giovedì 8 dicembre 2011

Di quelli lunghi, ma lunghi…- 22 febbraio 2099

Ian Potocki “Manoscritto trovato a Saragozza” TEA s.p. (regalo di Nicoletta)
Proprio proprio brutto no, ma che fatica. Considerato da Roger Caillois e dai surrealisti come uno dei precursori del fantastico e designato da Tzvetan Todorov, nella sua « Introduzione alla letteratura fantastica », come il modello del « fantastico estraniato » probabilmente, nella sua versione integrale, è anche qualcosa in più. I suoi vari segmenti coprono anche il romanzo gotico, il romanzo di formazione, il romanzo libertino, il romanzo picaresco. E tanti altri. Il Manoscritto infatti intrallaccia storie quasi tutte ambientate in Spagna, con una grande massa di protagonisti : gitani, ladri, inquisitori, un geometra, una cabalista con sorella, due principesse moresche e il personaggio narrante, il vallone Alfonso van Worden. Ed in questo complesso romanzo “ a cassetti”, ben presto salgono alla testa i paragoni con il Decamerone o le Mille e una Notte. Quello che dopo un po’ mi ha stancato è il ripetersi (anche se nelle forme diverse) di uno schema più o meno simile: A ama B ma c’è un impedimento, C aiuta/non aiuta A o B, poi narra C e riprende lo schema. Non si può certo negare che Ian non abbia una fervida inventiva ma 1) le sparate sulla geometria sono da saltare a piè pari; 2) la storia dell’ebreo errante è mega-pallosa; 3) le cronologie che ogni tanto inzeppa sono o da eliminare (ah, gli editor) o da commentare. Credo che un lavoro di revisione e commento ne renda giustizia più del suo proporsi nudo e crudo. Una sacher torte, ma con troppa marmellata.
Jung Chang “Cigni selvatici” TEA euro 11,90 (prestito di Chiara)
Discretamente misurato, un buon bilancio tra amarezza e ottimismo. Complesso, perché complessa fu la Cina di Mao. In un numero forse esagerato di pagine (più di 600) narra la storia vera di "Tre figlie della Cina": l'autrice, sua madre, sua nonna, le cui vite e le cui sorti rispecchiano un tumultuoso secolo di storia cinese, un'epoca di rivoluzioni, di tragedie e di speranze. Dal 1909, quando nasce la nonna di Jung Chang e la Cina è ancora una società feudale, al 1932, che vede, sotto l'occupazione giapponese, la nascita della madre, fino agli anni '60 quando tocca a Jung Chang il compito di vivere, riflettere e sopportare la realtà del Paese. Pur rappresentando in maniera cruda alti e bassi del maoismo dall’interno, non cade (almeno non cade troppo) in una critica aprioristica su tutto il male. Bella, fin dall’inizio, la figura del padre, la sua rettitudine ed il suo aderire al comunismo con tutta la testa possibile. Da brivido le descrizione delle campagne politiche degli anni ’60 (ma in fondo si tratta solo di descrivere l’uso distorto che fa chi ha il potere e lo gira a proprio tornaconto personale – riecheggia qualcosa?). L’unica cosa che lo scioglimento, il rifugiarsi all’estero della Chang è poi l’unico modo di poterne scrivere. Ma è veramente così? Anche ora? Rifuggo sempre un po’ di chi scrive del proprio paese da lontano (come ho spesso scritto sul caso Hosseini). Forse, a giustificazione, qui non c’erano alternative. Dal punto di vista della scrittura, tuttavia, è un po’ involuta e non scorre come dovrebbe.
Amos Oz “Una storia d’amore e di tenebra” Feltrinelli s.p. (prestito di Alessandra)
Per scrivere, scrive bene. Forse è un po’ lungo, ma non credo sia facile arrivare al fondo del dolore della perdita di una madre. Molto Israele, ma anche altro: immigrazione, rapporti con gli arabi, destra e sinistra, Begin e Ben Gurion, askhenaziti e sefarditi, città e kibbutz. Forse questa è la chiave di lettura: storia di contrasti, come del resto dice il titolo. Insomma Amos Oz è uno scrittore (e per quello che ho letto vale più di Le Clézio), sa usare bene la penna, comunica con me-lettore. A volte mi perdo nelle minuzie dei particolari, negli elenchi, di cose, di persone, di luoghi, soprattutto perché poco dicono alle mie orecchie. Penso che altro impatto hanno elenchi di nomi russi parlando dei propri antenati, o delle persone che passano per la casa. Cosa rimane allora? Da una parte, un mondo di bozzetti, di raccontini, di elementi che sollevano piccoli veli sul modo di vivere di un israeliano in Israele. Non è poco, vedere ben dal di dentro anche piccoli drammi quotidiani, come il rapporto tra immigrati e nativi, prima che guerre ed odi rendessero tutto quanto, ahimè, poco risolvibile. Dall’altra l’evoluzione di una persona di fronte ai grandi drammi della propria vita. Che per tutti, poi, sono il rapporto con i genitori. L’amore-odio che se ne sviluppa. Il modo, diverso per ciascuno, di superarlo e/o di ignorarlo (ma forse anche questo è un modo di superarlo). Qui, aggravato dal suicidio della madre. È sempre difficile superare un suicidio. È sempre difficile superare un suicidio di una persona cara. È intollerabile affrontare il suicidio della propria madre quando si hanno 13 anni. Forse per questo Amos ci impiega più di 600 pagine. Perché bisogna scavare, nei sentimenti, nelle situazioni, in ciò che era in quel momento. E poi… e poi, comunque, resterà sembra quella zona d’ombra, perché il suicida non ti spiegherà i suoi perché.
“se non ti restano più lacrime per piangere, non piangere. Ridi”
“l’unico viaggio da cui non si torna a mani vuote è quello dentro noi stessi”
“Geremia: ‘ Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, è incurabile. Chi lo può conoscere”
“quando si vuol bene si perdona tutto fuorché il tradimento… abbandonare significa tradire”
“il mondo … gira sempre intorno alla mano che scrive, nel luogo in cui scrive: dove sei tu – quello è il centro dell’universo”
“la psiche è il peggior nemico del corpo: non lo lascia vivere, .. se riuscissimo a tirar fuori la psiche con una piccola operazione, come si fa con le tonsille o l’appendicite, tutti vivremmo mille anni in buona salute”

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