martedì 13 dicembre 2011

Eterogenea 2 (la vendetta?) - 29 marzo 2009

Ancora più diversificati, mescolanti sacro e profano, ho preso tre cose “uniche” nel loro genere, ed all’interno del flusso delle mie letture. E ve le propongo così, con l’unico filo rosso della mia lettura che li fa parte di un disegno. Mentre tra loro neanche si guardano. Un articoletto (con testo inglese a fronte) che affonda nell’ottocento. Delle poesie (con testo francese a fronte) che percorrono molti anni del novecento. Un fumetto che affonda le sue radici in questo nuovo secolo, e lo fa con tutte le sue unghie.
Poiché ne ho parlato in ordine cronologico di scrittura (che è poi esattamente il contrario di quello della mia lettura), ve li ripropongo così. Ad iniziare dallo scozzese dell’Ottocento.
Robert Louis Stevenson “Elogio dell’ozio” La vita felice euro 6,50 (in realtà, scontato euro 5,20)
Direi un piccolo apologo, dedicato (moralmente) a tutti quelli che hanno abbandonato il mondo del lavoro (volenti o nolenti) e si domandano (o domandarono): e ora? Ora, per dirla con il grande RL si può essere proficuamente oziosi. Si può perdere tempo senza dare fastidio a nessuno, prendendo dalla vita tutto quello che ci può dare. Certo, meglio sarebbe stato se ad oziare avessimo cominciato sin da piccoli. Ma si può sempre rimediare. Comunque, una serie diversa di piani di lettura di queste cinquanta paginette: l’articolo di un 25enne scozzese che comincia a mettere in fila le parole per farne dono ai suoi lettori; un testo inglese con qualche “motto d’epoca” e molti riferimenti (ma quant’era colto, il buon viaggiatore); una provocazione poco riuscita di RL, ma molto ben fatta nell’introduzione di Franco Venturi, con quei rimandi che invito a cogliere a Seneca, Epitteto, Bertrand Russell, Itsuo Tsuda, Paul Lafargue, fino all’Ozio creativo (quella conversazione raccolta da Maria Serena, che dovrebbe essere lei…). Certo non è una grande opera letteraria, non apre orizzonti nuovi agli amanti de L’isola del Tesoro. Ma da quella mezz’ora di voglia di riflessione. E si collega idealmente a quanti, sobriamente, ci ricordano di fare un passo indietro e di frenare, per andar piano e vedere quello che ci succede intorno, prima che il tutto si oblii.
“Il perenne attaccamento a ciò che un uomo chiama i suoi affari può essere sorretto solo dal perenne oblio di molte altre cose”
“non vi è dovere che sottostimiamo maggiormente che quello di essere felici. Quando siamo felici disseminiamo il mondo di anonimi doni che rimangono sconosciuti anche a noi stessi, o, quando vengono rivelati, sorprendono il benefattore più di chiunque altro”
“if a person cannot be happy without remaining idle, idle he should remain”
Passiamo ora al francese del Novecento.
Jacques Prévert "Poesie d’amore e libertà" Guanda s.p. (regalo)
Si sa che il mio non è un facile rapporto con la poesia. Ne leggo un po’ come tutti, anche se spesso solo una poesia qua ed una là, senza un’organicità. A volte, per complesse ragioni, affronto però dei testi poetici completi, come in questo caso. Sapevo molto del Prévert uomo del mondo, vite, amori, furori. E di alcuni testi (Les feuilles mortes, La liberté, Barbara). In questa raccolta trovo un compendio delle sue espressioni poetiche e, in modo frettoloso ed ingenuo, posso dire che m’è piaciuto. Il girare delle parole, l’assonanza per creare immagini. La forza di alcune sue affermazioni sulla libertà, di essere, di essere sé stessi, di non cedere ai compromessi. Belle e da scaldare il cuore le poesie d’amore. Tra tutte, vorrei condividere dei versi ed una poesia intera, quella che più mi è rimasta.

Nous vivons et nous nous aimons
Et nous ne savons pas ce que c’est que la vie
Et nous ne savons pas ce que c’est que l’amour
Noi viviamo e noi ci amiamo
E non sappiamo cosa sia la vita
E non sappiamo cosa sia l’amore

Trois allumettes une à une allumées dans la nuit
La première pour voir ton visage tout entier
La seconde pour voir tes yeux
La dernière pour voir ta bouche
Et l’obscurité tout entière pour me rappeler tout cela
En te serrant dans mes bras
Tre fiammiferi accesi uno ad uno nella notte

Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L’ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose

Mentre ti stringo fra le mie braccia

Passiamo ora invece alle dolenti note, perché va bene la traduzione poetica che deve rendere il testo, ma ho trovato talvolta che il traduttore andava un po’ al di là dei suoi compiti. Ad esempio, nella poesia “Dove vado, da dove vengo…” i versi “C’est pour mon plaisir / que je patauge dans la bue” viene tradotto “Perché sguazzo nel fango? / Perché mi piace”, aggiungendo tra l’altro un punto interrogativo che stona. Ne “Il lunch” il maggiordomo nero viene impiccato perché ha allungato l’occhio nella scollatura della padrona di casa che nella traduzione diviene “la donna bianca” (colore forse implicito nel testo, ma aggiunto posticciamente). O ancora in “Rêverie” tutto il gioco al maschile “je pense aux filles aux mille bouquets / je pense aux filles aux mille beaux culs” si trasporta al femminile divenendo “penso ai ragazzi dai mille lazzi / penso ai ragazzi dai mille cazzi”. Finendo con la “Chanson courte” dove “et me répète que je t’aime / et me répète que tu m’aimes” si monta in “e mi ripete che io t’amo sempre / e mi ripete che tu m’ami sempre”. Perché aggiungere “sempre”? Apriamo il dibattito allora: fino a dove è lecito al traduttore tradire? Finisco, con un verso di libertà, o comunque di attenzione che più di cinquant’anni fa lanciava il nostro poeta: “tante foreste sacrificate per fornire la carta / ai miliardi di giornali che ogni anno /attirano l’attenzione dei lettori sui rischi del disboscamento”.
Finisco ora con gli italiani del Duemila, non potendo tralasciare il fatto che Luana è mia amica, ma qui si parla di scrittura, non di amicizia.
Luana Vergari & Claudio Calia “Caro Babbo Natale…” Black Velvet euro 10
North Pole è una cittadina di 1600 abitanti sorta dal nulla una cinquantina di anni fa, nel cuore dell’Alaska, dove è Natale 365 giorni all’anno. Le vie del centro hanno nomi rigorosamente Natalizi e gli addobbi non sono mai riposti. Qui arrivano le letterine che tutti i bambini del mondo scrivono a Babbo Natale, e gli alunni delle scuole, dopo essersi scelti un nome da Elfo, durante l’orario scolastico sono obbligati a fingersi piccoli aiutanti di Santa Claus e a rispondere a quelle letterine. Il 20 aprile del 2006 alcuni ragazzini di età compresa fra gli undici e i tredici anni organizzano una strage a scuola. Il loro piano è quasi perfetto, si procurano delle pistole e dei coltelli, redigono una lista con i nomi delle persone da uccidere. Questo è il nocciolo di questo libro, che non arriva al dopo, se la strage c’è stata o meno, ma ci accompagna verso la follia che può generare l’idea della strage. Personalmente avrei meglio accorpato il fumetto con le notizie dirette che spiegano cosa sia successo (anche se può sembrare didascalico). E serve questo finale, perché la bellezza e la follia del libro è proprio in questa assoluta mancanza di freni che può spingere un bimbo, un adulto, qualcuno ad ipotizzare drammi al di là dell’immaginazione. La scrittura di Luana la conosco bene, e la ritrovo, con i suoi rimandi esterni (la colonna sonora è sempre perfetta, il suo gusto della musica personale ma a me piace). È scarna, asciutta, direi dura. Anche se “Ely è là” rimane la mia favorita. Non conoscevo il tratto di Claudio Calia, non sempre mi piace, anche se lo trovo congeniale allo svolgersi dei fatti. Insomma, a me è piaciuto, ed è stato un buon antidoto al buonismo natalizio imperante. 
I due autori poi sono entrambi del 1976, anche se Lu è un toro di maggio e Claudio un capricorno di dicembre (questo accoppiamento ricorre spesso). 
Questa è la settimana riminese, si presenta il progetto, e si spera di avere un successo su tutta la linea. Sarà quindi una settimana dura per tutti, ed allora rimbocchiamoci le maniche e via, al lavoro (e auguri a Rosa che  comincia a lavorare in Germania).

Nessun commento:

Posta un commento