Perché ne compri uno e ti ritrovi
più storie in mano da leggere. Con il factotum dell’Alligatore e l’Alligatore,
con le molte facce del guru, con le due storie convergenti di Volo. Decenti, a
volte intriganti, qua e la con degli spunti, ma in tono minore, come se il
caldo scivolasse sopra le pagine già scritte e ne fondesse le parole in una
marmellata un po’ acida (di quelle che o la mangi subito, o domani sarà da
buttare). E dopo questa immagine da romanzo scritto con la mano sbagliata,
passiamo a vedere i tre italiani di oggi, cui, in ogni caso, a prescindere
dalle prove letterarie, sono sempre e per diversi motivi, affezionati (ancora
molteplicità!).
Massimo Carlotto “La terra della mia anima”
E/O euro 8 (in realtà, scontato 5,20 euro)
[in: 24/07/2009 – out: 03/03/2010]
Non
so se Beniamino Rossini sia inventato e quanto. Ma non importa. Qui si
ripercorre la “vera” vita del factotum dell’Alligatore, dall’infanzia come
spallone tra le valli varesine fino al male che scatena il racconto. Non è un
“giallo” alla Carlotto, sembra quasi un tributo ad un amico morente/morto. Ed
in fondo non c’è una grande storia dietro. Forse una biografia, questa sì, che
segue il nascere, crescere e prendere coscienza di una persona ai margini della
legalità. Salvo poi discutere cosa siano questi margini. Ben è comunque di
intelligenza pronta, e notevoli i racconti delle invenzioni che elucubra per
sbarcare il lunario, per contrabbandare sigarette e caffè, ed altro ancora. Con
questo amore per le terre dell’anima mia. Cioè per quei luoghi in cui uno si
sente “a casa”. Per tutta l’infanzia e la giovinezza sono i monti. Per la
maturità e la vecchiaia diventano il mare. Quasi a ripercorrere l’itinerario
interno dello stesso Carlotto, dalla natia Padova all’attuale Sardegna.
Interessanti, ovvio per chi ne frequenta, le pagine sul carcere, o meglio sulle
carceri, e sul loro evolversi e modificarsi nel tempo. Con quello sfiorare e
scontrarsi con la violenza che solo lì si capisce quanto poco possa essere
distante dal muoversi normalmente nella vita civile. Poi l’amore, per la bella
Sonia, moglie amata e bistrattata. E per Dalida, quello che una volta era uomo,
e per cui Ben perderà la testa e molto altro. Fino all’ultimo carcere quello in
cui incontra Massimo (Carlotto?), in cui prende coscienza e comincia ad amare
il jazz. Per tutto il romanzo, c’è comunque questa nota dolente, del tempo che
passa, delle occasioni che vanno, delle scelte che si fanno. Come ritrovarsi ad
un certo punto, che s’è fatto più strada di quanta se ne potrà ancora
percorrere, e fermarsi… A fare cosa? Pensare? Rimpiangere? Bella domanda.
Quello che mi rimanda è quello che sento anche io dentro, che comunque, per
quanto ci possa mostrare lo specchio, noi, dentro, s’è sempre la stessa persona.
Magari a volte più consapevole, ma sempre quella che presa una volta coscienza
di essere qualcosa, da allora ci è rimasta lì e ci accompagna. Mi verrebbe in
mente, quasi che fosse una specie di nostro personale Dorian Gray. Cioè Dorian
è l’involucro esterno che invecchia al posto del nostro essere che rimane lì ad
agire e pensare, fino a che non si ricongiunge con il suo involucro e… Beh,
sappiamo tutti come va a finire…. Mi sembra di aver messo troppi punti di
sospensione, ma tante sono le cose che mi rimangono sospese. Il risultato
finale è un libro di buon interesse, anche se non bellissimo, anche se mi
aspettavo qualcosa di diverso.
“certe cose vanno fatte al tempo giusto… Ho
vissuto 65 anni senza preoccuparmi di mettere a posto le cose nel mio cuore e
nella mia testa” (33)
“Enrico diceva sempre che leggere certi
libri ti dà la possibilità di diventare un uomo migliore” (38)
“Ero insoddisfatto e infelice ma non lo davo
a vedere. Mai. Non avrei saputo spiegarne i motivi e tantomeno avevo voglia di
affrontare il discorso. Temevo che l’anestesia si trasformasse in disperazione…
Ogni mattina … mi guardavo allo
specchio… e dicevo a voce bassa Non voglio vivere così.” (132)
Lorenzo Licalzi “Il privilegio di essere un
guru” Fazi euro 9,50 (in realtà, scontato euro 6,17)
[in: 24/07/2009 – out: 26/03/2010]
Paghi
uno e prendi tre; perché ce ne sono tre diverse storie, anche se unificate. E
di diverso godimento. La prima è un fuoco di fila di battute sulla vita
sessuale del povero Andrea. Poi c’è la parte centrale, un po’ lunghetta, della
sua storia con Maria. E c’è la parte finale, intollerabilmente pallosa con il
Giappone ed il suo zen. Continuo comunque a tenere sotto controllo questo
irregolare scrittore ligure, di provenienza psicologica, che, pur con appunto
alcuni abbattimenti della tensione narrativa, continua mediamente a tenermi in
allegria con le sue storie (rimando sempre a quel bellissimo racconto sul
povero scrittore cui viene a rompere le scatole il postino di “C’è posta per
te”!). Anche qui, come detto in testa, la prima parte è godibile, ed anzi stavo
pregustando tutto un romanzetto, easy, ma basato sul rapporto tra un uomo e le
sue conquiste amorose (e le prime citazioni sembrano quasi essere fatte apposto
per me, soprattutto per il fascino che esercito, ah ah…). Poi si incaponisce di
una ragazza alternativa, tutta dedita alle meditazioni orientali et similia (e
qui un po’ si sente troppo lo psicologo che viene fuori, sia per il lato di
interesse che queste pratiche possono avere, sia per la critica di fondo che
Licalzi, anche correttamente, ne fa). E qui comincia ad arenarsi, a perdere la
rotondità della pedalata, come direbbe un ciclista. Certo si gode ancora un po’
delle strampalate tirate di orientalismo da primo sguardo che Andrea propina a
destra e sinistra (ma perché chiamarlo Zanardi come il grande personaggio di
Paz?). Per finire con quella parte che non vedevo l’ora terminasse, sulla
visita in Giappone e sull’incontro con il monaco Zen. Certo, tutto trattato con
ironia, ma con una troppo elementare visione che ne scopre i meccanismi ed i risvolti,
lasciandoci poco interesse ad una trama che alla fine si rivela più banalotta
del previsto. Certo anche nelle parti successive c’è del buono in punta di
penna, soprattutto nelle tirate gastronomiche di Ditasudice il grande paninaro.
Ma nel complesso il peso finale scivola verso una sufficienza più di stima che
di contenuto. Da leggere in primavera, mentre si riposano le stanche membra in
un agriturismo alle bocche del Magra.
“Non vorrei passare per un presuntuoso ma esercito un certo fascino
sulle donne. Eppure non sono poi tutta questa bellezza, sono passabile,
diciamo, intrigante, forse, ma niente di più. L’esperienza, d’accordo, la
tecnica sopraffina che ho perfezionato negli anni, non bastano a giustificare
l’interesse che spesso suscito nelle donne. All’inizio magari no, mi serve
qualche ora, talvolta qualche giorno, raramente addirittura qualche settimana
di duro lavoro, ma poi lo sento che in loro scatta qualcosa, che incominciano a
guardarmi con occhi diversi” (10)
“Negli anni mi sono fatto una certa cultura, ci sono materie su cui
sono più preparato (quelle che hanno maggior ascendente sulle donne: arte,
poesia, letteratura, filosofia, psicologia, medicina) e altre su cui zoppico un
po’, ma non c’è argomento sul quale non potrei fingermi un esperto. La cultura
è uno strumento di lavoro irrinunciabile, chiunque ti capiti, serve sempre,
l’ignorante la stupisci, la colta si stupisce” (12)
“Saro era un estimatore della donna cuciniera … mi ricordo che diceva:
‘femmina piccante pigghiatela come amante, femmina cuciniera pigghiatela come
mugliera’” (119)
Fabio Volo “Il tempo che vorrei” Mondadori
s.p. (regalo di Alessandra)
[in: 25/12/2009 – out: 14/04/2010]
Ritorna
il plurimo, due libri in uno: dall’infanzia alla maturità seguendo l’idea del
padre da una parte e dalla fine di un amore alla (fine/inizio/ri-inizio? lascio
a voi la scelta) di un amore dall’altra. Il primo è bello, intenso. Il secondo
è un po’ “volatile” (giocando un po’ sullo pseudonimo del buon Fabio). E mi
riesce difficile districarmi tra i due, perché nella mia costruzione mentale,
poi, i due protagonisti mi si costruiscono diversi. Apriamo un inciso: mentre
leggo in genere, soprattutto lì dove più mi appassiono, a poco a poco mi
vengono in testa i tratti dei protagonisti, le loro facce, insomma tutto quello
che me ne fa persone “reali” che mi accompagnano per il percorso di lettura.
Quasi che ad un certo punto, mi immergessi più in biografie che in momenti
“inventati”. Torniamo allora a Fabio. Qui, appunto, i due protagonisti mi si
presentano psicologicamente diversi. Quello alla ricerca del padre, dolente,
pensoso, ma in fondo riflessivo e con una meta in fondo al cuore. Capire meglio
perché non è riuscito (almeno fino ad ora) ad entrare nella breccia di quel
genitore che forse avrebbe reso più lievi i suoi momenti di fatica. Portandoci
poi alla conclusione (ed in fondo l’ho ben capito io due anni fa) che quello
era l’amore che gli veniva dato, quel modo brusco, esterno, mai accarezzante,
era l’unico modo che avevano insegnato loro, ai nostri genitori. Ed anzi, si
facevano sforzo di venirci incontro, almeno di capire. Nella prassi, perché
quello era il modo che avevano vissuto loro, e che ne avevano sofferto di più,
ché neanche quello avevano forse avuto dai loro genitori. Mentre il
protagonista egoista, giustamente lasciato perché non fa che leccarsi,
solitario, le proprie ferite immaginarie, ad un certo punto mi lascia freddo. E
non capisco come ci si possa innamorarsene. Fare un bel gesto, trovare un modo
gentile di essere, può apparire. Ma se scavando quei gesti sono vuoti, sono
“immeditati” perché dovremmo farci pietà di lui? Lui che continua a rincorrere
la solitaria lei, che tanta luce portava nel suo buio. E cui lui non faceva
altro che spegnere, come una candela che si consuma troppo in fretta. Rimane
solo una sensazione antica, quasi da “vecchio maschilista”: quando è la donna a
lasciare l’uomo, rimane in lui la sensazione dell’amore (personalmente non
credo più profonda), come se da “uomo” rifiutasse la “sconfitta”. E via allora
a ricordare cose, oggetti, momenti, ripercorrerli, farsi male cento e più
volte. Questo mi rimanda il panegirico dell’abbandonato, come se facesse di
tutto per avere una rivincita. Che non credo sia giusto che abbia. Però Volo
scrive in modo carino, non si perde in contorti voli scribacchianti, e quelle
tirate sulla bellezza della lettura, beh, le sottoscrivo in pieno. Dai, va bene
anche così, ricordando il bello del personaggio simpatico e calando l’oblio
sull’egoista solitario.
“sappi che leggere mette in moto tutto dentro di te: fantasia,
emozioni, sentimenti. È un’apertura dei sensi verso il mondo, è un vedere e
riconoscere cose che ti appartengono e che rischiano di non essere viste. Ci fa
riscoprire l’anima delle cose. Leggere significa trovare le parole giuste,
quelle perfette per esprimere ciò a cui non riuscivi a dare una forma. Trovare
una descrizione a ciò che tu facevi fatica a riassumere. Nei libri le parole di
altri risuonano come un’eco dentro di noi perché c’erano già. …. Non importa se
il lettore è giovane o vecchio, se vive in una metropoli o in un villaggio
sperduto nelle campagne. Così come è indifferente se l’argomento di cui sta
leggendo riguarda un’epoca passata, il tempo presente o un futuro immaginario;
il tempo è relativo e ogni epoca ha la sua modernità. E poi leggere è bello,
punto. Io a volte dopo aver letto un libro mi sento sazio, appagato,
soddisfatto, e provo un piacere fisico” (90)
“I personaggi, le frasi e le parole trovate nei libri sono come ponti
che ti permettono di spostarti da dove sei verso dove vuoi andare, e quasi
sempre è un ponte che unisce il tuo vecchio io a quello nuovo che ti attende”
(130)
“se critichi continuamente gli altri, finisci che crei una grande
aspettativa su di te. … Più critichi, più crei aspettative, e più crei
aspettative più hai paura di sbagliare. E rimandi…” (159)
“non ho mai voluto prendermi la responsabilità di una persona … non
chiediamo nulla agli altri, affinché gli altri non chiedano nulla a noi” (231)
“(citazione) Non stai vivendo se non sai di vivere” (quarta di
copertina)
E visto che siamo nel regno del
molteplice approfitto ancora della scrittura di queste trame (e cada bene il
libro di Volo) per dare un forte abbraccio ad Emilio. E fare gli auguri a chi,
approfittando di questo caldo, sta ponendo mano a case e ristrutturazioni.
Abbracci e baci a chi sta già andando in vacanza, mentre io per altre 3
settimane sarò qui ad annaspare d’afa.
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