Cominciamo
allora con l’a me poco noto cuoco.
Sapo Matteucci “Q.B. la cucina quanto
basta” Laterza euro 10,50 (in realtà scontato 9 euro)
[in: 16/04/2010 – out: 12/05/2010]
Un
libro di ricette, ebbene sì, che ho letto come un saggio e che ogni tanto ha
dei bei richiami mentali a tavole e convivi. Intanto il mistero del nome Sapo
abbreviazione di Saporoso, che solo qualcuno nato in Toscana poteva trovare.
Poi l’umiltà che vi ho trovato quando nell’accostarsi al cucinamento di piatti,
ci si pone sempre con grande timore. Tutto può andare male, anche il piatto più
rodato. Bisogna sempre e comunque essere rispettosi degli alimenti e trattarli
da pari a pari. Con uno stile quindi molto colloquiale, che ho sommamente
apprezzato, si va di situazione in situazione (da quelle banali di semplici
piatti per i figli ed i loro amici a quelle super difficoltose del cucinare per
sé, molto più “angosciante” del cucinare per altri, perché si può mentire a
tutti, ma non a sé stessi), sottolineando i momenti (e sono molto coinvolgenti)
di quella cucina comunitaria, dove ci si divide i compiti per un risultato
finale all’unisono e di cui tutti si gode. Soprattutto per il pesce (che
piacere leggere del sauté di vongole!). Pieno inoltre di piccoli e grandi
aperitivi (grande mojito, e sorry per chi non ama la menta), e di
accompagnamenti divini/di vini. E che gran gioia di papille, passare in poche
righe da quella grande pietanza nazionale della parmigiana di melanzane a
quell’altrettanto grande e napoletana del gattò di patate. Un bello sforzo,
l’apprezzare quello scivolare su sapori aulici, scarsamente riproducibili, ma
senza l’affettazione del grande critico culinario, né quella finto - ironica
alla Burbery. Come quando sento i profumi del legno di faggio che affumica il
sale Danese. O mi congratulo per l’utile smitizzazione di pepi “aromatici”,
rispetto ad un sano e robusto pepe naturale. Come non andare insieme da Tonino
l’ortolano a prendere della verdura di stagione, fino a salire alle alte vette
di quella cucina tanto semplice da essere inarrivabile. Due esempi su tutti:
gli spaghetti aglio e olio e le uova al pomodoro. Piatti semplici, ma di una
bontà senza uguali. Certo poi si può anche arrivare al “Framasson di Monzù
Terremoto” e se qualcuno vuole gliene parlo. Ma lì il massimo è leggerne per
vedere come viene fatto. A farlo… insomma, letto metà all’andata e metà al
ritorno nella trasferta madrilena, mi ha fatto compagnia con il suono italico mentre
andavo a gustare un “jamon de pata negra bellota” (ne possiamo parlare?). Buona
digestione a tutti.
“Il primo tentativo, forse non solo quello, sarà per voi, come è stato
per me, un mezzo fallimento. Ma non desiste: coraggiosi, verso un prossimo e
trionfale successo. In fondo non esistono piatti difficili, o, senza un po’ di
passione-attenzione, lo sono tutti” (164)
Passiamo poi ad uno dei miei
sempreverdi, anche se non al meglio.
Erri De Luca “Una nuvola come tappeto”
Feltrinelli euro 6,50 (in realtà, scontato 5,20 euro)
[in: 23/04/2010 – out: 11/07/2010]
Interessante,
inclassificabile, ma cosa vuole dire? Qui siamo dalle parti dell’Erri dotto,
che studia l’ebraico e legge la Bibbia in originale. Ed io immagino che da
quella lettura vengano fuori annotazioni, domande, pensieri che, da buon amante
della scrittura, De Luca non può fare a meno di prendere. Ed una volta presi,
non può fare a meno di rileggerli e di avere la necessità di condividerli.
Questo mi sembra il solo filo che lega le pagine di questa nuvola. E noi
riflettiamo con lui, su alcuni passi della Bibbia, e sul modo di arrivare a noi
di cose difficili e ahi quanto mediate. L’ebraico, come l’arabo che conosco
meglio ma la radice è quella, è anch’essa una lingua che si compone di radici
consonantiche significative. E quindi con sollecitudine intellettuale,
scopriamo i nomi d’origine di situazioni e personaggi che fin dal nome hanno
una loro ragione. Giacobbe da Yakov che significa “colui che afferrò il
calcagno”, ma le radici del nome significano anche “ingannatore”. Ed una luce
nuova si stende sulle sue vicende e su quelle di Esaù (a parte il proustiano
ricordo di piatti di lenticchie che in gioventù mi avevano lasciato perplesso e
che solo le frequentazioni medio - orientali mi hanno consentito di
comprendere). O Giobbe da Iiòv che significa avversato. O la storia della città
di Scin’ar e della sua torre che noi siamo abituati a pensare col nome di
Babele. Financo tutta la storia (riassunta per capoversi, ma ce ne sono i passi
fondanti) che porta da Isacco (colui che ride) a Giacobbe, a Giuseppe, a Mosè,
a Giosuè ed all’insediamento delle 12 tribù in Israele. Facendoci anche
ricordare che, temporalmente, siamo vicini alla Guerra di Troia. Ma che
differenza di atteggiamento tra i bellicosi achei, l’ingannatore Ulisse, ed i
mistici ebrei che cercano di conquistare la Terra Promessa. Ed in che modo?
Guerreggiando e sconfiggendo coloro che in quella terra vi abitavano. De Luca
non se la sente (ed a ragione) di fare ulteriori paragoni tra lo ieri lontano e
l’oggi bruciante. Ma come se indicasse un pensiero e dicesse a noi di
ragionarvi sopra. Tanti altri pezzi dotti si accumulano nelle poche pagine del
libro, che riesce faticoso condensarli in una così breve disamina. Di questo è
meglio che si legga, e si legge con piacere e scorrevolezza. Ne esce fuori
quella umanità storica senza la quale certi passi, certe decisioni, certi
atteggiamenti sembravano rimanere sospesi. Sarcastiche le pagine di San Paolo
che prova a parlare del Dio Unico nell’agorà di Atene. Interessanti le righe su
Giona e la distruzione di Ninive. Mi ero proprio scordato perché Giona finiva
nella balena! Questo è tutto il bene che posso dirne. Ma rimane il mio grido
iniziale. Che cosa mi vuoi dire di altro, caro scrittore? Quale urgenza altra,
che non ho compreso, spinge la tua penna? Perché se ci si limita ad un
esercizio intellettuale, si può nutrire bene il proprio cervello. Ma lo spirito
ne rimane non so dire se inquieto o quanto meno disorientato. Ecco, questa è la
sensazione mia personale alla fine. Mi sono dilettato nello scoprire cose che
non sapevo, le pagine sono volate vie in un lampo. Ma alla fine non è uscito il
dolce da quel forte come diceva Sansone (c’è chi si ricorda a mente perché?).
Il tuo grido finale di amore per il Mediterraneo è il mio grido di sempre. Però
mi aspettavo qualche cosa in più che qui non ho trovato. Ma cercherò ancora.
“Un sogno che non si interpreta è come una
lettera non letta” (47)
“Come il martello frantuma la roccia in una
moltitudine di frammenti, così un solo passo della Scrittura ha molti
significati (Talmud)” (78)
“Per il tempo che le parole sono nella tua
bocca sei il loro signore; una volta pronunciate, sei il loro schiavo” (109)
Non
parlo ancora del buon napoletano, e salto a più pari verso lo spagnolo anche
lui perso in giochi di mente.
Enrique Vila-Matas “Storia abbreviata della
letteratura portatile” Feltrinelli euro 7 (in realtà, scontato 5,25 euro)
[in: 25/07/2010 – out: 20/10/2010]
Un gioco intellettuale tutto
costruito, ma alla fine sterilino. L’idea è quella di costruire un grande
pastiche prendendo spunto da gesta (tra vere e inventate) dei surrealisti e
della gente che girava a loro intorno, verso gli anni ’20. Vila-Matas è un gran
conoscitore di letterature e dei primi decenni del secolo. Socio onorario dei
seguaci di Joyce che si riuniscono a Dublino il 16 giugno di ogni anno,
scrittore di altri pastiche che hanno per protagonisti il Bartelby di Melville
e il Montano di… Sempre sul filone della difficoltà di scrivere. Anche qui, la
scrittura diventa un pretesto di vita. Un gioco altro per giocare con tanti
frammenti. Inventando la nascita di una società segreta che in codice si fa
chiamare SHANDY. Gli adepti devono portare sempre con loro le loro opere, come
nella famosa Boîte-en-valise di Marcel Duchamp. E per narrare le loro gesta si
inventa la scrittura al contrario di un testo immaginario (La “Storia portatile
della letteratura abbreviata” di Tristan Tzara che il franco-rumeno mai si era
sognato di scrivere). Oltre a Duchamp, della congiura shandy fanno parte a
uguale titolo Walter Benjamin, Jacques Rigaut, Blaise Cendrars, Valery Larbaud,
Scott Fitzgerald, Vicente Huidobro, César Vallejo, Salvador Dalí, Tristan
Tzara, Ezra Pound, Cyril Connoly, Francis Picabia, Georgina O'Keefe e il
principe Mdivani. Con la partecipazione straordinaria di Aleister Crowley e
Louis Ferdinand Celine nel ruolo di traditori, presunti o reali che fossero. Ma
che cos'è uno shandy? In un primo significato, "Shandy, nel dialetto di
alcune zone del contado dello Yorkshire (dove Laurence Sterne, l'autore del
Tristam Shandy, visse gran parte della sua vita), significa indistintamente
allegro, volubile e un po' picchiatello". Lo shandy è un tipo
caratterizzato da una "volontà costante di trasgressione". E, su un
altro piano, una persona "impossibile, gratuita e delirante". Ma
shandy, più che essere correlato al personaggio di Sterne, deriva più che altro
da una bevanda inglese: una sorta di birra amarognola che, tracannata a grandi
sorsi in estate, riesce a placare la sete. Shandy soprattutto significa votare
la propria vita al nomadismo, e, come corollario, al celibato, alla vita senza
troppi pesi. Forse è tutta qui l'essenza del portatile: il paradigma di un uomo
celibe, impossibile, libero e delirante, ovvero "un artista portatile,
oppure, il che è lo stesso, qualcuno che si potesse portare tranquillamente da
qualsiasi parte". Shandy significa votarsi alla non causa di una congiura
senza movente e senza scopo. Nessun membro della società segreta sa a cosa
serva, a quali superiori destini sia consacrata la congiura. Cospirare tanto
per cospirare. Quel che è certo è un metodo di elezione: miniaturizzare la
letteratura. Necessità nomade, la letteratura portatile serve a far sì che
quando la congiura potenziale si esplicherà, accada quel che accada, tutto
l'inessenziale sarà a portata di mano. In una valigetta. E tutto narrato sempre
infarcendo reale e menzogna. Oltre alla bibliografia con metà libri inventati,
anche le azioni sono mescolate, Jacques Rigaut che si suicida come Roland
Roussel, Pola Negri che non si sposa con il principe Mdivani, la malia di
Georgia O’Keefe. E via elucubrando. Un gioco letterario (sarebbe curioso farne
una contro-lettura, con le “vere” storie dei “veri” artisti) ma alla fine un
po’ sterile e fine a sé stesso. Appunto godibile se si sanno tante storie.
Altrimenti così, rimane un bel ricordo e nulla più. Se non lo stimolo ad essere
sempre più nomade, almeno dentro la testa.
“Più che artisti, che suona vuoto e pomposo, siamo artigiani, cioè
gente che fa cose” (69)
“A Siviglia … diventa collezionista di libri e di passioni, perché sa
che la caccia di libri … arricchisce la geografia del piacere, e in ciò trova
un’altra ragione per vagabondare per il mondo” (101)
Veniamo ora all’elenco delle
letture del mese settembrino, iniziate con calma e poi intensificate, con ben 3
(tre) punte di eccellenza.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Beppe Sebaste
|
Panchine
|
Laterza
|
9,50
|
5
|
2
|
Jack London
|
Il vagabondo delle stelle
|
Adelphi
|
13
|
5
|
3
|
Christian Jacq
|
Le procès de la momie
|
Pocket
|
8,50
|
2
|
4
|
Loriano Macchiavelli
|
Cos’è accaduto alla signora
perbene
|
Einaudi
|
11
|
3
|
5
|
Alfredo Colitto
|
Cuore di Ferro
|
Piemme
|
11
|
3
|
6
|
Goliarda Sapienza
|
L’arte della gioia
|
Einaudi
|
14,50
|
5
|
7
|
Esmahan Aykol
|
Hotel Bosforo
|
Sellerio
|
13
|
3
|
8
|
Zygmunt Bauman
|
Vita liquida
|
Laterza
|
8,50
|
5
|
9
|
Maxence Fermine
|
Opium
|
Livre de Poche
|
5,60
|
3
|
10
|
Andrea Camilleri
|
La caccia al tesoro
|
Sellerio
|
14
|
2
|
11
|
Michael Connelly
|
Ghiaccio nero
|
Piemme
|
10,50
|
3
|
12
|
Massimo Carlotto
|
Il fuggiasco
|
E/O
|
8
|
3
|
13
|
Elizabeth George
|
Corsa verso il baratro
|
TEA
|
8,90
|
4
|
14
|
Éric-Emmanuel Schmitt
|
Milarepa
|
Magnard
|
5,53
|
3
|
15
|
Gian Mauro Costa
|
Il libro di legno
|
Sellerio
|
13
|
3
|
A
Merano tutto bene (a parte la neve). Per il resto un gran bisogno di riposo
(che spero arriverà) ed un pensiero a tutti i miei amici sagittario –
capricornici (sia a Carlo e Luciana in omaggiamento in questi giorni sia a coloro che verranno,
ma che non si fanno in anticipo).
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