Arnaldur Indriðason “La voce” TEA euro 8,60
(in realtà, scontato a 1,75 euro con Feltrinelli +)
[in: 07/02/2010 – out: 26/04/2010]
Un
islandese, il primo, comperato in tempi non vulcanici. Interessante, anche se
non bello. La prima domanda che torna è quella che mi faccio da qualche tempo,
sulle traduzioni. Infatti, non si capisce se il testo viene tradotto
dall’originale o no. Spero che l’ottima Silvia Costantini sia una “islandica”
perché non mi aggradirebbe una traduzione di traduzioni. E per restare al tema
“vulcanico”, il libro mi ha dato anche spunti per interessarmi a qualche
spigolatura su queste terre del Nord. Prima di tutte, la lingua con quelle sue
32 lettere, complicate da segni grafici strani, come la d tagliata del nome
dell’autore (la riporto qui minuscola ð
e maiuscola Đ). Poi la genesi dei
nomi, con quei suffissi a significare figlio di (son) o figlia di (dottir).
Quindi, per poca confusione, meglio usare i nomi propri, che sono più vari (e
molti di origine vichinga). Che spiega anche l’uso dell’indirizzamento diretto
(ci si da del tu, anche in situazioni formali) proprio di molti posti
affacciati sul Mare del Nord. E dandoci del tu, ci immergiamo in questa puntata
di mezzo delle vicende del commissario Erlendur (altre ne sono uscite prima, e
vedremo se recuperarle). Tipicamente (almeno nel mio immaginario) inserito nei
luoghi. Orso solitario, con qualche guasto alle spalle (un matrimonio finito,
forse più per consunzione che per altro, due figli un bel po’ sbandati) e molta
solitudine dentro. Che viene ad indagare sulla morte di un cinquantenne
portiere d’albergo la vigilia di Natale. Con tenacia, aiutato da fidi ispettori
che si sguinzagliano per la piccola isola, si scava, si trovala storia del
povero Gulli (che in realtà si chiama Guðlauger, ma è impronunciabile),
splendida voce bianca fino ai 12 anni e poi scomparso nelle melme di quegli
ex-bambini prodigi che non riescono a crescere (o che i genitori non fanno
crescere; quanta dolenza in questi rapporti padre-figlio…). Veniamo a toccare
tutte le sordità di questo mondo che qui, da migliaia di chilometri a sud,
sembra pacifico e scorrevolmente banale, ed invece si rivela (si può rivelare)
duro in modo insopportabile. Alcuni piccoli sotto-finali ben congeniati (anche
se senza il ritmo serrato cui ci abituano gli anglo-sassoni) portano ai
discioglimenti, sempre dolorosi. Rimane la voglia di capirne di più, e credo
che altri Arnaldur entreranno nella mia biblioteca, in attesa, prima o poi, di
vedere dal vivo i geyser fumanti.
“So cosa si prova a non sopportare più se stessi … è una sensazione che
non ci togliamo mai di dosso. Ce ne possiamo liberare per un po’, ma poi quella
torna sempre” (177)
“quando uno prende una posizione, poi non fa niente per cambiarla.
Perché non vuole, credo. E il tempo passa, gli anni passano, finché poi si
dimentica la sensazione, il motivo che aveva scatenato tutto quanto, e io ho
dimenticato, di proposito o meno, le occasioni che avrei avuto per rimediare a
quanto era andato storto, e poi a un tratto è stato troppo tardi” (237)
Arnaldur Indriðason “Sotto la città” TEA
euro 8,60
[in: 30/04/2010 – out: 16/06/2010]
Secondo
libro letto dell’interessante islandese, e (ma quanto mi ripeto) in ordine
cronologico precedente quello già recensito. Anzi, se i miei dati non sballano, dovrebbe essere il
primo tradotto in Italia (non il primo della serie, sarebbe troppo). Certo,
così alcuni giochi non prendono (soprattutto il rapporto tra Erlendur e la
figlia Eva Lind, sempre sull’orlo della crisi, ma che sappiamo come si
evolverà). L’interesse principale è che Arnaldur costruisce un “caso” intorno
ad una delle specificità islandesi: il problema genetico. Infatti, prima che
per i vulcani (e mi aspetto che anche da lì prima o poi nascerà un caso),
l’Islanda era nota agli appassionati per la sua specificità genetica. Come
tutte le isole, è facile che il patrimonio genetico venga mantenuto, visto che
(soprattutto in un posto un po’ sperduto come l’isola dei ghiacci) i matrimoni
avvengono tutti all’interno di un ceppo che, per quanto lontano nel tempo, poi
si riduce a pochi esemplari. Tutto nasce da una morte violenta, e da lì, passo
dopo passo, tassello dopo tassello, Erlendur e la sua squadra, che ormai
impariamo a conoscere (Sigurður Óli e Elínborg, qual è l’uomo e quale la
donna?) risalgono ad una serie di
accadimenti. Uno stupro, una bambina morta di tumore al cervello, la vita
violenta del morto. E via a ritroso nello spazio e nel tempo. I disvelamenti
avvengono con calma, oserei dire con una calma nordica, anche se il ritmo è
abbastanza serrato (non siamo in un hard-boiled americano, ma neanche in un
giallo d’interni all’Agatha Christie). Fino al solito finale un po’
tristanzuolo, anche se ben congeniato. Mi sa che per ora è un altro carattere
portante di questa letteratura che mi va svelando mondi a me poco noti.
Intanto, nella mia nota “puntigliosità”, mentre dal primo mi era venuta la
curiosità sulla genesi dei nomi, qui me ne viene una seconda, al solito
scatenata dalle orrende note di quarta di copertina. Allora, il titolo
originale del libro è “Mýrin” che (come tutti sanno) in islandese significa
“Palude”. Ora è pur vero che la palude può stare sotto una città, ma gli
estensori delle note partono da questa definizione, per imbarcarsi in un filone
che poi nel libro ha la sua importanza, di critica sociale, come tutti i
nordici ci insegnano sia importante, rispetto all’atteggiamento a volte
spregiudicato dei medici. Al contrario, il titolo si riferisce ad una diversa
palude, molto più critica del sistema sociale islandese. E riferita al
malcostume di costruttori edilizi che edificano nuovi insediamenti urbani sopra
delle paludi, costruendo delle case che in breve tempo si fatiscentizzano.
Comunque, fatto anche questa volta il punto sul mio “rompismo”, torniamo al
libro, ad Erlendur che mi sta discretamente simpatico per quel tocco di umanità
“negativa” che ci portiamo appresso un po’ tutti (è facile fare gli eroi
giovani e belli diceva il nostro amico Guccini), ad una vicenda ben costruita
ed al prossimo appuntamento con le saghe nordiche. Sperando che prima o poi, i
curatori si decidano di dare ordine alle storie di Arnaldur.
Arnaldur Indriðason “La signora in verde”
TEA euro 9
[in: 10/05/2010 – out: 30/07/2010]
E
continuando nell’anarchica lettura, questo si colloca temporalmente dopo il
precedente ma prima de “La voce”. Quindi purtroppo sappiamo già come prosegue
il rapporto tra Erlendur e la figlia Eva Lind. Ma ritroviamo con piacere
l’andamento ondivago del narrare di Arnaldur, sempre su e giù tra passato e
presente, qui tra l’altro con uno scarto di almeno 50 anni tra i due. Diciamo
anche che il buon vichingo riesce a gestire (abbastanza) bene le diverse trame.
C’è il presente con la storia della vita di Erlendur, dei rapporti con la
figlia e dei sensi di colpa mai sopiti verso il fratello morto in gioventù
(tutto torna). Ed ancora il presente con le storie dei suoi due collaboratori
Elínborg e la sua strana sensibilità e Sigurður Óli, la sua rudezza e la sua storia
d’amore tormentata. E c’è il passato, quello delle violenze familiari di Grimur
verso la moglie, dei tre fratellini persi in questa tempesta d’odio, la storta
Mikkelina (che risulta sempre la più simpatica e vitale, nonostante le sue
menomazioni), l’adolescente Simon che non sa come aiutare la madre ed il
taciturno Tomas. E c’è la storia (che forse si intreccia e forse no) di
Benjamin e del suo sfortunato amore. Il tutto catalizzato dal ritrovamento di
uno scheletro. Di chi sarà? Della fidanzata di Benjamin, della moglie di Grimur
o di Grimur stesso? La storia scorre piano, come si addice ad un tempo
islandese che non sembra aver fretta, tanto che ci si può permettere di
indagare su una morte avvenuta durante la seconda guerra mondiale. Si
intravedono i grandi spazi di questa isola che prima o poi si conoscerà, i suoi
freddi, la sua parlata strana (ottimo l’intervento dell’americano che cerca di
parlare la lingua). E dolentemente, mentre aspettiamo di capire se Eva Lind
riuscirà ad uscire dal coma, la storia scorre ed arriva al suo giusto epilogo.
Solo un appunto, che verso la fine uno dei fili (e non vi dico quale) si
sfilaccia un po’. Ma per il resto bene, la scrittura, la trama. Ci si proietta
in toto in questo mondo di altri ritmi. Non solo, si affrontano anche alcuni
temi “immortali”: gravidanze indesiderate, ma soprattutto la violenza
familiare. Questa poi è quella che più mi colpisce, per la sua crudezza, per la
sua innaturalezza. E per la facilità con cui la vittima accetta di rimanere
vittima. È difficile, a volte impossibile, ribellarsi. Ma quanto dolore viene
fuori da questa accettazione di situazioni inaccettabili. Non ho soluzioni.
Solo rabbia. Alla prossima, Arnaldur.
“Il tempo … non risana alcuna ferita” (60)
Anzi, credo che della biografia
comincerò un po’ a tagliare. Primo perché ormai su Wiki si trovano quasi tutti
gli autori che leggo, secondo perché molte volte non è il primo libro
dell’autore che leggo per cui rimando ad altre biografie (ma forse rimanderò
solo ad altre trame) e terzo perché a volte per capire meglio il libro è ben
inserire delle note nella trama e non all’esterno.
Infine, visto che ho scritto
molte ripetizioni e rimandi, non vi ripeto tutte le vicende settimanali che
andremo ad incontrare, purtroppo nessuna ha ancora raggiunto un punto stabile,
per cui si continua ad arrancare. Spero solo di trovare un po’ più di tempo per
vedere i miei cari amici, cui per ora lancio solo il mio solito…
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