martedì 20 dicembre 2011

Tre lingue, un sentimento - 17 maggio 2009

Oggi ci dedichiamo a tre autori di tre paesi ben distanti tra loro, se non geograficamente, almeno culturalmente. Uno è il solito inglese - americano, che non manca mai nelle letture attuali. Una scrive in spagnolo, in quello semplice ancorché ricco del Sud America. Il terzo è di una di quelle lingue incomprensibili, l’ungherese. Tuttavia sempre di rapporti si parla. Tra le persone, principalmente. L’amore. Dov’è? Com’è? Quanto dura? Ma anche fratelli, genitori, ed amicizia. Ma andiamo con ordine, ovviamente mio, folle, di lettura.
Cominciamo con l’ungherese.
Sandor Marai “Le braci” Adelphi euro 10 (in realtà, scontato 8 euro)
Bisogna rifletterci su. Nella galoppata verso la fine (come in un film di Ridley Scott) si dicono tante cose sulla vita e sul nostro viverla. Stavo anche cercando di collocarne temporalmente la scrittura, ma non ci sono riuscito (direi intorno agli anni Cinquanta, più o meno). Al solito, i libri fatti di niente sono poi pieni di tante cose. È uno, come detto, dei tanti che ho letto nell’ultimo periodo, imperniati sul rapporto tra due persone. Qui due amici, che si ritrovano dopo 41 anni, ed in quasi duecento pagine di monologo, il generale passa in rassegna le loro vite. Dall’amicizia all’odio, al tradimento, fino a domandarsi il perché di tutto, mentre (ed il generale lo dice o lo fa capire) si dovrebbe comunque vivere. Romanzo di grandi passioni, là dove neanche un accenno vien scritto men che casto. Romanzo dove si confrontano l’amore e l’amicizia, il dover dire o il meglio soffrir tacendo. Che fare? Poiché sempre qualcuno ne soffre, che si fa? Si sceglie il male minore? Si sceglie il bene per sé? Ed alla fine, in controluce, si legge anche l’amore-odio di Marai per la sua sofferta Ungheria, per il rimpianto di quello che era. Per l’accettazione e la sofferenza del vivere nell’Ungheria comunista. Standoci ma soffrendo. Andandosene ma soffrendo. E come in un gioco alla Potocki, poi, suicidarsi 41 anni dopo essere tornato in patria, così come 41 anni erano trascorsi tra il tradimento di Konrad e la lunga arringa del generale. Pieno anche di frasi che rimangono, e di una lunga citazione che non riesco a tagliare e riporto per intero.
“il sentimento è più forte di noi, più fatale”
“un bel giorno siamo destinati a perdere la persona che amiamo. E se qualcuno non sopporterà il colpo peggio per lui: non è un uomo di carattere”
“l’uomo vive finché ha qualcosa da fare su questa terra”
“alle domande più importanti si finisce sempre per rispondere con l’intera esistenza”
 “certe passioni non si possono occultare”
“se qualcuno si rifugia con tanta veemenza nella sincerità significa che ha paura di ritrovarsi un giorno con la vita carica di segreti inconfessabili”
“le cose non ci accadono così per caso… gli uomini contribuiscono al loro destino”
“il fatto è che noi amiamo sempre i diversi da noi, e continuiamo a cercarli in tutte le circostanze… quando due esseri uguali si incontrano la si considera una fortuna, un dono della sorte”
“in fondo all’animo nascondevi un impulso spasmodico: il desiderio di essere diverso da quello che eri. È il tormento più crudele che il destino possa riservare a un uomo. Essere diversi da ciò che siamo… è il desiderio più nefasto che possa ardere in un cuore umano. Giacché l’unico modo per sopportare la vita è quello di rassegnarci a essere ciò che siamo ai nostri occhi e a quelli del mondo. Dobbiamo accontentarci di essere fatti in un certo modo e sapere che, una volta accettata questa realtà, la vita non ci loderà per la nostra saggezza, nessuno ci conferirà una medaglia al merito solo perché ci siamo rassegnati a essere vanitosi ed egoisti, o calvi e panciuti – no, in cambio di questa presa di coscienza non otterremo né premi né lodi. Dobbiamo sopportarci quali che siamo, il segreto è tutto qui. Sopportare il nostro carattere, la nostra natura di fondo, con tutti i suoi difetti, il suo egoismo e la sua cupidigia, che non saranno corretti né dall’esperienza né dalla buona volontà. Dobbiamo accettare che i nostri sentimenti non siano contraccambiati, che le persone che amiamo non rispondano al nostro amore, o almeno non nel modo che vorremmo. Dobbiamo sopportare il tradimento e l’infedeltà, e soprattutto la cosa che ci riesce più intollerabile: la superiorità intellettuale o morale di un’altra persona.”
Secondo sulla scena si affaccia il duro americano.
Pete Dexter “Un affare di famiglia” Einaudi euro 12 (in realtà, scontato a 9,60 euro)
Meglio il titolo originale (“Il ragazzo dei giornali” o “Lo strillone”). Ma tutto sommato ininfluente, rispetto all’America di provincia che ne viene fuori. Violenta, e con la bottiglia sempre a portata di mano. Con il ragazzo che attraversa tutto il romanzo, sempre un po’ sfasato rispetto alla realtà (forse, in fase solo nelle ultime due pagine). E la storia degli uomini. L’arrivismo, il mito del condannato a morte, l’innocenza e la colpevolezza che non sono altro che accidenti nella vita degli uomini, l’omosessualità (vera? finta? ma forse non importa). E come tutti i buoni libri americani ben costruiti, sembra già la trama di un film, prima che al film stesso si pensi (e ne verrà o ne è stato fatto un film). Tante domande (risolte o meno): l’etica del giornalista, il rapporto padri – figli, l’altro (o il proprio) sesso. In fondo, tutto si gioca sulla correttezza: fino a che punto si può, si deve essere corretti? Esistono momenti in cui si può “passare sopra”? La mia risposta (e quella sottintesa di Dexter) è negativa. Anche a costo di soffrire, di esserne tormentati per tutta la vita. Non facendolo, forse si sopravvive, ma non si sarà mai sereni con se stessi. A meno che… certo a meno che non si è talmente stupidi che queste domande neanche ce le si pone.
“io credo che sia necessario aver sofferto per poter capire qualunque cosa”
Finiamo con la cilena che nei primi scritti mi affascinò, per poi passare un po’ nell’ombra.
Isabella Allende “Ines dell’anima mia” Feltrinelli euro 8,50 (libro in prestito)
Si legge d’un fiato. Bello anche se non travolgente la storia dei fatti salienti della vita di Ines Suarez, da lei narrati alla figlia adottiva Isabel. Un diario orale, che parte dalla Spagna natia, passa attraverso le vicende matrimoniali ed extra-matrimoniali, con il sensuale Juan de Malaga, con l’onesto Pedro de Valdivia e con il dolce Rodrigo de Quiroga. Per narrare, poi, nient’altro che la conquista del Cile da parte del solito manipolo di spagnoli. Facendo però risaltare (almeno un po’) la differenza tra questi e l’orda veramente barbarica degli accoliti di Francisco Pizarro. In un certo modo, cercando di dar un po’ di patina di “nobiltà” al Cile rispetto all’odiato Perù. Il tutto narrato dalla bella penna della Allende, vissuta in Cile (almeno fino al colpo di stato). Certo, meglio sarebbe leggerlo girando lì per i posti narrati, così come han fatto i miei amici dell’Elba. E certo l’esserci andato, da gusto alla pagina scritta. Ma poi ci si perde nella ferrea volontà della bella Ines, che attraversa tutto il secolo 1500 in fondo con poco altro se non il suo amore. Amore sensuale, ed amore per l’onestà, scusate se è poco. Una delle pagine più belle resta il primo incontro tra Ines e Pedro, lì dove minuti ed ore di silenzio, sono riempito dallo sguardo occhio nell’occhio. E continueranno per anni, con di poco mutato ardore. Ripresa a leggere dopo la difficoltà di una parentesi che mi impediva di riaccostarmene, certo non ancora alle vette della Casa degli Spiriti, ma di nuovo, per le mie corde, su di un passo sudamericanamente accettabile. Leggetelo bevendo mate, mi raccomando.
“nessuno se ne va all’altro mondo prima che sia giunto il suo momento”
“Juan mi faceva ridere, mi divertiva con canzoni e versi audaci, mi addolciva a baci. Gli bastava sfiorarmi per trasformare il mio pianto in sospiri e la mia collera in desiderio. Com’è accomodante l’amore, che perdona qualsiasi cosa!”
“nessuno amo Pedro più di me, nessuno lo conobbe meglio di me, ed è per questo che posso parlare con cognizione delle sue virtù, come poi sarò costretta a non tacere dei suoi difetti, che non erano lievi.”
“persino gli uomini più integerrimi e coraggiosi sono soliti deludere noi donne”
“sapevo che era innamorato di me, una donna lo sa sempre… probabilmente anch’io lo amavo – si possono amare due uomini contemporaneamente – ma tenevo per me questo sentimento”
“mi fa impressione constatare che ancora adesso, nonostante pensi intensamente alla morte, ho voglia di realizzare progetti… ho il sospetto che in questa vita non si vada da nessuna parte, tanto meno se si va di fretta: si cammina solamente, un passo alla volta, verso la morte”
Mentre volevo notare che sia dalla Allende che da Marai in una delle citazioni si parla dell’avvicinarsi alla morte, volevo anche e di nuovo sottolineare la lunga citazione di Marai sull’essere se stessi. Quanto lavoro s’è fatto per arrivarci. Ma poi, ci si riesce? Ci si riesce ad accettarsi calvi e panciuti (beh, forse solo panciuti)? E si riesce ad accettare che qualcuno sia migliore di noi? Ed accettarlo non a parole, ma con tutto il proprio sé?
Ai postumi l’ardua sentenza, come direbbe Manzoni ubriaco.

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