lunedì 12 marzo 2012

Libri multipli - 18 luglio 2010

Perché ne compri uno e ti ritrovi più storie in mano da leggere. Con il factotum dell’Alligatore e l’Alligatore, con le molte facce del guru, con le due storie convergenti di Volo. Decenti, a volte intriganti, qua e la con degli spunti, ma in tono minore, come se il caldo scivolasse sopra le pagine già scritte e ne fondesse le parole in una marmellata un po’ acida (di quelle che o la mangi subito, o domani sarà da buttare). E dopo questa immagine da romanzo scritto con la mano sbagliata, passiamo a vedere i tre italiani di oggi, cui, in ogni caso, a prescindere dalle prove letterarie, sono sempre e per diversi motivi, affezionati (ancora molteplicità!).
Massimo Carlotto “La terra della mia anima” E/O euro 8 (in realtà, scontato 5,20 euro)
[in: 24/07/2009 – out: 03/03/2010]
Non so se Beniamino Rossini sia inventato e quanto. Ma non importa. Qui si ripercorre la “vera” vita del factotum dell’Alligatore, dall’infanzia come spallone tra le valli varesine fino al male che scatena il racconto. Non è un “giallo” alla Carlotto, sembra quasi un tributo ad un amico morente/morto. Ed in fondo non c’è una grande storia dietro. Forse una biografia, questa sì, che segue il nascere, crescere e prendere coscienza di una persona ai margini della legalità. Salvo poi discutere cosa siano questi margini. Ben è comunque di intelligenza pronta, e notevoli i racconti delle invenzioni che elucubra per sbarcare il lunario, per contrabbandare sigarette e caffè, ed altro ancora. Con questo amore per le terre dell’anima mia. Cioè per quei luoghi in cui uno si sente “a casa”. Per tutta l’infanzia e la giovinezza sono i monti. Per la maturità e la vecchiaia diventano il mare. Quasi a ripercorrere l’itinerario interno dello stesso Carlotto, dalla natia Padova all’attuale Sardegna. Interessanti, ovvio per chi ne frequenta, le pagine sul carcere, o meglio sulle carceri, e sul loro evolversi e modificarsi nel tempo. Con quello sfiorare e scontrarsi con la violenza che solo lì si capisce quanto poco possa essere distante dal muoversi normalmente nella vita civile. Poi l’amore, per la bella Sonia, moglie amata e bistrattata. E per Dalida, quello che una volta era uomo, e per cui Ben perderà la testa e molto altro. Fino all’ultimo carcere quello in cui incontra Massimo (Carlotto?), in cui prende coscienza e comincia ad amare il jazz. Per tutto il romanzo, c’è comunque questa nota dolente, del tempo che passa, delle occasioni che vanno, delle scelte che si fanno. Come ritrovarsi ad un certo punto, che s’è fatto più strada di quanta se ne potrà ancora percorrere, e fermarsi… A fare cosa? Pensare? Rimpiangere? Bella domanda. Quello che mi rimanda è quello che sento anche io dentro, che comunque, per quanto ci possa mostrare lo specchio, noi, dentro, s’è sempre la stessa persona. Magari a volte più consapevole, ma sempre quella che presa una volta coscienza di essere qualcosa, da allora ci è rimasta lì e ci accompagna. Mi verrebbe in mente, quasi che fosse una specie di nostro personale Dorian Gray. Cioè Dorian è l’involucro esterno che invecchia al posto del nostro essere che rimane lì ad agire e pensare, fino a che non si ricongiunge con il suo involucro e… Beh, sappiamo tutti come va a finire…. Mi sembra di aver messo troppi punti di sospensione, ma tante sono le cose che mi rimangono sospese. Il risultato finale è un libro di buon interesse, anche se non bellissimo, anche se mi aspettavo qualcosa di diverso.
“certe cose vanno fatte al tempo giusto… Ho vissuto 65 anni senza preoccuparmi di mettere a posto le cose nel mio cuore e nella mia testa” (33)
“Enrico diceva sempre che leggere certi libri ti dà la possibilità di diventare un uomo migliore” (38)
“Ero insoddisfatto e infelice ma non lo davo a vedere. Mai. Non avrei saputo spiegarne i motivi e tantomeno avevo voglia di affrontare il discorso. Temevo che l’anestesia si trasformasse in disperazione… Ogni mattina …  mi guardavo allo specchio… e dicevo a voce bassa Non voglio vivere così.” (132)
Lorenzo Licalzi “Il privilegio di essere un guru” Fazi euro 9,50 (in realtà, scontato euro 6,17)
[in: 24/07/2009 – out: 26/03/2010]
Paghi uno e prendi tre; perché ce ne sono tre diverse storie, anche se unificate. E di diverso godimento. La prima è un fuoco di fila di battute sulla vita sessuale del povero Andrea. Poi c’è la parte centrale, un po’ lunghetta, della sua storia con Maria. E c’è la parte finale, intollerabilmente pallosa con il Giappone ed il suo zen. Continuo comunque a tenere sotto controllo questo irregolare scrittore ligure, di provenienza psicologica, che, pur con appunto alcuni abbattimenti della tensione narrativa, continua mediamente a tenermi in allegria con le sue storie (rimando sempre a quel bellissimo racconto sul povero scrittore cui viene a rompere le scatole il postino di “C’è posta per te”!). Anche qui, come detto in testa, la prima parte è godibile, ed anzi stavo pregustando tutto un romanzetto, easy, ma basato sul rapporto tra un uomo e le sue conquiste amorose (e le prime citazioni sembrano quasi essere fatte apposto per me, soprattutto per il fascino che esercito, ah ah…). Poi si incaponisce di una ragazza alternativa, tutta dedita alle meditazioni orientali et similia (e qui un po’ si sente troppo lo psicologo che viene fuori, sia per il lato di interesse che queste pratiche possono avere, sia per la critica di fondo che Licalzi, anche correttamente, ne fa). E qui comincia ad arenarsi, a perdere la rotondità della pedalata, come direbbe un ciclista. Certo si gode ancora un po’ delle strampalate tirate di orientalismo da primo sguardo che Andrea propina a destra e sinistra (ma perché chiamarlo Zanardi come il grande personaggio di Paz?). Per finire con quella parte che non vedevo l’ora terminasse, sulla visita in Giappone e sull’incontro con il monaco Zen. Certo, tutto trattato con ironia, ma con una troppo elementare visione che ne scopre i meccanismi ed i risvolti, lasciandoci poco interesse ad una trama che alla fine si rivela più banalotta del previsto. Certo anche nelle parti successive c’è del buono in punta di penna, soprattutto nelle tirate gastronomiche di Ditasudice il grande paninaro. Ma nel complesso il peso finale scivola verso una sufficienza più di stima che di contenuto. Da leggere in primavera, mentre si riposano le stanche membra in un agriturismo alle bocche del Magra.
“Non vorrei passare per un presuntuoso ma esercito un certo fascino sulle donne. Eppure non sono poi tutta questa bellezza, sono passabile, diciamo, intrigante, forse, ma niente di più. L’esperienza, d’accordo, la tecnica sopraffina che ho perfezionato negli anni, non bastano a giustificare l’interesse che spesso suscito nelle donne. All’inizio magari no, mi serve qualche ora, talvolta qualche giorno, raramente addirittura qualche settimana di duro lavoro, ma poi lo sento che in loro scatta qualcosa, che incominciano a guardarmi con occhi diversi” (10)
“Negli anni mi sono fatto una certa cultura, ci sono materie su cui sono più preparato (quelle che hanno maggior ascendente sulle donne: arte, poesia, letteratura, filosofia, psicologia, medicina) e altre su cui zoppico un po’, ma non c’è argomento sul quale non potrei fingermi un esperto. La cultura è uno strumento di lavoro irrinunciabile, chiunque ti capiti, serve sempre, l’ignorante la stupisci, la colta si stupisce” (12)
“Saro era un estimatore della donna cuciniera … mi ricordo che diceva: ‘femmina piccante pigghiatela come amante, femmina cuciniera pigghiatela come mugliera’” (119)
Fabio Volo “Il tempo che vorrei” Mondadori s.p. (regalo di Alessandra)
[in: 25/12/2009 – out: 14/04/2010]
Ritorna il plurimo, due libri in uno: dall’infanzia alla maturità seguendo l’idea del padre da una parte e dalla fine di un amore alla (fine/inizio/ri-inizio? lascio a voi la scelta) di un amore dall’altra. Il primo è bello, intenso. Il secondo è un po’ “volatile” (giocando un po’ sullo pseudonimo del buon Fabio). E mi riesce difficile districarmi tra i due, perché nella mia costruzione mentale, poi, i due protagonisti mi si costruiscono diversi. Apriamo un inciso: mentre leggo in genere, soprattutto lì dove più mi appassiono, a poco a poco mi vengono in testa i tratti dei protagonisti, le loro facce, insomma tutto quello che me ne fa persone “reali” che mi accompagnano per il percorso di lettura. Quasi che ad un certo punto, mi immergessi più in biografie che in momenti “inventati”. Torniamo allora a Fabio. Qui, appunto, i due protagonisti mi si presentano psicologicamente diversi. Quello alla ricerca del padre, dolente, pensoso, ma in fondo riflessivo e con una meta in fondo al cuore. Capire meglio perché non è riuscito (almeno fino ad ora) ad entrare nella breccia di quel genitore che forse avrebbe reso più lievi i suoi momenti di fatica. Portandoci poi alla conclusione (ed in fondo l’ho ben capito io due anni fa) che quello era l’amore che gli veniva dato, quel modo brusco, esterno, mai accarezzante, era l’unico modo che avevano insegnato loro, ai nostri genitori. Ed anzi, si facevano sforzo di venirci incontro, almeno di capire. Nella prassi, perché quello era il modo che avevano vissuto loro, e che ne avevano sofferto di più, ché neanche quello avevano forse avuto dai loro genitori. Mentre il protagonista egoista, giustamente lasciato perché non fa che leccarsi, solitario, le proprie ferite immaginarie, ad un certo punto mi lascia freddo. E non capisco come ci si possa innamorarsene. Fare un bel gesto, trovare un modo gentile di essere, può apparire. Ma se scavando quei gesti sono vuoti, sono “immeditati” perché dovremmo farci pietà di lui? Lui che continua a rincorrere la solitaria lei, che tanta luce portava nel suo buio. E cui lui non faceva altro che spegnere, come una candela che si consuma troppo in fretta. Rimane solo una sensazione antica, quasi da “vecchio maschilista”: quando è la donna a lasciare l’uomo, rimane in lui la sensazione dell’amore (personalmente non credo più profonda), come se da “uomo” rifiutasse la “sconfitta”. E via allora a ricordare cose, oggetti, momenti, ripercorrerli, farsi male cento e più volte. Questo mi rimanda il panegirico dell’abbandonato, come se facesse di tutto per avere una rivincita. Che non credo sia giusto che abbia. Però Volo scrive in modo carino, non si perde in contorti voli scribacchianti, e quelle tirate sulla bellezza della lettura, beh, le sottoscrivo in pieno. Dai, va bene anche così, ricordando il bello del personaggio simpatico e calando l’oblio sull’egoista solitario.
“sappi che leggere mette in moto tutto dentro di te: fantasia, emozioni, sentimenti. È un’apertura dei sensi verso il mondo, è un vedere e riconoscere cose che ti appartengono e che rischiano di non essere viste. Ci fa riscoprire l’anima delle cose. Leggere significa trovare le parole giuste, quelle perfette per esprimere ciò a cui non riuscivi a dare una forma. Trovare una descrizione a ciò che tu facevi fatica a riassumere. Nei libri le parole di altri risuonano come un’eco dentro di noi perché c’erano già. …. Non importa se il lettore è giovane o vecchio, se vive in una metropoli o in un villaggio sperduto nelle campagne. Così come è indifferente se l’argomento di cui sta leggendo riguarda un’epoca passata, il tempo presente o un futuro immaginario; il tempo è relativo e ogni epoca ha la sua modernità. E poi leggere è bello, punto. Io a volte dopo aver letto un libro mi sento sazio, appagato, soddisfatto, e provo un piacere fisico” (90)
“I personaggi, le frasi e le parole trovate nei libri sono come ponti che ti permettono di spostarti da dove sei verso dove vuoi andare, e quasi sempre è un ponte che unisce il tuo vecchio io a quello nuovo che ti attende” (130)
“se critichi continuamente gli altri, finisci che crei una grande aspettativa su di te. … Più critichi, più crei aspettative, e più crei aspettative più hai paura di sbagliare. E rimandi…” (159)
“non ho mai voluto prendermi la responsabilità di una persona … non chiediamo nulla agli altri, affinché gli altri non chiedano nulla a noi” (231)
“(citazione) Non stai vivendo se non sai di vivere” (quarta di copertina)
E visto che siamo nel regno del molteplice approfitto ancora della scrittura di queste trame (e cada bene il libro di Volo) per dare un forte abbraccio ad Emilio. E fare gli auguri a chi, approfittando di questo caldo, sta ponendo mano a case e ristrutturazioni. Abbracci e baci a chi sta già andando in vacanza, mentre io per altre 3 settimane sarò qui ad annaspare d’afa.

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