Cominciamo con il giornalista di
cronaca nera di Repubblica che mi aveva intrigato (anche se on convinto) con il
primo libro di una sua saga su emarginati e sul personaggio “out” di Lupo
Solitario (anche se a questo preferisco lo stile giornalistico).
Massimo Lugli “L’istinto del Lupo” Newton
Compton euro 4,90
[in: 16/04/2010 – out: 02/05/2010]
Migliora,
anche se con alti e bassi, rispetto al primo letto un paio di anni fa. Nel
frattempo, ho letto qualche sua cronaca sulle pagine di Repubblica, e l’ho
trovata piacevole. Quando si sanno mettere le parole una dietro l’altra, anche
narrare di scippi e simili diventa un gradevole modo di porgere. Qui poi
torniamo sul suo personaggio topico, il famoso Lupo Solitario del primo
romanzo. E ne incontriamo bene o male la genesi, passando per tutta l’infanzia
ed adolescenza, fino a trovarsi ad essere quel Lupo che ricordiamo del primo
libro. In linguaggio cinematografico, sarebbe un “pre-quel”, dove ciò si
narrano vicende anteriori. E qui c’è tutto l’anteriore del Lupo. Dell’infanzia
con Mamma e Papà, dei primi turbamenti, del nascere della propria identità,
della cattiveria scolastica (più dei coetanei, tra l’altro), del cane cui ci si
affeziona, delle prime pulsioni sessuali. Fino all’incontro karmico con Tamoa
ed il suo mondo, che come un turbine si abbatte su di lui. Certo, solitario era
fin da piccolo, con una speciale empatia per gli animali, cui sentiva
palpabilmente le sofferenze. Ma è dall’incontro con il vero solitario che esce
fuori questo suo disadattarsi ad un mondo di regole e di convenzioni. Tamoa
incarna quel filo sottile su cui si cammina (e ritorna in mente “l’equilibrio
sopra la follia” del buon Vasco). Basta un pelo per stare qui o lì, a volte
casualmente, a volte perché gli avvenimenti accadano e ci si ritrova a fare
passo dopo passo scelte di per sé giuste ma nel complesso… non direi sbagliate,
perché non è vero, ma difficili. Il buon corso in fuga da sé stesso gli figura
quel padre, quel fratello maggiore che non ha avuto, si mette sul suo piano e
gli travasa la sua conoscenza e le sue “perle” di vita. Non è un buono, non è e
non sarà mai un santo, gli dà gli strumenti per vivere. Certo è un esempio
forte, e come tutti i giovani un forte esempio è spesso fonte di
immedesimazioni che vanno al di là del ragionamento. E che lo porteranno alle
scelte, attuali e future, della propria vita. Torniamo anche qui ad incontrarci
con quell’umanità ai margini, che da buon cronista di cronaca Lugli incontra ad
ogni piè sospinto nella vita. E ce ne fa apprezzare il lato umano. Non
nascondendoci che non sono rose e fiori, non è che tutto quello che fanno i
barboni è un esempio di vita. Ma esistono, e Lugli non si tira indietro dal
mostrarcelo. Poi c’è anche la vicenda umana, che seguiamo sul filo delle
pagine, la ricerca dei cattivi che da qualche parte sono sempre presenti. Non
se ne esce con il sorriso sulle labbra, anzi se ne esce con qualche domanda in
più. Ma c’è voluto del coraggio a scriverne, ed è piacevole bere anche delle
bevande amare. Forse non ci piacciono del tutto, ma se esistono (ed esistono),
è bene conoscerle, ed avere un fratello maggiore che te ne parla. Un appunto finale alla da me sempre non amata
Newton Compton: perché lasciare scritto a pagina 292 che beveva Pernot, quando
si sa che si beve Pernod (mentre i Normanni bevevan Calvados, come diceva
Queneau)?
“Avevo imparato l’unica regola … che si era dimenticato di insegnarmi:
un favore non si rifiuta mai, un aiuto non si contraccambia e non si paga. Si
accetta” (251)
Passiamo, scendendo nel
gradimento, al disegnatore satirico nonché commentatore nonché colonna di
Emergency.
Vauro
Senesi “Il mago del vento” Piemme euro 6,50
[in: 21/03/2010 – out: 04/05/2010]
Pur
preferendo i disegni alla scrittura, ci sono passi ed idee interessanti. Però
con delle toccate volutamente politiche che a volte suonano un po’ forzate,
soprattutto l’inizio e la fine, che sembrano quasi appiccicate dopo, a chiudere
in un senso altro una favola comunque interessante. Si vuol dire che la guerra
è sempre inutile? Che a volte (quasi sempre) tra chi uccide e chi muore c’è un
bilancio di parità tra bontà e cattiveria? Sarò criptico (a volte non si può
dire tutto di un libro) ma l’inizio e la fine li avrei tagliati (lasciando solo
il bellissimo incontro con la “principessa”, toccante e illuminante). Ma il
centro, la storia, è di altro taglio e, anche se lenta, scorre con interesse.
Da un lato il vivere campagnolo di una comune famiglia irachena, con tutti gli
alti e i bassi della campagna, dei rapporti familiari, e dei rapporti con il
potere, lontano ma sempre troppo presente. Così vediamo Ali che parte per il
fronte iraniano, e tutto quello che succede, e la guerra con il Kuwait, ed il
tracollo del padre sotto il peso della vita che non capisce. E dall’altro, LA
storia (quella maiuscola, quella che dovrebbe tenere il filo) con Fahim che,
per malattia?, per miracolo?, per caso?, diventa improvvisamente sordo, ma
aiutato dallo storpio Hassan a poco a poco fa di questo diversa abilità la
prima fonte del proprio essere, fino a trovare la sintonia con i piccioni, e
trovarsi con loro a girare per il cielo con gli occhi della mente. Ed a
trovarsi a cercare ed a scoprire la sintonia con le cose cosiddette inanimate.
Con le rocce, ma soprattutto con gli alberi, e con le palme da dattero.
Assistiamo così al crescere ed al prendere sempre più coscienza della propria
libertà. Perché seppur sordo, come dice Hassan, Fahim ascolta. E con i suoi
piccioni volanti celebrerà la caduta di Saddam. Ma non sarà (e qui sono
d’accordo con l’idea di Vauro, anche se non esce bene dalle pagine) una
“liberazione”. La caduta del “tiranno” non è conseguenza o prodromo di una
presa di coscienza. È imposta da quei carri armati americani, che vediamo
all’inizio ed alla fine del racconto. E che hanno deciso autonomamente di
venirli a “liberare”. Ma a loro, i campagnoli (ma anche i cittadini, e gli
iracheni tutti) non resta che seguire il volo dei piccioni di Fahim, sperando
un giorno di liberarsi in volo come loro. La favola è carina. La resa totale un
po’ moscia. Ma sempre un appoggio meritano Vauro, Gino Strada e tutti gli amici
di Emergency.
“Sordo non è colui che non sente, sordo è chi non ascolta” (168)
“Tutto ciò che devi sapere è già dentro di te. Nessuno può insegnartelo
perché ti appartiene. Solo che devi scoprire di averlo, accettarlo e imparare a
usarlo. Forse in quest’ultima cosa sì, io posso aiutarti, come la vita stessa
nel suo accadere ti aiuta segnalandoti un cammino, il tuo cammino. Ma tu devi cogliere
i segnali che ti dà, non dolertene o lamentartene perché altrimenti ti perderai
per strada e sarai sempre infelice, ché quando non si conosce ciò che si ha si
desidera continuamente altro e il desiderio acceca lo spirito” (198)
Terminiamo la discesa del
gradimento con l’ottimo regista napoletano.
Paolo Sorrentino “Hanno tutti ragione”
Feltrinelli s.p. (Regalo di Rosa-Emilio)
[in: 07/05/2010 – out: 14/06/2010]
Andava
letto, ci sono passi grottescamente piacevoli, ma nel complesso non mi è
piaciuto. Un lungo monologo che
racconta la vita, con tutti i suoi alti e bassi, del grande Tony Pagoda,
cantante napoletano di belle maniere (canore) che un giorno ha cantato davanti
a Frank Sinatra. E che si è accompagnato in gioventù (sua) con Peppino di
Capri. Ce lo dobbiamo immaginare con la faccia di Toni Servillo, perché così
acquista una sua dimensione. E Sorrentino riprende gli eccessi dei suoi film
migliori, mescolando la straniazione delle Conseguenze dell’amore con il
truculento andare de L’amico di famiglia. E quindi, eccessi, cocaina come se
piovesse, amori, furori, piccoli e grandi drammi quotidiani. Fino alla rottura,
al non poterne più. A fuggire per vent’anni in Brasile. Ma non quello dorato di
Ipanema, ma quello umido e scarafaggesco di Manaus. Dove vivono le donne più
belle del mondo. E gli scarafaggi più antipatici. Per poi chiudere mestamente
la parabola, tornando in Italia, al servizio di questa nuova classe dirigente
senza spina dorsale, ma con tanti, tanti soldi. Dove incontra il ruffiano
Tonino Paziente, che gli spiega la regola della vita. Qui, hanno tutti ragione.
Ed è ovvio che Sorrentino prende ironicamente le distanze da questo mondo. Lo
fa vedere in tutta la sua becera lordura. Tanto che a ritroso apprezziamo il
commento del grande paroliere di Tony Pagoda, che odia tutto il mondo, ed ama
solo le sfumature. Ecco qui le sfumature non ci sono. Ci sono torrenti in piena
di parole. Sensazioni, giudizi, visioni del mondo. Ho narrato a grandi linee la
trama perché poi ci si perde dentro. Cioè la trama non sarebbe capace di
supportare così le più di 300 pagine delle parole di Tony. E questo me lo ha
reso difficoltoso. Non capivo cosa voleva, cosa vuole dirmi. Dove mette le luci
e dove le ombre. Io forse ho un mondo troppo schematico rispetto alla realtà. A
volte, mi perdo molti toni di grigio. Ed ho bisogno di fare il tifo per
qualcuno. Qui, non ci sono riuscito. Al massimo, ho fatto il tifo per gli
scarafaggi che riuscivano a fare il guado nei bicchieri pieni d’acqua posti ai
piedini del letto (e ne ricordo ancora, come invece non ci riuscirono
nell’Amazzonia peruviana di Puerto Maldonado). E quando Mimmo, o Tony, o
Tonino, o altri e altri, pontificano, io non vedevo l’ora che si arrivasse ad
una nuova pagina, ad un nuovo momento della vita. Ecco, forse è una vita, ma
non è la mia. Non la riconosco, e questo mi ha mandato in difficoltà. E non
capisco gli osanna che si susseguono. Sorrentino è un ottimo regista. A me,
come scrittore, non piace.
“Sempre la stessa rovinosa caduta nei matrimoni, col tempo ci si
concentra nei dettagli, perdendo di vista l’ambizioso progetto iniziale. Forse
perché quel progetto iniziale non era poi così ambizioso come si credeva.” (80)
“Ad un certo punto … avverti senza fondati motivi .. che si sta
abbattendo la fine di un periodo. Dagli e dagli, poi lo capisci, che il gesto
si fa meccanico, la battaglia stanca. Gli uomini, limitrofi alla tua esistenza,
amici e conoscenti, prima erano uomini, ora sono comparse… sono trasparenti.”
(187)
“è che io stanziale lo sono fino ad un certo punto. Ci ho il nomadismo
al posto del deodorante sotto le ascelle, io.” (215)
“certe verità andrebbero sottaciute per sempre. Perché interrompono le
amicizie. Le lacerano. Sono certi bluff che tengono vive le relazioni.” (257)
Detto anche che questa è la
settimana centrale della Bilancia, mio pacato ascendente, facciamo un sentito
omaggio a tutte le bilancine, in primis ovviamente mia madre.
Detto infine che oggi è un giorno
cabalistico (10/10/10), sarà tuttavia ancora una settimana di passaggio e di
passaggi. Vedremo…
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