 Vauro Senesi “Il mago del vento” Piemme euro 6,50
[in: 21/03/2010 – out: 04/05/2010]
Pur preferendo i disegni alla scrittura, ci sono passi ed idee interessanti. Però con delle toccate volutamente politiche che a volte suonano un po’ forzate, soprattutto l’inizio e la fine, che sembrano quasi appiccicate dopo, a chiudere in un senso altro una favola comunque interessante. Si vuol dire che la guerra è sempre inutile? Che a volte (quasi sempre) tra chi uccide e chi muore c’è un bilancio di parità tra bontà e cattiveria? Sarò criptico (a volte non si può dire tutto di un libro) ma l’inizio e la fine li avrei tagliati (lasciando solo il bellissimo incontro con la “principessa”, toccante e illuminante). Ma il centro, la storia, è di altro taglio e, anche se lenta, scorre con interesse. Da un lato il vivere campagnolo di una comune famiglia irachena, con tutti gli alti e i bassi della campagna, dei rapporti familiari, e dei rapporti con il potere, lontano ma sempre troppo presente. Così vediamo Ali che parte per il fronte iraniano, e tutto quello che succede, e la guerra con il Kuwait, ed il tracollo del padre sotto il peso della vita che non capisce. E dall’altro, LA storia (quella maiuscola, quella che dovrebbe tenere il filo) con Fahim che, per malattia?, per miracolo?, per caso?, diventa improvvisamente sordo, ma aiutato dallo storpio Hassan a poco a poco fa di questo diversa abilità la prima fonte del proprio essere, fino a trovare la sintonia con i piccioni, e trovarsi con loro a girare per il cielo con gli occhi della mente. Ed a trovarsi a cercare ed a scoprire la sintonia con le cose cosiddette inanimate. Con le rocce, ma soprattutto con gli alberi, e con le palme da dattero. Assistiamo così al crescere ed al prendere sempre più coscienza della propria libertà. Perché seppur sordo, come dice Hassan, Fahim ascolta. E con i suoi piccioni volanti celebrerà la caduta di Saddam. Ma non sarà (e qui sono d’accordo con l’idea di Vauro, anche se non esce bene dalle pagine) una “liberazione”. La caduta del “tiranno” non è conseguenza o prodromo di una presa di coscienza. È imposta da quei carri armati americani, che vediamo all’inizio ed alla fine del racconto. E che hanno deciso autonomamente di venirli a “liberare”. Ma a loro, i campagnoli (ma anche i cittadini, e gli iracheni tutti) non resta che seguire il volo dei piccioni di Fahim, sperando un giorno di liberarsi in volo come loro. La favola è carina. La resa totale un po’ moscia. Ma sempre un appoggio meritano Vauro, Gino Strada e tutti gli amici di Emergency.
“Sordo non è colui che non sente, sordo è chi non ascolta” (168)
“Tutto ciò che devi sapere è già dentro di te. Nessuno può insegnartelo perché ti appartiene. Solo che devi scoprire di averlo, accettarlo e imparare a usarlo. Forse in quest’ultima cosa sì, io posso aiutarti, come la vita stessa nel suo accadere ti aiuta segnalandoti un cammino, il tuo cammino. Ma tu devi cogliere i segnali che ti dà, non dolertene o lamentartene perché altrimenti ti perderai per strada e sarai sempre infelice, ché quando non si conosce ciò che si ha si desidera continuamente altro e il desiderio acceca lo spirito” (198)
Terminiamo la discesa del gradimento con l’ottimo regista napoletano.
Paolo Sorrentino “Hanno tutti ragione” Feltrinelli s.p. (Regalo di Rosa-Emilio)
[in: 07/05/2010 – out: 14/06/2010]
Andava letto, ci sono passi grottescamente piacevoli, ma nel complesso non mi è piaciuto. Un lungo monologo che racconta la vita, con tutti i suoi alti e bassi, del grande Tony Pagoda, cantante napoletano di belle maniere (canore) che un giorno ha cantato davanti a Frank Sinatra. E che si è accompagnato in gioventù (sua) con Peppino di Capri. Ce lo dobbiamo immaginare con la faccia di Toni Servillo, perché così acquista una sua dimensione. E Sorrentino riprende gli eccessi dei suoi film migliori, mescolando la straniazione delle Conseguenze dell’amore con il truculento andare de L’amico di famiglia. E quindi, eccessi, cocaina come se piovesse, amori, furori, piccoli e grandi drammi quotidiani. Fino alla rottura, al non poterne più. A fuggire per vent’anni in Brasile. Ma non quello dorato di Ipanema, ma quello umido e scarafaggesco di Manaus. Dove vivono le donne più belle del mondo. E gli scarafaggi più antipatici. Per poi chiudere mestamente la parabola, tornando in Italia, al servizio di questa nuova classe dirigente senza spina dorsale, ma con tanti, tanti soldi. Dove incontra il ruffiano Tonino Paziente, che gli spiega la regola della vita. Qui, hanno tutti ragione. Ed è ovvio che Sorrentino prende ironicamente le distanze da questo mondo. Lo fa vedere in tutta la sua becera lordura. Tanto che a ritroso apprezziamo il commento del grande paroliere di Tony Pagoda, che odia tutto il mondo, ed ama solo le sfumature. Ecco qui le sfumature non ci sono. Ci sono torrenti in piena di parole. Sensazioni, giudizi, visioni del mondo. Ho narrato a grandi linee la trama perché poi ci si perde dentro. Cioè la trama non sarebbe capace di supportare così le più di 300 pagine delle parole di Tony. E questo me lo ha reso difficoltoso. Non capivo cosa voleva, cosa vuole dirmi. Dove mette le luci e dove le ombre. Io forse ho un mondo troppo schematico rispetto alla realtà. A volte, mi perdo molti toni di grigio. Ed ho bisogno di fare il tifo per qualcuno. Qui, non ci sono riuscito. Al massimo, ho fatto il tifo per gli scarafaggi che riuscivano a fare il guado nei bicchieri pieni d’acqua posti ai piedini del letto (e ne ricordo ancora, come invece non ci riuscirono nell’Amazzonia peruviana di Puerto Maldonado). E quando Mimmo, o Tony, o Tonino, o altri e altri, pontificano, io non vedevo l’ora che si arrivasse ad una nuova pagina, ad un nuovo momento della vita. Ecco, forse è una vita, ma non è la mia. Non la riconosco, e questo mi ha mandato in difficoltà. E non capisco gli osanna che si susseguono. Sorrentino è un ottimo regista. A me, come scrittore, non piace.
“Sempre la stessa rovinosa caduta nei matrimoni, col tempo ci si concentra nei dettagli, perdendo di vista l’ambizioso progetto iniziale. Forse perché quel progetto iniziale non era poi così ambizioso come si credeva.” (80)
“Ad un certo punto … avverti senza fondati motivi .. che si sta abbattendo la fine di un periodo. Dagli e dagli, poi lo capisci, che il gesto si fa meccanico, la battaglia stanca. Gli uomini, limitrofi alla tua esistenza, amici e conoscenti, prima erano uomini, ora sono comparse… sono trasparenti.” (187)
“è che io stanziale lo sono fino ad un certo punto. Ci ho il nomadismo al posto del deodorante sotto le ascelle, io.” (215)
“certe verità andrebbero sottaciute per sempre. Perché interrompono le amicizie. Le lacerano. Sono certi bluff che tengono vive le relazioni.” (257)
Detto anche che questa è la settimana centrale della Bilancia, mio pacato ascendente, facciamo un sentito omaggio a tutte le bilancine, in primis ovviamente mia madre.
Detto infine che oggi è un giorno cabalistico (10/10/10), sarà tuttavia ancora una settimana di passaggio e di passaggi. Vedremo…

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