domenica 25 dicembre 2011

Di tutto un po’ - 21 giugno 2009

Ma fuori dall’Italia. Dopo un po’ di ritorno alle patrie letture, ed in previsione di un’estate in giro (per ora ad Agosto, poi si vedrà), torniamo a parlare di autori stranieri, letti lo scorso aprile nei dintorni della Pasqua. Due autori vicini ai cinquanta, uno spagnolo che parla della Spagna ed un americano dell’America fanno da sandwich all’inglese di quasi ottanta che mi ha portato in Egitto.
Ma andiamo con ordine.
Javier Cercas “Soldati di Salamina” Guanda euro 8 (in realtà, scontato euro 6,40)
Iniziato con diffidenza, poi preso per la testa, con un finale tutto oro. Sì, perché l’inizio non decolla. Si segue un po’ lo scrittore, la sua difficoltà di scrivere, le sconfitte personali. Poi, ad un tratto irrompe la vita “reale”, con la figura a tutto tondo dello scomparso e compianto Roberto Bolaño, e si comincia la vera storia. La storia di questo falangista della prima ora, della sua scrittura e del suo approssimarsi alla quasi morte. Perché il tutto si incentra sulla sua fucilazione scampata. Sulla solidarietà che riceve dai contadini sopra Gerona. E sulle loro storie. Fino a quella bella e piena del soldato comunista sotto tutte le bandiere, che sta terminando i suoi giorni in Francia. Ed alla fine si regge bene. Si legge anche bene. Con lievità ma non superficialità ci si interroga sulla nascita della Falange in Spagna, sul suo essere fagocitata dal franchismo, sulle spaccature tra comunisti e anarchici e via discorrendo sugli anni trenta in Spagna (con qualche sana frecciata agli Hemingway di turno). Un po’ oscura mi rimane sempre la citazione di Salamina (la vittoria dei Greci sui Persiani, cito a memoria). Poi, a me rimane, rimangono sempre quelle parti (e quel finale) in cui ci si ricorda di tutti quelli che hanno significato qualcosa per qualcuno lungo il corso del tempo (Wenders?). Perché finché si pensa a loro, non saranno mai morti del tutto. Ed io ricordo i miei morti e quelli pubblici a cui tengo.
“era un bravo scrittore, ma non un grande scrittore, anche se non avrei saputo spiegare chiaramente la differenza tra un grande scrittore e uno bravo” (19)
“mi trovai a pensare a mio padre… tra non molto … quando non mi ricorderò più neppure vagamente di lui, allora sarà definitivamente morto” (44)
“giunto [al benessere] … si rese conto… che si poteva vivere ma non scrivere, perché scrittura e piena soddisfazione dei bisogni sono incompatibili” (138)
“John Le Carré dice che bisogna avere una tempra da eroe per essere una persona decente… ma una persona decente non è di per sé un eroe” (149)
“si asciugò le lacrime … come se non si vergognasse a piangere in pubblico … come avrebbe fatto un soldato di Salamina” (201)
Lo spagnolo Javier nasce in parti non note della Spagna, in quel di Ibahernando vicino a Cáceres nel 1962. 
Passiamo ora alla quasi ottuagenaria che pare tanto abbia scritto e di cui nulla ho finora letto. Certo, un moto di simpatia verso chi nasce a Il Cairo lo suscita in me. Ho quindi affrontato:
Penelope Lively “Incontro in Egitto” TEA euro 8,60 (in realtà, scontato € 6,88)
Le parti al Cairo mi hanno lasciato senza parole: quand’è che si parte? Nel complesso interessante, anche se l’inizio (ed ultimamente mi capita sempre più spesso) mi stava lasciando un po’ perplesso. Il rimuginare delle parole della Claudia morente sembrava non portasse a niente, se non ad un difficile snocciolarsi nella spirale del tempo. Ma ho avuto fiducia, ed alla fine ne esce a tutto tondo la figura di una persona che ha vissuto il suo tempo, con i suoi alti e bassi, capendo alcune cose di chi le stava intorno, ma altre non riuscendone ad avvicinarsi (una tra tutte, il rapporto con la figlia Lisa). Bella e dolente ogni oltre dire il suo amore per Tom. Bello e dolente nel corso degli anni il suo amore per Jasper. Strano ed ambiguo il suo rapporto con il fratello Gordon, sempre sul filo tra lecito e non. In fondo Claudia è una di noi, che riguardando i suoi anni ha voglia di metterli lì, non in fila, ma facendone (con un’immagine che mi è piaciuta che mai) una storia generale del mondo. Dove in fondo noi siamo il mondo e questa è la nostra storia, che si intreccia con gli anemoni, con le conchiglie preistoriche, con le bombe e con le persone che abbiamo incontrato nel tempo. Pi si ritorna lì, a questo fulmine scoppiato nel deserto. Senza ragione, senza motivo. Ma fulmine che bello e caldo sarà, e per sempre. Impagabile, l’artificio di fare e rifare le stesse scene a volte dalla parte di Claudia, a volte da chi le sta intorno. Sapendolo usare, ne esce fuori un ritratto ben più efficace di migliaia di parole. Ma lasciatemi finire ancora pensando al Cairo, a Zamalek, a Luxor, al Nilo, al colore dell’acqua e della sabbia, al suo sole, al caffè della libertà, al fumo nel suq, e via e via. Sono pronto a ripartire (andando sempre, come dice l’accademico di Francia Orsenna, di cui prima o poi parlerò).
“i bambini non sono come noi… non vivono nel nostro mondo, ma in un mondo che abbiamo perso e non ritroveremo mai più. L’infanzia non la ricordiamo, la immaginiamo” (46)
“per tenere testa ai bambini bisogna avere una certa mentalità” (57)
“il tempo e l’universo sono sparpagliati nelle nostre menti. Siamo storie del mondo assopite” (68)
“voglio comprarti qualcosa. Cerchiamo qualcosa che tu possa guardare con occhi umidi quando me ne sarò andato” (115)
“Non le vogliamo. Imshi… le uniche parole di arabo che conosco sono comandi o insulti” (115)
“perché sono rimasta a lungo con lui? Quando mai le scelte sessuali sono razionali o sensate? … era un’ottima persona con cui andare a letto, e per giunta divertente” (151)
Come detto Penelope Lively nasce a Il Cairo il 17 marzo 1933.
Terminiamo con quello che meno ho capito, meno mi ha coinvolto.
Jonathan Lethem “Brooklyn senza madre” Il Saggiatore euro 9,80 (in realtà, scontato 8,02 €)
Non conoscevo l’autore, giovane o quasi autore americano dicono di talento (beh i suoi 45 li ha già compiuti). Questa prova è multivalente: una storia hard-boiled (o una parodia di…) che si lascia seguire, coinvolgendo a tratti; una storia di personaggi dropouts di Brooklyn, più interessanti anche se si affonda poco; una storia familiare, che però si scopre a poco a poco; e la storia di Lionel e della sindrome di Tourette (che pensavo fosse inventata, invece esiste, non vi dico cos’è e la trovate su http://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Tourette). Questa è da un lato più interessante (in fondo è la colonna portante del libro), dall’altro lascia perplesso (traduzione, scelte stilistiche, altro?). Cioè, Lionel è simpatico, ma i suoi scatti nevrotici borderline lasciano perplessi. Quanto di vero? Quanto di finzione letteraria? Alla fine, come dice Julia, va avanti perché la sua psicosi lo mostra cretino alla gente, e forse è il meno cretino di tutti. Adoro poi il suo soprannome (Testa di pazzo). Forse qualcosa più di mezza pagina andava spesa per descrivere qualche retroscena familiare (spero qualcuno mi faccia capire chi sia Bailey…). Alla fine si legge anche se con un po’ di difficoltà. Giudizio sospeso, al momento.
Altra settimana cruciale, questa forse con un suo perché. Il progetto che seguo da un anno è al suo esame a Bruxelles. Si lavora perché vada tutto bene, e perché da qui si possa ripartire. 

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