Ma
andiamo ad iniziare questa storia allegra.
Giulio Castelli “Imperator” Newton Compton
euro 4,90 (in realtà, scontato 3,20 euro)
[in:
24/07/2009 – out: 06/04/2010]
Non
sono un grande lettore di romanzi storici (e si vede anche nei tempi trascorsi
tra acquisto, lettura e recensione), che in genere riservo all’antichità
egizia, o tutt'al più greca (i primi Jacq o il classico Manfredi). E sono
assolutamente digiuno (se non in reminiscenze scolastiche ed in qualche puntata
sulle tavole riassuntive di Gibbon) rispetto all’andamento del mondo durante la
caduta dell’impero d’Occidente ed al rinvigorirsi di quello d’Oriente. Mi sono
quindi accostato a questo librone di quasi seicento pagine un po’ timoroso. Risultato:
niente male! Non è la svolta della vita, né un libro indimenticabile, eppur
tracciando in modo soggettivo le avventure di Giulio Valerio Maggioriano, mi ha
tenuto compagnia per alcuni giorni senza pentimenti. Devo riconoscere che la
scrittura è abbastanza quieta per scorrere sopra la storia, anche se, in modo
forse leggero ma non banale, si affrontano le tematiche precipue di questa
caduta: il sorgere di nuovi potentati barbari ai confini dell’Impero, e
l’incapacità di un centro corrotto di capirne le valenze e le possibilità.
Nonché il venir meno a quell’idea unificatrice della prima Roma (che poi sarà
quella di pochi secoli dopo dei primi arabi) di unificare mediante
l’inglobamento delle potenzialità dei vinti, senza creare quelle tabule rase
alla mongola, che possono essere mantenute solo con l’uso della forza. E viene
fuori gradevolmente anche un affresco del mondo così come Giulio Valerio lo
vede evolversi intorno a quel 450 d.C. di svolta per le sorti occidentali.
Vediamo il fiorire di Ravenna per il suo appoggio a Costantinopoli, la calata
di Alarico ed il primo sacco di Roma, la difesa del prode Ezio che
guerreggiando ai confini riesce a costruire un baluardo di “barbari” per
difendere un centro sempre più decadente. Vediamo il sorgere della potente
Chiesa, sotto la spinta del grande Leone I, le scorrerie di Attila, la grande
battaglia dei Campi Catalauni che lo fermò la prima volta. Ed il crescere ed
affermarsi da Cartagine del vandalo Genserico, ed il suo secondo e forse
definitivo sacco della città. Che da quel punto mestamente andrà richiudendosi
su piccole beghe inutili, fino all’ultimo regno e conseguente esilio di Romolo
Augustolo. In mezzo a tutto ciò, si aggira il nostro, che mantiene una sua
coerente dirittura morale, quasi fuori luogo. E ne apprezziamo il percorso
(forse un po’ forzato) che lo fa partire da Alessandria al tempo del martirio
della non ortodossa Ipazia, lo fa passare in Cartagine a conoscere l’allora
vivente, anche se non per molto, Agostino di Ippona. E poi lo colloca a Roma,
rampollo emerito di una tipica famiglia patrizia, con i suoi amori per la
prostituenda Thea, il matrimonio inutile con la bruttina Greta, e gli amori
maturi (non si sa quanto e se consumati) sia con Amalia (ormai vedova di Ezio)
si soprattutto per Licinia Eudoxia moglie sventurata dello sventato
Valentiniano III, ultimo discendente diretto della dinastia teodosiana. Ne
ammiriamo la crescita nell’esercito, ed il suo ritirarsi nella villa di Tuscolo
a studiare quando le lotte di potere si fanno insostenibili. Fino ad ascendere,
lui così abbastanza schivo, al soglio imperiale. E tentare un ultimo drammatico
approccio per ristabilire la legalità romana. Legalità basata (appunto) sulle
leggi che all’epoca venivano promulgate a spron battuto e mai applicate. Certo,
il lato “rapporti umani” (e soprattutto femminili) è lasciato discretamente in
ombra, se non per piccoli accenni. Ma nel complesso, anche quando si dibatte
sull’ordine e sul ripristino delle sane leggi imperiali del divo Cesare, non ci
si annoia più di tanto (anzi, se si fanno i paragoni con gli sfaceli attuali…).
Insomma un libro decente, certo più adatto a qualche ombrellone estivo,
piuttosto che ad un si freddo inverno romano.
“Thea aveva anche la facoltà di scovare
un’altra persona in me… andavo scoprendo nuovi impulsi. Cercavo di godere delle
sensazioni, di fermare gli attimi deliziosi. Thea era fantastica
nell’abbandono.” (146)
“con un gioco di parole potrei dire che era
un profondo conoscitore delle cose superficiali e un superficiale conoscitore
di quelle profonde” (192)
“La verità è che tu mi ami e non mi ami…
Forse sei un po’ geloso. Ma non bruci di passione. .. Non ami le persone. Ami
le idee, non gli esseri umani.” (196)
“avevo cominciato a pensare che la decadenza
è una lenta spirale. Dapprima gli uomini non la avvertono. Poi il movimento si
fa sempre più rapido fino a divenire inarrestabile. A quel punto tutti ne
diventano consapevoli ma ormai è troppo tardi.” (346)
Passiamo
quindi all’egittologo da anni abbandonato.
Christian Jacq « Le
procès de la momie » Pocket euro 8,50
[in : 13/02/2010 – out : 09/09/2010]
Erano anni che non prendevo in
mano un libro di Jacq, dai tempi in cui mi ero rivolto alla lettura dei 5
volumi dedicati alla vita romanzata di Ramsete. Buona scrittura, ma qui,
lasciato un po’ il campo proprio dell’Egitto antico, e trasformatosi in un
pastiche ambientato a Londra intorno al 1820, lascia un po’ deluso. Non è che
lasci da parte l’Egitto, si intende, ma cerca di imbastire una storia
semi-moderna con tocchi della sua materia preferita. Ottiene comunque alcuni
effetti minori: suscita l’interesse intorno alla figura dell’avventuriero italiano
Giovanni Belzoni, tratteggia i motivi politici della nascita di Scotland Yard,
lancia strali contro la spoliazione che nell’Ottocento, francesi ed inglesi
fecero delle reliquie egiziane, descrive abbastanza fedelmente l’ambiente in
decadenza del regno di Giorgio IV. Ma la storia che dovrebbe sorreggere il
tutto è debolina. Belzoni riporta dall’Egitto montagne di reliquie, tra cui una
mummia imbalsamata. Organizza una mostra, dove tre notabili inglesi mancano di
rispetto alla mummia. Presto morranno, e la mummia scompare. Questo il plot
“giallo”, che da modo a Jacq di introdurre la pacata figura dell’ispettore
Higgins, che, passo dopo passo, con pazienza ed arguzia, riuscirà a debellare
le trame ordite da tutti i cattivi e ad arrivare alla risoluzione delle morti e
della scomparsa. Ma l’attento lettore, fin dai primi colpi di scena intuisce la
soluzione del giallo. Più intricata, ed avvincente, la storia dei tentativi di
rivolta fomentati da un amante della Rivoluzione Francese, che vorrebbe
esportarla in Inghilterra. E questa trama è più complessa e meglio trattata.
Anche perché consente di descrivere il mondo londinese tra il 1821 ed il 1823,
con la nascita dei quartieri signorili, la corruzione della polizia, la
superbia dei curatori del British Museum, la povertà dei dock, ed il degrado
del quartiere di Whitechapel (che pochi anni dopo vedrà le gesta di Jack lo
Squartatore). Il filo però è la mummia, e lì ritorna, di tanto in tanto,
facendo vedere che ben consoce riti ed atteggiamenti dell’antico Egitto verso
l’imbalsamazione, la lettura del libro dei morti, le divinità egizie, la
decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion. Ed è ovvio, lui è
l’esperto di tutto ciò, lui il divulgatore delle mirabilie antiche. Però queste
parti rimangono un po’ appiccicate, non riescono a suscitare l’interesse che
rivolgiamo, pagina dopo pagina, alle attività dell’ispettore Higgins. Essendo
aduso a scrivere, la lettura è agevole, e si fruisce con la piacevolezza di un
libro estivo. Rimane però un libro minore, che ricordo solo per avermi fatto
scoprire la figura del padovano Belzoni, colosso di due metri, che, a dispetto
di tutti i non riconoscimenti, scopre la tomba di Seti I nella Valle dei Re ed
il luogo esatto del tempio di Abu Simbel. E di questo lo ringrazio sentitamente.
“Respecter autrui, et le comprendre, commençait par le maintien de
soi-même.” [Rispettare l’altro, e comprenderlo, ha inizio con la cura di sé
stessi] (205)
« Chacun peut être
heureux, s’il veut ; car le bonheur dépend certainement de nous. L’homme
qui se contente de ce que le sort lui donne est heureux, surtout s’il est bien
persuadé que c’est là tout ce qu’il pourra obtenir. » [Ciascuno può
essere felice, se vuole; poiché la felicità dipende certamente da noi. L'uomo
che si accontenta di ciò che la sorte gli dà è felice, soprattutto se è bene
persuaso che quello è tutto ciò che potrà ottenere] (277)
E finiamo con la lettura
medioevale.
Alfredo Colitto “Cuore di Ferro” Piemme
euro 11
[in: 04/03/2010 – out: 12/09/2010]
Un
decente history-thriller, con un po’ di templari e la curiosità di sapere chi
fosse Mondino de’ Liuzzi. E riscatta un po’ la precedente lettura di Colitto
che non mi era piaciuta. Si vede il costante interesse per il lato medico da
parte dell’autore, ma questa trama storica si lascia leggere con più
agevolezza, e lascia il palato senza quel gusto amaro delle prove non riuscite.
Intanto, pur essendo calato nella storia, non si arroga di far diventare
detective personaggi illustri (come la serie che ha protagonista un improbabile
Dante detective). Il personaggio centrale, motore del racconto, è sì un
personaggio storico, in un certo senso minore, anche se ha la sua importanza
nella storia della medicina. Inoltre non è improbabile, nel senso che Mondino
mantiene le sue caratteristiche che lo hanno reso famoso: la passione per
l’anatomia (sarà lui a reintrodurre la dissezione dei cadaveri per studiare
meglio il corpo umano), il suo lato guelfo, ed il rispetto che mantenne per
tutta la vita verso la sapienza araba, che in quegli anni bui era vista con più
di un sospetto. La storia poi si cala in un momento topico della vita civile e
religiosa dei primi anni del 1300: quando Filippo il Bello decide di sterminare
i templari, più per suoi tornaconti personali che per una pretesa sete di
giustizia. Ma si sa che i templari sono sempre visti come elementi alieni,
dediti a pratiche strane, sempre sul filo del’eresia per quella ricerca
alchemica dell’al-ikisir (che traduciamo elisir, nel senso della vita
immortale, o della trasformazione del piombo in oro, e via alambiccando). Su
questo plot storico si calano le vicende del novizio templare Gerardo da
Casalbertone che si trova implicato in misteriose morti e chiede aiuto al suo
maestro all’Università di Bologna, appunto Mondino. E mentre i due tentano di
dipanare la matassa, sempre più minacciosa si fa la figura dell’inquisitore
Uberto da Rimini, con i suoi modi spicci ed il ricorso ai metodi torquemadeschi
della tortura per ottenere confessioni. Spiccano anche le figure femminili, dalla
sfigurata Fiamma alla bella fattucchiera Adia. Si gusta anche la ricerca
storica dell’ambientazione, che fa rivivere senza affettazione la Bologna del
tempo, divisa tra guelfi e ghibellini, e con la presenza del nume tutelare
dell’arcivescovo di Ravenna. La vita quotidiana si dipana alla meglio, anche se
(ma questo è un mio pallino di perversione), nel momento che i vari personaggi
parlano lingue ed idiomi differenti renderli tutti nell’italiano attuale non fa
rivivere a pieno alcuni momenti della vita trecentesca. Lì ci sarebbero i dotti
che parlano in latino, il volgare usato dal popolo (quello che, imbellito,
pochi anni prima Dante sfoggiava nella sua Commedia), il tedesco ed il francese
dei templari, l’arabo di Adia. Ma questo è peccato minore. La storia scorre,
piacevole e rilassante per un pomeriggio settembrino. E non è poco.
“Non vedete che per ogni vostro desiderio,
trovate una scusa per non poterlo realizzare? Non capite che tutto dipende da
voi?” (299)
I
denti sono stretti, si è fatta la valigia, e domani si parte in treno per una
settimana a Mereno (sarebbe Merano, ma mi serviva la rima), sperando resti
sereno. Un mio amico continua a dire che come si fa a non capire davanti a
tutti questi segnali negativi. Io per ora ribatto, sul lato privato ovvio, che
davanti a tutti questi segnali positivi, per ora taccio, muto e attonito,
aspettando come la terra, il nunzio…
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