domenica 1 gennaio 2012

Mankelliana - 28 giugno 2009

Si, questa settimana, come direbbero gli enologi, una verticale sullo scrittore svedese Henning Mankell. La sua biografia l’ho già scritta nel lontano 5 settembre 2007, ma ricordo che Mankell è uno scrittore svedese, che trascorre metà della sua vita in Mozambico (ed infatti alterna ombra e sole, freddo e luce nelle sue opere). Inoltre è genero di Ingmar Bergman, avendone sposato una figlia. Ma più che altro è anche un degno scrittore, certo principalmente di gialli, dove utilizza un po’ quel filone nordico di critica sociale inaugurato da Sjoberg e Wahloo, ma ha anche altre frecce al suo arco. Qui ho fatto un giro in tre suoi romanzi dei suoi tre filoni: il commissario Wallander, il giallo senza Wallander ed il romanzo, forse neanche tanto giallo.
Henning Mankell “La leonessa bianca” Marsilio euro 9,50
La terza inchiesta di Wallander a confronto con l’Africa e le sue paure… Bello, articolato, forse alcune parti ‘politiche’ un po’ dilatate ma, considerata l’epoca della scrittura (dieci e più anni fa), comunque giustificate. Qui in effetti, si solidifica il mito di Wallander come erede ideale del commissario Beck di Sjowall e Wahloo. È un poliziotto, indaga su morti e rapine. Ma non è isolato dal mondo. Non solo sa che la Svezia ha anche problemi sociali (e forse non è un caso che preferisca la piccola Ystad alla caotica Stoccolma), ma che i problemi sono in tutto il mondo. Già nel secondo (“I cani di Riga”) aveva avuto modo di confrontarsi con la caduta dell’impero sovietico. Qui, si accosta alla caduta del dominio bianco in Sudafrica. Velatamente, ma non tanto, criticando la posizione finto neutrale della Svezia, che poi ospita killer di transito, lì dove i controlli di passaggi frontalieri sono inesistenti. Comincia come giallo cittadino (una donna scomparsa) poi si complica ad intrigo internazionale (con l’incombere della presenza forte di Victor il killer nero che uccide consigliato dagli spiriti dei suoi antenati). Tenacia e occhi aperti (ma anche un po’ di fortuna), portano Wallander a risolvere l’intreccio, anche se poi il giallo si stempera. Ma forti sono anche le pagine di Città del Capo, con la nascente solidarietà tra boeri dell’ultima generazione e poliziotti neri. Tutto forse imbevuto delle lunghe permanenze mozambicane. Vodka svedese per tutti (ma di quella fatta in quel particolare modo in giro per il mondo; qualcuno la ricorda?)
“nel mio paese [il Sudafrica n.m.] esistono grandi parchi naturali dove gli animali sono lasciati in pace. Contemporaneamente, abbiamo dei grandi parchi per esseri umani dove quelli che ci vivono sono costantemente molestati. Per questo, nel mio paese, gli animali vivono meglio degli esseri umani”
“’Non sempre si può capire… una storia è un viaggio che non ha mai fine.’ ‘forse questa è la differenza fra noi due … Io sono abituato e mi aspetto che ogni storia abbia una fine. Per te, una buona storia non finisce mai‘”
Henning Mankell “Il ritorno del maestro di danza” SuperPocket euro 5,90
Un Mankell senza Wallander! Ero molto preoccupato del possibile esito di una tale prova. Tutto sommato devo dire un buon risultato, scorrevole nonostante la mole. Tra lui e Larsson, comunque, quanti si occupano dei nazisti in Svezia!! Il meccanismo giallo si intorbida un po’ e, leggendo bene le righe, già si capisce il perché (anche se non il mistero) delle due morti. Poi da buon giallista attento al vivere quotidiano, Mankell non ci fa mancare anche un po’ di umanità, con il poliziotto con il tumore sulla lingua che deve entrare in terapia. In fondo è una grande stagione per il giallo nordico. La riscoperta si Sjowall e Wahloo, Mankell, Larsson, il ritorno della Merklund, e via discorrendo. Per una via svedese al giallo che, quasi in tutte le opere, affronta anche i problemi quotidiani, il vivere giornaliero. Con un po’ di sana critica sociale, senza mai cadere di tono. Tornando al maestro di danza, mi ha colpito questo insistere sul fenomeno nazista in molti scritti svedesi. Si sente quasi un’eco di elementi non risolti. Come dice anche qui, fu un periodo di esteriore neutralità, ma di interiore dibattito, con molte scivolate verso una collaborazione, mai poi sfociata al sole. Mi è piaciuta la figura dell’argentino, che scoprirete leggendo il libro, piena di contraddizioni, ma guidata nel fondo da un’idea. E qui termino, lasciando una riflessione su quanto una coerenza di vita possa determinare tutta l’esistenza delle persone. Forse dovremmo cercare tutti di essere quanto meno coerenti.
Henning Mankell “Scarpe italiane” SuperPocket euro 5,90
Il terzo volto di Mankell, quello senza Wallander e senza gialli. Mi è piaciuto e di molto, forse perché tutti sentiamo delle morti che si avvicinano o perché l’ho letto d’un fiato il giorno del compleanno del mio fu padre? O forse anche perché a più di sessanta anni, il protagonista scopre una parte del suo passato che pensava non esistesse. Di una donna che l’ho amato più di quanto lui amasse se stesso. Di una figlia, lui che non pensava di aver generato progenie. Qui non abbiamo quindi misteri da risolvere (anche se le parole di copertina cercano sempre di sfruttare il successo degli altri suoi libri), se non uno, grande. Come e perché continuare a vivere. Se lo domanda Frederik, dopo aver commesso un errore che un chirurgo non deve commettere. E crede di risolverlo andando a fare l’eremita su di una sperduta isoletta svedese (qualche eco del suocero e delle sue isole?). Ma la vita, se vuole raggiungerti, lo fa. Anche lì, in mezzo ai ghiacci. Frederik si lascia un po’ travolgere, sembra una bottiglia sballottata dai flutti. È un classico esempio di noi maschi che messi di fronte a delle domande, molte volte non avendo risposta, cerchiamo di far finta di essere onesti, di far finta di dire quello che ci sembra la verità, e che un po’ ci giustifica. Quando non si ha la risposta, quanto sarebbe bello avere il coraggio di dire “Non lo so!”. Alla fine è come aver bevuto uno dopo l’altro una decina di bicchiere di Vodka svedese (di cui prima o poi narrerò le particolarità, a chi le vuol sapere) che sembra non averti fatto nulla. Ma come ti alzi, sei senza gambe ed ubriaco come un marinaio (svedese appunto). Così mi ha lasciato Mankell, alla fine non avevo più fiato.
“…guardai di sfuggita il mio viso … capelli spettinati, labbra serrate, occhi infossati. Per niente bello. … Penso di essere stato un bell’uomo da giovane, se non altro in quegli anni un buon numero di ragazze mi trovava attraente. … a un certo punto tolsi i tre specchi che erano in casa, non volevo vedermi” (39)
“Raramente le persone diventano quello che avevano pensato di diventare” (51)
“Le persone normali non esistono. … Appartengono a un’immagine distorta del mondo, quella che ci impongono i politici. Ci fanno credere che facciamo parte di un’infinita massa di normalità, senza che ci sia la possibilità, o la volontà, di considerarci individui. Si continua a parlare con insistenza di una normalità che on esiste. O forse, per certi politici, è una scusa per trattare la gente con condiscendenza” (154)
“Non avremmo mai potuto vivere insieme. Alla fine mi sarei stancata del tuo continuo origliare e rovistare le mie cose. Era come se fossi sotto la mia pelle. Mi facevi prurito. Ma ti amavo e non mi preoccupavo” (259)
“Tu non sei mai stato una brava persona… Sei sempre sfuggito alle tue responsabilità. Non diventerai mai buono. Ma forse potrai migliorare” (259)
“Le nostre vite sono state quello che sono state. Presto morirò. .. poi anche tu te ne andrai. Allora la traccia sarà cancellata. La luce ha brillato fra due grandi oscurità” (268)
Mentre si è passato con onore l’esame a Bruxelles, ora ci avviciniamo ad un inizio d’estate da meditazione. Preparazione del viaggio medio - orientale d’agosto e luglio di riflessione. Buon caldo a tutti.

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