lunedì 12 dicembre 2011

Eterogenea - 22 marzo 2009

Sia di autori che di sentimenti, libri inattesi che aprono prospettive, libri attesi che deludono, autori noti che si confermano. Insomma di tutto un po’, uno zibaldone, o forse, meglio, una ratatouille, con tante verdure, ben cotte, quasi macrobiotizzate.
Inizio però da quello più in basso nella classifica del piacere di questa settimana.
Sam Savage “Firmino” Einaudi euro 14 (in realtà, gratis con Feltrinelli +)
Mi aspettavo tanto e mi ha un po’ deluso. L’idea non c’è che dire è bella e fantasiosa. Il topo di biblioteca che è realmente un topo. Che divora i libri, in senso letterale e non figurato come me. E dei libri riconosce il sapore, il gusto dello scrivere. Tanto che quando incontra del cibo (in special modo dell’insalata) poi alla scrittura lo ri-paragona. Detto ciò, e quindi parlatone, in fin dei conti, in modalità positiva, come romanzo mi lascia freddo. L’apologo della vita del topo, del suo nascere in un mondo pervaso di libri, vivere in una libreria, cercare l’evasione nel mondo della celluloide, e trovare come compagni soltanto umani un po’ disadattati, ecco non mi coinvolge. Firmino dovrà assistere alla distruzione della libreria per opera delle ruspe comunali per permettere l'attuazione di un nuovo piano edilizio. La sensibilità intellettuale lascia spazio al pragmatismo, la cultura al rinnovamento urbanistico, emblema della modernità che avanza lasciandosi alle spalle solo il ricordo di una bellezza che non c'è più. L’unico forte messaggio che condivido con Savage, è che esiste poi qualcosa che nessun rinnovamento edilizio potrà mai abbattere: la fantasia. In ogni caso, l’ho letto con fatica, quasi trascinandomi verso la fine. Dovremmo parlarne un altro po’, per sentire altre campane, che magari mi facciano scorgere qualcosa che io ho forse preso sotto gamba.
Sam Savage ha quasi settanta anni, è questo è un po’ il suo libro della vita. 
Passiamo per uno strano scrittore svizzero.
Pascal Mercier “Treno di notte per Lisbona” Mondadori euro 9,40 (in realtà, scontato 7,54)
Strano libro. L’avevo preso per un giallo (tipo “L’uomo del treno” di Simenon) ma è un’altra cosa. E questo spaesamento mi ha fatto bene. Mi sono immerso a poco a poco nell’atmosfera del libro, scritto da uno svizzero di Berna (ed ambientato, almeno come plot base, proprio a Berna). La storia in sé non è di molto spessore. Un professore maturo e posato (anche troppo), riceve una spinta psicologica (lui è un cultore delle parole, e sentire un suono portoghese gli apre un mondo di diversità), su di un pendio che forse stava già percorrendo. Ed accidente dopo accidente, si ritrova a ricostruire la figura di un medico portoghese forse legato alla Resistenza, ma certo legato anche lui alle parole. Lungo è il percorso che Mundus fa verso di sé. Per ritrovarsi poi a fare i conti con il sé stesso passato, il sé stesso attuale e quello futuro. Bello il contrasto tra il sole portoghese ed il grigio svizzero. Certo, non tutti i personaggi di contorno sono riusciti al meglio. Sbavature si tollerano. Non è comunque un libro da leggere per la trama in sé, quanto per l’atmosfera, e per le domande che si pone (mi pone?). Seguire il proprio io? E qual è il proprio io? A sessant’anni si può (si deve) ancora sognare? E realizzare i propri sogni? Alla fine, un unico, vero insegnamento: essere sereni verso sé stessi. E, possibilmente, coerenti. Ho impiegato un po’ a finirlo, ma non mi rammarico. Va meditato.
“Marco Aurelio:… è breve la vita per ciascuno. E questa tu l’hai quasi interamente consumata senza portarti rispetto, ma anzi hai riposto nelle anime di altri la tua felicità… quelli che non seguono i moti della propria anima è inevitabile che siano infelici”
“Certe volte si ha paura di qualcosa, perché si ha paura di qualcosa d’altro”
“Mi è capitato mai di dare retta davvero a qualcun altro?”
“Bisogna dimenticare la cosmica irrilevanza di tutto il nostro agire per riuscire ad essere vanitosi, e questa è una crassa forma di stupidità”
“La vita non è ciò che viviamo; è ciò che ci immaginiamo di vivere”
“Quando il tempo di un’esistenza è agli sgoccioli, non ci sono più regole che contano. E allora è come se a uno desse di volta il cervello e fosse maturo per il manicomio. Ma in realtà è esattamente il contrario: al manicomio dovrebbero andarci quelli che non vogliono ammettere che il tempo è agli sgoccioli. Quelli che continuano come se niente fosse.”
“Fai del tuo tempo qualcosa che valga la pena … [bisogna] … combattere contro l’errore di credere che ci sia sempre il tempo per farlo, più in là…. Non mancare nei confronti di se stessi”
“Perché tutte quelle cose facevano ancora male? Perché in venti, trenta anni non era riuscito a scrollarsele di dosso?”
“Non si può fare degli altri … i portatori d’acqua nella rincorsa alla propria felicità”
“Gli sguardi sono sempre decifrati.. esistono solo in quanto decifrati”
Tutto pensavo meno che Pascal Mercier fosse uno pseudonimo, di tale scrittore bernese Peter Bieri. 
Infine un gradito ritorno di un sempre grato regalo.
Maeve Brennan “La visitatrice” BUR s.p.
Bello e dolente. Mi sono accostato a questo inedito della Brennan con molta attenzione. Il racconto lungo sarebbe stato all’altezza dei racconti brevi? La risposta è un po’ una via di mezzo. Qui la dolenza arriva pian piano, si fa largo nei comportamenti di Anastasia, della nonna, della signora Kilbride. E poi ti esplode in petto. Soffri con Anastasia il fatto di essere ospite in casa propria, una “visitatrice”, perché te ne sei andata con tua madre dopo il divorzio dal padre. E la madre del padre non te lo perdonerà mai. Anche ora che pure la tua di madre è morta. Sottilmente si insinua il gelo del nord dell’Europa. Comportamenti formali nascondono la difficoltà di aprirsi, e perché no di piangere insieme. Certo, la Brennan ci porta a tifare per Anastasia, ma prima o poi ci accorgiamo che anche la ragazza ha i suoi torti. O meglio un suo modo di affrontare la vita che certo non facilita l’incontro. Sembra dirci che tutti siamo soli, che non riusciamo e non riusciremo mai ad incontrarci. Devo ammettere tuttavia che con una dimensione di pagine dimezzata, la forza descrittiva della Brennan usciva più dura e crudele. Qui la sofferenza è sempre cocente, ma fatica le 100 pagine per uscire fuori. D’altra parte, ho goduto (come diceva Eco in una sua bustina sull’Espresso) passeggiando con Anastasia per Grafton Street. O sedendo a guardare le oche a St. Stephen’s Green. Anzi qui, c’è un momento di pure dolorosità, quando si confessa che all’aperto si può stare, anche da soli, ma non all’infinto. Da soli, e tristi, e disperati, si può stare dentro le quattro mura della propria casa, anche se più popolata del parco. Non leggetelo senza una tazza di the con un velo di latte.
“soltanto … ciò che non chiedi a gran voce … è irresistibile”
“io vivevo per quelle serate…. Siamo tutti così... eppure non faccio che ripercorrere la storia delle nostre miserevoli vite”
Ed allora, mentre sotto le finestre di casa passano di corsa i maratoneti, baciati dal sole di una Roma quasi di primavera, si mette in cantiere un’altra settimana, speriamo sempre più serena anche con i nemici che assediano alla porta, pronti ad invadere tutti gli spazi della mia roccaforte.

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