mercoledì 28 marzo 2012

La storia romanzata - 28 novembre 2010

A parte un po’ di gialli ambientati in improbabili Duecento danteschi o Antica Grecia aristotelica, confesso che non sono un grande amante e/o lettore di storia romanzata, anche se devo confessare c’è del fascino in alcune prove (e rimando alla classica pentalogia di Jacq su Ramsete II, con quell’immagine finale dell’incontro con il toro-dio, che un po’ mi si ritrova nel cervo di De Luca). Ma sulla spinta di alcune lezioni di Barbero ho letto cose sulla fine dell’Impero Romano, sul ricordo di Jacq mi sono ritrovato tra le mummie, per scoprire che poi era altro il mistero, per risalire poi ai medioevali fasti con una prova “gialletta” senz'altro migliore di quelle sulla medicina che tanto vituperai a suo tempo.
Ma andiamo ad iniziare questa storia allegra.
Giulio Castelli “Imperator” Newton Compton euro 4,90 (in realtà, scontato 3,20 euro)
[in:  24/07/2009 – out: 06/04/2010]
Non sono un grande lettore di romanzi storici (e si vede anche nei tempi trascorsi tra acquisto, lettura e recensione), che in genere riservo all’antichità egizia, o tutt'al più greca (i primi Jacq o il classico Manfredi). E sono assolutamente digiuno (se non in reminiscenze scolastiche ed in qualche puntata sulle tavole riassuntive di Gibbon) rispetto all’andamento del mondo durante la caduta dell’impero d’Occidente ed al rinvigorirsi di quello d’Oriente. Mi sono quindi accostato a questo librone di quasi seicento pagine un po’ timoroso. Risultato: niente male! Non è la svolta della vita, né un libro indimenticabile, eppur tracciando in modo soggettivo le avventure di Giulio Valerio Maggioriano, mi ha tenuto compagnia per alcuni giorni senza pentimenti. Devo riconoscere che la scrittura è abbastanza quieta per scorrere sopra la storia, anche se, in modo forse leggero ma non banale, si affrontano le tematiche precipue di questa caduta: il sorgere di nuovi potentati barbari ai confini dell’Impero, e l’incapacità di un centro corrotto di capirne le valenze e le possibilità. Nonché il venir meno a quell’idea unificatrice della prima Roma (che poi sarà quella di pochi secoli dopo dei primi arabi) di unificare mediante l’inglobamento delle potenzialità dei vinti, senza creare quelle tabule rase alla mongola, che possono essere mantenute solo con l’uso della forza. E viene fuori gradevolmente anche un affresco del mondo così come Giulio Valerio lo vede evolversi intorno a quel 450 d.C. di svolta per le sorti occidentali. Vediamo il fiorire di Ravenna per il suo appoggio a Costantinopoli, la calata di Alarico ed il primo sacco di Roma, la difesa del prode Ezio che guerreggiando ai confini riesce a costruire un baluardo di “barbari” per difendere un centro sempre più decadente. Vediamo il sorgere della potente Chiesa, sotto la spinta del grande Leone I, le scorrerie di Attila, la grande battaglia dei Campi Catalauni che lo fermò la prima volta. Ed il crescere ed affermarsi da Cartagine del vandalo Genserico, ed il suo secondo e forse definitivo sacco della città. Che da quel punto mestamente andrà richiudendosi su piccole beghe inutili, fino all’ultimo regno e conseguente esilio di Romolo Augustolo. In mezzo a tutto ciò, si aggira il nostro, che mantiene una sua coerente dirittura morale, quasi fuori luogo. E ne apprezziamo il percorso (forse un po’ forzato) che lo fa partire da Alessandria al tempo del martirio della non ortodossa Ipazia, lo fa passare in Cartagine a conoscere l’allora vivente, anche se non per molto, Agostino di Ippona. E poi lo colloca a Roma, rampollo emerito di una tipica famiglia patrizia, con i suoi amori per la prostituenda Thea, il matrimonio inutile con la bruttina Greta, e gli amori maturi (non si sa quanto e se consumati) sia con Amalia (ormai vedova di Ezio) si soprattutto per Licinia Eudoxia moglie sventurata dello sventato Valentiniano III, ultimo discendente diretto della dinastia teodosiana. Ne ammiriamo la crescita nell’esercito, ed il suo ritirarsi nella villa di Tuscolo a studiare quando le lotte di potere si fanno insostenibili. Fino ad ascendere, lui così abbastanza schivo, al soglio imperiale. E tentare un ultimo drammatico approccio per ristabilire la legalità romana. Legalità basata (appunto) sulle leggi che all’epoca venivano promulgate a spron battuto e mai applicate. Certo, il lato “rapporti umani” (e soprattutto femminili) è lasciato discretamente in ombra, se non per piccoli accenni. Ma nel complesso, anche quando si dibatte sull’ordine e sul ripristino delle sane leggi imperiali del divo Cesare, non ci si annoia più di tanto (anzi, se si fanno i paragoni con gli sfaceli attuali…). Insomma un libro decente, certo più adatto a qualche ombrellone estivo, piuttosto che ad un si freddo inverno romano.
“Thea aveva anche la facoltà di scovare un’altra persona in me… andavo scoprendo nuovi impulsi. Cercavo di godere delle sensazioni, di fermare gli attimi deliziosi. Thea era fantastica nell’abbandono.” (146)
“con un gioco di parole potrei dire che era un profondo conoscitore delle cose superficiali e un superficiale conoscitore di quelle profonde” (192)
“La verità è che tu mi ami e non mi ami… Forse sei un po’ geloso. Ma non bruci di passione. .. Non ami le persone. Ami le idee, non gli esseri umani.” (196)
“avevo cominciato a pensare che la decadenza è una lenta spirale. Dapprima gli uomini non la avvertono. Poi il movimento si fa sempre più rapido fino a divenire inarrestabile. A quel punto tutti ne diventano consapevoli ma ormai è troppo tardi.” (346)
Passiamo quindi all’egittologo da anni abbandonato.
Christian Jacq « Le procès de la momie » Pocket euro 8,50
[in : 13/02/2010 – out : 09/09/2010]
Erano anni che non prendevo in mano un libro di Jacq, dai tempi in cui mi ero rivolto alla lettura dei 5 volumi dedicati alla vita romanzata di Ramsete. Buona scrittura, ma qui, lasciato un po’ il campo proprio dell’Egitto antico, e trasformatosi in un pastiche ambientato a Londra intorno al 1820, lascia un po’ deluso. Non è che lasci da parte l’Egitto, si intende, ma cerca di imbastire una storia semi-moderna con tocchi della sua materia preferita. Ottiene comunque alcuni effetti minori: suscita l’interesse intorno alla figura dell’avventuriero italiano Giovanni Belzoni, tratteggia i motivi politici della nascita di Scotland Yard, lancia strali contro la spoliazione che nell’Ottocento, francesi ed inglesi fecero delle reliquie egiziane, descrive abbastanza fedelmente l’ambiente in decadenza del regno di Giorgio IV. Ma la storia che dovrebbe sorreggere il tutto è debolina. Belzoni riporta dall’Egitto montagne di reliquie, tra cui una mummia imbalsamata. Organizza una mostra, dove tre notabili inglesi mancano di rispetto alla mummia. Presto morranno, e la mummia scompare. Questo il plot “giallo”, che da modo a Jacq di introdurre la pacata figura dell’ispettore Higgins, che, passo dopo passo, con pazienza ed arguzia, riuscirà a debellare le trame ordite da tutti i cattivi e ad arrivare alla risoluzione delle morti e della scomparsa. Ma l’attento lettore, fin dai primi colpi di scena intuisce la soluzione del giallo. Più intricata, ed avvincente, la storia dei tentativi di rivolta fomentati da un amante della Rivoluzione Francese, che vorrebbe esportarla in Inghilterra. E questa trama è più complessa e meglio trattata. Anche perché consente di descrivere il mondo londinese tra il 1821 ed il 1823, con la nascita dei quartieri signorili, la corruzione della polizia, la superbia dei curatori del British Museum, la povertà dei dock, ed il degrado del quartiere di Whitechapel (che pochi anni dopo vedrà le gesta di Jack lo Squartatore). Il filo però è la mummia, e lì ritorna, di tanto in tanto, facendo vedere che ben consoce riti ed atteggiamenti dell’antico Egitto verso l’imbalsamazione, la lettura del libro dei morti, le divinità egizie, la decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion. Ed è ovvio, lui è l’esperto di tutto ciò, lui il divulgatore delle mirabilie antiche. Però queste parti rimangono un po’ appiccicate, non riescono a suscitare l’interesse che rivolgiamo, pagina dopo pagina, alle attività dell’ispettore Higgins. Essendo aduso a scrivere, la lettura è agevole, e si fruisce con la piacevolezza di un libro estivo. Rimane però un libro minore, che ricordo solo per avermi fatto scoprire la figura del padovano Belzoni, colosso di due metri, che, a dispetto di tutti i non riconoscimenti, scopre la tomba di Seti I nella Valle dei Re ed il luogo esatto del tempio di Abu Simbel. E di questo lo ringrazio sentitamente.
“Respecter autrui, et le comprendre, commençait par le maintien de soi-même.” [Rispettare l’altro, e comprenderlo, ha inizio con la cura di sé stessi] (205)
« Chacun peut être heureux, s’il veut ; car le bonheur dépend certainement de nous. L’homme qui se contente de ce que le sort lui donne est heureux, surtout s’il est bien persuadé que c’est là tout ce qu’il pourra obtenir. » [Ciascuno può essere felice, se vuole; poiché la felicità dipende certamente da noi. L'uomo che si accontenta di ciò che la sorte gli dà è felice, soprattutto se è bene persuaso che quello è tutto ciò che potrà ottenere] (277)
E finiamo con la lettura medioevale.
Alfredo Colitto “Cuore di Ferro” Piemme euro 11
[in: 04/03/2010 – out: 12/09/2010]
Un decente history-thriller, con un po’ di templari e la curiosità di sapere chi fosse Mondino de’ Liuzzi. E riscatta un po’ la precedente lettura di Colitto che non mi era piaciuta. Si vede il costante interesse per il lato medico da parte dell’autore, ma questa trama storica si lascia leggere con più agevolezza, e lascia il palato senza quel gusto amaro delle prove non riuscite. Intanto, pur essendo calato nella storia, non si arroga di far diventare detective personaggi illustri (come la serie che ha protagonista un improbabile Dante detective). Il personaggio centrale, motore del racconto, è sì un personaggio storico, in un certo senso minore, anche se ha la sua importanza nella storia della medicina. Inoltre non è improbabile, nel senso che Mondino mantiene le sue caratteristiche che lo hanno reso famoso: la passione per l’anatomia (sarà lui a reintrodurre la dissezione dei cadaveri per studiare meglio il corpo umano), il suo lato guelfo, ed il rispetto che mantenne per tutta la vita verso la sapienza araba, che in quegli anni bui era vista con più di un sospetto. La storia poi si cala in un momento topico della vita civile e religiosa dei primi anni del 1300: quando Filippo il Bello decide di sterminare i templari, più per suoi tornaconti personali che per una pretesa sete di giustizia. Ma si sa che i templari sono sempre visti come elementi alieni, dediti a pratiche strane, sempre sul filo del’eresia per quella ricerca alchemica dell’al-ikisir (che traduciamo elisir, nel senso della vita immortale, o della trasformazione del piombo in oro, e via alambiccando). Su questo plot storico si calano le vicende del novizio templare Gerardo da Casalbertone che si trova implicato in misteriose morti e chiede aiuto al suo maestro all’Università di Bologna, appunto Mondino. E mentre i due tentano di dipanare la matassa, sempre più minacciosa si fa la figura dell’inquisitore Uberto da Rimini, con i suoi modi spicci ed il ricorso ai metodi torquemadeschi della tortura per ottenere confessioni. Spiccano anche le figure femminili, dalla sfigurata Fiamma alla bella fattucchiera Adia. Si gusta anche la ricerca storica dell’ambientazione, che fa rivivere senza affettazione la Bologna del tempo, divisa tra guelfi e ghibellini, e con la presenza del nume tutelare dell’arcivescovo di Ravenna. La vita quotidiana si dipana alla meglio, anche se (ma questo è un mio pallino di perversione), nel momento che i vari personaggi parlano lingue ed idiomi differenti renderli tutti nell’italiano attuale non fa rivivere a pieno alcuni momenti della vita trecentesca. Lì ci sarebbero i dotti che parlano in latino, il volgare usato dal popolo (quello che, imbellito, pochi anni prima Dante sfoggiava nella sua Commedia), il tedesco ed il francese dei templari, l’arabo di Adia. Ma questo è peccato minore. La storia scorre, piacevole e rilassante per un pomeriggio settembrino. E non è poco.
“Non vedete che per ogni vostro desiderio, trovate una scusa per non poterlo realizzare? Non capite che tutto dipende da voi?” (299)
I denti sono stretti, si è fatta la valigia, e domani si parte in treno per una settimana a Mereno (sarebbe Merano, ma mi serviva la rima), sperando resti sereno. Un mio amico continua a dire che come si fa a non capire davanti a tutti questi segnali negativi. Io per ora ribatto, sul lato privato ovvio, che davanti a tutti questi segnali positivi, per ora taccio, muto e attonito, aspettando come la terra, il nunzio…  

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