giovedì 22 marzo 2012

La visione delle donne - 24 ottobre 2010

Nelle ricerche di lettura, un altro bel capitolo si potrebbe aprire sulla lettura maschile di libri che, al femminile, esprimono – analizzano situazioni poi comuni al genere umano. Un po’ come ne parlai a proposito della scrittura della Extebarrìa. Un capitolo duplice: perché se da un lato c’è quella diversità espressa dall’essere uomo – essere donna, dall’altra c’è la generalità della esposizione dei sentimenti in quanto tale. Altra domanda, infatti, è, perché, quando ne leggo in un libro scritto da un autore maschile, mi pongo meno domande sull’espressione dei sentimenti stessi. Lanciato questo primo sasso, veniamo alle tre autrici ed alla loro visione di sentimenti e vita. Una ormai storica per me, ben amata in altre sue storie, lasciata un po’ da parte ultimamente, ed ora ripresa in questo romanzo non bello ma che ho letto con piacere. Una che volevo leggere da tempo ed una che non conoscevo. Da tutte ho avuto rimandi contradditori. Buone sensazioni e sensazioni di incompiutezza. E di tutte e tre leggete meglio su Wikipedia.
Cominciamo con la napoletana, di cui scrissi la prima volta ben 4 anni fa sull’onda di quella lettura fantastica di “Mosca + balena”.
Valeria Parrella “Ma quale amore” Rizzoli euro 15
[in: 07/05/10 – out: 26/05/10]
Fatti subiti i ringraziamenti per il debito di riconoscenza a Loredana che mi fece scoprire questa autrice napoletana, e sottolineando che l’ho preso a prezzo pieno (una volta tanto) come auto-regalo di compleanno, che vogliamo dire di questa prova? Tutto sommato mi è piaciuta, come al solito i suoi libri. Certo ci sono momenti felici e passaggi più ardui, ma ha almeno tre frecce che mi hanno colpito. Perché parla di Buenos Aires, perché parla di Borges e perché parla d’amore. L’Argentina è da tempo in qualche angolo della mia testa, e passeggiare con lei tra Palermo vecchia e la Recoleta è stato un bel modo di iniziarmi ad una città che non conosco e che spero di conoscere. E poi Borges. In poche frasi, riesce ad esprimere l’odio-amore (ma molto più amore che odio) verso questo grande vecchio che primo mi ha iniziato ai mestieri del leggere. Non posso poi che assentire con lei, ritenendo la versione di Lucentini di ‘Finzioni” una delle migliori traduzioni che siano mai state fatte. Ed infine l’amore. Anche la fine di un amore. Visto da occhi che io non potrò avere mai. Tutto il percorso dall’accorgersi che si sta esaurendo, alla rabbia, alla volontà di fare qualcosa, ai diecimila propositi ed alle undicimila sconfitte. Ma ovviamente con occhi femminili, che mi fanno rivedere le stesse cose in altre prospettive. Un po’ come l’ultima esperienza con i detenuti, dove ho presentato i miei brani sia alla sezione maschile (e qui riconoscevo ed anticipavo le reazioni) sia a quella femminile (che mi ha sorpreso per le diverse valenze che ne venivano date; mi aspettavo qualcosa, ma è stato molto più bello di come pensassi, e molto più difficile). Anche qui viene messo bene in discussione il mio ruolo di maschio. Non che mi riconosca in Michele, anche se alcuni tratti sono presenti in molti maschietti. Ma è la percezione degli accadimenti che mi ha lasciato senza fiato. La profondità di certi dolori. La vetta irraggiungibile di certe speranze. Da qui non andrei a filosofeggiare sul tutto finisce, sulle difficoltà del vivere, sull’accettare le cose così come vengono. È un discorso che va un po’ fuori queste righe. Parrella comunque ne affronta alcuni margini, li lucida ben bene, e me li presenta perché anche io, maschio infingardo, li possa capire. Ci sarebbe poi tutto un capitolo da aprire sulla parte finale, su come si comporta Michele e sulle sue aspettative, e su come lei risponda. Ma ne parleremo con chi avrà voglia di leggere il libro, cosa che consiglio. E poi se ne discute davanti ad un mate caldo.
“Sono sprofondata in un’impasse del rapporto per cui non riesco a dire in modo naturale quello che sento.” (62)
“Un grande amore, quando diventa un ex grande amore, smette di essere un grande amore” (100)
Passiamo alla tosca, di tanti premi insignita, e che, in definitiva, non mi ha deluso.
Benedetta Cibrario “Rossovermiglio“ Feltrinelli euro 7,50
[in: 04/03/2010 – out: 29/05/2010]
Mi ero segnato di leggerlo dai tempi del Campiello di due anni fa. Ora l’ho letto, e tutto sommato con segni finali positivi, anche se per 200 pagine mi aspettavo qualcosa in più, che poi non è arrivata. I malevoli l’hanno etichettata come un ”Via col vento” in salsa toscana (o meglio al profumo di sangiovese). Seppur lo spunto ne apparenta qualcosa, la protagonista del romanzo mi è sembrata volare attraverso altri lidi, come un grande affresco di un mutamento epocale, iniziando la narrazione da un ormai lontano 1928 per terminare in qualche imprecisato anno prima della fine del secolo. Certo si vede che l’autrice ha letto, ed ogni tanto citazioni e rimandi affiorano alla penna. Come quando dice  “Ho diciannove anni e non so che cosa farmene”  che mi rimanda sempre all’attacco di “Aden, Arabia” di Paul Nizan o afferma con Tabucchiana precisione “Mi ricordo. SI, mi ricordo”. Per il resto è un buon gradevole alternarsi tra passato e presente, sul filo dei ricordi di questa anziana signora che nella tenuta toscana vicino Siena (che non a caso si chiama ‘La Bandita’) cerca di annodarli prima che siano inannodabili. E sul filo di quel passaggio ci si presentano ben descritti (si vede che è una signorina di buona famiglia) uso, costumi e andamenti mondani degli anni venti e trenta. Rimango sempre affascinato da quelle belle descrizioni (qui, come in Augias, o similia) che mi immergono in momenti atemporali e mi immagino un buon scrittore del futuro (anche prossimo) che con abile penna vada a descrivere i nostri anni ed il lettore coevo che tipo di immagine si figura. E ogni volta che mi immergo nel filo dei ricordi torna il buon Augè con i suoi ammonimenti (difficile che ti ricordi quello che è avvenuto, al più ti ricordi quello che ti fa piacere dell’avvenuto, e non scordiamo che il termine ‘fa piacere’ è inteso anche che possiamo ricordarci cose dolorose, ma che servono di stimolo al nostro cervello; e si andrebbe avanti per ore proustianamente ad aprire incisi su incisi). Ma “revenons à nos moutons“ come ammonirebbe il colto conoscitore di letterature. Ed alla storia che per soprassalti segue anche l’andare e venire del Rhett-Trott e del suo sparire misterioso poco dopo la fine della guerra, dopo però aver insegnato alla bella signora come fare del buon vino, cioè come fare l’ottimo Rossovermiglio del titolo. Ogni tanto poi incontriamo persone che si erano perse nei meandri della giovinezza. La focosa Nina, il cugino omosessuale Oddone, il Carlino, l’Aimone (che nome, eh?) e financo un bel pre-finale con Francesco Rocca di Villaforesta. Il finale scioglie molte riserve, ma lascia degli amari in bocca, come un pranzo in cui si è ecceduto un po’ in tannini. Questo per non dare il massimo dei voti. Da leggere accanto al cammino del Forte, sorseggiando un non troppo impegnativo ‘Lunediante’.
“Allora ebbi solo l’indubitabile certezza di essere bella, ai suoi occhi, come mai più sarei stata agli occhi di qualcuno” (28)
 “Se osserva la propria vita a ritroso, ognuno di noi è in grado di valutare il peso di alcuni momenti, che, per lo più, si sono annunciati in sordina – mattine annoiate, o serate che sarebbero dovute essere uguali a tante altre e che invece, inopinatamente, sono state dei punti di svolta” (65)
“Se sono stata pigra, forse lo sono stata di sentimenti: ho faticato a esprimere un’emozione o un turbamento. Sono stata semmai una lunediante del cuore” (81) (lunediante = operaio che non si presenta al lavoro il lunedì mattina per smaltire l’ubriacatura della domenica, per esteso sinonimo di pigro)
“Penso che non conosciamo mai veramente le persone. O forse, dobbiamo ammettere che gli individui cambiano, che le loro qualità nascoste emergono in superficie o s’inabissano definitivamente quando la vita entra in rotta di collisione con loro” (94)
 “Curioso come alla volte, per conquistare ciò che si desidera fortemente, ci vogliono in pari misura coraggio e sventatezza.” (105)
“sono invecchiata rapidamente, un secolo mi è sgusciato tra le dita in un soffio. Quando mi guardo indietro, mi pare di aver avuto vent’anni fino a ieri l’altro. Ne ho invece più di ottanta, anche se tutti si fa finta di non pensarci. Come si dice nel calcio, siamo giocatori in panchina …; in attesa di uscire, però, non di giocare” (142)
“I veri nomadi, lo so, hanno uno sguardo fermo e sereno, quando osservano il mutare dei paesaggi e delle consuetudini; uno sguardo che guarda fisso, avanti; è la prossima tappa ciò che conta, non quello che si lascia dietro; non li turba il cambiamento, né quella forma più sottile e incurabile di mutazione che è la sparizione.” (202)
Finiamo la risalita dello stivale nella mia rimembrata Udine, con questa giovane e comunque interessante autrice.
Valentina Brunettin “I cani vanno avanti” Alet euro 10 (in realtà, scontato 7,50 euro)
[in: 03/04/2010 – out: 30/06/2010]
Non eccelso, forse non bello, ma con qualche spunto che mi ha preso. Innanzi tutto c’è una piccola analisi da fare tra testo e contesto. È vero che bisognerebbe separare l’autore da quello che scrive e magari esprimersi sul testo. Ma la storia della Brunettin (che non conoscevo prima di comprare il libro) dà una lettura diversa anche al testo. La scrittrice una decina di anni fa alla tenera età di 18 anni vince un premio importante (il Campiello), poi scribacchia, poi tace fino ad ora. E cosa andiamo a leggere se non (uno dei filoni della storia che si intreccia nel libro) di una scrittrice che non riesce a scrivere. Cioè che vuole scrivere qualcosa di suo e si trova a scrivere qualcosa di altro. Letto in questa luce, l’ordito assume un calore forte in trasparenza. E la trama? Anzi le trame? C’è il filone principale, il rapporto tra questi due scrittori che si sposano e continuano a scrivere libri in coppia. Ma è una coppia sbilenca. Lui tutto teso alla meta, all’esterno, al bello. E tutto gli va bene. Scrive bene, ha una bella amante (l’ultima di una lunga serie) e tutte le sue cose volgono al bello. Lei tutta tesa verso di sé a chiedersi chi sia, a non stare al mondo, ad innamorarsi di persone sbagliate. Per scrivere, la sua scrittura rende sulla pagina. Non nel mondo reale, dove non fanno presa le sue storie di donne abusate. E si accartoccia su di sé. Fino a farsi male, fino a stare male. E poi c’è l’altro filone, quello sotteso, la storia che Emma vorrebbe scrivere e non gli esce dalla penna. Quella della cagnetta Laika, il primo essere vivente che esce dall’atmosfera terrestre. Vediamo assaggi di questa scrittura, e sono belli, coinvolgono. Fino all’incontro catartico con la poetessa che ha deciso di dedicare la sua vita ai cani. Ed alla comprensione della bellezza della semplicità canina. Di questo loro godere di quello che c’è (qui, ora, direbbe la mia mentore), senza farsi domande (ma se la fanno i cani?) su quello che era e quello che sarà. Accettando tutto, da cani, anche la propria morte, mettendosi da parte quando si capisce che è finita. Ma non Laika, che non vorrebbe mettersi da parte, ma che una mano altra pone dentro a quel missile che andrà in orbita. La Brunettin (ri-)dimostra una bella capacità di far uscire le persone dalla pagina in poche righe. Ce le fa amare od odiare perché lei le ama o le odia. Purtroppo poi si perde un po’, i fili si sfilacciano. Ma leggendo io stavo “soffrendo” con lei, perché si vedeva questo ordito che cercava di rompere la trama. E si capiva quando anche lei ha momenti stanchi, quando non riesce ad uscire da un pensiero che si contorce. Non tutti sono come il bel Virgilio, che una volta deciso, butta giù profluvi di parole, che troveranno ammiratori ed estimatori. Ma lui rimane tutto esteriore, una bella statua. Niente vita dentro. La vita è fatta per noi cani che stiamo male, che cerchiamo una mano consolatrice, che godiamo nello scorrazzare tra i prati. E ce ne andiamo senza salutare quando si deve partire. Per tirare le somme, una riuscita a metà. Spero che la scrittrice riesca a trovare anche l’altra metà della sua scrittura, perché sa mettere le frasi in fila, e non è da poco. La parte minore, volendo, è la doppia lettura che a volte si fa troppo palese e dolorosa, e ci si rimane viscosamente preda. Ma una lettura di incoraggiamento la merita. Brava, non mollare.
“spesso sembra che tu sia capace di scrivere grandi cose senza veramente capirle. Di questo non dispiacerti, perché nessun lettore vuole comprendere quanto sai, ma solo quanto sei in grado di dimostrare di sapere” (122)
 “Emma predilige gli abiti che la fanno sentire a suo agio (e il suo agio è vulnerabile e volubile, oltre che mimetico) mentre Virgilio predilige gli abiti che fanno sentire a loro agio coloro che lo circondano” (145)
“è troppo bruttina per innamorarsene ed è troppo intelligente per evitarla del tutto” (153)
“oggi mi accorgo che la cosa più importante nella nostra esistenza non è dire, ma tacere. E questo me l’hanno insegnato i cani. I cani stanno zitti: quando li accarezzi, quando dai loro da mangiare, quando li stai per sopprimere con una puntura. I cani mi hanno fato capire che nessuno di noi deve avere sempre qualcosa da dire” (156)
Non potendo rinunciare ai miei numeri mi verrebbe da dire che il prossimo autore sarà nato nel 1956 (vedremo …).
Andiamo allora ad incominciare un'altra settimana di grande intensità. Io devo concentrarmi ancora su delle cose da scrivere e sui viaggi da organizzare.

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