giovedì 15 dicembre 2011

The last stories... - 12 aprile 2009

Con questa tornata Pasqualina, terminiamo l’analisi delle short stories di Repubblica, con una sfilza di autori “di grido”, anche se datati (queste erano le scelte che mi lasciavano perplesso, rispetto ad una collana mediamente interessante). Autori grandi, famosi, ma a volte è meglio perdersi in piccoli ed oscuri meandri italici piuttosto che in grandi spazi d’oltreoceano. Andiamo allora a concludere, riportando gli autori per cronologia di nascita.
Cominciamo allora con Poe, di cui ricorre il 200° anniversario.
Edgar Allan Poe “Lo scarabeo d’oro” Repubblica Short Stories euro 4,50
L’americano è interessante, inteso come scrittura. Soprattutto quando tenta di riportare il modo sgrammaticato della pronuncia degli afro-americani di poche generazioni, ancora legati più allo schiavismo che alla libertà. Ma il racconto l’ho trovato uno dei più brutti di Poe. Niente a che vedere con il respiro analitico dei casi dell’Ispettore Dupin. Ma niente soprattutto delle atmosfere claustrofobiche e piene di soluzioni inconsuete delle sue cose per me maggiori (che so Il Corvo o La rovina della casa di Usher, tanto per citarne solo due). I maestri dell’esegesi diranno che è tutta abilità, il cercare di portare il lettore sulle tracce della semi-follia attratti da un imperscrutabile scarabeo d’oro. Per poi rivelare che il centro del racconto è un altro. Sì, ma chi si è preoccupato per le prime 40 pagine della sanità di Willam Legrand? Certo l’esercizio finale ha della bravura ma se fossi un bravo traduttore l’avrei scritto così:
:*1:±*?8;(±6*±.;822±÷82?8.7±?±.:225.8÷65÷82÷65?±2±?8*;:*3(5÷68;(8÷676)6*:;6*±(÷*±(÷8.;169±(75†6±*8‡(6*76‡528.8;;6)±(5)±25;±8.;7525(8÷5±7746±.6*6.;(±÷82;8.746±26*85÷6(6;;5÷55218(±5;;(5?8(.±25‡522576*―:5*;5‡68÷66*9:±(6
(non è una sfilza di caratteri senza senso, ma è realmente una crittografia, anche se elementare). Ha senso, infatti, lasciare una crittografia inglese in un testo italiano? Certo l’analiticità di Poe si rivela sino in fondo nella meticolosa analisi di questo “mistero”. Ma è materia di enigmisti piuttosto che di letterati (qualcuno si cimenterà?). Quindi sufficienza allo scrittore e rimandiamo a settembre il traduttore.
Passiamo al balenottero bianco.
Herman Melville “Bartleby, lo scrivano” Repubblica Short Stories euro 4,50
Sconcertato! Ma la sindrome di Bartleby (ricordando l’esilarante libro di Vila-Matas) mi sembrava una cosa diversa. È vero che qui siamo nel puro Melville, quello dove l’atmosfera conta più dei fatti, che sono pochi: un avvocato, i suoi copisti, l’arrivo di Bartleby che non si integra nello studio e ad un certo punto si tira fuori, con quello che diventerà il suo celebre motto “I would prefer not to”. Il resto è ricamo. L’ambientazione a New York, in una Wall Street dove lo studio dell’avvocato si affaccia su un cortile chiusa da una parete. Mi sfugge, nonostante il tentativo dell’introduzione di chiarirlo, il perché della vicenda. Certo, qualcuno, ad un certo punto, messo di fronte a qualcosa che non si sente in grado di fare, può assumere l’atteggiamento dello scrivano, il suo “preferirei di no”. E quella cortesia disarmante può distruggere mondi interi. Una specie di Gandhi cento anni prima. Ma con una grande, sostanziale diversità: per cosa lotta Bartleby? Qual è lo scopo del suo diniego? Rifiutare un mondo che sta iniziando ad uccidere tutti i valori, ma per cosa? Qui si è arenata la mia empatia con la scrittura. Non sono riuscito a capire lo sforzo verso cui tende la sua resistenza passiva. E non capendolo, mi sono trascinato nella scrittura, staccandomene un po’ e trovandola proprio americana. Anzi di uno di quei caffè americani, che si dice contengono molta più caffeina del nostro espresso, ma che, al mio gusto, rimangono una brodazza mal ingurgitabile. Ottima la lingua, niente da dire sulla traduzione, forse troppo didascaliche le note (sembrava ripercorrere una mini guida di New York), forse ci voleva almeno un amaro finale (e non un finale amaro).
Rimanendo in tema di mare, passiamo l’oceano prima con uno scozzese.
Robert Louis Stevenson “Il diavolo nella bottiglia” Repubblica Short Stories euro 4,50
Una chicca piuttosto che un gioiellino. Tusitala racconta una storia ed è la storia di tutte le sue storie. Certo, molto filologica, datata, minore. Una storia da narrare con una spremuta di ananas in mano, su qualche isola sperduta dei mari del Sud. Lineare nella sua semplicità: c’è un genio della lampada che esaudisce tutti i tuoi desideri. Ma… ma è un genio cattivo, un diavolo e se morendo il genio sarà con te ti porterà all’inferno. Bisogna disfarsene, vendendolo ma ad una cifra minore di quanto lo si è comperato. E cosa succede, quando ci si avvicina al dollaro, poi al centesimo, poi… Ma c’è anche la storia d’amore, di Keawe che si sacrifica per amore della bella Korkua, e Korkua che si sacrifica per amore di Keawe. Finirà bene o male? Questo lo lasciamo ai lettori. Quello che importa, è che anche qui, con leggerezza, torna il tema centrale di Stevenson, il tema del bene e del male. Di quando si ha tutto il bianco da una parte ed il nero dall’altra. I lettori più attenti, avranno già intravisto il filo che ci porta (o che parta) dal dottor Jeckyll e mister Hyde. Questa la chicca, il trasformare quello in una favola per la gente di quei mari dove Stevenson, malato, passò gli ultimi anni della sua vita, non alla ricerca di un improbabile Eden (Gauguin?) ma della sua salute. Che non troverà. Sottolineo poi l’uso mediato della lingua, piena di semplificazioni proprio per essere intesa da chi non ne è nativo.
Rimaniamo in Inghilterra, anzi in Irlanda.
Oscar Wilde “Il crimine di Lord Arthur Saville” Repubblica Short Stories euro 4,50
Una satira quando è datata è ancora satira? Confesso che a parte il ritratto di Dorian Grey non ho letto altro del dublinese (anche se io lo immaginavo londinese, ho cambiato idea dopo aver visto la sua casa a Dublino). La scrittura è quella al limite, al limite della farsa, della presa in giro, del tono aulico per descrivere cose terrene. Tanto che tutto il racconto è pervaso dall’angoscia di Lord Arthur cui un chiromante ha predetto che ucciderà qualcuno, e che per tutte le pagine, nonostante i più bislacchi tentativi, non riesce a compiere la sua opera. Ma reso con una (per nulla) garbata ironia, che fa brillare in controluce la fatuità di quella aristocrazia contro cui il buon dandy ha ben lottato tutta la vita. Ne vedeva i limiti e gli orrori. E cercava di uscirne, nel pubblico e nel privato, con ovvi risultati alterni, data l’epoca vittoriana dei fatti. Anche l’inglese risente di questo satireggiare il proprio mondo (esilarante la gag della Lady che non vede di buon occhio le donne plebee mettersi trine e crinoline). Ma qui ritorna poi la domanda iniziale. Infatti, è ben datata, collocantesi alla fine dell’Ottocento, e ritorna qui con esiti da filologi. Si sorride, ma non graffia come un tempo. Apriamo un dibattito sulla satira da qualche parte?
Oscar Fingal O'Flaherty Wills Wilde è una bilancia (16 ottobre) come la mia amica Paola..
Ancora inglese, seppur polacco, ma sempre di marinai si tratta.
Joseph Conrad “La locanda delle due streghe” Repubblica Short Stories euro 4,50
Inutile riscrittura alla moda di Potocki. Certo parliamo del Conrad dell’ultimo periodo, quando stava un po’ tirando i remi in barca, vivendo del pregresso successo. Tematiche solite (mare, ufficiali, soldati) e qualcosa di “oscuro” (questa locanda che tanto assomiglia a quella sulla strada di Saragozza, con tanto di giovane, non dai facili costumi ma quasi). Poi tutto alla fine si spiega e quei misteri che sembravano adombrare fantasmi e diavoli, si rivelano meccanismi ben terreni. Mi è piaciuto e di molto l’inglese utilizzato, forse perché non lingua madre quindi per me a volte più scorrevole. Ma poco altro. Mi si dica che è da collocare nel tempo, che va letto nell’insieme della sua opera. Ma perché Bulgakov rimane tuttavia fresco e godibile, pur scritto pochi anni dopo? O altre prove, di Conrad ma anche di altri, soprattutto London che aspetto a rileggere, resistono all’usura del tempo e degli anni? Si aprirà un dibattito sulla relatività dei capolavori? Non so, per ora, le ultime prose di Conrad mi lasciano sempre quel forte sapore di tannino in bocca: un bel vino rosso maturo, ma l’enologo ha sbagliato le dosi. A me piace più fruttato.
Finiamo ancora con un americano.
Jack London “Un’odissea del Nord” Repubblica Short Stories euro 4,50
Ne usciranno forse altri, ma questo è l’ultimo che ho acquistato. Decente, ma stanco e lontano. Racconti scritto proprio nel 1900, sulla base dei ricordi delle avventure al Nord del giovane London. Ed a raccontarlo, sembra interessante. Personaggi duri, scolpiti dal freddo delle Aleuchine. Un capo indiano cui viene rapita la moglie il giorno delle nozze e che passerà la vita a cercarla, trovando il modo di vendicarsi. Certo, nessuno ne esce bene. Nessuno è “buono” lassù al Nord. Tutti hanno qualche scheletro dentro l’armadio. Il racconto così si trascina, scontatamente verso la sua fine. Anche senza molti espedienti narrativi. Si descrive il contesto, poi i caratteri dei personaggi principali. Poi si va verso una spirale di agnizioni, dove già dalla prima riga si capisce chi ha fatto cosa. Forse rimangono i motivi di tutto ciò. Ma Jack li lascia lì, non gli interessano; piuttosto vuol far vedere che lì dove si lotta per la vita ad ogni passo, è la vita stessa che governa le tue azioni. Da un certo punto di vista così il cerchio si chiude. S’è cominciato 6 mesi fa con un Hemingway africano e si finisce al freddo con un London dell’Alaska. Preferisco altre prove del buon californiano (anche se questo è un racconto scritto a 24 anni, e tanto di cappello). Nel complesso, con alti e bassi, una buona collana, alcuni autori da approfondire, alcuni racconti di cui non si capisce il perché (forse scelte editoriali sballate), ed un buon ripasso per chi vuole un po’ di inglese ben tornito.
Ed ora via alle letture. Via anche a questa settimana che il mio oroscopo prevede piena di giorni fausti. Vedremo domenica prossima.

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